Nickname: yara89 Titolo: Ricordi d’inchiostro Genere: Romantico, introspettivo, drammatico. Raiting: verde Pairing/Personaggi: Isabella Swan, Edward Cullen, un po’ tutti. Breve introduzione: Isabella
Swan è una donna felice e sposata con un uomo che ama più
di stessa, Edward Cullen. Una vita… “utopica”, una
figlia che adorano. Ma, a volte, la vita non è sempre a nostro
favore… non sempre è facile. Un segreto… è
questo quello che Bella nasconde da un mese a suo marito, una
verità che non si vuole accettare, per paura e… per non
far soffrire le persone care. Note autore (Facoltativo): Questa
storia ha un significato particolare, tratta un argomento molto
delicato, che io, in qualche modo ho cercato di esprimere a parole.
Avevo sette anni quando persi una persona per me importante. Ero
piccola per capire, o forse accettare che non c’era più.
Nessuna lacrima è scesa, e sicuramente, è dovuto alla mia
età. Non so se susciterà emozioni questa shot, ma se
riuscirò, anche solo, a farvi versare una lacrima, sarà
quella che io non ho avuto la forza di far scendere. Citazione
scelta e eventuale immagine (Specificando se è stata scelta da
me, così da poter ottenere i punti bonus): La
felicità è reale solo quando è condivisa (C.J.
McCandless), scelta da essebi. La morte è l’unica delle
mie avventure che non potrò raccontare (François
Mauriac), scelta da me.
Disclaimeir: Questa storia è stata rielaborata
sulla base di un episodio della serie televisiva X-Files. Pertanto alcune
frasi, presenti all'interno, sono state rielaborate ed adattate al contesto.
Ricordi d’inchiostro
Per la prima volta nella mia vita, sento i battiti del
mio cuore scandire il tempo ed i secondi, dapprima interminabili, scorrere
veloci, senza lasciarmi il tempo di elaborare ciò che,
inevitabilmente, mi allontanerà dalle persone, da me amate.
Una verità che non ho mai voluto ammettere e che ora…
non posso più ignorare.
Queste parole che io ti lascerò, sottoforma di ricordi
d’inchiostro su un foglio di carta, saranno ciò che resterà di me, ma non ti
disperare, avrai sempre le nostre avventure, ad accompagnarti nel corso della
tua vita… della tua lunga vita.
La morte è l’unica delle mie avventure che non potrò
raccontare. L’unica che farò senza di te, dopo averti incontrato.
In questo diario troverai i momenti più belli che
abbiamo trascorso insieme, momenti che vivranno nella tua memoria. Io non
morirò completamente, perché mi ricorderai sempre, ti starò vicino, anche se
non mi vedrai. Non ti permetterò di commettere alcuna sciocchezza, come
dimenticarti di svegliarti presto, perché il frutto del nostro amore, che dorme
beata nel suo piccolo letto, deve continuare a vivere, andare a scuola,
crescere, innamorarsi. M’immagino già il tuo viso, mentre lei sfiora le labbra
di un ragazzo, la tua espressione sconvolta e scurita dalla rabbia e dalla
gelosia, perché lei è parte di me… e di te. Guardandola cambiare rivedrai in
lei, me. Ricordi il giorno della sua nascita? Le tue parole mi colpirono
profondamente… parole che, neanche la morte, mi potrà strappare via, parole
vere, perché avrai sempre la copia originale davanti ai tuoi occhi. Un ricordo
lontano, il mio…
«Edward?» ti chiamai con spossatezza nella voce,
eppure non ero minimamente pentita o in qualche modo, infastidita. Avevo appena
dato alla luce nostra figlia. Niente era più importante di lei. Mi tenesti
inconsciamente la mano, mentre la tua testa ramata era appoggiata al letto,
sentivo il tuo respiro profondo e regolare far eco ai miei pensieri felici ed
impazienti di vedere il nostro piccolo miracolo. Lentamente sfiorai la tua
guancia, in una carezza leggiadra, come le ali di una farfalla, ma a quel
contatto, sentii aumentare la presa sulla mia mano. Avevi capito che era il mio
tocco; un tocco che scatenava elettricità pura, un calore familiare, che avrei
sempre riconosciuto. Vidi il tuo capo voltarsi nella mia direzione,
sorridendomi felice. I tuoi occhi non erano mai stati così belli come in quel
momento, eri diventato papà da poche ore per merito mio. Ero orgogliosa di
essere la madre dei tuoi figli, orgogliosa di essere tua moglie… e mai
mi pentirò di averti avuto, anche se, per breve tempo, al mio fianco.
