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Autore: RossaPrimavera    30/12/2010    7 recensioni
Sud Carolina, 1776. Celeste ha 17 anni e una candida bellezza, la sua giovane vita dedicata ad occuparsi dei suoi numerosi fratelli.
William Tavington, colonnello dei Dragoni Verdi, è un uomo spregiudicato, che non conosce limiti ai propri desideri.
Il loro incontro è uno scontro, ma il destino si premurerà di sconvolgere le loro vite, rendendoli così diversi da sembrare irriconoscibili.
"Ho solo 17 anni,e quando mi guardo allo specchio il mio volto mi pare di un candore assoluto. Davvero, non credevo di poter far gola a qualcuno. Non ad un uomo del genere comunque."
"Tu sei pazza, Celeste. Tu, tra noi, sei come nessun'altra."
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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In Punta di Piedi

di Elle H.


PREFAZIONE

 (Il sole sulla tenuta degli Allworthy; la piccola Celeste dai capelli rosso fiamma)

 

“La fiamma rossa  è il mattino.
La viola, il mezzogiorno.
Il giallo, il tramonto
e dopo è il nulla.

Ma a sera infinite scintille
rivelano la vastità bruciata,
il territorio d'argento
non ancora distrutto.”

-          Emily Dickinson - 

 

 

La mattina primaverile apparve luminosa, un caldo tepore che si faceva strada ad alta velocità nell’aria.

La boscaglia verdeggiante vicino alla tenuta degli Allworthy era ricolma dei versi degli animali che si risvegliano progressivamente dal letargo.

Il verso dell’urogallo maschio, in cerca di una compagna, risuonò forte e limpido.

“Padre, padre! Lo riusciremo a prendere?”

“Padre, Andy non vuole ricaricarmi il moschetto quando sparerò!”

“Tanto tu non c’è la farai mai a prenderlo, stupido!”

“Andrew, non insultare tuo fratello. E adesso fate silenzio: con il vostro chiasso, sicuramente non prenderemo un bel niente”.

La voce autoritaria e spazientita di un padre interruppe il bisticcio dei due fratellini.

L’uomo fece loro un cenno,e  tutti e tre si sdraiarono, pancia a terra; incuranti del fango che macchiava i loro abiti, avanzarono strisciando sul terreno.

Appostati dietro un masso, imbracciarono i moschetti non appena il gorgheggiare dell’urogallo riempì la radura.

“Per l’ennesima volta, cosa vi ho detto riguardo allo sparare?” domandò a bassa voce, gli occhi puntati sull’animale.

“Mira bene, sbaglia poco” snocciolarono prontamente i due.

“Esattamente. Quindi, sparate solo se dopo il mio sparo, non l’avrò pres … “

Il padre non fece neppure in tempo a concludere la frase.

Non appena l’urogallo si mosse, Daniel, il minore, gli sparò accidentalmente.

Il colpo si perse nel folto del bosco, e l’uccello spiccò il suo basso volo, atterrando su un ramo più alto, e continuando a gorgheggiare  imperterrito, come a volersi burlare di loro.

“Dan sei un idiota! Ci hai appena fatto scappare il pranzo!” urlò Andrew, tirando una pacca al fratello.

Il padre non redarguì il figlio, limitandosi ad alzare gli occhi al cielo, esasperato.

“Padre come facciamo a riprenderlo? E’ pure contro sole!” chiese il figlio maggiore, spazientito,  mentre Dan, sentendosi in colpa, si faceva piccolo piccolo al suo fianco.

Mentre tutti e tre fissavano l’animale, schermandosi la vista con la mano, risuonò uno sparo alle loro spalle.

L’urogallo cadde al centro della radura, stramazzando al suolo con un tonfo sonoro.

I tre guardarono per un istante il corpo del pennuto, poi si voltarono stupiti.

“Ma non è giusto! Padre, l’ha fatto di nuovo!” si lamentò Andrew, pestando i piedi dall’insoddisfazione, indicando la bambina che indossava abiti maschili. I suoi abiti, per l’esattezza.

“Celeste: sei una forza!” urlò invece Dan, lanciandosi nella radura tutto contento, raccogliendo il trofeo.

Il padre guardò la bambina, le mani sui fianchi, l’espressione del viso incerta se porsi sull’arrabbiato o sul sorridente.

La figlioletta se ne accorse, e con un sorriso furbo gli corse incontro. Gli porse la piccola rivoltella e gli tese le braccia minute per essere presa in braccio.

“Celeste, quante volte tua madre ti ha detto che non ti devi mettere gli abiti dei tuoi fratelli?” le domandò, mentre, poco dopo, in fila indiana si dirigevano verso casa.

“Tante padre … ma non posso sopportare gli abiti da femmina” rispose prontamente la piccola.

“Non ti piacciono gli abiti come quelli della mamma?”

“Sì padre, mi piacciono tanto! Ma non riesco a correre se li indosso, mi si impigliano ovunque, e non mi va di andare in giro nuda” concluse seria la piccola.

L’uomo decise di sorvolare sull’argomento vestiario.

“E io cosa ti ho detto invece?”

Celeste chinò la testolina, i capelli rossi che le nascondevano il viso come una tenda

“Di non toccare le armi, perché potrei farmi male, e che sono molto, molto, molto pericolose” ripeté a memoria, lasciando che un tono annoiato influenzasse le parole.

Il padre si lasciò sfuggire un sorriso.

“Brava tesoro. Non voglio che la mia piccolina si faccia del male, chiaro?” chiese, solleticandole una guancia morbida con un bacio.

“Chiaro, padre …” rispose Celeste, stringendosi a lui.

