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Autore: Ade1623    13/12/2005    3 recensioni
Questo è il seguito de "L'ultimo viaggio di Kami", quindi se volete ben comprendere l'intero racconto leggete anche quello, che comunque è brevissimo (un paio di paginette). Spero che vi piaccia, si tratta della mia prima fanfic su WR e in assoluto, ho inventato personaggi nuovi che vivranno la corsa per il Rakuen dietro Kiba & co. ipotizzando che come loro anche altri lupi nel mondo potrebbero aver sentito il profumo dei fiori della luna. Buona lettura e commentate, mi raccomando ^^
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ELEGY

Una storia di lupi senza storia



Non è sempre stato così.
Una volta era diverso, o almeno così si diceva. Qui c’era una terra viva e un mondo diverso; un mondo dove correre liberi, dove si poteva trovare qualcuno che ti capiva, che voleva correre con te.
Adesso, invece, era tutto diverso.
Sto qui, accanto a questo compagno che neanche conoscevo fino a poco tempo fa, che mi ha salvato la vita, a cui ho salvato la vita. Stiamo qui, adesso, insieme, ed è come se lo conoscessi da sempre. Anche lui come me era in cerca di sé stesso e forse adesso stava per avere le sue risposte. Mi ricorda tutti quei giovani lupi che mi hanno accompagnato durante il mio viaggio, che avevano delle speranze, che le hanno strette con i denti fino all’ultimo… ma che non ce l’hanno fatta.
Vedo i suoi occhi chiudersi, lentamente, come un sole che tramonta sulla vita. In tutto questo tempo di vagabondaggio, con tutte le vite spezzate che ho visto, non mi ero mai resa conto di quanto fosse straziante la morte sospirata. Non puoi farci nulla, l’impotenza ti ha incatena e non riesci a liberarti… vorresti afferrare il suo spirito tra i denti, impedire che vada via per sempre…
Ma non puoi.
L’ultimo respiro è impercettibile, e non mi accorsi subito che se n’era andato.
Il suo sacrificio non sarà inutile.
Kami. Mi aveva detto di chiamarsi Kami.

Esco dalla tenda ed ululo con tutte le mie forze, fino a che non sento tutte le anime straziarsi con me. Poi il silenzio ricade ovunque, come un sudario velato che ricopre il mondo in questa notte piena di stelle.
Il mio nome è Manako, e questa è la mia storia.

