Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Ricorda la storia  |      
Autore: pandamito    02/01/2011    1 recensioni
Strinse con tutte le sue forze l'orsetto di peluche al suo petto, quasi volesse affondarvici dentro il viso. [...] Ay niña, yo te encuentro solita por la calle. Yo me siento amorado, yo me siento triste solo. Djobi, Djoba, cada dia te quiero mas. Djobi djobi, djobi djoba... Cada dia te quiero mas. Que lo me importa que lo distancia ya nos separe; yo me contento me retir y no me diga ay para guarja ja. - Djobi Djoba, Gipsy Kings
Fan fiction che parla della Pace di Rastatt, dedicata alla mia PedoSpain Kari ed al rapporto di fratellanza fra Spagna e Centro Italia; spero vi piaccia.
Genere: Sentimentale, Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il taccuino di una margherita.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
B-Beh, q-questa fan fiction... non avrei voluto nemmeno pubblicarla, in parte. Me ne vergogno, ecco. Che stupida che sono, ora che la stavo rileggendo ci ho quasi pianto sopra, non immagino cosa farò, allora, alla prossima fan fiction angst che ho in programma di scrivere! Beh, si, il tema è sempre Hetalia, è una Spagetta(?), anche se... non proprio, parla solamente di quando la Spagna deve cedere il Centro Italia all'Austria, per la Pace di Rastatt firmata assieme alla Francia. V-Vorrei dedicare questa fan fiction alla mia adorata PedoSpain, se può perdonarmi perchè secondo me questa ff non l'ho scritta bene, avrei potuto far di meglio, me lo sento, in più muovere Antonio mi è molto difficile e... e poi boh, ringrazio la mia amica Sos con cui in questi giorni non ho fatto altro che cantare e ballare assieme a lei la canzone che mi ha ispirato, ovvero 'Djobi Djoba' dei Gipsy Kings. Il mio OC è appunto il Centro Italia, ovvero Giulietta 'Adriana' Vargas, detta amorevolmente Gyu, come il verso che spesso fa; ci tengo molto a lei, però ora vorrei scusarmi - prima di tutto - se a volte i personaggi possano sembrare di andare OOC. Buona lettura... se leggerete!


Eppure, anche nella 'Terra del Sole che non tramonta mai', quell'inverno faceva abbastanza freddo da far indossare cappotti, sciarpe e guanti a tutti i paesani. Era strano, di solito lì faceva quasi sempre caldo, qualunque stagione essa fosse. Il ragazzo dalla pelle bronzea percorreva il lungo corridoio del palazzo, per dirigersi verso il salotto. Lì vi trovò un Olanda intento a leggere un giornale, seduto su uno dei divani, che appena passò - come suo solito - lo guardò malissimo; Antonio sorrise, come sempre, quasi facendo finta di nulla e proseguendo, fino ad arrivare all'arcata della cucina, ma invece di entrare, si nascose dietro la porta per vedere cosa stava accadendo lì.
« Ah, Romano, dai! » lo incitò, una voce femminile.
« No! » replicò un'altra, maschile, ma comunque pareva quella di un bambino.
« Oh, ma perchè? » chiese ancora la donna, insistendo.
« Perchè ho detto di no! » alzò il tono l'altro, replicando ancora. « Ma vieni a cucinare con me e Giulietta! Aw, Lovino, Lovino... ti metterai anche un bel vestitino! » esclamò la donna, non potendo trattenere una risata, che naturalte provocò l'ira del ragazzino. Si sentì un verso, che assomigliava più a quello di un animale che ad un bambino solamente poco educato e molto scorbutico.
Una risata e poi... silenzio. Si, finchè non si sentì un « Chigi! » provenire dallo stesso ragazzo.
Antonio, si sporse più dalla vetrata della porta e vide una cosa che la povera Belgio non avrebbe mai dovuto fare: aveva toccato il ciuffo di Lovino, il quale però era stranamente rosso in viso. L'uomo dagli occhi smeraldo si spaventò, quella biondina stava per fare una brutta fine ed anche se avrebbe cercato di salvarla, sarebbe stato comunque troppo tardi.
Però, non fu così. Di fatti vi erano due piccole ed esili braccine angeliche che cingevano la vita di Romano, stringendosi a lui e con una faccia supplichevole, che non lo guardava, ma gli trasmetteva comunque i suoi sentimenti. « Romi, fermo! » gridò solamente, ma parve che il signorino col broncio permanente si arrestò.