In prossimità alla loro abitazione, i due fratelli si lanciarono in una corsa, le gambe ancora infantili, veloci e scattanti.

“Chi arriva per primo prende la coscia più grande!” urlò Andrew, sfidando sia il fratello che la sorella.

Quest’ultima, ridendo, sgusciò dalla presa del padre e iniziò a correre a sua volta.

Tempo pochi minuti, e la bambina era già in testa, la corta zazzera di capelli rossi che si muoveva alle sue spalle come una fiamma.

Conrad Allworthy si concesse finalmente un sorriso spontaneo e gioioso: in presenza dei figli soleva essere autoritario e severo, concedendo solo un poco della sua tenerezza all’unica figlia; ma amava profondamente ognuna di quelle piccole pesti, che tanto assomigliavano a lui e a sua moglie, sia fisicamente che in ognuno dei loro pregi e difetti.

Dal testardo e saccente Andrew, alla curiosa e furba Celeste, all’ espansivo e gentile Daniel, ognuno di loro rappresentavano, insieme alla loro terra fertile, a quella casa dignitosa e il loro tenore di  vita, i frutti dei tanti sforzi che aveva compiuto in gioventù.

La vista della moglie sulla porta di casa, poco distante ormai, ampliò, se  possibile, il suo sorriso.

Martine Gabrielle rimproverava Celeste, infine arrivata per prima, per essere uscita di casa senza il suo permesso, e soprattutto, per gli abiti sconvenienti.

Ma entrambi i genitori erano al corrente della singolarità della bambina: astuta come una volpe e curiosa oltre ogni limite, seguiva i fratelli e il capo famiglia come un’ombra, imparando ogni cosa che il padre insegnava ai due maschi. Ma in contraddizione a questo lato ribelle del suo carattere, era cosciente di quando era richiesta l’obbedienza e di quando doveva stare al suo posto; una cosa che entrambi reputavano incredibile.

Come incredibile il fatto che, a soli 7 anni, riuscisse ad imbracciare,caricare, mirare e sparare con una rivoltella, seppur piccola e neppure troppo pesante.

 Ma, dopotutto, quella figlia insolita rappresentava per lui una continua, piacevole sorpresa.

Mentre entrava in casa, gettando uno sguardo distratto ai floridi campi di granoturco e cotone, non poté fare a meno di sentirsi soddisfatto di essere al mondo.

 

 

 * * * * * * *

 

 

 

CAPITOLO  1 
Pezzi di vetro sparsi sul nostro cammino

(Quel che resta della famiglia Allworthy; consigli e oscuri presagi ; terrore indicibile.)

 

“And the days will come and go,

And the band will march alone

Till the day you cast a shadow

And it’s nothing like your own.

  

E I giorni andranno e verranno

E la banda marcerà da sola

Fino al giorno in cui tu offuscherai

E non sarà nulla in confronto alla tua ombra”

-Rolling in On a Burning Tire, The Dead Weather -

 

 South Carolina, 1776.

 

 Sophie stringeva fra le piccole mani il mazzolino di fiori di campo che aveva appena raccolto.

Papaveri, margherite, denti di leone si confondevano fra loro, mentre li posava con gran cura sulla pietra tombale. Li legò strettamente con un nastro colorato, che si era appena levata dai lunghi capelli biondo cenere.

“Piaceranno alla mamma?” domandò la piccola, i grandi occhi scuri rivolti alla figura alle sue spalle.

Celeste si chinò e la prese in braccio, abbracciandola.

“Sono bellissimi, piccola mia. Alla mamma piace tutto ciò che le regali, non devi mai dubitarne” le rispose la sorella maggiore, portandola con se in casa per non perderla di vista, come faceva sempre quando doveva svolgere qualche lavoro domestico.

I suoi occhi scandagliarono attenti i dintorni, nella vana ricerca di qualcuno dei fratelli, spariti chissà dove nella boscaglia dove passavano le loro giornate spensierati. Sospirò, stancamente.

Martine Gabrielle Allworthy era morta ormai da tre anni, lasciando soli il marito e i sei figli.

Complici le numerose gravidanze che ne avevano indebolito il fisico, durante un inverno più rigido degli altri, una polmonite le aveva stroncato il respiro. Quando ebbe chiuso gli occhi per l’ultima volta, tutti, seppur addolorati, tirarono un respiro di sollievo, ringraziando di non dover più vedere la donna soffrire.

Ovviamente ne erano usciti devastati dal dolore, in particolare il padre, che non era più stato lo stesso. La moglie era stata l’unica donna della sua vita, e averla persa l’aveva reso, per un lungo periodo, un cadavere ambulante. Un morto che cammina.

L’equilibrio si era ristabilito con fatica, ma in quel periodo di guerra c’era poco da stare allegri.

“Signorine, cena essere pronta tra qualche minuto” le avvertì Mami, la governante nera, che nonostante fosse da anni in America, faticasse ancora a parlare inglese; era però una donna dolce ed amorevole, ormai necessaria per mandare avanti la casa e accudire i piccoli.

A tavola i fratelli si sedettero in un allegro vociare, zittendosi solo per unire le mani e recitare il padrenostro, come la madre aveva sempre raccomandato loro di fare prima di morire.

I piatti presenti sul tavolo erano sufficienti a soddisfare la loro fame, il che era una vera e propria fortuna.

I loro campi e le poche bestie nella tenuta riuscivano a dare loro lo stesso tenore di vita degli anni passati, ma sapevano di famiglie, sia in città che lì nelle campagne,che pativano ogni giorno la fame.

