Il Dubbio…
Hermione era
seduta sulla sua poltrona preferita, davanti al camino della Sala Comune, con
un grande libro sulle gambe. La neve che scendeva lenta e silenziosa e che
ricopriva di un soffice manto bianco il paesaggio fuori dalla finestra era stato una grande stimolo a rifugiarsi al caldo.
Molti
studenti avevano deciso di uscire all’aperto, dando vita
ad agguerrite battaglie sulla neve o preferendo usufruire della superficie
ghiacciata del lago, ideale per pattinare. I compiti potevano aspettare: era
venerdì, l’ultimo giorno di lezione della settimana che non sarebbero riprese
prima di lunedì. C’era tempo per completarli.
Naturalmente
Hermione non era di quest’avviso.
Come sua
abitudine aveva già completato i compiti per tutta la settimana successiva e,
una volta terminato il lavoro, aveva lasciato l’amata ma fredda biblioteca di
Hogwarts per rifugiarsi nella più calda Sala Comune di Grifondoro.
Cercò di
ritrovare il rigo che stava leggendo, ma la sua mente si perse ancora una volta
in altri pensieri.
Era passato
quasi un anno dalla fine della guerra, da quando Harry era riuscito a fermare
il mago oscuro più potente mai esistito. La festa per la fine di quel periodo
di terrore durò a lungo… ed anche il dolore per la perdita di tutte le persone
uccise. A dir la verità molti non lo avevano ancora
superato.
I lavori per
la ricostruzione di Hogwarts erano cominciati circa dieci giorni dopo; qualcuno
poteva pensare che fosse troppo presto… quasi come se, in qualche modo, si
mancasse di rispetto ai caduti, al dolore dei vivi e dei sopravvissuti; molti,
invece, si unirono ai lavori, convinti che questo potesse essere il simbolo
della rinascita, della ripresa.
Il primo di
Settembre la scuola era pronta ad accogliere nuovamente tutti gli studenti,
compresi coloro che l’anno precedente non hanno potuto frequentare le lezioni a
causa della politica del Ministero sotto il controllo di Voldemort.
Hermione
credeva che sarebbe tornata solamente lei.
Era certa
che Harry sarebbe rimasto a Londra, prendendo parte al corso per diventare
Auror, nonostante non avesse terminato gli studi: l’impresa che aveva compiuto
era migliore di qualsiasi altra credenziale.
Non credeva
nemmeno al ritorno di Ginny e Ron; per loro era decisamente
più difficile dopo aver perso un fratello, il dolore e la tristezza si erano
impadroniti della Tana. La signora Weasley, come tutti, aveva pianto molto la
scomparsa di Fred, ma erano una famiglia forte e unita: il dolore,
probabilmente, non se ne sarebbe mai andato del tutto, ma con l’aiuto di tutti,
forse, si sarebbe almeno attenuato.
E ora era
lì, di nuovo a Hogwarts, con le tre persone a cui
voleva più bene al mondo: Harry, Ginny e Ron.
Ron.
Le guancie
di Hermione si arrossarono ripensando al bacio che si erano scambiati durante
la battaglia. Era stato il primo, a cui ne erano
seguiti molti altri, sebbene abbia dovuto aspettare parecchio tempo per il
secondo, nonostante non gliene facesse una colpa. Era più importante restargli
accanto, dargli il proprio appoggio, aspettando che tornasse a essere il suo Ron.
I suoi
pensieri furono interrotti dal rumore del ritratto della signora Grassa che si
apriva. La voce di Ginny anticipò la sua entrata. «La prossima volta che decidi
di fare allenamento durante una nevicata ti schianto, Harry!».
«Eddai
Ginny» disse Harry, quasi correndo dietro la rossa e lanciando uno sguardo
d’aiuto a Hermione. Ginny mantenne la sua espressione offesa ma la riccia
vedeva un sorrisetto divertito, nascosto alla vista di Harry.
«Dobbiamo
allenarci se vogliamo vincere ancora la coppa» aggiunse Harry.
«Non serve a
niente se rimaniamo ghiacciati sulle scope».