Diventò di nuovo rosso in viso, con gli occhi della biondina che lo fissava, ridendo, un po' forse per prenderlo in giro, mentre la sua sorellina combatteva per non fargli commettere sciocchezze. Fece un'altra volta un verso, scocciato. « Tsk, quasi quasi me ne vado da quell'energumeno di Olanda, sarà pure un bastardo primitivo, ma qui sembra il più ragionevole. » il piccolo italiano inventò una scusa ed uscì, sorpassando persino lo spagnolo che aveva spiato tutto, mentre quest'ultimo gli sorrise. Lovino e Giulietta, però, non erano poi così tanto piccoli come lo erano un tempo, anzi, ora dal loro aspetto sembrava che avessero quasi dieci anni, mentre quando Spagna prese il loro affidamento pareva avessero all'incirca sei anni. Ah, vabbè, poi contando che gli italiani sono piuttosto bassi!
« Ah, Bel, ti diverti proprio a far arrabbiare il piccolo Romano? » sorrise lui, per poi ridere nel suo modo - al parere di tutti - così strano.
L'altra gli sorrise, un po' arrossendo sulle gote, in fondo ciò che diceva era vero, per poi fare un cenno con la testa di consenso ed inseguendo il moretto appena uscito in precedenza.
Ecco, aprì ben bene gli occhi di fronte a se e su una sedia, un po' triste, vi trovò la persona con cui aveva bisogno di stare in quel momento, ma con cui non voleva stare: Giulietta. Appena la vide non potè fare a meno di sorridere, ma in modo dolce, avvicinandosi a lei e sfiorandole il viso con una mano - le sue mani calde - per attirare l'attenzione verso di se. « Hermana, che ne dici se ora usciamo? Io e te. » le propose, sforzandosi di sorridere e tenendo gli occhi semi-chiusi. L'altra lo guardò un po' stupita, ma fece cenno di 'si' con la testa, accontentando l'altro. « Bene. » lo spagnolo le accarezzò la testa, sistemandole il ciuffo in modo che non le andasse di fronte agli occhi. « Vai da Belgio e dille di aiutarti a prepararti. »
« Sono grande oramai, queste cose le faccio da sola già da un pezzo. » rispose, un po' brusca, ma l'altro non vi badò.
La brunetta se ne andò, alla fine, però, Belgio la chiamò lo stesso, in fondo gliel'aveva detto Antonio. Lui, invece, non aveva il coraggio di stare con lei, non poteva sopportare che di lì a poco se ne sarebbe dovuta andare. Come poteva confessarle che l'altro giorno l'aveva venduta in una partita a poker contro Françis e Roderich?
Uscì dalla cucina, affacciandosi per vedere a che punto era in salotto, con le spalle appoggiate al muro e le braccia conserte. Olanda leggeva ancora, Romano era sdraiato sul divano, quasi dormiente, mentre Giulietta - rossa in viso - si faceva delicatamente spazzolare i capelli dalla 'sorellona' Belgio, che poi li legò in una crocchia alta sulla testa.
Lui, intanto, andò in una delle stanze affianco per poter prendere il suo cappotto color beije, avvolgendo una sciarpa verde smeraldo, che riprendeva il colore dei suoi occhi, al collo ed infine infilandosi dei granti rossi che spiccavano molto dal resto degli abbinamenti; dopo di che prese un piccolo cappottino lilla ed una sciarpetta celestina, con un paio di piccoli guanti di lana rosa, ritornando così nell'altra sala.
« Oh, ecco fatto kleine. » strinse la mollettina rossa e pattandole il capo più volte le fece capire che aveva fatto. Dopo di che Bel si distese sul divano, mettendosi a testa in giù e con le gambe poggiate sullo schienale, alzate. « Hey, broer, che fai? Leggi riviste di come farti qualche spinello? » commentò, un po' invadente come al solito, tanto per stuzzicare il fratello maggiore, che però fece finta di ignorarla, cosa che annoiò maggiormente la ragazza.
Adriana si alzò dal divano e si diresse piano verso Antonio, con un espressione quasi impassibile; l'altro le fece infilare la giacca, con amore le circondò il collo con la sciarpa e dito per dito fece scivolare i soffici guanti sulle sue piccole mani, dopo ciò gliene prese delicatamente una, sorridendole il più dolcemente possibile, non voleva di certo spaventarla in quegli ultimi momenti in cui poteva stare con lei. Tenendosela stretto la trasportò verso l'uscita della villa, attirando subito l'attenzione degli altri: Belgio, per prima, si appoggiò al divano, voltando la testa verso di loro.
« Antonio~ dove vai? » domandò la bella biondina, un po' cantilenando, lasciando appese le braccia allo schienale di quella poltrona, col suo fare curioso ed un po' impiccione.
« A far due passi con Giulietta. » rispose semplicemente l'altro, non aggiungendo nulla e dando a tutti di spalle, mentre usciva trascinando con se la piccola bambina e chiudendo il portone dietro le sue spalle. Romano improvvisamente si alzò a mezzo busto, un po' sorpreso da quella situazione, ma oramai loro se n'erano andati, lasciando gli altri lì, ad annoiarsi nel grande salone, dove il massimo del divertimento era leggere le riviste di Olanda.