Mentre Celeste si versava dello stufato, guardò di sfuggita i posti vuoti di suo padre ed Andrew: erano mesi che erano distanti da casa.

Erano partiti con l’intenzione di arruolarsi nell’esercito, ma come poi aveva scoperto dalle lettere che riceveva ogni due settimane, erano entrati a far parte dell’esercito di volontari, guidati da un colonnello dall’animo incredibilmente forte e coraggioso, Benjamin Martin.

La loro ultima missiva, risalente a qualche giorno prima, sosteneva che stavano bene e che avrebbero continuato a combattere imperterriti, ma la tensione per la loro sorte era ben palpabile nell’aria, nascosta dietro i quotidiani pensieri e le risate dei membri della famiglia.

Con i suoi 17 anni appena compiuti, Celeste era  rimasta la maggiore in casa.

La morte della madre, cui era molto legata, l’aveva fatta crescere, rendendola più consapevole del compito che le spettava: si occupava infatti di ognuno dei suoi fratelli con dedizione, come una vera e propria madre.

Daniel , 15enne, era il ragazzo più grande, e avrebbe dovuto ricoprire il ruolo di “uomo di casa”, se non fosse stato per il carattere fin troppo timido a tratti.

Come lui, i fratelli minori pendevano dalle labbra di Celeste: negli anni a venire si erano aggiunti Cecilia, che aveva compiuto da poco i 10 anni; Devid coi suoi 7 e la più piccola, Sophie, con tutta l’ingenuità dei suoi 5 anni.

I fratelli Allworthy si assomigliavano l’uno all’altro come gocce d’acqua: non troppo alti di statura; pelle chiara e vellutata, insensibile alle imperfezioni tipiche della crescita o ai forti raggi solari; visi dai tratti fini e morbidi con grandi occhi a conferirgli espressione.

I colori su di loro si erano distribuiti ad opera d’arte: Cecilia, Daniel e Devid avevano ereditato dal padre occhi di un blu cobalto e lisci capelli di un castano intenso.

I colori si invertivano su Andrew e Sophie: mossi, indomabili capelli biondi e caldi occhi color del cioccolato, simili in tutto e per tutto alla loro defunta madre.

Celeste era invece il risultato di un perfetto miscuglio dei genitori: i capelli rosso fiamma si erano col tempo gradualmente adattati ad un rosso ramato, che al sole risplendeva di mille gradazioni; gli occhi erano gli stessi di quando era bambina, quegli stessi occhi il cui colore le aveva meritato il nome: Celeste.

“Signorina, voi sapere di essere bella ragazza. Perché voi non sposare?” domandò Mami, interrompendo i pensieri della giovane, che smise di muovere le dita sulla tastiera.

Dopo aver messo a letto e augurato la buonanotte ai fratellini, Celeste era solita sedersi al vecchio pianoforte a muro in salotto e suonare un’aria qualsiasi delle sue preferite.

Aveva ereditato quella passione dalla madre, e col tempo, quando crescendo aveva piantato i giochi che includevano armi, lotta e caccia, vi si era dedicata con sentimento.

Quando suonava Celeste si rendeva conto di entrare in un mondo a parte, tutto suo. Evadeva dalla vita reale, estraniandosi dalla sua dimensione e ritrovandosi in una terra di profonda, pura bellezza. Quando vi accompagnava il canto, con la sua voce candida e pura, ascoltarla diveniva un piacere.

Ben avvolta in uno scialle di lana, approfittando di una delle ultime sere ancora tiepide,Mami  rammendava una sottoveste di Sophie; seduto sulle scale Daniel intagliava con il coltellino una figura in un ciocco di legno, lasciando che la musica lo cullasse.

“Mami, non dire sciocchezze. Tutti gli uomini sono in guerra … a meno che tu non voglia che mi sposi con lo spaventapasseri nel campo” ribatté la giovane, ridendo e sdrammatizzando le parole della donna.

“Oppure potresti sposare un bell’Inglese” disse ironico il fratello, beccandosi un occhiataccia dalla sorella.

“Preferirei morire zitella. E poi Mami, ho solo 17 anni, c’è tutto il tempo del mondo” concluse Celeste, ben sapendo che quella era una bugia. Leslie, la sua migliore amica che non vedeva ormai da settimane, aveva la sua stessa età, ma era sposata e aspettava già un bambino.

La governante lo sapeva bene, e rincarò la  dose.

“Questa casa troppo vuota. Troppo pericoloso stare in casa dove non esserci neanche uomo adulto” li ammonì, l’inglese stentato reso ancor più evidente dall’impeto con cui la donna pronunciò le parole.

“Ma grazie Mami, e io chi sarei? Il vicino della porta accanto?” protestò Dan, fingendosi offeso, ma la sorella non rise.

“Che intendi dire Mami? Nessuno combatte nei dintorni, non ancora almeno” chiese la giovane, la  voce che tradiva nervosismo,  premendo qualche tasto a casa.

“Io sapere che vostra mira migliore di quella di soldato e voi coraggiosa altrettanto, ma voi sempre donna restare. Se soldati inglesi arrivare qui, noi essere tutti spacciati” urlò quasi Mami, gli occhi sgranati che risaltavano sulla pelle scura.

Celeste si morse il labbro, pensosa. Capiva che Mami voleva solo il loro bene, ma l’idea che qualsiasi soldato inglese facesse loro del male le pareva assurda. Che motivi c’erano, ora che gli unici che avevano l’età per combattere se n’erano andati?

“Mami, finché nostro padre e Andrew saranno via, Celeste non può e non deve sposarsi con nessuno. Non avrebbe senso senza la loro benedizione: nostro padre non le perdonerebbe mai un matrimonio senz’amore, l’ha sempre detto” disse saggiamente Daniel, il tono di voce calmo e pacato.

