Hurt
him to save him
Primo
capitolo – Away and back home.
Londra,
20 dicembre 2004
Ore
23.55
Casa
Bellamy
Un
uomo camminava per il viale di casa Bellamy, quella sera. Mentre a passo lento
si avvicinava alla porta, il suo impermeabile veniva leggermente mosso dal
vento: lo sguardo basso era nascosto da un mantello scuro e, bussando alla
porta, la pelle nera dei guanti scricchiolò.
Concerto Earls
Court
Lo stadio gremito di ragazzi eccitati, le luci colorate in
contrasto con il nero profondo della notte: migliaia di coriandoli argentati
volavano nell’aria, quella sera. Ad accompagnare quella scena, le dolci note di
Blackout.
Don’t kid
yourself
and don’t fool yourself
this love’s too good to last
and I’m
too old to dream.
Casa Bellamy
Una donna castana aprì
la porta, pensando a chi potesse essere a quell’ora di notte.
“Salve.” Disse
la donna. “Posso fare qualcosa per lei?” Continuò, aprendo leggermente la porta.
L’uomo, d’impeto, le si avventò contro.
Concerto Earls
Court
Don’t grow up too
fast
and don’t embrace the past
this life’s too good to last
and I’m
too young to care.
Casa Bellamy
Le mani dell’uomo,
chiuse in una morsa fatale intorno al collo della donna, la spinsero a terra. I
vani tentativi di ribellione morirono, soffocati da quelle mani troppo forti per
essere spinte via.
Concerto Earls Court
Don’t kid yourself
and don’t fool
yourself
this life could be the last
and we’re too young to see.
Casa Bellamy
Il
corpo senza vita giaceva appena fuori la porta: l’uomo in nero si chinò sul
corpo esanime e con un gesto fulmineo le strappò dal collo il ciondolo
d’ametista. Lo ripose nella tasca dell’impermeabile, si accese una sigaretta e
tranquillamente scomparve nel buio.
Backstage
del concerto
Ore
00.21
I
passi erano leggeri, scendendo da quel palco: aveva appena fatto uno dei
concerti più belli della sua carriera. Finalmente, eccolo lì: il successo che
tanto aveva agognato, fra le quattro mura della sua casa a Teignmounth, era
finalmente lì.
Sorrise, guardando le facce soddisfatte dei suoi amici: di
loro era sicuro. Forse erano l’unica cosa sicura della sua vita. Li guardò
asciugarsi la fronte con gli asciugamani gentilmente offerti dallo staff e
sorrise: avevano vissuto praticamente una vita insieme, quello era il loro
destino. Poteva sentire ancora le urla rimbombare nella sua testa, acclamarli
come déi. Avvertiva ancora la sensazione dei tasti del pianoforte scivolare
sotto le sue dita esperte e quel lieve piacere del lasciarsi trasportare
completamente dalla musica.
Camminava a passo calmo, seguito dai suoi amici,
verso il camerino.
Bel concerto, sì.
Quando abbassò la pesante maniglia
del camerino, Dominic come posseduto lo sorpassò, saltando ancora con le scarpe
sul divano. Come facesse ad avere tanta energia, mi dispiace, non c’è dato
saperlo. Insomma, dopo un concerto – specialmente se si è batteristi - si dovrebbe essere stanchi! O almeno, un
po’ provati.
Lui no. Usciva dal concerto ancora più carico di quando aveva
cominciato.
Era una delle cose che Matthew adorava di Dominic, una delle
cose di cui non avrebbe potuto fare a meno – soprattutto dopo un concerto - .
Chris, sicuramente il più provato di tutti, chiuse la porta e si buttò letteralmente sul frigo, alla ricerca di
una birra. “Non cambierà mai…” Pensò Matthew, sedendosi su una poltroncina,
passandosi una mano sugli occhi stanchi.
“Dominic! Ma quanti anni hai,
tredici?” Urlò al batterista, ancora intento a saltare sul divano.
“Ma… Ma…
C’era un fottio di gente! Non vi sentite… estremamente carichi ed eccitati?”
Urlò, continuando a saltare ed agitando un asciugamano per aria.
No. Non
sarebbe cambiato mai, nemmeno a quarant’anni.
