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Autore: Keyra93    31/12/2010    6 recensioni
Storia partecipante al Phantom of the Opera Contest, indetto da GiulyRedRose e Kenjina.
Cosa provava Erik, mentre Christine diventava Marguerite sul palco? Cosa sentiva quando lei gli assicurava di avergli donato la sua anima? Una fanfiction dal punto di vista dell'Erik di Leroux, un tentativo di entrare nella mente del più folle ed innamorato musicista della storia, ma soprattutto di scoprire di più sul suo cuore.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Giudice2

AutoreKeyra93
Titolo: Giudice
Personaggi e Pairing: Leroux!Erik, Christine Daeé, ErikxChristine
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico
Rating: Verde
Beta-reading (se c'è): -
Avvertimenti: One-shot
Note eventuali dell'autore: Ho messo in grassetto le parole dei prompts, ma considerando che alcune di esse le ho usate più volte, ho preferito evidenziare solo la prima volta che le usavo.
Citazione e prompt scelti: "La tua anima è così bella, bambina mia – e te ne ringrazio. Non c’è imperatore che abbia ricevuto un dono simile! Questa sera gli angeli hanno pianto..!"; maschera, palco, tuono, buio, specchio, vento, fato, teatro, violino, voce, labirinto.

Giudice

 

La sua voce sibilava, in quel momento, sibilava con note dolci seppur terribili l’ultimo addio ad un uomo indegno di vivere, ben più indegno di lui; un lurido essere strisciante, che aveva osato sfidarlo pubblicamente sbandierando ai quattro venti la descrizione del suo volto. E per quel suo attaccamento ad un volto di morte, che non avrebbe mai dovuto vedere, ebbe la giusta punizione: fu l’ultima cosa che vide.

Non appena i macchinisti scapparono ad avvertire chi di dovere, l’ombra uscì dal suo nascondiglio e raggiunse l’impiccato. Con gesti rapidi e implacabili, precisi come se davvero li avesse già compiuti prima d’allora, sollevò il cadavere tenendolo dalla collottola e lo scaraventò a terra con malagrazia, tenendo in pugno la corda mortale. Non dedicò un altro sguardo a quell’insulso essere che giaceva ai suoi piedi, i suoi arti in una posizione inverosimile, e col fare di uno che avesse contato ogni mossa al secondo ritornò nel buio da dove era venuto. La musica non c’era più: al suo posto, un silenzio di morte.

Senza alcun segno di turbamento per il delitto che essa stessa aveva compiuto, l’ombra si ritrovò a strisciare lungo un cunicolo nascosto, quasi fosse un agile serpente che potesse infilarsi con agilità in ogni anfratto, purché fosse nero come la pece. Dopo qualche secondo passato così, avanzando ad una velocità impensabile per qualunque essere umano in tali condizioni, si fermò e toccò tranquillamente un preciso punto di una delle pareti che lo circondavano: si aprì un buco di fronte ai suoi occhi, e aggrappandosi ad un bordo con lunghe, scheletriche dita, si fece scivolare con grazia giù. Nessun tonfo accompagnò la caduta, e si rizzò immediatamente in tutta la sua altezza, per poi dirigersi senza esitazione verso un punto che sembrava aver studiato con tutta cura ore, o forse giorni, prima: lì adagiò il laccio che aveva appena staccato dal collo del morto, ma prima di girarsi ancora gli lanciò uno sguardo, come ad assicurarsi che fosse nella posizione giusta. Soddisfatto, si voltò verso sinistra e toccò un punto nell’alto specchio che si trovò davanti: questo si spalancò docilmente e senza il minimo rumore, e l’ombra passò dall’altra parte. Lo specchio si rivelò così in realtà una porta, che si chiuse senza il minimo tocco non appena l’ombra la sorpassò.

L’ambiente che lo circondava era discretamente rischiarato da una lanterna posta dall’altra parte della stanza: era grande, spaziosa, con mobili raffinatissimi e arazzi sfarzosi alle pareti, tutto portava a credere che fosse la casa di un uomo dotato di un gusto eccezionale seppure parecchio eccentrico. Ma la sua particolarità non era negli arazzi, né nel mobilio, e neppure nello specchio trasformato in porta: la cosa che rendeva il tutto estremamente agghiacciante, perché senz’altro lo era, era che tutto ciò si trovasse cinque piani al di sotto di un teatro. E sottoterra, non vivevano certo gli uomini, bensì i mostri.