La governante tacque, chinando la testa come a voler scusarsi della propria intromissione.

Celeste le sorrise, gentilmente, rassicurandola.

“Mami, non ti devi preoccupare. Quando saranno tornati, prometto che tornerò in società, e allora potrai vedermi tutta contenta a fianco di mio marito. Ma fino ad allora, non mi va di prendere in considerazione quest’idea” concluse, cortese ma risoluta.

Quella sera, a letto, la giovane passò diverso tempo fissando il soffitto, ripensando alla discussione di poco prima.

Sposarsi non esercitava su di lei quell’attrattiva che calamitava tutte le ragazze della sua età ai balli e ad ogni occasione mondana. Le occasioni di conversazione con le altre giovani vertevano spesso sugli stessi argomenti, dai gioielli e gli abiti, al matrimonio e ai buoni partiti; e finché ai primi due la giovane concedeva il suo ascolto, partecipandovi con scarso entusiasmo, all’ultimo faceva orecchio da mercante.

La stessa parola “Amore” per lei aveva un significato poco chiaro: le melense, zuccherose storie d’amore che le amiche si raccontavano sortivano su di lei un effetto soporifero.

Amore era di più, molto di più. Quel qualcosa di più che spesso si era trovata a cercare nello sguardo di qualche giovane, mentre danzavano nei balli comuni. Vi aveva visto attrazione, curiosità, ammirazione … Ma mai quel “qualcosa in più”, a cui non sapeva porre un nome. Semplicemente, l’annoiavano, e la sua attenzione, così pronta a scattare se si parlava di tanti altri svariati argomenti, rimaneva intanto sopita.

Celeste si alzò, rendendosi conto che la finestra era aperta, e chiudendola aspirò il profumo di campi, di natura e dei primi freddi che le portava il vento. Gli odori della campagna che tanto amava.

Ritornando a letto, gettò uno sguardo distratto allo specchio.

Come confermavano i ritratti, la giovane crescendo diventava sempre più simile alla madre.

E sua madre era, a detta di tutti, lei compresa, bellissima.

Forse era un po’ più bassa; un po’ più magra; le curve meno pronunciate, i capelli e gli occhi di colori differenti, la pelle più chiara … ma le differenze finivano lì, come non faceva che ricordarle lo sguardo malinconico del padre.

La bellezza di Celeste era pura e limpida come quella della madre:  nessun trucco, nessun orpello. Semplice.

E limpida. E pura.

 

Avete mai notato che, nell'universo della vostra percezione,  

la morte è qualcosa che succede sempre a qualcun altro?” 

 

L’indomani Celeste fece vestire i fratelli con più curatezza del solito, e lei stessa sostituì una delle solite vesti da casa ad un abito più decoroso.

Le visite a Mary Town, la città più vicina a loro, a cui si recavano mensilmente per gli approvvigionamenti o per barattare beni di consumo, rendevano sempre i fratelli allegri e agitati. Spezzavano la monotonia della loro vita di campagna, e consentivano loro di andare a visitare lo Zio Jules, fratello di loro madre.

Mami e suo marito vi si unirono, e si occuparono di sbrigare le faccende per conto di Celeste e intrattenere i bambini, intanto che lei e Daniel si avviavano dallo zio.

Jules Kinglake era il fratello maggiore di loro madre, e insieme alla moglie e all’unica figlia dirigevano la panetteria locale; nonostante il lavoro modesto, godevano di un relativo agio economico.

“Zio Jules, buongiorno!” trillò Dan, entrando nell’emporio.

L’uomo alzò la testa ingrigita, osservandoli da dietro gli spessi occhiali. Un largo sorriso gli illuminò il volto anziano.

“I miei nipoti preferiti! Fatevi vedere ragazzi miei!” proferì, venendo loro incontro, zoppicando come sempre. Da quando avevano memoria i due, lo zio aveva sempre zoppicato. Colpa di una pallottola vagante durante la guerra contro i francesi, diceva loro padre, ma era stata proprio quella gamba malmessa ad esonerarlo dalla nuova guerra con gli inglesi.

“Daniel, ragazzo mio, stai diventando un uomo! E tu Celeste … diventi sempre più bella, assomigli sempre di più a tua madre!” concluse, osservandoli commosso.

“Zio, smettetela di fare il ruffiano e ci racconti le novità” lo esortò la nipote, ridendo.

I ragazzi erano desiderosi di apprendere le notizie, in particolare Celeste che desiderava sapere dell’amica.

“Allora zio, Charles è tornato dal fronte?” domandò la ragazza, alludendo al marito della migliore amica.

Lo zio scosse lentamente la testa.

“Celeste, a volte mi chiedo se sei fin troppo ottimista o semplicemente vivi in un altro mondo. Charles è impegnato a combattere, esattamente come vostro padre e vostro fratello” le rispose, un implicito rimprovero nella voce burbera.

“Ma credevo che ora che aspettasse un bambino sarebbe tornato a casa da Leslie” sussurrò la giovane, intristita solo all’idea che il giorno del parto, il padre non avrebbe potuto assistervi.

“Che vuoi che importi la nascita di un bambino in questa guerra? Tesoro, l’aiuto di ogni singolo soldato è più necessario ora che mai. Sapete, si vocifera che gli inglesi abbiano alte probabilità di vincere la guerra” disse lo zio, abbassando la voce e guardandosi attorno circospetto.

Celeste scosse la testa, nervosa; odiava parlare di guerra, primo perché non capiva praticamente nulla di schemi di difesa o attacco e di eserciti, secondo perché le causava un’immediata malinconia.