Antonio aumentò un po' il passo, appena usciti dal giardino, per attraversare in fretta i suoi campi di pomodori ed arrivare finalmente alla festosa città. La piccola che quasi correva per stargli dietro, lo continuava a guardare quasi ipnoticamente, per capire cosa gli fosse successo. Sapeva benissimo anche lei che quel comportamente era tutt'altro che normale in lui.
« F-Fratellone, cosa succede? » gli chiese, un po' preoccupata.
Lo spagnolo si voltò appena, giusto per accennare un sorriso rassicurante. « Niente, mia piccola Adriana, voglio solo portarti ad una festa giù in paese. » Il volto della ragazza non era del tutto convinto, ma anche su quello vi fu dipinto un sorriso di felicità. « So che ti piacciono tanto. » e di fatti era vero, l'italiana scosse la testa in un si ed accellerò il passo per stare al pari con quello di Antonio. Quest'ultimo si fermò e la prese fra le sue braccia.
« T-Tonio, ma che fai? Ormai non sono più una poppante, posso benissimo camminare da sola. » replicò l'altra, un po' infastidita da quel gesto, ma chiaramente rossa in viso, tale da confondersi con i pomodori dei campi.
Pelle di bronzo rise euforicamente. « Fusososo~, solo per oggi, mi hermosa. » la persuase, provocando un lungo sospiro d'imbarazzo nella fanciulla. Ma poi... come potevasi dire di no al 'boss'? Il passo divenne più lento - o almeno così parve a lei - una volta che gli fu in braccio, oppure erano proprio i potenti arti dello spagnolo che la cullavano, fermavano il tempo e la facevano addormentare beatamente, mentre quei grandi occhi smeraldo la continuavano a fissare. Una canzoncina abbastanza ritmata prese ad uscire dalle labbra dell'uomo su cui si stava crogiolando. « Djobi, djoba... Cada dia te quiero mas. Ay niña, yo te encuentro solita por la calle. Yo me siento amorado, yo me siento triste solo... » cantò, intonato, la sua voce così passionale, come al solito, faceva stare a suo agio la piccola ragazzina, che oramai stava crescendo. Quella chiuse gli occhi, abbandonandosi alla canzone, mentre il cammino dello spagnolo la cullava, e questo la guardava, facendola sedere su un unico - ma forte - braccio ed accarezzandole la testa con l'altra mano, che accompagnò il capo della brunetta a posarsi sulla spalla del semplice cappotto del ragazzo, strinse le sue piccoli mani ad essa, come se fosse ritornata bambina, quando suo nonno la cullava così, o quelle volte in cui suo Zio Vaticano le pareva dolce; però quel contatto non sembrava dispiacere al moro. « Que lo me importa que lo distancia ya nos separe; yo me contento me retir y no me diga ay para guarja ja. » continuò affettuosamente, per cullarla. Non voleva cederla, non voleva darla a nessuno. Perchè aveva puntato proprio lei? Perchè si era fatto corrompere? Inoltre, ora Lovino l'avrebbe odiato ancora di più. Lui doveva cambiare, eppure non ci riusciva. Era uno stupido, forse aveva illuso questo piccolo angelo, aveva forse distrutto i sogni di tutti quelli vicino a lui. Eppure tra un po' non gli sarebbe rimasto più niente, se lo sentiva. Ridacchiò, fermando il paso. « Fusososo~ siamo arrivati. Che fai, ti addormenti? »
Giulietta riaprì gli occhi, quasi di soprassalto, stava così bene prima, si sarebbe addormentata molto volentieri. Nelle braccia dell'uomo sembrava piccola come un tempo, quando a farle il bagno doveva essere Spagna. Quando le sue pupille si posarono sul paesaggio che la circondava vide l'ingresso del peasello, brulicava di gente, grida gioiose provenivano dal suo interno, i bambini che correvano liberi, giocando, la gente suonava e ballava, sembrava di stare al circo.
« C-Che cos'è... questo? » domandò molto incuriosita la riccioluta.
« Questo, come hai dett tu, è Las Fallas di Valencia. Eppure non mi sembra che sia la prima volta che ti ci porto. » rispose lui, molto calmo ed allegro. Il suo sguardo, dal pesaggio si spostò alla piccola sorellina, la quale fece altrettanto con gli occhi.
« E' già... marzo? » chiese, quasi incredula. Un po' era triste, non si era accorta che era passato così tanto tempo. Quanti anni erano... quanti? Oramai le sembrava una vita il tempo che aveva passato con Tonio, e di fatto forse lo era. Eppure quell'inverno faceva anche abbastanza freddo, benchè fossero quasi in primavera. Com'era possibile? Forse perchè Antonio in quest'ultimo periodo non c'era quasi mai a casa, non portava più lui il sole, come una volta; era sempre fuori e più che altro stava assieme al fratellone Francia e... quel dannato damerino di Austria che aveva strappato da loro il suo caro ed amato fratello Veneziano.