Il mostro in questione non degnò di uno sguardo neppure un singolo dettaglio che lo circondava, ma si diresse verso uno scaffale sulla destra del salotto, accanto ad un’altra porta: sopra, vi era una piccola scatolina quadrata, nera come il suo proprietario. Le lunghe dita gelate la sfiorarono, prima di aprirla quasi appartenessero ad un affamato che cerca il cibo a lungo negato, con velocità impressionante, e prenderne il contenuto. Tra le unghie orribilmente ben curate, tenne stretto il prezioso tesoro, e lo avvicinò ai suoi occhi fiammeggianti per poterlo vedere meglio. L’anello d’oro scintillava appena alla luce della lanterna, quando le dita dell’assassino lo mettevano nella posizione giusta per riceverne i flebili raggi; in fondo, era un oggettino da niente, con un valore che avrebbe fatto ridere ciascuno dei galantuomini che pagavano fior fior di franchi per assistere agli spettacoli tenuti di sopra. Era un oggetto semplice, taluni l’avrebbero definito addirittura inutile, per tutto il tempo trascorso chiuso nella sua scatolina; nessun diamante brillava, nessun rubino fiammeggiava né tantomeno c’erano zaffiri a ricordare il colore del cielo, su quella banale superficie dorata. Non era altro che una banale fede nuziale. Il mostro tuttavia, quasi individuasse in quel minuscolo gingillo chissà cosa di eccezionale, lo guardava come se fosse il suo personale dio: il suo era lo sguardo di un disperato fedele che si aggrappi alla sua ultima ancora di salvezza.

Ma tutto ciò durò appena qualche secondo: ben presto lo strano individuo rinchiuse l’anello nella sua scatolina, se possibile con movimenti anche più veloci di quando l’aveva preso, e poi strinse la scatola tra tutt’e due le mani. C’è da stupirsi che non la ruppe, per la forza che sembrò impiegare, e certo le sue nocche sarebbero sbiancate completamente se non avessero avuto di loro il colore di quelle di un cadavere. Dopo qualche altro secondo passato così, questo strano personaggio sembrò prendere una decisione, e infilò il piccolo contenitore in tasca; effettivamente, lo fece con l’atteggiamento di chi ha paura di cambiare idea su qualcosa da un momento all’altro e non voglia darsene la possibilità. Comunque, tornò presto alla sua consueta maschera d’indifferenza: ciascuno dei miserabili, e talvolta persino visibili, attraverso la pelle translucida, muscoli del suo volto si modellarono in un’espressione di totale distacco, mentre con silenziosa velocità si diresse verso un’altra stanza. Questa era quasi completamente nell’ombra, le pareti scure non aiutavano, ma nulla poteva fermare o rallentare i movimenti sicuri di chi l’abitava. Rimase qualche minuto a fissare pensoso una delle pareti, contro la quale si addossava un’enorme massa scura, come se la potesse vedere davvero senza nemmeno una piccola lanterna. Intorno, tutto era nero: solo i suoi occhi dorati fiammeggiavano di mille emozioni, l’una più forte dell’altra.

Quando ritornò a muoversi, si avvicinò alla massa scura e allungò una mano verso di essa: ne staccò una piccola porzione di ombra, che presto si rivelò essere uno strumento. La flebile luce proveniente dal salotto accarezzava appena le dolci linee del violino: il legno era di un colore scuro, rossastro, le corde perfettamente curate e non il più piccolo granello di polvere si posava su di esso, lasciandolo sfoggiare tutta la sua elegante bellezza. Poche, semplici decorazioni intarsiavano il ponticello che separava le corde dalla cassa, e ogni contorno era curato al dettaglio. Tutto dava l’idea di un musicista completamente dedito alla sua arte, che mettesse in ogni particolare tutta la possibile passione; oppure, la cura maniacale di chi si attacca a certi beni materiali, non avendone di più elevati a cui dedicarsi. Ma probabilmente, chiunque avesse visto gli occhi di chi possedeva il violino, sarebbe stato certo di entrambe le ipotesi.