“Sapete, a volte penso che forse dovreste lasciare la casa” annunciò lo zio, più tra se e se che rivolto ai ragazzi. I due fratelli si voltarono di scatto, osservandolo sorpresi.

“Non guardatemi così ragazzi miei … è troppo pericoloso ormai, le campagne non sono più un luogo sicuro, dovreste saperlo”

“E’ quello che Mami ha detto a Celeste … anche se aggiunto che dovrebbe sposarsi” spiegò Dan, ridendo, beccandosi un calcio dalla sorella che lo guardava esasperata.

Zio Jules rimase però serio.

“Sposarsi è il consiglio tipico di un’altra donna, ma il mio è ben diverso: venite qua. Lasciate la casa, trasferitevi da me. Staremmo stretti, certo, ma sarebbe sempre meglio che stare là” concluse, guardando intensamente Celeste.

Seguì un attimo di silenzio.

“Zio, di cosa avete paura, esattamente?” domandò la ragazza, apprensiva.

“Giungono sempre più voci di continue repressioni contro i ribelli da parte degli inglesi … Case bruciate, bambini picchiati fino a ucciderli, donne violentate e massacrate, schiavi fucilati uno dopo l’altro o deportati chissà dove. Se dovesse succedere lo stesso a voi … non oso immaginare”

Gli tremava la voce, la fronte imperlata di minuscole gocce di sudore.

Celeste da parte sua non osava nemmeno osare pensare a quell’ipotesi.

“C’è la mettete tutta per terrorizzarci, eh zio?” ironizzò Dan, il sorriso contratto in una smorfia amara.

“Dovreste essere terrorizzati, ragazzi miei! Si dice che delle rappresaglie si occupi il reggimento dei Dragoni Verdi, quando non sono impegnati sul fronte. Sono famosi per la loro ferocia, tant’è che il loro colonnello è persino stato soprannominato “Il Macellaio”” confidò loro, avvicinandosi e posando una mano sulla spalla di Dan, la cui espressione preoccupata era identica a quella della sorella.

“Vi prego ragazzi, pensateci. Finora vi siete occupati egregiamente della casa e della famiglia, specialmente tu Celeste, ma non permettere che il tuo orgoglio o l’attaccamento a quella casa vi portino incontro ad un destino orribile” disse abbracciando entrambi, congedandoli, prima di servire un cliente appena entrato.

“Ci penseremo zio, ve lo promettiamo” gli assicurò Daniel, prima di uscire.

Mentre tornavano a casa, la mente della giovane Allworthy lavorava già spedita.

“Ci trasferiremo, vero?” domandò Dan, seduto accanto a lei, a cassetta.

Celeste gli rivolse uno sguardo stanco e denso di preoccupazioni, tanto che il ragazzo non faticò ad intuirne i pensieri.

“Certo. L’unica cosa che conta è che non capiti nulla di male ai ragazzi” concluse, risoluta.

All’improvviso, il futuro non pareva così certo e sereno; Celeste non avvertiva più la luce splendente del sole: l’ombra di un pericolo imminente l’aveva oscurato.

 

Il grilletto destinato a sconvolgere la vita di una persona si preme in un secondo."

 

I preparativi erano imminenti. I ragazzi passavano la metà delle loro giornate a fare i bagagli, cercando di scegliere tra cosa fosse indispensabile e cosa non lo era. Inutile dire che per ognuno, persino per la piccola Sophie, tutto era indispensabile.

“Non potete portarvi dietro tutto ragazzi, cercate di scegliere, vi prego” predicava Celeste, che a sera si ritrovava, distrutta, a sperare che il giorno della partenza, una settimana più tardi, giungesse in fretta, per quanto l’idea di abbandonare la casa e i servitori con cui era cresciuta la distruggesse.

“Ma torneremo, vero?” domando una delle ultime sere Cecilia, raggiungendola a letto.

Il viso della bambina, tanto simile al suo, era corrucciato in un espressione di inusuale tristezza.

Il suo sguardo era rivolto allo stipite di legno della stanza, su cui il padre, puntualmente, segnava le loro altezze non appena gli sembrava fossero un po’ cresciuti. Le bastò ricordare il padre, intento ad incidere una linea orizzontale e la prima lettera dei loro nomi, perché il suo umore precipitasse di nuovo.

“Ma certo Celia, non dovresti neppure chiederlo. Appena nostro padre ed Andrew torneranno, ritorneremo, e tutto sarà come prima” disse, rassicurando quasi più se stessa che la sorellina.

La lasciò trotterellare via, il sorriso ingenuo e fiducioso riacquistato.

Celeste invece si lasciò crollare tra le coperte, sconfortata.

Aveva quasi timore di dormire: da alcuni giorni i suoi sogni erano gonfi di ombre e oscuri presagi, rendendole difficile godersi le ultime notti nel letto in cui aveva trascorso ben 17 anni della sua vita.

Quando riuscì finalmente a chiudere gli occhi, le parve di aver dormito solo per pochi minuti, prima che delle forti pacche sul braccio la svegliassero.

“Celeste … Celeste svegliati! Dai!” la voce concitata di Devid era ridotta in un sussurro.

La ragazza si voltò appena a guardarlo, gli occhi che dovevano ancora abituarsi alla penombra della stanza.

“Muoviti, ti prego! Stanno arrivando degli uomini a cavallo!” bisbigliò ancora, continuando a cercare di smuoverla.