«Come stai?» mi domandasti, poggiando la fronte sulla
mia, in un gesto intimo. Un gesto che ci faceva sentire come tessere di un
puzzle appena assemblato. Sentii le tue labbra calde sfiorare le mie, in cerca
di un bacio voluto e desiderato, un bacio che sapeva di ritorno. Le tue mani mi
circondarono il viso, in cerca di un appiglio naturale a cui aggrapparsi… io
sono sempre stata il tuo appoggio, la spalla su cui potevi piangere, fino ad
ora.
«Bene, anche se un po’ stanca, lei sta bene?» ti
chiesi, mentre ti feci spazio per poterti distendere al mio fianco e stringermi
in un abbraccio. Un abbraccio confortevole, sicuro, ogni volta che avevo paura
o avevo bisogno d’aiuto… tu eri presente.
Ed io ci sarò sempre, non dimenticarlo mai.
«Vuoi vederla?» mi chiedesti. Io senza esitazione,
annuii con il capo. Ti vidi alzare e dirigerti verso una culla lì vicino. Mia
figlia era quel piccolo fagotto rosa che tenevi in braccio con estrema
delicatezza, come se si trattasse del più delicato dei cristalli. La presi in
braccio, non appena mi fu possibile e, la osservai dormire placidamente. Aveva
il tuo stesso volto, ma la bocca sottile, leggermente increspata e il naso,
erano miei. Più tardi scoprii che anche gli occhi erano cioccolato fuso… un
colore che ti aveva sempre affascinato.
«Ti ringrazio, Bella. Sei riuscita a farmi innamorare
per la seconda volta, quando ti avevo promesso che tu saresti rimasta sempre
l’unica, spero che non chiederai il divorzio… per essermi innamorato di nostra
figlia» era la frase più dolce e romantica che un marito ed un padre, potesse
dedicare a sua moglie e a sua figlia. Ecco perché ti ho sempre amato,
perché mi hai donato un amore incondizionato… quello che ogni donna spera di
riuscire a trovare.
«Grazie a te, amore mio. Ci hai donato il tuo affetto
ed il tuo cuore… ti amo più di quanto tu possa immaginare» ed appoggiai il capo
sul tuo petto, lasciandomi trascinare dalla melodia dolce e regolare del tuo
cuore.
Queste parole sono un peso dal quale riesco a
liberarmi, perché so che le leggerai e alleggerirai il mio spirito e ti
affaccerai sul mio cuore, condividendo con me questi ultimi ricordi di dolori e
sofferenze. Questa prospettiva mi aiuta a superare, o perlomeno a darmi qualche
forma di conforto, mentre sento le catene della vita, scivolare via dal mio
corpo, insieme alla prospettiva di continuare un viaggio che ho intrapreso con
te… una vita insieme e felice. Perdonami se non potrò continuare questo
viaggio, ma ormai la malattia, insieme alle cure, mi hanno tolto la volontà ed
il coraggio di lottare per un “noi”, perché adesso, sono fermamente convinta
che un lieto fine non ci sia. Altri ricordi si affacciano nella mia mente,
ricordi dell’inizio della fine… il giorno in cui ti chiamai, il giorno in cui
ebbi un mancamento.
Avevi paura quando ti vidi arrivare tutto trafelato,
abbandonando il tuo lavoro, come se niente fosse più importante di me. Ed era
così; per te, io e Renesmee eravamo il tuo primo pensiero, se eravamo tristi,
lo eri anche tu, se stavamo male, lo eri anche tu. Ma questa volta, è qualcosa
di più grande di noi, qualcosa che non posso superare, se tu non sei con me.