Egli dunque, attivando chissà quale marchingegno nella parete di fondo della nera stanza, sparì dall’assurda casa dei sotterranei e si ritrovò nel buio totale; ancora una volta, l’unica luce consisteva nel bagliore di quegli occhi - se si può chiamar luce qualcosa di così terrificante. Intorno a lui presero a crearsi piccoli rumori: un soffio di vento umido, una goccia d’acqua caduta chissà dove e chissà perché, il ticchettio di piccoli artigli sulla nuda pietra di quei labirinti. Ma in quanto a lui, era più silenzioso di un ragno che tesse la sua tela: con tutto che viaggiava ad una discreta velocità, sembrava capace di un silenzio più profondo di qualsiasi altra forma di vita presente in quegli orribili sotterranei, forse più silenzioso dell’aria stessa. Conosceva a menadito quei luoghi proibiti: non un passo falso nei sentieri meno curati, non un errore per alcuna di quelle infinite curve, non uno sbaglio nel calcolare la distanza che lo separava da una parete o un pericoloso salto nel buio. Dove un altro uomo sarebbe morto un una delle innumerevoli trappole disseminate laggiù, lui le evitava tutte con la grazie e la precisione di chi conosce come le proprie tasche ciò che lo circonda - e non c’è da stupirsi per questo, essendo egli stesso il creatore di gran parte quelle insidie.

Dopo chissà quanto tempo, sembrò per la prima volta indeciso sul da farsi, apparentemente senza ragione: di fronte a lui continuava il tunnel in cui era entrato, e non c’erano bivi o altre vie tra cui scegliere. Tuttavia, sul suo viso passò un’emozione terribile, irrigidendo i muscoli a formare l’espressione di un disperato, un uomo costretto a scegliere tra la vita e la morte pur sapendo che in entrambi i casi avrebbe perso. La mano occupata strinse più forte il violino che impugnava, mentre le dita libere correvano ad agguantare il cofanetto nella sua tasca; e dopo qualche secondo passato nell’immobilità più completa - l’immobilità di un cadavere - finalmente si decise a muoversi di nuovo. Questa volta con più calma, prese a salire sempre più in alto, mentre il suo corpo dava segni di una tensione sempre maggiore: ogni muscolo scosso da terribili tremiti, il condannato si avvicinava al suo giudice, colui che avrebbe finalmente deciso della vita di quel morto che camminava - o viceversa, della sua morte eterna.

Ma no, c’era tempo ancora... strinse di più le lunghe orribili dita nella tasca, mentre cercava di rassicurarsi: c’era tempo ancora!

Dopo un tempo interminabile, finalmente la sua ascesa terminò: apparentemente di fermò in un vicolo cieco, un muro nero come tutto il resto di ciò che lo circondava a sbarrargli la strada. Questa volte nessuna esitazione comparve nei suoi gesti, seppure ciò che compì aveva dell’incredibile: attraversò la parete, come l’ombra di un viaggiatore che sparisca nel nero di una strada priva di luce. Semplicemente scomparve. In realtà però, in quell’apparente vicolo cieco c’era un’apertura: il mostro si trovò all’improvviso circondato da suoni concitati, anche se smorzati dalle strette pareti attorno a lui, e per la prima volta le sue orecchie tornarono a sentire la voce di altri esseri umani. Eppure, il suo corpo continuava a non mostrare in alcun modo nulla che potesse far pensare all’agitazione, i muscoli erano rilassati per occupare meno spazio in quell’antro angusto ed egli rimase tranquillamente immobile per parecchio tempo, come ad aspettare un segnale che gli indicasse di potersi muovere. Improvvisamente, il suono distinto di una porta che si apriva e richiudeva velocemente lo raggiunse, e i suoi occhi sembrarono animarsi di una maggiore attenzione, le orecchie malamente coperte da quelli che dovevano essere dei capelli pronte a percepire anche il più piccolo suono. Effettivamente però, dalla forza della voce che lo raggiunse, sembrò che non ce ne fosse bisogno.

“Signor Fantasma, ecco qui il libretto dell’opera di stasera! Spero che vi godiate lo spettacolo, sapete, la piccola Giry sarà assolutamente superba, oramai manca poco al momento in cui sarà etoile e allora potrete renderla senz’altro Imperatrice!, come avevate promesso tempo fa, ricordate vero monsieur?”

Il “Fantasma” rimase silenzioso per qualche secondo, cercando di trovare le energie per rispondere in maniera calma alla donna.

“Sì, Madame... buonasera.”

“Ah, sì, buonasera Monsieur” si affrettò a rispondere lei, il cappello pieno di piume ondeggiante sulla sua testa, mentre in maniera più che veloce usciva dalla stanza, chiudendosi più silenziosamente che poté la porta alle spalle. Sapeva bene che non era una buona idea irritare il signor Fantasma, e il tono con cui le aveva detto quelle due semplici parole... Rabbrividì mentre andava a rassicurarsi che la sua piccola figlioletta stesse bene.