“Io sto per morire e questo
salta sul divano… No, dimmi, ma ti sembra normale?” Bisbigliò Matthew a Chris.
Il bassista rise, massaggiandosi il collo: il risultato di due ore di head
banging. “Bella serata, già.” Sussurrò, buttandosi indietro su una poltroncina.
Chris amava andare in tour: certo, c’erano degli inconvenienti, ma il tour era
sicuramente la soddisfazione più grande che la carriera da musicista potesse
dare.
In
quel momento la porta si aprì e ne sbucò fuori Tom Kirk. Chiamarla espressione stravolta è un eufemismo. Il
volto grigio di chi ha appena ricevuto una pessima notizia era rigato da una
bocca tristemente curvata all’ingiù. Lo sguardo basso, il capo leggermente
chino, lasciavano intravedere gli occhi lucidi. Lentamente entrò nella stanza,
chiudendosi la porta alle spalle e sospirò, portandosi una mano al volto. Nel
vedere i suoi occhi, Chris e Matt si alzarono. Cosa diavolo era successo?
Matthew, zampettando fino ad arrivare da lui, gli pose una mano sulla spalla.
“E che è quella faccia!” Rise. “Non fai un cazzo dalla mattina alla sera e
sembri più stanco di noi!” Ridacchiò.
Silenzio.
Il manager non
rispose: prese un bel respirò, aprì la bocca come per dire qualcosa ma si limitò
a guardare i membri della band, uno per uno.
“Tom? È successo qualcosa?”
Chiese Chris, apprensivo. Sembrava davvero sconvolto e ce ne voleva per
sconvolgere Tom!
“Forse è meglio che vi sediate.” Rispose, cercando di
mantenere una certa calma.
“No, io sto in piedi.” Disse serio Matthew,
accigliandosi.
“Ti prego, Matt.”
Lo stava supplicando. Fu questo a far cambiare
subito idea al cantante: supplicare, per Tom, non era sicuramente un’azione
tanto usuale.
“Oi! Ci stai facendo preoccupare!” Esclamò Dominic, continuando
a saltare sul divano.
“Dominic. Siediti, è una cosa seria.” Lo ammonì,
guardandolo in cagnesco: certi lati del batterista – soprattutto quelli così
infantili - potevano risultare
simpatici, certo, ma non in un momento come quello. Improvvisamente Dominic
smise di saltare.
“Beh, se ti degnassi di dirci cosa è successo, potremmo
anche prenderci la premura di reagire in modo consono.” Rispose, sedendosi, un
po’ stizzito per essere stato ripreso così bruscamente.
“Si tratta di Gaia.” Soffiò via Tom, insieme a tutta
l’aria che aveva nei polmoni. A sentire quelle parole Matt, che fino a quel
momento era rimasto seduto, balzò in piedi.
“E?” Lo incitò Chris a
continuare, alzandosi anche lui. Non
ricevette nessuna risposta.
“Parla!” Urlò Matthew. “Che cazzo è successo?” Continuò, fiondandosi addosso a Tom.
Le mani
strette sul collo della camicia lo strattonarono con violenza.
“Matt. Hanno
ritrovato poco fa il corpo di Gaia.” Bisbigliò, chiudendo gli occhi.
Lentamente la presa intorno al suo colletto svanì e Matt barcollò
all’indietro, fino a toccare il muro.
Il corpo.
“Si pensa ad un
tentativo di rapina finito male. Non aveva più il ciondolo che le hai regalato
per il compleanno.”
Matthew spalancò gli occhi e Chris si portò una mano
alla bocca. Dopo pochi secondi il cantante cominciò ad avvertire un senso di
vuoto nello stomaco. Nella sua testa, come trottole impazzite, correvano le
parole sentite poche attimi prima.
Sentì la terra mancargli sotto i piedi e
il cuore fermarsi. A dir la verità la sensazione era diversa: era come un
battito unico. Il cuore aveva cominciato a pompare sangue così velocemente da
non poter distinguere i battiti, come le eliche di un elicottero che,
sfrecciando a tutta velocità, divengono una cosa sola.
Prese un respiro
profondo, si passò una mano sul collo e cadde svenuto.