Ero sdraiata sul lettino ospedaliero; il tuo volto era una maschera
indecifrabile per le persone estranee, ma non per me. Eri spaventato… da una
verità che non si poteva più nascondere.
«Bella? Cos’è successo?» mi domandasti, correndo verso
di me. Ma una figura alle tue spalle si schiarì la voce, per attirare
l’attenzione. Il medico, che mi aveva annunciato di avere un tumore… un mese
prima.
«Signora Cullen, credo sia meglio che la lasci da sola
con suo marito… tornerò più tardi… per ulteriori analisi» disse lui, volgendoci
le spalle e dirigendosi verso la porta.
«Ulteriori analisi? Mi vuole spiegare cosa ha avuto
mia moglie?» urlasti in preda ad un attacco di panico, ma con un cenno del
capo, invitai il dottore ad uscire. Dovevo essere io a dirtelo… io a
distruggere la nostra felicità. Ti voltasti verso di me, inginocchiandoti e
prendendo le mie mani. Tu ebbi un sussulto sentendo il gelo della mia pelle,
sintomo della mia paura… e, dopo qualche istante, anche la tua.
«Edward… ho avuto uno svenimento, mentre stavo facendo
la spesa e mi hanno portato qui. Ma non è la prima volta che vengo per delle
analisi… c’è una cosa che ti ho nascosto… perché non volevo accettarlo e
perché… avevo paura» ti dissi, in preda a singulti violenti. La mia voce era
flebile, attenuata dalla stanchezza, tenevo lo sguardo basso, incapace di
sostenere il tuo.
«Tu… sei venuta spesso qui? Perché non mi hai mai
detto nulla! Ci siamo sempre detti tutto, non abbiamo mai avuto segreti… Perché,
Bella?» gridasti disperato, mentre con una mano mi alzasti il viso per potermi
guardare negli occhi. I tuoi occhi erano disperati e traboccanti di lacrime
represse: lacrime che io non avevo ancora il coraggio di lasciar scorrere. Non
sopportavo il fatto che avrei dovuto abbandonarlo… ed abbandonare mia figlia.
«Perché… non avevo compreso ed accettato la gravità
della situazione… ora ho capito…» e ti strinsi a me, per poter pronunciare
quelle parole che avrebbero distrutto la nostra bolla di felicità.
«…ho un tumore, Edward. Un tumore che mi distruggerà…»
sussurrai, il tuo corpo diventò di marmo. Eri rigido, teso, poi tremasti. Sulle
mie guance, spuntarono lacrime che non mi appartenevano… erano le lacrime di
mio marito. La tua reazione… non la dimenticherò mai… mi abbracciasti in modo
disperato, da togliere il respiro. Un abbraccio amaro, consapevole di un futuro
che, forse, non ci sarà mai per noi.
«È operabile?» mi chiedesti in un sussurro. Un
sussurro strozzato, pieno di rabbia verso la vita, e paura verso una vita senza
di me.
«No» una risposta semplice; diretta… che non lascia
scampo.
«È curabile?» cercavi di essere forte, di trovare
un’alternativa alla sciagura che ci aveva colpiti… anch’io ho sperato, ma…
«No. Vuoi sapere la verità? Il tumore si trova in
una zona vicino al cervello, difficile da poter raggiungere… difficile qualsiasi
intervento…» ormai le mie speranze erano sparite… dovevano sparire anche le
tue, rassegnarsi all’inevitabile: un futuro senza di me. Scuotesti
ripetutamente il capo, in modo frenetico.
«È impossibile…» continuavi a ripetere, senza abbandonare
la presa su di me. Ad ogni parola aumentava la stretta, sentivo i tuoi
singhiozzi lacerarmi, ma era necessario esprimere queste parole a voce alta,
parole che rifiutavo con tutta me stessa…
«Io ho il cancro e la massa è in continua espansione… e
lo rende invulnerabile alle cure. Se raggiungerà il cervello, non avrò
alcuna speranza» mi allontanasti di poco, per potermi guardare negli occhi. I
miei erano vuoti, malinconici. Io avevo tenuto il segreto da un po’ e tu lo
avevi appena realizzato. I tuoi occhi, sempre felici, erano una maschera di
sofferenza acuta che non avrei mai voluto vedere.