Il Fantasma nel frattempo, solo vagamente soddisfatto dalla dipartita di quella strana signora, si mosse di qualche centimetro in una posizione più comoda: non si mosse più per parecchi altri minuti, mentre tutti gli spettatori si sistemavano. Finalmente, il silenzio cadde nel teatro, e una strana aspettativa crebbe nel cuore di quell’essere mostruoso che abitava l’oscurità. Senza alcun suono, egli uscì dall’antro in cui era nascosto, e mantenendosi nell’ombra del palco numero 5 prese posto in una delle sedie. Qualsiasi persona l’avesse visto in quel momento sarebbe fuggita terrorizzata: i suoi occhi lampeggiavano ancor più che nei sotterranei, accesi d’una passione fuori dell’ordinario, una passione tale che sembrava che stesse per assistere al giudizio sulla sua vita e morte, come se stesse per incontrare quel suo misterioso giudice... nessuno al mondo avrebbe potuto pensare che quel petto scheletrico celasse in realtà un cuore umano, e che cuore!, uno di quelli grandi, immensi, capaci di contenere il mondo intero! Quell’uomo definito mostro da ogni altro essere vivente, costretto a rifugiarsi nelle ombre dal giudizio che vedeva riflesso in ogni volto che l’aveva incontrato, quello non era un mostro ma un uomo, un uomo capace di provare passioni talmente forti da terrorizzare l’umanità più ancora del suo aspetto! E per una volta, una sola, la prima e, lo sapeva, l’ultima della sua vita, un’anima era rimasta affascinata dalla grandiosità della sua passione!

Un’anima... una piccola, semplice anima, la più bella che avesse mai conosciuto.

Mentre gli invisibili strumenti spegnevano nel silenzio le ultime note dell’ouverture, una lacrima scese lungo la pelle maledetta di quel viso tanto odiato. E mentre si consumava un’ignota tragedia nel suo cuore, il sipario si aprì a mostrare gli attori della tragedia che aveva per protagonista il Faust; essi si disposero sul palco, e quell’uomo che conosceva fin troppo bene quell’opera, per una volta non badò ai loro errori. Non badò alla voce del tenore non abbastanza perso per il desiderio di conoscenza e d’amore, non badò all’estensione vocale limitata di quella voce così lontana dalla perfezione che egli, egli solo, conosceva così bene, non badò ai costumi che non erano abbastanza per un’opera che avrebbe ospitato la sua creazione - non badò a nulla, perché tutto in lui era aspettativa: si sentiva morire dall’attesa di sentire la sua voce.

La musica sembrava librarsi nell’aria, quasi a voler rappresentare in suoni i movimenti  leggiadri delle ballerine che danzavano sul palco - o erano loro a voler rappresentare le note con quelle infinite piroette e giravolte? La mente del mostro non aveva spazio per quelle domande, non quella sera, quando pure la sua più piccola cellula era concentrata su di un unico pensiero. L’opera andò avanti, le voci si rincorsero in quel che sembrava una gara a chi riusciva ad arrivare più in alto - o più in basso - e finalmente il momento arrivò. Lei entrò in scena, ed il cuore di un mostro smise di battere per qualche secondo, per poi ricominciare più forte che mai. La sua era una comparsa silenziosa, però: Marguerite non era altro che una visione, permessa da Mefistofele per convincere Faust a vendere la sua anima. Ah, se l’avrebbe venduta, quel falso fantasma, la sua anima! Mille e mille volte, per un suo sguardo! E poi lei scomparve. Non fu più una silenziosa presenza da quel momento: improvvisamente, un suono gioioso, limpido e vivo si faceva largo nel grande teatro, la cantante attorniata da due giovani attori che neanche lontanamente potevano pareggiare quel suo divino talento. All’udire quella voce, la sua voce, una voce che lui aveva rieducata e condotta verso vette impensabili da ogni altro essere umano, sentì il petto scoppiare - ma non poteva dire di cosa. Passione? Gioia? Amore? Potevano davvero esistere parole come queste per un essere come lui?Poteva davvero una giovane ragazza, esempio vivente della purezza in tutta la sua espressione, risvegliare in lui quella parte umana, mossa da desideri, emozioni, sentimenti e pensieri umani, che un intero mondo aveva impiegato tante forze a distruggere pezzo per pezzo?