Harry si
passò una mano fra i capelli, sospirando. «E va bene,
mi dispiace. Puoi perdonarmi?»
«Non lo so
signor Potter» fece altezzosa Ginny.
Harry
sorrise, prendendola dolcemente per un braccio e facendola voltare. Le
accarezzò una guancia. «Non lo faccio più, lo prometto».
«Oh… e va bene» Ginny gli diede un leggero bacio sulle labbra. «Perdonato».
Qualcuno
tossicchiò alle loro spalle. «Perché non andate da qualche altra parte?».
Hermione
ridacchiò vedendo l’espressione fintamente seccata di Ron, entrato poco prima:
sapeva bene che Ron aveva accettato da tempo la
relazione tra sua sorella e il suo migliore amico. Ne avevano bisogno entrambi,
anche lui lo sapeva… ma non poteva certo lasciare il suo ruolo da fratello
iper-protettivo.
Ginny alzò
gli occhi al cielo. «Sei sempre il solito» prese per
mano Harry e lo trascinò verso l’uscita. «Ce ne andiamo, contento?» e sparì
lasciando a Harry solo il tempo di sillabare un “ci vediamo dopo”.
«Quella
ragazza mi farà diventare matto». Si tolse il mantello, posandolo su di una
sedia. Ron si lasciò cadere sulla poltrona accanto a quella occupata da
Hermione, chiuse gli occhi e abbandonò la testa all’indietro, restando in
silenzio.
Hermione rimase
a osservarlo, rapita: da quando si era scoperta innamorata di Ron era una cosa che aveva fatto spesso, senza che lui se ne
accorgesse. Il ragazzino allampato e magrolino se n’era andato: il volto che
stava osservando era di una persona matura, cresciuta, ma gli occhi blu erano
sempre gli stessi di cui si era innamorata, i capelli rossi leggermente lunghi,
il fisico tonico e asciutto.
Ron riaprì
gli occhi all’improvviso, sorprendendo Hermione. «Cosa c’è?»
«Niente»
rispose frettolosamente la ragazza mentre arrossiva.
Ron inarcò
un sopracciglio. «Sei rimasta qui tutto il tempo da sola?»
Hermione
scosse la testa. «Ero in biblioteca, cercavo di portarmi avanti con i compiti».
«Certo» fece
Ron con un sorriso. «Avrei dovuto immaginarlo».
Hermione
roteò gli occhi, ma sorrideva. Superando il precedente imbarazzo allungò la
mano, prendendo quella di Ron e intrecciando le dita. Aveva scoperto come la
sua mano, piccola, stava bene in quella di Ron: la mano del ragazzo era grande
e calda e ogni volta che la stringeva si sentiva al
sicuro.
Stava
nuovamente per parlare quando notò lo sguardo di Ron: era puntato sulle loro
mani ma non sembrava felice, non era sereno.
Hermione
trattenne il fiato: aveva cercato di non pensarci, di credere che fosse solo un
momento passeggero, ma non era più così. Da quasi un mese si era accorta di questo atteggiamento da parte di Ron; a volte sembrava
distante, perso nei suoi pensieri, anche quando erano insieme. Teneva la fronte
corrucciata, come se trovasse quel contato… sbagliato. Gli occhi di Ron non
erano mai caldi in quei momenti: Hermione non riusciva a capire cosa si
agitasse dentro Ron ma sembrava che provasse… disagio, angoscia, paura… ed
anche rabbia.
E non sapeva
se quella rabbia era rivolta verso di lei.
«Ron»
sussurrò Hermione ed il ragazzo parve risvegliarsi.
Sbatté le palpebre, posando lo sguardo su Hermione; non aveva ripreso il
sorriso. Sciolse la stretta con la mano di Hermione, che si sentì persa.
«Sono
stanco» annunciò Ron alzandosi dalla poltrona. Tenne lo sguardo fisso sul
camino acceso prima di voltarsi verso di lei. «Vado a dormire» si abbassò per
baciarla, ma all’ultimo sembrò ripensarci. Le baciò una guancia. «Buonanotte».