Non appena udì quelle parole, la sorella si riscosse. Spostò di peso le coperte e corse alla finestra, passando frettolosamente la mano sul vetro per cancellare la condensa, e ciò che vide le fece salire il cuore in gola:

almeno cinque uomini a cavallo, delle torce infuocate strette in mano, si profilavano all’inizio del viale alberato, dirigendosi speditamente verso casa.

Si concesse solo una manciata di secondi per pensare.

“Dev sveglia tutti gli altri. Su, muoviti!” lo esortò, avvolgendosi nella vestaglia e precipitandosi in corridoio, e poi nella stanza del padre.

Estrasse il più in fretta possibile da sotto il letto un baule in cui il padre riponeva sempre le armi, ora praticamente vuoto a parte la stessa rivoltella che utilizzava da bambina.

La prese e la caricò, tornando in corridoio, dove i fratelli si stavano riunendo: pallidi, scarmigliati e spaventati, tutti la fissavano con gli occhi spalancati e attoniti. Bastò uno sguardo per notare l’assenza di Devid, e un cenno di Dan le confermò che il piccolo, imprudente, doveva essere sceso.

Preoccupata e guardinga, stringendo quasi dolorosamente la rivoltella tra le mani, scese le scale in un silenzio carico di tensione. Dall’atrio si spostò alla sala da pranzo, sussurrando il nome del fratello, e si sentì un briciolo più rassicurata vedendolo muoversi nello stanzino adiacente, aggrappato al moschetto come ad un ancora di salvezza.

Entrambi udirono dei rumori all’esterno e fecero giusto in tempo a nascondersi dietro gli stipiti e sbirciare, che la porta di casa venne aperta così violentemente da scardinarla. Gli uomini irruppero nell’atrio, la luce della torce che li illuminava in un atroce gioco di luce e ombre: erano chiaramente inglesi, bastava gettare uno sguardo ai pantaloni nere e alla giubba dell’uniforme, rossa con larghe bande verdi. Gli elmetti da cavallo erano sormontati da una sorta di palco di piume nere, che sarebbero stati capaci di farla ridere in un altro momento, ma in quella situazione l’effetto suscitato era orrendo.

Si guardarono attorno, circospetti.

“Andate a controllare di sopra. Trascinate da basso chiunque troviate” ordinò l’uomo davanti.

Celeste non poteva permetterlo. Se si fossero anche solo azzardati a toccare uno dei ragazzi …

Alzò la rivoltella e la puntò sul primo uomo che stava per salire le scale e si accinse a premere il grilletto, quando sentì la canna di un'altra pistola premere duramente contro la sua tempia.

“Signorina, è pregata di abbassare la pistola, o mi creda: la fine che farà non sarà sicuramente piacevole” le sibilò una voce fredda, ma chiaramente soddisfatta di averla sorpresa.

Fu con autentico terrore che si ricordò di aver dimenticato di chiudere la porta sul retro.

Celeste trattenne un singulto, mentre abbassava la rivoltella, che le venne prontamente strappata dalla mano.

La ragazza fu poi spinta violentemente a terra, battendo dolorosamente le ginocchia e i gomiti, che le strapparono un gemito di dolore.

Gli uomini rimasti si voltarono stupiti a guardarla, mentre dall’altro stanzino emergeva un soldato che strattonava Devid, impaurito e confuso.

“No vi prego, lasciatelo stare!” urlò la giovane, guardandoli, ma come unica risposta ricevette un calcio nel fianco, che le strappò un secondo grido di dolore.

Il suo aggressore la prese prepotentemente per i capelli e la fece alzare, torcendole un braccio dietro la schiena. In quel momento le urla dei ragazzi esplosero sulle scale, mentre venivano trascinati e spinti nell’atrio, tra le imprecazioni dei militi.

“Silenzio!” urlò uno degli uomini, zittendo i fratelli che gemettero spaventati, ritirandosi in un angolo, guardando la sorella maggiore.

“Wilkins, quanti sono?” domandò l’aggressore di Celeste, continuando a strattonarla, benché la ragazza non osasse opporre resistenza.

“Cinque in tutto Colonnello: 3 femmine, due maschi. La più grande sembra la ragazza” rispose rispettosamente l’uomo, chinando la testa e indicando con un cenno Celeste.

La giovane venne voltata  come una bambola, e spinta contro la finestra, in modo che la luce lunare le piovesse sul viso. Il dolore che avvertì all’osso sacro mentre batteva violentemente contro il davanzale non era nulla in confronto al timore che provò nel fissare in pieno viso il suo aggressore.

L’uomo doveva avere almeno trent’anni buoni, e Celeste avrebbe mentito a se stessa nel negare che possedeva una cieca, devastante bellezza.

Era un fascino violento quello che emanava da ogni singolo tratto del suo volto, i cui gelidi occhi di un pallido grigio/azzurro la osservavano superbi e sicuri di se, cosicché la giovane faticò a sostenerne lo sguardo.

“Siete la famiglia Allworthy, non è così?” domandò, la voce calma e vellutata.

Celeste avrebbe quasi preferito che urlasse; quel tono di voce era inquietante a tal punto che un brivido le percorse la spina dorsale.

Si limitò ad annuire sbrigativamente, gli occhi che saettavano dal volto dell’uomo a quelli dei fratelli.

“Siete al corrente, signorina, che vostro padre Conrad Allworthy e vostro fratello Andrew sono militanti in un esercito di volontari?    E che con le continue scorrerie e atti di sabotaggio minano la reputazione della nostra beneamata madrepatria?” chiese nuovamente, la voce alzatasi di un ottava, in modo che anche i fratelli riuscissero a sentire.