“Mattew!” Urlò
Dominic, accorrendo subito dal suo amico. “Cosa volete, l’invito? Aiutatemi,
porca troia!” Continuò, prendendo fra le mano il viso del cantante. “Allora!”
Urlò ancora, voltandosi verso Tom e Chris.
I due, sicuramente più forti di
Dominic, lo sollevarono e lo portarono nel Tour Bus, facendolo sdraiare sul
divano rosso del living space.
Dominic, sempre più preoccupato, si mise a
sedere ai piedi del divano: le gambe incrociate e le braccia intorno al collo.
Scuoteva lentamente la testa e, facendo attenzione a non fare movimenti troppo
bruschi, Chris gli si avvicinò.
“Io ho bisogno di un caffè, Dom. Io e Tom lo
andiamo a prendere prima di ripartire. Vieni con noi?” Domandò, ricevendo in
risposta solo dei flebili cenni di dissenso.
“Vuoi che ti porti qualcosa?”
Continuò, non ricevendo questa volta alcun tipo di risposta.
Sceso dal
bus, Chris cercò ansiosamente il cellulare nella tasca e chiamò il primo numero
della rubrica.
“Amore?”
Dio, come gli era mancata quella voce.
“Amore mio. È successa una cosa.” Sussurrò per non farsi sentire da Dominic.
“Ah, Tom ti ha già chiamata. Ecco, non lo so. Il Tour riprende ad aprile, non so
cosa faremo.” Fece una piccola pausa. “Pensano sia stata una rapina. Appena so
qualcosa ti chiamo. Sì, ti amo anche io.”
Chiuse la chiamata e, a passo
lento, raggiunse Tom qualche metro più avanti.
Quando Matthew aprì gli
occhi, si ritrovò sdraiato sul divano rosso del living space. La testa gli
faceva male, male da morire: era come avere centinaia di aghi piantati nelle
tempie. Centinaia, migliaia di aghi.
Si guardò intorno: la vista era
appannata e il silenzio che regnava nel bus in movimento gli suggerì, per sua
disgrazia, che non era stato tutto un sogno. Alzò gli occhi e incontrò quelli di
Dominic, trovandoli quasi vuoti, seduto ancora nella posizione di qualche ora
prima. Chris, invece, si era seduto sul divanetto accanto a lui.
“Matthew?”
Lo chiamò il bassista. Nessuna risposta.
“Matt?” Insistette.
Il cantante, ignorando la voce dell’amico, puntò
i suoi occhi vuoti su un punto indefinito del soffitto: cosa avrebbe dovuto
fare? Piangere, ecco. Quello sì che sarebbe stato un passo avanti. Verso
l’accettazione, almeno. Ma nulla: l’unica cosa che sembrava venirgli bene, in
quel momento, era ignorare i suoi amici, guardando il susseguirsi di nuvole
scure al di fuori del finestrino.
Riconobbe quella strada: la strada di casa.
“Forse è meglio lasciarlo
solo.” Sussurrò il batterista, alzandosi e andando verso la zona letto.
“Dominic.” Continuò, poggiando una mano sulla spalla del batterista.
“Io”
Cominciò, digrignando i denti e assottigliando lo sguardo “Io resto con
lui.”
Rassegnato e, diciamocelo, stanco Chris si voltò e si chiuse nel
suo bunk.
In fondo, lui aveva fatto
il possibile.
PurpleMally’s
Notes
Buonsalve,
bella gente!
Allora, un paio di cose:
questa storia altro non è che un remake di una one-shot pubblicata nell’agosto
del 2008. L’altro giorno la stavo rileggendo e ho deciso di modificarla, sia
nella forma che nei contenuti, e di renderla una long. Vi avviso che i capitoli
saranno pochi, tre o quattro al massimo. Sono molto legata sentimentalmente a
questa storia, sia per una questione artistica (è stata la prima cosa scritta e
progettata sui Muse in vita mia), sia dal punto di vista affettivo: è stata,
infatti, la prima storia che ha visto la collaborazione fra me e una persona a
me veramente molto cara.
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto e
vi invito -non vi prego, non vi obbligo, non vi esorto: semplicemente, mi
farebbe piacere – avere un vostro
parere.
Baci baci.
Mally.