Ma importava davvero la risposta? Importava a quell’uomo, in quel momento in cui corpo, anima e cuore erano presi da un’estasi che solo lei poteva concedergli? La musica, la sua musica, lo aveva accompagnato lungo una vita di dolori e costanti delusioni, ma adesso non era forse lei la musica che risuonava in lui ogni giorno, per la prima volta facendolo pensare di poter avere una ragione per essere al mondo? La sua voce! Quelle note perfette sembravano rimbombare nelle orecchie di quell’uomo che si spacciava per uno spirito, rimbalzando giù lungo la gola, fino alle costole, e poi raggruppandosi tutte in un punto preciso... era quello l’amore? Quelle lacrime calde - calde! -, quasi liberatorie, che gli sgorgavano sulle guance vuote, che gli permettevano d’immaginarsi d’essere un uomo normale? Quel dolore ch’era in realtà piacere, che sembrava stringergli il cuore in una morsa di rose - dal profumo intenso e le spine assassine? O era forse quel desiderio, quell’incontenibile bisogno che provava di uscire da quel nero, di mostrarsi, di slanciarsi sul palco e cantare per lei, pronto a vendere corpo, anima e qualsiasi altra cosa per un suo sguardo, per... per una... per una sua carezza!

Mentre il pensiero della sua pelle scoppiava più forte che mai nel suo essere, scorse delle lacrime scintillare su quelle gote rosate: Christine Daeé, il suo angelo, piangeva! ...e anche lui piangeva! ...piangevano insieme, tutti e due, vinti dalla musica che li rendeva un uno perfetto! Un singhiozzo rotto scappò dalla sua bocca quasi priva di labbra, e alzò le mani per coprirsi il volto; ma quelle rimasero dov’erano, a mezz’aria. Avrebbe mai potuto trovare la forza di chiudere gli occhi di fronte a un tale splendore brillava per lui? O ciò che Dio, o il Fato, o chissà cos’altro, avevano scritto per lui era di morire d’emozione alla vista del suo angelo che cantava per lui? Non riuscì più a muoverle, quelle mani, che di fatto rimasero a mezz’aria, dimenticate.

E mentre gli attori si susseguivano su quel palco addobbato per l’opera più famosa e amata del momento, il mostro si sentiva il cuore sempre più appesantito dal desiderio di averla, di starle accanto e poterla toccare... quando lei cantò il suo duetto con Faust era oramai diviso in due: la musica lo spingeva a sentirsi sollevato da ali d’angelo, mentre colei che cantava gli provocava un tale turbinio d’emozioni e desiderio che non poteva che sentirsi schiacciato al suolo. Anche le lacrime cessarono di scendere mentre lei continuava ad alzare la sua voce verso i più alti e bei picchi, e solo all’ultimo la commozione per la musica prese il sopravvento: “Anges pur, Anges radieux”! Maestosamente, lentamente, si alzò dalla poltrona del palco, con le note che sembravano assicurarlo che da un momento all’altro stesse per spiccare il volo come la dolce Marguerite... Ed ecco, l’ultima strabiliante nota si sollevò, regale, in alto, sempre più in alto, in un vertiginoso gioco di voce e fiato, e infine... Christine svenne.

Svenuta! L’emozione era stata troppo forte per lei, la sua piccola bambina! Egli stesso, spossato da tutto ciò che provava e sconvolto dal malessere della sua musa, dovette appoggiarsi pesantemente al parapetto del palco per non cadere. Quasi immediatamente però si staccò di nuovo da esso: e se qualcuno l’avesse visto? Certo la confusione nel teatro era totale, tra gli infiniti applausi per la sua creazione, ma sapeva bene che la fortuna non l’aveva mai avuto troppo in simpatia... Rendendosi finalmente del tutto conto del pericolo per la ragazza, si raddrizzò di scatto e in un lampo fu di nuovo circondato dalle buie pareti che lui solo conosceva. Con movimenti solo vagamente più rigidi del solito, tornò lungo lo stretto cunicolo che aveva percorso per arrivare fin lassù, poi però invece di recarsi nel finto vicolo cieco dov’era arrivato precedentemente, prese un’altra strada. Attraversò bui antri e corridoi privi di luce, passando da stanze polverose per la mancanza di utilizzo, a cunicoli che sembravano comparire e sparire subito dopo il suo passaggio, a comando, a buchi sottili tra pareti apparentemente uniche... sembrava che il suo corpo fosse parte dell’edificio in cui si spostava, che le mura fossero delle ulteriori braccia, che il suo essere scheletrico fosse fatto apposta per passare in luoghi stretti e invisibili ad altri occhi. Man mano che proseguiva, quegli occhi si facevano sempre più fiammeggianti nell’oscurità, per l’aumentare della sua agitazione: dov’era? Come stava? Si era ripresa? Sguardi indiscreti la stavano insidiando, in quel momento in cui lui le era lontano? Si maledisse per aver preferito correre al suo camerino invece di andare a controllare chi la portasse via degli attori, per vedere che facessero tutto il possibile e nel migliore dei modi... ma certo lo stavano facendo di già, considerato di che angelo si trattava... eppure ancora non poteva esserne sicuro, doveva vederla!