E se ne
andò, lasciando la povera Hermione ancora sulla poltrona, triste e confusa.
**
Il giorno
dopo Hermione era tornata in biblioteca; ufficialmente avrebbe dovuto terminare
una tesi aggiuntiva sui Dissennatori da consegnare al professore di Difesa
contro le Arti Oscure. In realtà le serviva un posto tranquillo per pensare.
Il
comportamento di Ron la lasciava confusa. Quando erano
assieme a Harry e Ginny il giovane Weasley si comportava normalmente:
scherzava, chiacchierava, si lamentava delle lezioni o dei troppi compiti… era
il solito Ron. Ma quando si ritrovavano da soli ecco
che tornava quello sguardo, lo stesso della sera precedente.
In un
momento di confusione ed irritazione totale, Hermione
era arrivata addirittura a pensare che Ron si era stufato di lei, che aveva
trovato un’altra… forse ancora Lavanda… e il disagio che trasmettevano i suoi
occhi era solo dovuto al fatto che non riusciva più ad avere certi
atteggiamenti con lei, a manifestare
quell’affetto che solo pochi mesi prima erano una cosa naturale.
Subito dopo
aver pensato tutto ciò Hermione si diede della
stupida: forse il motivo non era lei, non era quello che Ron provava nei suoi
confronti: forse era dovuto al dolore che Ron non era riuscito ancora a
superare.
Molte volte,
finita la lezione, Hermione percorreva i corridoi della scuola in cerca del
ragazzo; lo aveva quasi sempre ritrovato davanti alla
grande lapide di marmo bianco costruita vicino alle rive del Lago. A caratteri
dorati erano incisi i nomi di coloro che erano caduti
in battaglia, morti per difendere il mondo. Aveva trovato Ron che fissava il
nome di Fred, gli occhi lucidi. Quando lo raggiungeva
si limitava a stargli accanto, prendergli la mano, rimanendo in silenzio ma
cercando di fargli sentire tutto il suo sostegno.
E Ron
ricambiava sempre quella stretta.
Si passò una
mano fra i capelli, sbuffando. Non poteva continuare a scervellarsi in questo
modo: l’unica maniera per risolvere la situazione era parlare. Ci voleva il
giusto approccio, sapeva che Ron si sarebbe chiuso in se stesso se si sentiva
“minacciato”. Raccolse le sue cose, le infilò nella borsa ed
uscì, con l’obiettivo minimo di trovarlo.
Percorrendo
i corridoi si ritrovò al primo piano. Stava svoltando in un altro corridoio
quando una voce familiare la raggiunse oltre l’angolo.
«Ne ho
davvero bisogno, professoressa» stava dicendo Ron.
Facendo il
meno rumore possibile, sporgendosi quel tanto che bastava,
Hermione vide Ron fermo nel corridoio deserto, fatta eccezione per la
professoressa McGranitt.
«La prego»
aggiunse Ron.
«D’accordo
Signor Weasley» Hermione vide l’anziana strega accennare un sorriso. «Venga con
me, le mostrerò cosa deve fare».
Rispondendo
al sorriso, Ron seguì la McGranitt senza accorgersi di Hermione, rimasta ferma
oltre l’angolo, sempre più confusa.
**
«Quello
sconsiderato di un fratello, sempre a creare disastri»
Hermione
sorrise: sapeva che Ginny voleva tirarle su il morale
ma sapeva anche che la rossa era preoccupata.
Dopo che Ron
si era allontanato con la McGranitt, Hermione era andata in cerca di Harry e
Ginny: doveva parlare con loro, doveva condividere con
loro quello che provava, quello che aveva sentito. Passò il resto del
pomeriggio in Sala Comune, assieme ai suoi due amici, mettendoli
al corrente del comportamento di Ron.
«Sicuro di
non aver notato niente?» chiese Hermione ad un certo
punto del racconto.
Harry scosse
la testa. «Mi spiace Hermione. Quando è con me non ha di questi atteggiamenti. Non ho notato nessun
cambiamento oppure è bravo a nasconderlo».