«Non dobbiamo gettare la spugna! Esisterà
qualcuno che è stato curato… possiamo…» le tue parole erano veloci,
frenetiche, in preda alla disperazione. Anche questa volta volevi trovare una
soluzione per noi; una soluzione che non esisteva.
«Si, qualcuno esiste…» già, ma sarebbe servita la
cura? Oppure era una futile speranza?
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Una settimana dopo, ero di nuovo qui, in ospedale, ma
da sola. Non volevo che qualcun altro sapesse. Tu eri contrario; ritenevi
necessario e giusto informare tutti, anche mia madre. Soprattutto lei, che era
rimasta sola, dopo la morte di mio padre. Io ero l’unica persona, insieme a
Renesmee, che poteva ritenere la sua famiglia. Avevo allontanato tutti,
inconsapevolmente. La consideravo la mia guerra, eppure ti avevo
raccontato tutto, perché ai tuoi occhi non potevo mentire. Ricordo che, qualche
giorno dopo, averti confessato il mio segreto i sintomi divennero evidenti,
persino a te…
«Bella?» mi chiamasti. Eravamo a tavola, mentre
Renesmee era seduta sul divano a guardare la tv. Ti toccasti il naso,
guardandomi con espressione tormentata e spaventata. Allora allungai la mano
verso il mio, sfiorandomi con le dita, il punto che indicavi, guardando sempre
il tuo volto. Un liquido viscoso le bagnava, era denso e odorava di ruggine e
sale… sangue. In quei giorni, cominciai ad odiare il tuo sguardo, non riuscivo
a reggerne il peso… era troppo.
«Sto bene… non preoccuparti» ti risposi con tono
brusco e presi un fazzoletto per pulirmi. Ero stanca del tuo sguardo. Ti
limitavi a guardarmi con sguardo torvo, perché mi rifiutavo l’assistenza
sanitaria… mi rifiutavo di provare a sperare. Sperare in un futuro insieme.
«Bella, dovresti parlare con qualche paziente che
presenta la stessa malattia, forse…» ma decisi di interromperti. Volevi
aiutarmi, ma io ero ostinata e testarda… avevo già rinunciato a vivere. Voleva
che altre persone mi infondessero pensieri positivi.
«Parlare di cosa? Di quale preghiera recitare?» ti
chiesi arrabbiata. Tu… non riuscivi a capire. Non capivi il dolore che portavo
dentro, un dolore fisico ed emotivo… avrei dovuto dire addio a mia figlia…
imprimere nella mia mente il suo volto da bambina, perché non avrei potuto
vedere quello da adulta, da donna.
«Non pensi a me! Anch’io sto soffrendo… ogni giorno mi
sveglio con la paura che tu non aprirai più gli occhi, la paura di stringere un
corpo vuoto e freddo. Di non veder crescere insieme nostra figlia. Cosa le
racconterò quando mi chiederà dove si trova la mamma? Le dirò che ha rinunciato
a lottare? Ha rinunciato alla sua famiglia?» mi gridasti alzandoti di scatto e
gettando la sedia a terra. Tenevo lo sguardo basso… era la rabbia, la
frustrazione a farlo gridare, perché non mi aveva mai urlato così, fino ad ora.
Lentamente mi alzai dalla tavola, sotto lo sguardo impaurito di mia figlia e mi
diressi nella nostra camera. Mi rannicchiai sotto le coperte, senza versare
lacrime. Avrei seguito il tuo consiglio… sarei andata in ospedale a visitare
altre donne… nelle mie stesse condizioni.
Conobbi Penny Richards… una donna che, nonostante lo
sguardo stanco, aveva ancora la voglia di lottare, di vivere. Lei raccontai
della mia malattia, e delle mie paure, dei miei rimpianti e dei miei affetti.
«Allora, Bella, sei qui per farti curare dal dottore
Denali…» la guardai confusa, non conoscevo quel dottore… doveva essere nuovo.
Carlisle, tuo padre, non ci aveva detto che arrivava un nuovo dottore.
«No,
perché mi dovrei far curare da lui? I medici hanno detto che…» ma lei mi
interruppe con un gesto della mano.