L'altro non le rispose, ma fece solamente un cenno di consenso, per poi depositarla dolcemente a terra, evitando scatti bruschi per farla spaventare, visto che era una paurosa bastava il minimo per impaurirla e questo quasi tutti lo sapevano. Giulietta, appena a terra, afferrò immediatamente la mano di Spagna, facendo rimanere per un attimo perplesso il ragazzo; rossa in visa lo guardò, con i suoi grandi occhi neri simili a perle, lo spagnolo non potè far altro che addolcire il viso, del resto per Adriana ci voleva tanto coraggio per compiere un gesto del genere, inoltre non gli dispiaceva affatto. Si alzò e strinse ancor più la presa su quella manina che al confronto con la sua era così piccola; percorsero il viale principale della città, dove vi era concentrata maggiormente la festa, dove ti giravi e giravi vedevi solo bancarelle varie, roba da mangiare, bande allegre ed apriranti ballerini che, anche essendo principianti, agli occhi di lei parevano degli dei, muovendosi così velocemente ma allo stesso tempo in modo soave e leggero. Si bloccò a guardare qualche coppia, incantata dai loro passi. « Merengue. » commentò il ragazzo che le si trovava affianco, facendola girare immediatamente verso di lui. « Vuoi provare? » le propose sorridendo. Quella inghiottì e ritirando la testa rispose con debole 'si' all'altro, le sarebbe piaciuto veramente molto provare. Sollevandola la posò sulle proprie scarpe. « Per gli inizi stai qui. » L'altra non fiatò, ma dalla sua espressione era evidente che trasmetteva un certo disagio, oramai però così abituale che non ci si faceva più nemmeno caso. « Allora, si inizia facendo qualche passetto avanti e qualche indietro, un po' sul posto. » mostrò, naturalmente trasportandola, mentre teneva salde le mani alle sue; circa dopo tre volte ripetuta questo passo iniziò a rallentare, portando una gamba avanti e poggiando la pianta lievemente a terra, per poi subito ritirarla indietro e continuando così. « Mambo del Merengue. » spiegò, sperando che il termine le rimanesse in mente. La fece staccare da se e sollevandole un braccio la fece girare, per poi di nuovo ampliare le estremità della sua bocca in un sorriso divertito che mostrava i suoi denti perfettamente bianchi, in contrasto con la sua carnagione scura. « Olè, prova da sola. » Eppure, benchè fosse un po' banale, quella pargola si stava divertendo e non ebbe difficoltà a rispondere al ragazzo con un altrettanto ampio - e soprattutto felice - sorriso. I passi si ripeterono ancora, aggiungendo ogni volta qualcosa di nuovo, come un piccolo girotondo tenendosi sempre per mano, o il tentativo di Giulietta di far girare Antonio, cosa totalmente impossibile per lei, ma lo spagnolo per accontentarla si abbassò comunque e quasi a gattoni fece un piccolo giretto su se stesso, ridacchiando mentre l'italiana aveva voluto a tutti i costri compiere quell'ardua missione. Gli dispiaceva perchè, anche se erano passati anni, non gli sembrava che avesse donato a Giulietta tutto il tempo e l'amore possibile che invece avrebbe dovuto avere. Gli si spezzava il cuore a vedere quel grazioso e puro fiore che gli si presentava davanti, che in quel momento era allo scuro di tutto il male e l'inganno che le stava provocando. Ahimè oramai aveva firmato quel trattato e non poteva più nulla, non poteva più far tornare indietro la sua Giulietta e stringerla ancora fra le braccia come faceva un tempo. Presto o tardi avrebbe perso anche Romano, ma prima che quel giorno sarebbe arrivato anche l'altro ragazzo l'avrebbe iniziato ad odiare a morte, come se il loro rapporto non fosse già abbastanza conflittuale. Se ne stava rendendo conto: aveva perso.
Un po' immerso in questi pensieri infelici che lo affliggevano non poco, Adriana tirò a se quelle grandi mani, per convincere il fratello maggiore, per così dire, a muoversi ed andare con lei a mangiare. Oramai ci era abituato, anzi erano poche le volte in cui la centro italiana lo chiamava 'Antonio', avendo vissuto molti anni con lei ed avendola accudita fin da piccola era naturale che lo considerasse come un tutore, un fratello maggiore da cui prendere spunto. Ma avrebbe preferito che non l'avesse mai preso come punto di riferimento: stava per darle una grande delusione, inoltre in passato non aveva fatto altro che spargere sangue ovunque, perfino sulle sue colonie.
Trasportato dalla piccola compagna con cui si trovava, arrivò di fronte uno stand dove vendevano pannocchie. « Dù marrocch. » fece la piccoletta in un dialetto stretto della sua lingua, tutta convinta, formando una 'V' con due dita della mano con cui non teneva lo spagnolo.
