All my
possessions for a moment of time.
(Elizabeth
I, in punto di morte)
A quel tempo,
Inghilterra subiva e cresceva sotto
la spinta di Elizabeth I.
Arthur Kirkland, al contrario, guardava Elizabeth
con occhi pieni d’amore, le labbra arricciate per la recita e
la sofferenza
della Regina.
Anche se
Inghilterra viveva del nuovo potere e
della sua forza nel mondo conosciuto – e nel continente
appena nato -, Arthur
Kirkland non vedeva l’ora di tornare a Londra e godersi
l’ultima opera di quei
piccoli pazzi che erano Marlowe e Shakespeare, stringendo la sua
Elizabeth tra
le braccia.
Arthur
Kirkland era bello: vedeva i suoi capelli
dorati, vedeva la fierezza nelle sue iridi verdi; Inghilterra governava
il
mondo.
Amava sentire Elizabeth ridere e scompigliarli i
capelli già arruffati, mentre lui le accarezzava la corta
zazzera.
A volte, tra
una visita alla cattedrale di
Canterbury e una riunione strategica in merito alla minaccia spagnola,
sentiva
gli occhi della Regina su di sé – lui avrebbe
dovuto difenderla, invece era lì
ad aspettare che Elizabeth lo prendesse per mano, guidandolo.
Arthur
Kirkland sentiva che il momento si stava
avvicinando: di notte guardava le luci di Londra e sapeva per certo che
un
giorno sarebbe stato grigio e sfatto come un vecchio.
A che pro aspettare se il loro legame era destinato
a durare “finché morte non vi separi?”
Al funerale
sembrava avesse partecipato il mondo
intero; Inghilterra era stupendo, divino.
Arthur Kirkland per la prima volta fu Inghilterra,
quando si allontanò dai rappresentanti uniti in cordoglio;
si guardò allo
specchio e vide solo i suoi occhi rossi e gonfi, guardò e
vide solo che lo
specchio non avrebbe riflesso Elizabeth mai più.