«Ha curato altre donne, che presentavano questa
malattia… non ha potuto far nulla per la donna prima di me, ma dice che, forse,
ha trovato il modo di salvarmi…» ascoltavo le sue parole con una flebile
speranza che dovevo afferrare e stringere con forza a me, affinché non
scappasse via.
«Denali, quindi, ha detto…» le chiesi con voce
tremante e lei annuì soltanto.
Uscii dalla sua camera e presi il cellulare dalla
tasca… non volevo che tu mi accusassi di non voler più vivere, ma non volevo
credere in un futuro lontano ed impossibile. Non volevo vivere gli ultimi
istanti avvolta in un’illusione. Uno, due, tre squilli e la tua voce soave, ma
resa incrinata dal panico, mi giunse alle orecchie.
«Bella! Stai bene?» non così tanto, amore mio.
«Ho bisogno della borsa che ho lasciato nella tua
macchina… forse c’è un dottore che può aiutarmi…» dall’altro capo…
silenzio. Ascoltavi le mie parole, anche tu, sperando in un miracolo… che ci
permettesse di cancellare quella nube oscura che aveva avvolto la nostra
famiglia.
«Arrivo subito!» affermasti con tono sicuro… e la
linea cadde.
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Qualche giorno dopo, decisi di comunicare a mia madre
la notizia. Il dolore, mascherato da una tranquillità irreale, affiorava dal
suo volto. Abitavamo distanti, in città diverse, perciò non potevamo vederci
spesso…
«Oggi ho preso la macchina. A dire il vero, volevo
prendere uno shuttle per arrivare prima… che sfortuna, ma non ce n’erano…»
Era dolore.
Un dolore che avrei percepito anch’io. Se fosse
successo a Renesmee, anch’io l’avrei rimproverata; ma io, ero io, ero testarda.
«Mamma… sto bene, non c’è nulla di cui preoccuparsi»
le dissi per rassicurarla, ma il suo sguardo accusatore, non accennava a
sparire.
«Si può sapere perché non me lo hai detto?» mi chiese
con voce fredda. La sua postura era rigida.
«Volevo… avere il tempo di assimilare la notizia. Ho
trovato uno spiraglio di luce e volevo avere una minima speranza di poter
continuare a…» non c’era bisogno di continuare… aveva capito.
«Non farlo mai più… non voglio perdere anche te. Tu e
Renesmee siete la mia famiglia!» e mi abbracciò, cominciando a piangere. Tutti
versavano lacrime per me, ma io non riuscivo a farlo. Qualcosa me l’ho
impediva.
Durante il periodo di cura, molte persone mi vennero a
trovare. Tu e mia madre avevate sparso la voce, anche senza il mio consenso. La
mia paura consisteva nel fatto che mi avrebbero visto distrutta, dilaniata e
simile ad uno zombie. Era questo che faceva la chemioterapia e la radioterapia.
Per usare le parole del dottore Denali: Signora Cullen, le
sembrerà di morire…
Tanti volti conosciuti e distrutti si alternavano ogni
giorno… Alice, la tua sorellina pazza, che mi sgridò per non aver detto nulla.
Era la mia migliore amica, che si stava per sposare con il suo storico
fidanzato Jasper. Era la prima volta che la vedevo piangere disperata tra le
braccia del tuo migliore amico. Anche lui l’ha presa male, ma doveva farsi
forza per Alice. Tuo fratello Emmett… non sorrise più da quando lo seppe… e
Rosalie, sua moglie, nonché mia cognata, per una volta, ha abbandonato la sua
maschera di freddezza ed ostilità verso le persone estranee… l’ho vista
pregare, di nascosto il dottor Denali, di salvarmi… di fare l’impossibile, per
me. Non mi odiava come pensavo, avevi ragione… ha un grande cuore come suo
marito. Carlisle ed Esme… i tuoi genitori, mi abbracciarono, proprio
come aveva fatto mia madre, ma non dissero nulla, un gesto vale più di mille
parole. Cominciai anche a leggere riviste mediche, che parlavano del cancro.