I. Il suono silenzioso del mondo
Sono cresciuta sola per un certo periodo di tempo. Non ho mai saputo da dove venissi né chi fossero i miei genitori, né mai ho pensato di mettermi a cercarli. Non mi interessavo di loro o del branco dal quale ero stata abbandonata, se mai uno ce n’era stato. Ho sempre saputo che chi nasce solo vuole farsi una famiglia e chi invece ce l’ha già vuole solo sbarazzarsene, anche solo per un istante. Non è stato vero per me, perché ero contenta di essere sola. Non facevo altro che vagare da un posto all’altro, luoghi di cui non ho memoria, spazi lontani nella mia mente come il cielo dalla terra.
Era la mia infanzia spensierata quella, che ebbe termine quando incontrai Raik, mio nonno.
Ovviamente non era il mio vero nonno, ma solo un vecchio lupo che mi tirò fuori da una brutta situazione (mai provare a nuotare in un fiume se poi a valle ci sono le rapide…), e che poi mi prese sotto la sua ala protettiva.
Raik era un vecchio lupo grigio, con un’orecchia mozzata e senza un dente, ma pieno di vita. Era una specie di enciclopedia vivente, uno di quei vecchi lupacci saccenti che andava in giro a dispensare perle di saggezza. Tutta la mia infanzia è passata tra detti e racconti filosofici, che credo abbiano lasciato in me una specie di sua impronta, come se avesse percorso la mia anima lasciandoci un po’ della sua, come un’orma.
Buon vecchio Raik. Non sono mai riuscita a dirgli quanto gli volevo bene.
Fu lui ad insegnarmi tutto quello che c’era da sapere, a sentire gli odori giusti, a captare il pericolo anche quando tutto sembrava tranquillo, a leggere negli occhi le intenzioni, ma soprattutto a diffidare degli umani. Raik diceva «gli uomini non hanno fiuto. Come puoi fidarti di chi non sente nessun odore?». Ora so che in parte era vero, anche se non del tutto.
Raik mi diede anche il mio nome, un giorno, osservando i miei occhi.
«C’è molto di più dentro quei tuoi occhi che in tutti i motti e i proverbi che questo vecchio sacco di pulci possa ricordare.»
E così mi chiamò Manako.
Raik mi portò in lungo e in largo. Vidi tanti posti, e tante cose, immagini, suoni e odori, così tante che mi chiesi come avevo fatto fino ad allora a vivere per i conti miei. Il mondo era così grande e c’erano tante cose che si potevano scoprire. C’era posto per tutti e per tutto.
Non avrei mai immaginato che il mondo fosse così grande prima di Raik, e che un lupo potesse imparare tante cose.
Ci fu una volta, un giorno, che mi portò in un posto oltre il deserto di ghiaccio, una specie di macchia verde che ancora era incontaminata. Raik mi disse che era nato lì.
«Come fai ad esserne sicuro?» dissi io «Voglio dire…»
«Lo so perché me lo dissero i miei genitori.» rispose lui.
«Quali genitori? Tu non ne hai mai avuti… hai sempre detto che…»
«Io ti ho detto di essere un orfano, è vero. Ma ecco, ecco i miei veri genitori.» disse il vecchio lupo, e indicò con il muso due alberi, dentro il piccolo bosco grigio.
Io non capii, ma lui continuò.
«Sono molto più saggi di me, perché hanno vissuto molto più di me.» disse
«Mi hai insegnato che la durata di una vita non ha influenza sulla saggezza accumulata.»
«Stai crescendo, Manako» fece lui, per niente meravigliato «ma questo è un caso differente. C’è sempre un’eccezione.»
Ogni parola di Raik era una lezione, non smetteva mai di impartirne.
Ci avvicinammo agli alberi.
Non so cosa successe esattamente, ma quando fui più vicina avvertii tutti i miei sensi come se si fossero risvegliati in un solo istante. Una sensazione simile ad un brivido, ma più forte. Scorre dentro il corpo, dentro le vene, fino alle ossa, dentro il cuore e la mente. Senti come una scossa, e tutto si anima, si muove, ritorna ad essere vivo.
In un attimo, un solo attimo, la mia giovane mente fu consapevole. Pensieri che non avevo mai avuto, si formarono come dal nulla. Ho realizzato chi fossi veramente in quel momento. Una voce, fiera e calma, mi diceva che io ero forte, che ero una tra molti, unica. C’era un legame che solo pochi riuscivano a sentire, sottile, un filo invisibile che corre tra tutti gli animali, tra tutte le piante e le cose della terra, persino tra gli umani. Il filo era forte ma allo stesso tempo debole.
Tutti eravamo legati e tutti inconsapevoli di esserlo, fino a quando alcuni si svegliavano e sentivano il legame, come una nuova parte di loro stessi che era cresciuta, come radici e rami.
Ma perché sentivo quelle cose, perché si formavano nella mia mente quei pensieri così strani? Alzai lo sguardo verso le cime dei due grandi alberi, ed ebbi un senso di vertigine, perché sentivo dei pensieri forti che si perdevano nel cielo, alti e nobili, immensi ed imperscrutabili. Avevano visto specie dominanti invecchiare e morire, civiltà sorgere e cadere, ideali nascere e avvizzirsi, ma loro erano sempre rimasti là, immoti e immutati.
Quando il mio sguardo tornò alla terra vidi Raik, al mio fianco, ed era come se lo vedessi per la prima volta. Alla luce del sole che filtrava macchiata dalle fronde degli alberi, sembrava diverso, circondato da un alone etereo e sfuggente, che sfocava i contorni e rendeva tutto più tenue, confuso, in un certo senso distante. Vidi Raik come se fosse ancora un giovane lupo, e doveva essere così quando lo era: le zampe dritte e salde, il petto solido, il muso affilato, gli occhi brillanti di luce propria e non riflessa, fieri, che guardavano in alto. Aveva entrambe le orecchie e tutti i denti, ed il suo pelo era lucido e gonfio.
Sentii la stessa sensazione di stupore e di soggiogazione nel guardarlo di quella che avevo provato davanti ai due alberi. Quello era il vero Raik, il vero cuore impavido che si celava dentro il suo corpo invecchiato, l’immagine della sua vera anima che era proiettata al di fuori del suo corpo vecchio e stanco.
Io ero completamente sopraffatta e nonostante questo riuscii a rizzare le orecchie e a sentire quello che mi stava dicendo, con voce calma e ferma, come quella che avevo sentito prima dentro i miei pensieri. Era un suono rassicurante che sembrava nato da tutto quello che mi circondava, non dalla sua gola. Mi sovrastava e giungeva da ovunque.
«Lo riesci a sentire?» disse solamente. «Co…cosa?» feci io, timidamente.
«Tutt’intorno, ovunque, non solo qui, ma anche lontano, nei deserti, nelle foreste, nei laghi, nel cielo, nelle nuvole, nelle città degli uomini, dentro i loro pensieri…»
«Sì. Sento qualcosa… ma non so cosa.»
«È il suono silenzioso del mondo.»
Il mio sguardo tornò ai due grandi alberi, al loro abbraccio tra i rami. Era come se fossero due cose sole, due esseri che si avvinghiavano l’uno all’altro e si stringevano nei secoli. Il loro legame diventava più forte ogni giorno che passava, e ad ogni istante diveniva sempre più inestricabile.
Anche gli alberi erano avvolti da una luce tenue, che ne rendeva confusi i contorni, però riuscii lo stesso a vedere un grande spazio tra i due tronchi, alla base, dove le radici s’inarcavano e formavano come una nicchia.
Ricordo che chiesi perché ci fosse quel vuoto ai loro piedi. Mio nonno rispose «Un giorno lo capirai.»
Lasciammo quel luogo dopo un po’. Quando tornai fuori mi sentii come svuotata… era come se una grande mano mi avesse tirato fuori tutto quello che mi aveva riempito in quel posto. Non riuscirò mai a descrivere la sensazione, del tutto simile a quando ci si sente come derubati, come nudi, senza più nulla.
Anche Raik avvertì la medesima cosa, lui che era tornato il solito vecchio lupaccio grigio e spelacchiato, dall’orecchio mozzato e il dente rotto. Anche la sua voce era la solita, gracchiante, in grado di prodursi solamente in ammonimenti e vecchi proverbi.
«Il legame non si spezza» mi disse «ma resta, in qualche modo. È come parlare con una diversa specie.» «Come quando parlo con i gatti e gli uccelli?» mi venne da dire, stupidamente.
«Sì. Il loro linguaggio è differente, ma ti abituerai. Impara ad ascoltare i suoni che producono e forse un giorno ti salveranno la vita.»
Il lupo grigio scattò in avanti, accelerando il passo, mentre alle nostre spalle il piccolo boschetto diveniva sempre più buio e lontano.
«Ora muoviamoci! Tutto questo filosofeggiare mi ha fatto venire fame!» e anch’io mi affrettai dietro di lui.

  
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