Anche Ginny
scosse la testa. «Anche quando siamo tutti insieme si
comporta normalmente». Guardò l’amica, dubbiosa.«Sei…
sei sicura che non avete litigato? Forse è offeso per qualcosa».
Hermione
negò col capo. «Non è successo niente Ginny. Non
abbiamo litigato. Anzi… a dirla tutta è tanto che non litighiamo». Lo sguardo della riccia s’intristì. «Ha dei problemi» la
voce le si stava spezzando. «Ha dei problemi e io non me ne sono accorta. Che razza di persona sono».
Ginny le si sedette accanto, abbracciandola. «Non
sentirti in colpa. Se ha qualche problema neanche noi
non ce ne siamo accorti». Harry annuì in conferma. «E’
un testardo. Magari penserà che deve risolvere questa
faccenda da solo… qualunque cosa sia».
Hermione
rimase in silenzio qualche istante prima di buttare fuori i suoi pensieri.
«Forse non mi vuole più».
«Cosa!?!»
La riccia si
morse un labbro, cercando di ricacciare indietro le lacrime. «Forse ha trovato
un’altra e si sente a disagio quando siamo insieme».
«Non dire
fesserie Hermione». Ginny sembrava arrabbiata. «Ron può avere tanti difetti,
può essere testardo, impulsivo, ottuso… ma ti ama, di questo
ne sono sicura».
Harry le
mise una mano sulla spalla per consolarla.
«Allora cosa
gli succede?» chiese quasi disperata Hermione.
Un attimo
dopo il buco del ritratto si aprì: Ron entrò, il volto più pallido del solito.
Rimase piuttosto sorpreso nel vedere i tre ragazzi puntare lo sguardo su di
lui.
Prima che
potesse dire qualche cosa Ginny si fiondò su di lui.
«Che cosa stai combinando?» gli chiese, con le mani posate sui fianchi in stile
mamma-Weasley. «Stai facendo preoccupare tutti quanti
col tuo atteggiamento, specialmente Hermione».
Ron posò lo
sguardo su Hermione che, a sua volta, aveva alzato lo sguardo su di lui: il
ragazzo provò una fitta allo stomaco vedendo gli occhi arrossati di Hermione.
Ancora una volta Hermione vide lo sguardo di Ron farsi triste, addolorato.
Anche Ginny
rimase un momento sorpresa da quel cambiamento. Cominciava a preoccuparsi
seriamente anche lei
Il ragazzo
fece un passo avanti, verso Hermione. Allungò la mano. «Verresti con me?»
Hermione si
asciugò gli occhi. Era forse venuto il momento dei chiarimenti? Era il momento
in cui Ron le avrebbe detto cosa gli era successo? L’avrebbe lasciata? Le
avrebbe detto che si era stufata di lei?
Ron si inginocchiò davanti a lei, che trasalì non
aspettandoselo. «Per favore» aggiunse Ron con un tono che ad
Hermione pareva di supplica. Non poteva certo far finta di niente. Gli fece un
piccolo sorriso, prendendogli la mano.
Si alzarono
sotto lo sguardo perplesso di Harry e Ginny. Ron si voltò un momento verso di
loro. «Ci vediamo dopo» ed uscì dalla Sala Comune seguito
da Hermione.
Durante il
tragitto non parlarono: sembrava che entrambi fossero troppo imbarazzati o
avessero troppa paura per parlare. Continuavano a camminare tenendosi per mano,
l’unico contatto a cui entrambi si aggrappavano in
quel momento.
Hermione si
accorse dopo un po’ di percorrere il corridoio che portava all’ufficio della
preside. Questa non se l’aspettava.
«Pallini acidi» mormorò
Ron e il gargoyle di pietra scartò di lato, lasciando libera la via. Salirono
le scale a chiocciola fino a trovarsi davanti ad una porta. Ron bussò.
La voce
della professoressa arrivò attutita. «Avanti».
Entrò
seguendo Ron. L’ufficio era colmo di oggetti strani che riempivano i tavoli
presenti: alcuni sbuffavano, altri roteavano, altri vibravano ma in tutta
quella confusione c’era qualcosa di rilassante, familiare. Forse era l’idea che
quegli oggetti erano appartenuti al professor Silente a trasmettere una sorta
di tranquillità. La McGranitt non aveva voluto disfarsene,
limitandosi invece ad aggiungere diversi libri.