Nasce per essere un invasore ed attacca senza farsi
annunciare. Si annida nella parte più interna del suo ospite, si fonde con lui,
costringendolo a distruggere entrambi. È come un esorcismo… la scienza, tramite
tecniche, tenta di liberarmi da questo demone oscuro.
Scrivo queste parole anche per aiutarti a comprendere
meglio ciò che sto passando, il demone che tento di sconfiggere, ma non sempre
la scienza riesce a far cessare di esistere.
E se, quando leggerai queste righe, io non ci sarò
più, non colpevolizzarti, cercando qualcuno che, forse, aveva con sé cure
segrete, in grado di liberarmi da questo tormento. Che avresti potuto fare di
più. Abbiamo affrontato sempre i nostri problemi insieme, ma questa tappa la
devo percorrere da sola.
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Nell’ultimo periodo ho scritto poco, perché la terapia
mi ha distrutto nello spirito, oltre che nel corpo… il terrore di dover
affrontare un nemico che non concede tregua, che lentamente ingrossa il suo
esercito. Le condizioni di Penny sono peggiorate, ma non si dispera e questo mi
fa provare profondo rispetto, per colei che, nonostante la situazione, continua
sperare, e mi incita a non mollare. Sento ogni istante le tue mani, coprire la
mia, insieme a tutte le persone che tengono a me. Anche le mani di mia figlia,
sono le mani che coprono le altre, infondendomi calore e speranza…
NON MOLLARE! E’ questo il significato di quel gesto.
Un incitamento, la mia forza…
Siete tutti voi che mi volete qui, per continuare il
sentiero della vita, perché mi ricordate sempre che, io ho tanta strada da
percorrere prima di dormire.
La tua tenacia, il tuo essere più testardo di me, mi
daranno la spinta per andare fino alla fine di questo percorso…
«Non abbandonare la speranza di poter tornare a vivere
come prima…» sono le ultime parole di Penny Richards… una donna che ha
affrontato il cancro con dignità ed onore fino all’ultimo giorno.
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3 anni dopo…
«Sono
questi i pensieri che mi hanno accompagnato durante il periodo più triste ed
oscuro della mia vita» spiego a mio marito che con sguardo tormentato, rivive
quegli anni di dolore. Lo sento sollevare un braccio e stringermi a sé, in un
abbraccio caldo e protettivo.
«Sono
felice, perché non hai abbandonato la speranza… e ringrazio Penny di averti
spronata ad andare avanti» dice, e mi bacia dolcemente, con venerazione. In
grembo, tengo nostra figlia, che dorme tranquilla, incurante del rischio che ha
corso: continuare a crescere senza la propria mamma.
«La
felicità è reale solo quando è condivisa, ed io la condivido con te e tutte
le persone care che, silenziosamente, o apertamente, mi sono state vicine. Mi
amano e me l’hanno dimostrato non abbandonandomi a me stessa. Ringrazio tutti
quanti voi, grazie di aver riportato nella mia vita, la speranza» e alzo lo
sguardo, vedendo i volti di amici e parenti sorridermi amorevolmente.
«Non
abbandonate mai la speranza… altrimenti lei abbandonerà voi» le ultime
parole che scrissi nel mio diario… un diario che credevo di non vedere mai più.
Grazie… Penny.
Angolo autrice:
Per prima cosa, ringrazio essebi per aver organizzato
questo contest ed aver partecipato. La storia è incentrata su un argomento
delicato e difficile da descrivere. Ho cercato di inserire sentimenti a me
conosciuti. Non dico che la malattia mi abbia visto protagonista, ma ha toccato
una persona a me cara e da ciò, è nata questa shot. Sono d'accordo con essebi
nell'affermare che non è un argomento facile e che, sicuramente, una long fiction
sarebbe stata più appropriata. Ma non sapevo se ne sarebbe uscito qualcosa di
più... insomma, non sapevo se sarei stata in grado di trattarla nel migliore
dei modi, senza tralasciare passaggi. Per quanto piccola come storia, ho
cercato, comunque, di fare del mio meglio, cercando di far trasparire, in ogni
caso, le emozioni della protagonista. I punti di sospensione sono il mio
problema più grande, e cerco sempre di migliorare, ma purtroppo per me, la
strada è ancora tanta, prima che decida di non farne un uso eccessivo. Nienta
da dire sull'attinenza alla citazione: avrei potuto trattarla meglio, perciò la
colpa è solo mia. Beh, detto questo, spero che la storia, nonostante sia breve,
possa piacervi.