Il venditore la guardò confuso e subito dopo lo stesso uomo dagli occhi verde intenso intervenì, per rimediare la figuraccia di quella che in precedenza aveva parlato. « Ah, una marzoca. » corresse lui, stavolta però solamente un dito era alzato, l'indice.
Le sopracciglia che si incurvavano, gli occhi che diventavano fessure, il muso che si storceva, mentre afferrava la pannocchia che il venditore le stava porgendo. Dopo averla osservata ed iniziata a mangiare nel bel mezzo del cammino che proseguiva per il resto della fiera, un dubbio molto ovvio sorse in lei. « Perchè ne hai ordinata solo una? » chiese, tutt'un tratto, ma la domanda non colse di sorpresa il nostro coltivatore di pomodori, anzi se lo aspettava.
Condusse Centro Italia su una panchina dove si sedettero entrambi, poi guardò la pannocchia della ragazzina di fianco a se e spiegò. « Ah, naturalmente perchè sennò non avrei mai potuto fare questo ». Si avvicinò con uno svelto scatto sul cibo e staccò qualche chicco di esso a morsi; l'altra divenne rossa tutta d'un colpo, ma guardando il suo sorriso che non cadeva mai, le venne automatico avvicinare la pannocchia alle labbra, di un colore più roseo rispetto al corpo, del fratello maggiore, che addentò quella prelibatezza che aveva praticamente sotto i denti e contemporaneamente, dall'altra parte, la stessa Gyu fece lo stesso, condividendo con lui il suo spuntino.
Antonio si voltò verso di lei, allungando le gambe sulla panchina e lei salì su di esse, mettendosi a cavalcioni per stare meglio. Gli ultimi chicchi si staccavano con le dita e li si conducevano alla fessura della così detta 'bocca' dell'altro, finchè non ne rimasero più e per continuare la loro 'festa', lo spagnolo non perse tempo e la trascinò verso uno stand lì di fronte.
« Ah, tiro al bersaglio. » commentò, soddisfatta. Se l'altro voleva cimentarsi in quel gioco voleva solamente dire una cosa: presto avrebbe ricevuto qualche premio, magari un peluche.
« Ah, stai a vedere mia hermanita, ricorda che il Boss è fuoco, passione! » esclamò tutto convinto, aprendo le braccia, per poi togliersi cappotto e camicia. Quello che fece rimanere di stucco Giulietta non era il fatto che si era spogliato quando tutti indossavano cappelli, guanti e chi più ne ha più ne metta, ma lo shock vero e proprio furono le cicatrici che riportava sul suo corpo, quelle che stavano a significare le varie battaglie che aveva combattuto in tutti questi secoli. Forse era stato un errore mostrargliele, alcune si potevano benissimo vedere, visto che non tutte erano coperte da bende e cerotti, i quali erano sparsi quà e là più o meno per quasi tutto il corpo, o il petto e la schiena, le uniche parti che ora vedeva. Non si ricordava il corpo di Spagna... così. Certo, le ferite ce le aveva sempre avute, ogni giorno ne riportava una e lei quand'era ancora più giovane gliele curava e disinfettava pure, la sera, prima di andare a letto, prima di andare nel suo letto e dormire assieme a lui perchè aveva avuto un incubo e Romano l'aveva sgridata in modo scorbutico dicendole in maniera poco educata di "non disturbarlo e di gentilmente uscire per non rompere la quiete che si era formata". Ora, però, quei tagli, quei graffi, erano aumentati ed anche in una maniera impressionante. La guardò afflitto e poi si rigirò subito, impugnando il fucile ad aria compressa che il negoziante gli aveva dato per sparare ai pomodori che vi erano posti sopra i vari scaffali, al posto delle solite lattine o bottiglie. Il modo in cui impugnava il fucile, con cui sparava quei dieci proiettili, non poteva essere solamente solo lo stile di un appassionato al tiro al bersaglio, bensì di un uomo che cose del genere le faceva tutti i giorni, magari per lavoro. Primo colpo: beccato. Secondo colpo: beccato. Terzo colpo: beccato. Quarto colpo: beccato. Quinto colpo: beccato. Sesto colpo: beccato. Settimo colpo: beccato. Ottavo colpo: beccato. Nono colpo: beccato. E... Decimo colpo: beccato. Il tintinnio del campanaccio del negoziante risuonò per la strada, richiamando l'attenzione di alcuni dei passanti. « Voglio... uhm.. » era pronto a scegliere il suo premio; chissà qual'era il suo trofeo nelle guerre. « ... Ah, facciamo quello! » indicò un orsacchiotto marroncino, abbastanza grande, con un grande fiocco rosso attorno al collo. Lo prese con delicatezza fra le sue braccia e lo depositò in quelle di Adriana, abbassandosi alla sua altezza. « Allora, mia piccola hermana, ti piace? » si rimise la maglietta e subito dopo il cappotto, un po' frettoloso nel coprire i segni impressi sul suo corpo color terra bruciata. « Fusososo~ come lo chiami? »
Guardò l'orsacchiotto per qualche istante, se lo sentiva che come premio avrebbe ricevuto un peluche, rialzò gli occhi verso l'uomo dinanzi a se. « Tu... come lo vorresti chiamare? » Non era la solita bimba che chiedeva il parere degli altri per far qualcosa, a meno che non fossero eccezioni speciali, ma aveva notato chiaramente che quel giorno qualcosa in Tonio non andava, era diverso dal solito, benchè volesse nasconderlo e la cosa preoccupava seriamente la piccola sorella.