Finalmente fu lì, dietro quello specchio che tante e tante volte l’aveva nascosto agli occhi di lei. Ed eccola! La tenevano delle ballerine, sue compagne, sostenendo il suo bel corpo privo di coscienza... l’adagiavano sul letto, sistemandole dei ciuffi sfuggiti alla complicata capigliatura, mettendole le bianche braccia in una posizione che si confaceva ad una signorina, cercavano di rianimarla con panni freschi: non si svegliava ancora! Quanto avrebbe dato per poter essere lui a occuparsi di lei, in quel momento! Quanto, cosa avrebbe dato per lei! Ma doveva accontentarsi di rimanere nascosto e osservare: la folla nel camerino aumentò, quasi si poteva vedere l’aria farsi più pesante in quel luogo chiuso e stracolmo di persone agitate, preoccupate o semplicemente curiose. All’improvviso tra loro spuntarono due volti conosciuti: il dottore del teatro, evidentemente chiamato da qualcuno che era riuscito a formulare un pensiero sensato, e un damerino. Un damerino che, fosse stato per il Fantasma, avrebbe cessato di vivere molto prima di quanto chiunque potesse pensare...

Il giovane era estremamente bello, ma al momento non sembrava altro che preoccupato: sui suoi occhi si poteva leggere un’ansia maggiore di quella concessa a un semplice conoscente, e il mostro non gli avrebbe mai permesso di essere null’altro che quello! Se solo..!

“Dottore, non pensate che questi signori dovrebbero sgomberare un po’ il camerino?” poteva essere bello, ricco e affascinante quanto voleva, ma certo la voce non era paragonabile ad un Angelo della Musica!

“Avete perfettamente ragione” Rispose il dottore, scacciando tutti gli intrusi dal camerino della giovane eccetto la cameriera. Eppure, davanti agli occhi sgomenti e indignati del finto fantasma, il giovane impertinente rimase dov’era, e per giunta il medico non mosse un dito per mandarlo via! Avrebbe pensato più tardi a quell’inefficiente. Intanto egli, seguito dall’intruso, si avvicinò al letto della Daeé: questa, con un sospiro che fece tremare chi si nascondeva dietro il suo specchio, e un lieve gemito sofferente, si guardò intorno. E sussultò. Quando vide il damerino, sussultò! Immediatamente il mostro si sentì invadere da una rabbia indicibile, ma rimase lì dov’era senza muovere un muscolo.

“Signore!.. Chi siete?..” la voce tremula, bassissima, della sua amata non lo convinse: l’aveva riconosciuto benissimo! E si era accorta in egual modo della sua presenza: era chiaro che non voleva fargli sapere che ricordava il giovane uomo, che lo riconosceva. Allora era vero che lo amava!

“Signorina... sono il bambino che andò a raccogliere la vostra sciarpa in mare!” Si era inginocchiato, mentre parlava, e aveva osato, lui lurido conte ignorante, indegno pure di guardarla, aveva osato posare le labbra sulla sue pelle! Aveva baciato la sua mano, quando lui, il suo Maestro, colui che l’aveva resa una stella, non aveva nemmeno mai potuto permettersi di sognare qualcosa di quel genere! E mentre il furore cresceva nel suo animo, vide la ragazza lanciare sguardi complici al medico e alla cameriera, per poi scoppiare in una lieve risata, subito seguita dagli altri due. Ma non gliela faceva! Conosceva quella voce in ogni sua più piccola sfumatura, e quella risata non mostrava né sollievo né tantomeno divertimento!

Il ragazzo intanto si alzò, il volto rosso e addirittura indignato. Certo lui non la conosceva bene: non aveva compreso la sua finzione. La sua piccola Christine, bisognava riconoscerlo, era una brava attrice - ma non abbastanza brava per lui, il suo Maestro...