PS: qui sotto, troverete il giudizio assegnato a questa
storia.
TERZA CLASSIFICATA
Nick:Yara89
Titolo:Ricordi d'inchiostro
Originalità:8/10 La trama risulta ben congeniata: gli argomenti trattati
non sono di facile interpretazione risultando, di conseguenza, non adatti ad un
pubblico generico.
Stile:16/20 Stile semplice e linerare, lessico facilmente comprensibile,
ma al tempo stesso di forte impatto emotivo.Ho riscontrato soltanto un'ombra di
impalpabile rappresentazione "caotica" nei pensieri dei personaggi,
ma in questo caso il giudizio non può risultare unanime per tutti gli autori:
alcuni scrittori credono che sia un pregio, altri un elemento a discapito della
storia stessa. Personalmente, amo molto che il linguaggio sia privo di elementi
stilistici che possano far intuire al lettore le origini dell'autore.
Sviluppo della trama:12/15 Lo ammetto: avrei di gran lunga preferito che
questa shot diventasse una long-fic, per un semplice motivo: la comparsa
improvvisa di una malattia nella vita di una donna dovrebbe essere analizzata,
a mio parere, gradualmente, senza sbalzi temporali troppo impetuosi, che
contribuiscono a disorientare il lettore. Lo sviluppo della trama in merito
alle sensazioni provate dalla protagonista sono ben approfondite, ma avrei
preferito che fossero trattate, per l'appunto, in una long fic. Ho sempre
pensato che le one-shot sono delle fiction in cui bisognerebbe escludere a
priori determinati argomenti (che incidono notevolmente sulla sfera emotiva del
lettore) proprio perchè alcuni temi devono essere presi con calma e sviluppati
in maniera particolarmente approfondita. Nonostante tutto, il risultato finale
risulta facilmente apprezzabile.
Lessico e Grammatica: 18/20 La correttezza morfo-sintattica è
pressochè perfetta: ho purtroppo dovuto toglierti dei punti per alcuni errori di
punteggiatura ( virgole e punti di sospensione eccessivi), ma per il resto non
ho nulla da dire.
Attinenza alla citazione: 7/10 La citazione è stata utilizzata in
maniera molto consona alla situazione psico-emotiva dei personaggi. L'unico
problema è che non hai esteso la frase anche agli aspetti stilistici della
storia: avresti dovuto usare degli elementi un po' più simbolici, a mio parere,
proprio perchè la felicità è un paradosso che si ritrova molto negli ideali
collettivi, ma che risulta difficilmente raggiungibile nella vita reale. La
simbologia avrebbe donato alla storia un tocco più etereo e suggestivo e, di
conseguenza, avrebbe anche affascinato il lettore. La citazione assegnata non
conteneva enigmi o sfacettature troppo contrastanti fra loro: una frase
semplice e lineare, che è stata usata nel migliore dei modi.
Gradimento personale:5/5 Nonostante alcune imperfezioni stilistiche o
sintattiche, non ho potuto fare a meno di amare questa storia che, grazie
all'inizio enigmatico mi ha emozionata, costringendomi a leggere parola dopo
parola febbrilmente, incapace di prender fiato...hai scritto con l'anima e non
con la mente, e questo è un grande pregio che io apprezzo molto nelle storie:
di fiction ricche di parole astruse e elaborate ce n'è anche troppe, a mio
parere, ma raramente sono riuscita ad emozionarmi come hai fatto tu con la tua
storia.Una grande autrice di Efp un giorno mi disse che la scrittura è prima di
tutto un fuoco che brucia nel nostro cuore e che lotta per risalire in
superficie: non serve a nulla ambire alla perfezione letteraria, se poi non si
è in grado di trasmettere emozioni a pelle...tu ci sei riuscita, e per questo
ti ringrazio! Ancora complimenti, E.
Totale: 74