Celeste lo guardò atona: aveva all’incirca una decina di risposte possibili, che spaziavano da un insulto a quella “beneamata madrepatria” ad un arrogante risposta che gli avrebbe chiarito il punto che si: sapeva benissimo che suo padre ed Andrew erano dei volontari, e ne andava fiera; ma non osò aprire bocca.

L’uomo parve intuire i suoi pensieri, ed alzò la rivoltella che le aveva sottratto prima, puntandola sui suo fratelli.

“O forse, ne sono al corrente i suoi fratelli, signorina?”

Il suo sorriso le parve mostruoso, una piega sadica e crudele.

“No per l’amor di Dio, loro non sanno niente” sussurrò Celeste, allarmata, cercando di scattare in avanti.

L’uomo la respinse contro il davanzale,puntandole l’arma dritta al centro della fronte.

“Ciò lascia presumere che voi sapevate … e ditemi, signorina, sapete anche dove si trovano al momento?” domandò, premendo maggiormente la canna sulla sua pelle.

“Non lo so signore, non lo so! Non li sento da tempo!” La paura aveva fatto breccia nella sua voce: le sue parole tremarono come se fosse scossa da continui tremiti.

L’uomo finalmente ritirò la rivoltella e mollò la presa, lasciando che Celeste si accasciasse a terra.

Si guardò intorno, lanciando uno sguardo beffardo all’ambiente.

“Questo è un gran peccato, speravo poteste esserci più utili. Ora direi di passare ad una dimostrazione pratica di quanto spetta a chi osa anche solo porsi sulla strada tra noi e la vittoria” proferì con un arroganza tale che un impalpabile rabbia fece breccia nella barriera di paura della giovane.

Ma venne subito ricomposta quando vide il colonnello volgersi verso i suoi fratelli.

“Ebbene, che potremmo fare di voi? Uccidervi uno ad uno e spedire le vostre teste a quei bifolchi?

Lasciarvi bruciare vivi in questa casa? O magari utilizzarvi come servi?” domandò spietatamente, avanzando.

“Signore no, la prego. Li risparmi, sono solo dei bambini innocenti” tentò di fermarlo Celeste, raggiungendolo.

L’uomo a sorpresa la prese per la gola violentemente, stringendola con forza, e con uno strattone la trascinò fuori dalla casa, gettandola a terra.

Celeste sentì il polveroso sapore della terra in bocca, ma quando cercò di rialzarsi trovò la figura dell’uomo a sormontarla, stringendole ancora dolorosamente la gola.

“Vostra madre non vi ha insegnato a frenare la lingua quando vi rivolgete ad un uomo?”

In quel momento la giovane provò un odio viscerale nei confronti di quell’uomo, un odio talmente forte che la rese capace di sostenere quello sguardo crudele.

“Non c’è l ho una madre, non ho questa fortuna” ma la voce rabbiosa venne smorzata dalle dita che premevano, inopportune, sulla sua candida gola.

“Ma davvero? Dei piccoli orfani, protetti dalla figura della sorella maggiore. Bè signorina, non siete riuscita  a mantenere le vostre intenzioni a quanto pare” dichiarò con disprezzo.

I suoi occhi discesero dal viso della giovane, dedicandosi a squadrare il suo esile corpo, soffermandosi sull’incavo dei seni che si intravedeva nello scollo della camicia da notte.

Quando Celeste rincontrò il suo sguardo, capì che qualcosa nell’opinione dell’uomo era cambiata. Non la guardava più attraverso gli occhi di un Colonnello dell’esercito; quel suo sguardo era ora in primis quello di un uomo adulto, cosciente di avere in suo possesso una ragazza mezza nuda.

“Quanti anni avete, signorina?” domandò improvvisamente, cogliendola di sorpresa.

“17, signore” rispose rigidamente. Ogni minuto che passava, la sensazione che stesse per avvenire una disgrazia aumentava.

“Solo 17 … così giovane, per sostenere una famiglia intera. Un gran peccato” concluse, rilasciando la presa sulla sua gola.

Celeste cercò di rialzarsi, massaggiandosi la trachea, dove le sembrava quasi di intuire la posizione esatta dei segni rossastri lasciati dall’uomo.

“Dimmi ragazza, cosa ci guadagnerei a risparmiare dei mocciosi?” le chiese, e alla giovane non piacque il passaggio alla seconda persona. In quell’istante il pensiero di salvare i propri fratelli era superiore ad ogni altra cosa. Più importanti della sua stessa vita; ma sapeva quasi con dolorosa certezza che le sue intuizioni sul nuovo comportamento dell’uomo non erano errate.

 “Sono solo degli innocenti signore. Questa terra è già lorda del sangue della guerra, perché dovreste aggiungere il loro?”

Il Colonnello inclinò la testa appena, come a valutarla.

“E cosa saresti disposta a fare perché io li risparmi?”

Celeste esitò prima di rispondere, conscia che tutto sarebbe dipeso dalla sua risposta.

“Qualsiasi cosa, signore” affermò questa volta, con più sicurezza.

“Qualsiasi cosa …” ripeté lui, le labbra che si increspavano nell’ennesimo maligno sorriso.

Si risollevò, tornando a rivolgersi ai suoi sottoposti, che avevano già spinto fuori dalla casa i ragazzi.

“Bruciate la casa, uccidete gli schiavi. Lasciate che i bambini vadano dove vogliano” ordinò, secco.

Celeste riuscì a rialzarsi, e poté riabbracciare i fratelli senza che né il Colonnello né gli altri soldati li disturbassero.

“Shh … va tutto bene, tutto bene” sussurrò, stringendoli a se, asciugando con un lembo della camicia da notte le lacrime di Celia e Sophie.