“Signorina, poiché vi compiacete di non riconoscermi, vorrei dirvi qualcosa in privato, qualcosa di molto importante.” Come osava?

“Quando starò meglio, monsieur, siete d’accordo?.. Siete molto gentile...” eppure la voce le tremava! Lui sentì quasi il cuore spezzarsi, al pensiero che lei provasse qualcosa - qualsiasi cosa - per quell’inetto nobile parigino, che aveva tutto e non sapeva nulla.

“Ma ora dovete andar via, lasciatemi curare la signorina.” Soggiunse allora il dottore, invitandolo sorridendo ad uscire. Oh, lui non avrebbe certo sorriso nel mandarlo via, ma non si poteva pretendere nulla di più da un uomo come quello.

“Non sono malata” disse Christine alzandosi velocemente. Da dietro lo specchio l’uomo la scrutò attentamente mentre mostrava un’energia maggiore delle apparenze, si passava le dita sugli occhi e ritornava a guardare chi la circondava con espressione sicura: sapeva bene che lui era lì, e non voleva rimanere da sola con quello Chagny e lui. E allora era vero! Gli nascondeva qualcosa, qualcosa che lui non avrebbe mai voluto sapere! Ma poteva ignorarlo?

“Vi ringrazio, dottore!.. Ho bisogno di restare sola... Andatevene tutti! Ve ne prego... lasciatemi... Sono molto nervosa questa sera...” Sola... sapevano bene entrambi che non sarebbe rimasta sola, una volta che se ne fossero andati.

Nonostante le deboli proteste del medico disorientato, tutti lasciarono la stanza sotto gli occhi agitati della giovane, che chiuse la porta dietro di loro. Con uno sguardo disorientato, si guardò intorno, fissando tutto ciò che la circondava senza soffermarsi su nulla; poi, con gesti lenti, si avvicinò alla sua toletta e allungò le mani verso i capelli, ma prima di toccarli una voce imperiosa come un tuono al centro della sua stanza la fece sobbalzare e girare di scatto, a guardare il vuoto.

“Christine Daeé, mi stai nascondendo qualcosa!”

Non era una domanda, e la giovane guardò l’aria con fare sconsolato e disperato, giungendo le mani all’altezza del seno.

“Non è vero, non è vero e lo sapete!”

Lui non rispose. La guardava semplicemente: era bella, così bella, era viva e bella come una morta... Quanto avrebbe voluto dirle “Amami! Ho un nome, un volto, sono Erik, non una Voce!”. L’avrebbe vista stupefatta, è vero, ma poi lei avrebbe capito. Si sarebbe indignata, forse; ma poi lei avrebbe capito... E avrebbe potuto dirle il suo nome, avrebbe potuto sentirglielo dire! Sì!.. Lei avrebbe potuto pronunciare il suo nome, la sua voce avrebbe potuto chiamarlo “Erik”, non più Voce, Angelo, Spirito... Erik! Semplice e terribile verità! E lui lo sapeva: si sarebbe innamorata di lui! L’avrebbe conquistata con il suo, di amore, con il suo cuore aperto e sanguinante ai suoi piedi! Lei era la più buona e dolce creatura, eppure lo dilaniava ogni giorno, volgendo fuggevoli sguardi verso un certo giovane nella folla, lei lo pugnalava così, senza nemmeno badare a ciò che faceva, come fosse niente. E lui continuava ad amarla, adorarla, desiderarla come fosse una dea!

Lei era il suo giudice: una sua parola, un suo sguardo, avrebbero potuto decidere della sua vita. Strinse ancora una volta quell’anello che portava in tasca, chiuso nel cofanetto che lo conteneva, provando a immaginare per un secondo come sarebbe stato bello sul dito di lei... un semplice regalo che significava, per lui, la vita stessa...

“Voce, vi prego, non andate via! Non lasciatemi da sola!”

Come avrebbe voluto che quella voce angosciata lo chiamasse Erik! Che lei lo guardasse, invece di volgere lo sguardo all’intorno, verso il nulla! Come avrebbe voluto...

“Non sono andato via.”

“Grazie...” sussurrò lei, grata, eppure comprendeva come lui fosse ancora adirato. La sua voce era più che espressiva, del resto.

“Christine, tu devi amarmi!”