Poi, come voleva chiamarlo lui? Beh, l'avrebbe chiamato 'nullità', l'aggettivo con cui si definiva meglio in quel momento, oppure 'manipolatore' per tutte le buon anime che aveva illuso... Si sentiva uno schifo, meno di zero. Ecco... 'Zero'. Quello, forse, era il nome perfetto per definirsi, perchè oramai stava proprio per rimanere senza niente, con le mani vuote, col cuore ed il corpo distrutto dagli anni passati a combattere. In fondo non aveva concluso nulla. Che senso aveva aver sprecato tutto questo tempo per poi alla fine lasciare tutto in sospeso e chiudere la partita con la sua sconfitta? « Ah, lo chiamerei 'Zero', vero che è un nome che intigra molto, eh? » commentò, cercando di distrarla dal segreto che nascondeva.
La sua euforia non aveva effetto sugli occhi impassibili della bambina. « Sai, fratellone... » iniziò il suo discorso molto seria, cosa che fece rimanere un po' in agitazione lo spagnolo. Quel giorno anche Adriana non era se stessa, diciamo, ma forse lui aveva scoperto a cos'era collegato questa sua trasformazione nel carattre, e non era di certo la crescita, lei... l'aveva capito, che in lui qualcosa non andava, lo si poteva sentire nel vento. « Non avrei mai creduto che... » Che cosa, Giulietta? Dillo e non far morire di paura il tuo povero 'hermanito', che aveva già tanti problemi allora. Si, forse aveva capito, forse ora glielo avrebbe detto chiaro e tondo in faccia, sarebbe scappata da se e l'avrebbe lasciato lì, si, perchè l'avrebbe odiato, ma andava bene così, era quello che si meritava. Doveva prometterlo, a lei e a se stesso, così non andava, doveva cambiare, doveva abbandonare la sua vita ed iniziarne una nuova. Aspettava solo che le morbide e carnose labbra di quella figura angelica si muovessero confessando un innata repulsione verso l'essere che era. Dillo, ora, ti prego. « Non mi piace. » Non mi piace. Queste furono le sue parole. Il moro che quasi si sarebbe voluto strappare i capelli ad uno ad uno per la tensione che aveva accomulato in precedenza, restò in un espressione perplessa e stupita a quella frase. Quindi... aveva frainteso tutto e non ci aveva capito nulla. Ah, bene, era solo un falso allarme, che però sconvolse quasi il povero Antonio, un po' deluso dalla risposta; ci aveva messo impegno, però, per trovare quel nome, eh. « Cioè, non avrei mai creduto che in questo genere di gusti facessi schifo, sai? » Come al solito Giulietta si faceva scappare troppe cose dalla bocca, ma alla fine lei era sincera, non era colpa sua se le sue opinioni che non sapeva tenere per se uscivano dalla bocca ferendo tutti con le sue parole sincere. Antonio le mise una mano sulla testa, accarezzandogliela e continuando a ridere, non se la poteva mica prendere con lei, in fondo. « Gyu~, si chiamerà... 'Rastatt', d'ora in poi!» affermò, in pratica aveva deciso tutto lei. Un po' aveva ripreso dal tutore, l'aspetto del suo carattere che la faceva essere inopportuna nei momenti peggiori.
Il signor occhi verdi inclinò la testa, dubbioso. « Ah, ma 'Rastatt'... non è una città tedesca? » In fondo, lui, che ne poteva sapere che quella domanda avrebbe provocato tanta ira nella pargola? « N-No, nient'affatto! Ti sbagli di grosso! » replicò lei, completamente color pomodoro, alterandosi un po'.
Ma, Antonio, sapeva come prenderla... e nel vero senso della parola in questo caso. Afferrandola per la vita la portò nella sue braccia. « Ah, Adriana, Adriana, sei tan linda. » furtivamente poggiò le sue grandi mani su quei piccoli seni invisibili, a quel tempo. « Un giorno queste cresceranno, il Boss se lo sente! » poggiò la sua testa sul capo riccioluto della ragazzina che stava palpando.