Si girarono tutti di scatto quando sentirono degli spari e le urla degli schiavi nella piantagione.

Celeste strinse maggiormente le sorelline, trattenendo le lacrime per la sorte di Mami e degli altri.

Furono costretti a spostarsi quando i soldati gettarono violentemente le torce contro la facciata della casa e al suo interno, che prese immediatamente fuoco, crepitando come una creatura viva.

Lacrime di dolore apparvero negli occhi di Celeste e dei ragazzi, mentre osservavano la culla in cui erano nati e cresciuti cadere in pezzi fiammeggianti.

“Andremo da Zio Jules. Ce la faremo, sono solo 2 km nel bosco” affermò la maggiore, più per auto convincere se stessa che i fratelli.

“Andremo? Parli ancora al plurale, ragazza?”

La mano del Colonnello si avvolse d’un tratto intorno al suo esile polso, traendola  a se.

“Ho detto che i vostri fratelli sono liberi di andare dove gli pare. Il tuo posto, invece, è dove dico io” decretò, osservando con attenzione le reazione sul volto della giovane.

Come i fratelli rimase inebetita, prima che il pianto di Sophie si facesse più acuto e disperato, mentre la piccola si aggrappava alle ginocchia della sorella.

Celeste cercò di chinarsi per abbracciarla, ma la presa dell’uomo glielo impediva.

Prese un respiro, lentamente, la paura e la  tensione che ormai la rendevano debole e stanca.

Tutto ciò che contava era che i suoi fratelli si sarebbero salvati.

“Obbedirò ai vostri ordini, Signore, andrò ovunque voi vogliate. Lasciatemeli salutare … la prego …” implorò, la voce fattasi ormai supplicante.

Il colonnello la lasciò andare, ma non si allontanò da lei di un millimetro.

Celeste si chinò e abbracciò ognuno dei suoi fratelli, che le parvero dei rigidi, freddi manichini, i volti atteggiati in una maschera di terrore.

“Dove ti portano?”

“Cosa faremo?

“Perché devi andare via?”

La sorella li zittì con uno sguardo. Baciò le loro fronti fredde, respingendo le lacrime che premevano infide per lasciarsi cadere dai suoi occhi. Si mostrò salda e sicura di se, l’esatto contrario di quanto provava.

“Andrà tutto bene, vedrete. Ci ritroveremo, più presto di quanto crediate” sussurrò, per poi rivolgersi a Daniel.

“Dan, sei tu il maggiore adesso. Portali lontano da qui, stando ben attenti a non incrociare nessuno.

Attraversate la boscaglia e andate da zio Jules, e raccontategli ogni cosa”

Il fratello annuì, insicuro, lasciandosi andare e abbracciandola un’ultima volta.

“Muoviti, non farmi perdere tempo” ordinò il Colonnello, spazientito.

Celeste si voltò, mostrando un sorriso tremolante ai suoi fratelli, e seguì il Colonnello verso un possente cavallo sauro.

L’uomo montò agilmente e le tese la mano, che seppur con estrema riluttanza, la  ragazza fu obbligata ad accettare, posando il piede ancora nudo sulla staffa e montando davanti a lui.

“Dragoni: avanti!” ordinò nuovamente, mentre con dei decisi colpi di redini, i cavalli si lanciavano al galoppo. La giovane dovette aggrapparsi al collo del cavallo e stringere le gambe per non cadere, e avvertendo con odio il petto dell’uomo premere sulla  propria schiena.

Mentre stavano per uscire dal viale, Celeste inevitabilmente si sporse  e voltò la testa: la casa avvolta dalle fiamme, i cui alti fumi grigi si levavano fino al cielo, e i fratelli pallidi e persi di fronte ad essa formarono un’immagine che, lo seppe subito, l’avrebbe perseguitata per l’eternità.

La giovane permise controvoglia alle lacrime di abbandonarsi sulle sue guance, e mentre voltava la testa, incrociò lo sguardo freddo dell’uomo. La guardava sprezzante, come se quelle lacrime traditrici lo disgustassero tremendamente.

“Sei pregata di piangere in silenzio” le sussurrò con crudeltà in un orecchio, mentre la ragazza voltava il viso, cogliendo uno scintillio maligno in quegli occhi gelidi.

E in quel momento, la paura l’assalì completamente, con una violenza tale da stordirla.

 

 

Elle's Space -

Questa non è la prima Fanfic che scrivo (e spero non sia neanche l'ultima!); ma è la prima che ho deciso di pubblicare, perchè ... Non saprei nemmeno io per quale motivo ho scelto di pubblicare proprio questa. Ma mi sono intestardita, ed eccomi qua.

"In Punta di Piedi" nasce dopo essermi guardata a ripetizione per fin troppe volte Il Patriota, e non ho potuto fare a meno di rimanere impressionata dal personaggio del Colonnello Tavington (sorvolando sul fatto che Jason Isaacs è un figo allucinante. Anzi, non sorvoliamo affatto). Ma non appena l'ho visto, ho deciso di contrapporgli un altro personaggio: Celeste, per l'appunto.

Ho cercato di mantenere lo stesso contesto storico/territoriale, ma qualcosa (per esempio, la piccola cittadina di Mary Town) ho dovuto inventarmela. Spero non la consideriate un'eresia (in tal caso, siete liberi di bruciarmi viva).

Altro da aggiungere? Nulla, credo. Anzi, la speranza di ricevere almeno qualche parere: devo sapere se continuare... o no?

Continuerei lo stesso: muoio dalla voglia.

Buona serata a tutti e, aggiungo, buon anno nuovo!

Elle H. 

   
 
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