Non fu una richiesta, una preghiera, fu un ordine. Emise quella sentenza come fosse diventato lui il giudice di se stesso - come volesse illudersi di poter davvero comandare al cuore di quella piccola bambina che ancora nulla sapeva dell’amore, della vita, del dolore...

“Come potete dirmi questo? Io, che canto solo per voi!

Il cuore di Erik si fermò, per la seconda volta quella sera. Certo, lo sapeva, ma... sentirselo dire così! Lei... lei cantava solo per lui, e glielo diceva, sì, gliel’aveva detto e con un tono adorante, di preghiera! Allora era vero, era davvero lui il giudice del proprio destino, era davvero lui colui che poteva comandare al cuore di quella giovane, che poteva chiedere amore e ottenerlo! Gli avrebbe mai detto qualcosa di quel genere, altrimenti? Avrebbe mai potuto usare quell’accento di preghiera adorante? L’avrebbe mai fatto per quell’insulso damerino? No, tutto ciò era per lui, la sua voce era per lui, la sua vita e il suo amore, il suo cuore, erano per lui, lei cantava solo per lui!

Mentre una lacrima solitaria scendeva lungo la sua guancia, Erik vide Christine abbassare la testa, le gote rosse dall’emozione e dal recente svenimento, le mani ancora giunte al seno.

“Dovete essere davvero stanca!”, le disse, vedendola tremare appena.

“Oh! Stasera vi ho dato la mia anima e sono morta.” Il cuore di Erik non si fermò, semplicemente sembrò scoppiare nel suo petto, troppo piccolo per contenerlo nella sua passione.

“La tua anima è così bella, bambina mia, e te ne ringrazio. Non c’è imperatore che abbia ricevuto un dono simile! Questa sera gli Angeli hanno pianto..!” E non era forse vero? Non aveva lui versato calde, calde lacrime per lei? E non era lui il suo personale Angelo?

Christine si permise un tremulo sorriso rivolto all’aria vuota, nel punto esatto in cui la voce era scomparsa dissolvendosi lentamente. Poi, con gesti lenti e leggermente, ma solo leggermente più calmi, si diresse verso il suo armadio e prese tra le dolci mani una pelliccia, che si avvolse attorno al corpo - quanto avrebbe voluto, quell’Erik pazzo d’amore, posarle sulle spalle la sua pelliccia! Aggiustare con lievi carezze la piccola piega formatasi, toccare i suoi capelli per lasciare scoperto quel viso d’angelo... toccarla... Lei continuò a coprirsi, aggiustandosi uno scialle di merletto attorno al volto, e raggiunse la porta. Con un ultimo sguardo verso il punto in cui aveva udito la Voce, emise un lieve sospiro e uscì senz’aggiungere altro. Quando la porta si chiuse, fu come se Erik avesse ricevuto il suo verdetto: lo scettro di giudice era nelle sue mani, e lui avrebbe deciso del suo futuro, perché lui avrebbe deciso dell’amore di lei.

Perché lei gli aveva dato in dono la sua anima.

***

Salve a tutti belli e brutti =)

Beh, che dire? Questa storia ha vinto il primo posto del Phantom of the Opera Contest, di GiulyRedRose e Kenjina. E vi assicuro che non me lo aspettavo nemmeno lontanamente!

Comunque, spero che sia piaciuta anche a voi che siete passati di qui =) detto sinceramente, questa fic s'è scritta da sola... voglio dire, sì, ero io a premere i tasti (e muovere la penna), però il tema (quello del giudice, per l'appunto) se l'è inventato lei. Io non volevo far altro che descrivere i pensieri di Erik, è solo verso la fine che mi sono resa conto di questo argomento così interessante dei suoi pensieri. Che, appunto, si era scritto da solo. Se ci penso ancora mi fa strano xD

Le due carissime creatrici del contest hanno già abbondantemente criticato la fic, nel senso che mi hanno fatto notare tutto ciò che c'era da notare... ma qualche altra critica, o suggerimento, non mi dispiacerebbe in alcun caso xD quindi se avete qualcosa da dire è tutto benvenuto! =) A ogni modo, grazie di essere passati e di aver letto. Mi rendo conto che è un po' lunga... però mi è piaciuto molto scriverla, tanto che se avessi potuto l'avrei fatta più lunga! Ma a una certa i fatti finiscono, direi xD non posso fare la riscrittura di tutto il libro dal punto di vista di Erik...

...aspetta, come idea non è male *-*

Va bene corro, ho scritto anche troppo. Bye bye e grazie ancora! :)

   
 
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