Questa, però, non prese la cosa di buon occhio, naturalmente. « Che. Cazzo. Fai? » gridò, scandendo bene le parole ed attirando l'attenzione dei passanti, un po' scioccati da quella scena. Beh, vabbè, alla fine Antonio era già considerato un po' un manico, quindi la cosa avrebbe solo peggiorato la sua situazione, niente di che. Forse più che altro lo scandalo era sentire parole del genere da una che non poteva essere considerata nemmeno una ragazzina.
« Fusososo~ che c'è di male, mia piccola Adriana? In fondo ero io che ti lavavo e vestivo in passa- » Ma, se qualsiasi persona fosse stata in Tonio, si sarebbe cucita la bocca prima di dire una cosa del genere. Poi, per giunta, proprio a lei che per questo genere se la prendeva a male ed anche molto. Ora, oltre che le cicatrici sul corpo, lo spagnolo avrebbe avuto anche il segno di quel peluche in piena faccia.
« Torniamo a casa. » ordinò lei, oramai di luna storta.
In effetti, doveva essere l'ora di tornare a casa, il sole, dietro le nubi, stava quasi per calare, facendo così dipingere il cielo di un arancione rosato. « Si, è ora di andare. » le diede ragione, mentre osservava il cielo. Caricò dietro le spalle l'italiana, per puro capriccio voleva toccarla finché non sarebbe arrivato il momento di dirle addio, parlando del più e del meno, di Rastatt e quella convinzione che aveva la brunetta sul fatto che l'uomo su cui era in groppa assomigliasse di aspetto al suo nuovo orsacchiotto, dei campi di pomodori che venivano coltivati dall'alba fino al tramonto, e della canzone che cantava prima... se poteva ricantargliela. Ed era al quanto ovvio che quegli intensi occhi così ipnotici non potevano non sciogliersi di fronte ad una richiesta del genere. Ay niña, yo te encuentro solita por la calle. Yo me siento amorado, yo me siento triste solo. Djobi, Djoba, cada dia te quiero mas. Djobi djobi, djobi djoba... Cada dia te quiero mas. Que lo me importa que lo distancia ya nos separe; yo me contento me retir y no me diga ay para guarja ja. Non era tanto per la canzone, che voleva riascoltarla ancora, ma per il suono della voce del maggiore, così travolgente che chiunque avrebbe potuto restare ad ascoltarlo per ore ed ore senza mai stancarsi.
Il cammino cambiò appena le gambe dell'uomo su cui era in spalle si diressero verso una delle piante di pomodori che rimpivano quasi tutto il territorio visibile da quella visuale, ne staccò uno, lo strofinò per bene sulla giacca e poi lo porse alla brunetta dietro di se, che lo accettò volentieri. Lo guardò intensamente, osservandone i colori, quelle sfumature che dal rosso passavano al verde. « Come prima. » lo allungò verso il volto dell'altro.
E che poteva fare contro di lei? Poteva solamente limitarsi a sorridere ed obbedire, tanto contraddirla saebbe stato comunque inutile. « Come prima. » morse quel cerchio rosso dal gusto succoso, lasciando l'impronta dei suoi denti pefetti su di esso. Desiderare, ora, che quello in realtà fosse la mela avvelenata di Biancaneve, era abbastanza normale per un momento del genere. I minuti passavano accorciando sempre più la giornata, ovvero il tempo che rimaneva a loro per passare gli ultimi momenti che avrebbero trascorso insieme. Morso per morso, la lancetta dei secondi accellerava sempre più. Fermate il tempo, ve ne prego.
Sdraiarsi sul giardino di fronte casa, distesi su quel campo di fiori che combatteva contro il gelo. « Cosa c'è che non va, Tonio? » gli chiese, mettendosi seduta sulle proprie ginocchia, guardandolo dall'alto in basso.
« Cosa non dovrebbe andare, niña? » fece il finto tonto lui, ma non era bravo a mentire, non era mai stato bravo a reprimere i suoi sentimenti, in fondo era sempre stato caloroso ed espansivo con tutti, diceva ogni cosa che gli passava per la testa senza troppi indugi.
Chiuse gli occhi, sospirando. « Perchè quando sei triste il sole va via. » E non aveva tutti i torti. Lì, in Spagna, c'era quasi sempre il sole perchè il sorriso stampato sul volto di Antonio non si spegneva mai. Lui era il Sole della Spagna, nessun'altro. Se le estremità delle sue labbra si fossero piegare all'ingiù, anche quella stella infuocata se ne sarebbe andata via, non illuminandò più di quella luce così calda la nazione della passione.
Accarezzandole delicatamete i capelli, il moro si alzò a mezzo busto e poi si posizionò con un ginocchio alzato e l'altro a terra, verso l'italiana. « Facciamo un gioco. » cambiò totalmente discorso, afferrando con delicatezza una delle piccole mani della pequeña e con un gesto della sua grande mano, alzò erette tutte le dita di essa. « Abassa tre dita. » Centro Italia avrebbe voluto tanto rispondergli male facendogli finalmente mettere la testa a posto e tirandogli fuori tutta la verità, però forse lui non gliel'avrebbe mai detta... la realtà di come stavano le cose. Così, abbassò il pollice, l'anulare ed il mignolo, formando con le dita restanti una 'V', che stava a significare 'vittoria'; appena se ne accorse gioì e le mostrò al maggiore. Sorridendo, proseguì con le regole del gioco. « Lo feo, lo feo, lo feo gardèn. Lo feo, lo feo, lo feo sèdèn. Ripetilo ben due volte. » Il motivo per cui aveva voluto fare quel gioco stupido ed insulso nemmeno lei lo sapeva, guardava solamente confusa il mondo, da quelle perle nere depositate sul viso, così innocente ed infantile. Ubbidì a quegli ordini, ripetendo per due volte quella piccola canzoncina passando l'indice dell'altra mano sulle due dita che aveva scelto di far rimanere. Indice, medio, indice, medio, indice, medio, indice, medio, indice, medio, indice, medio, indice, medio, indice, me-. Le dita calde ed affusolate dello spagnolo strinsero fra di esse quelle della ricciolina, schioccando su di esse un tenero bacio. Doveva aspettarselo, il dito stava per capitare sul medio alla fine della canzoncina. « Va bene così. » Si autoconvinse, mentre delle calde gocce d'acqua fuoriuscivano dalle spendide iridi di Antonio, facendo si che gli rigassero il viso, mentre le sottili labbra prendevano una piega all'insù. Il medio significava che Giulietta l'avrebbe odiato, mentre l'indice stava ad indicare che lui era nato apposta per proteggerla. Ma quest'ultima, sapeva bene, che era impossibile.
Le pupille si sgranarono alla vista di quelle lacrime da parte di quegli occhi così verdi, che l'avevano sempre inondata di gioia. « Fratellone... perchè piangi? » domandò, a bocca aperta. Ora la sua mente era andata totalmente in confusione, ricordando momento per momento ogni singolo istante passato assieme in quella giornata, che sembrò così allegra da parte di entrambi, quella compagnia che non si sarebbe potuta sostituire.
Una mano spostò la frangetta bruna di lato. Chiuse in una fessura, le candide labbra di Antonio lasciarono impresso uno stampo sulla fronte italiana, facendo rimanere ancora più perplessa quella, mentre una lacrima scese giù velocemente, percorrendo tutta la guancia color terra ed andando a finire proprio su quella della piccola 'margheritina', dove ora una gocciolina d'acqua bagnava la sua pelle delicata. Quel contatto caldo provocò quasi una reazione nel piccolo corpo della ragazza dai grandi boccoli, che ora era contrastata da quel tocco bollente e dall'aria gelida che emanava quella giornata. Fermando quel contatto fronte-bocca, lo spagnolo porse il tenero orsacchiotto che le aveva regalato quel giorno, forse l'unico ricordo che avrebbe tenuto di se l'italiana. La guardò negli occhi, addolcendo il suo sguardo affettuoso nei suoi confronti e col dorso di una mano le asciugò la parte di carne che lui stesso aveva bagnato involontariamente. « Me haces el hombre mas feliz del mundo, Adriana. » E lasciandola lì, in quel grande giardino, così freddo senza lui che la teneva vicino a se, l'uomo del sole si alzò, voltandosi e rientrando a fatica in casa, come se non volesse abbandonarla. Il portone della villa Carriedo si chiuse di fronte alle sue iridi.
Strinse con tutte le sue forze l'orsetto di peluche al suo petto, quasi volesse affondarvici dentro il viso.
« Giulietta. » un ombra familiare la chiamò dietro di se, facendola voltare di scatto. « Mon petit chéri, devi venire con noi. » le annunciò, con voce delicata ed innocua, la bionda e folta chioma che vide non appena si girò. Suo fratello maggiore Françis e... quel damerino aristrocratico di Roderich.
Un boato provenì dall'interno di quella villa, costringendo di nuovo la ragazzina a voltarsi, un po' impaurita e confusa su cosa stava accadendo. Ah, ora aveva capito, suo fratello maggiore l'aveva lasciata al suo destino, l'aveva abbandonata e 'regalata' a loro. Una mano, con tocco lieve, l'alzò da quel prato, prendendole una mano, e trascinandola via con se.
Poteva solo stringere Rastatt fra le sue braccia ed imitare Antonio: piangere in silenzio e fuggire. Ma sebbene quell'uomo le avesse mentito per tutto il tempo, non poteva avere rancore contro di lui, visto che i ricordi che ora avrebbe conservato in lei sarebbero stati più forti dell'odio che non avrebbe mai potuto provare contro di lui.


 
6 marzo 1714 ~ Pace di Rastatt
 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: pandamito