Era seduta
dietro la scrivania, l’attenzione rivolta ad un foglio
di pergamena dall’aria importante – erano visibili alcuni timbri del Ministero
– gli occhiali posati sul naso. Ripose la piuma accanto al calamaio, richiuse
la pergamena e finalmente alzò gli occhi, chiari e gentili, su di loro.
«Buonasera Signor Weasley. Signorina Granger».
«Professoressa»
rispose educatamente Hermione, mentre Ron fece solo un cenno col capo.
La McGranitt
si alzò facendo il giro della scrivania, avvicinandosi ai due giovani. «Come
d’accordo, signor Weasley, avrà l’ufficio libero per le prossime due ore».
«Grazie».
«Quando avrà
finito la prego di risistemare ciò che userà». Infilò
una mano sotto la veste: sotto gli occhi confusi di Hermione estrasse una
piccola fiala vuota. «Questa potrebbe servirle» e la consegnò a Ron.
Si avviò
verso l’uscita, richiudendosi la porta alle spalle e lasciando i due ragazzi
soli.
Nel silenzio
che seguì Hermione fece viaggiare lo sguardo sui
ritratti appesi alle pareti. Con un tuffo al cuore intercettò uno sguardo
cristallino dietro ad un paio di occhiali a mezzaluna. Seduto su di una
poltrona, Silente li osservava con il suo sguardo sereno, un piccolo sorriso
seminascosto dalla lunga barba bianca.
«Buonasera
ragazzi».
«Salve professor Silente».
«A quanto
vedo è il momento per i chiarimenti» fece l’occhiolino ad
Hermione e la ragazza si chiese come facesse sempre a sapere tutto. Vide
Silente alzarsi dalla poltrona. «Credo che farò visita
al mio amico Gifford Abbot, al terzo piano. Mi deve ancora una rivincita a spara schiocco» e con un’ultima occhiata allusiva sparì
oltre il bordo del ritratto.
Ora erano
soli.
Hermione
puntò lo sguardo su Ron che non aveva preso parte al piccolo scambio di battute
con Silente. Era arrivato lentamente fino alla scrivania, appoggiandosi con le
mani al legno scuro come se stesse facendo molta fatica: le dava ancora le
spalle.
Hermione
stava diventando sempre più tesa, consapevole e allo stesso tempo impaurita del
momento in cui sarebbe venuta a conoscenza della
verità.
«Mi
dispiace» cominciò Ron facendo trasalire Hermione. La sua voce era roca, bassa.
«Mi dispiace di essermi comportato in maniera strana in questo
ultimo periodo. So che te ne sei accorta e che ti ho fatto soffrire, ma
credimi: tu non c’entri niente, il vero problema sono io».
Hermione
rimase qualche attimo a riflettere sulle parole di Ron: anche lui era teso, lo si poteva capire dal tono della voce e dalla postura
rigida. La tensione di entrambi vibrava nell’aria.
«E pensare
che ho creduto che tu volessi lasciarmi» se ne uscì
Hermione, con una risatina isterica. Aveva lasciato che quel pensiero uscisse,
sia per tranquillizzarsi, sia per smorzare la tensione.
Quando Ron
si voltò, però, il sorriso le morì sulle labbra: lo sguardo del ragazzo era
ancora pieno d’ansia, timore… colpa. «Non potrei mai lasciarti, Hermione» e la
serietà che usò Ron colpì Hermione. «Ho già commesso
questo errore troppe volte. Non voglio separarmi da te… non posso separarmi
da te».
Una lacrima
malandrina scivolò lungo la guancia senza che Hermione potesse impedirlo. Ron le si avvicinò, allungando la mano e raccogliendola. «Mi
dispiace» ripetè Ron come se queste due semplici
parole potessero in qualche modo alleviare il dolore che sentiva.
Hermione gli
prese una mano. «Ron, ti prego dimmi cosa ti succede».
Ron la
guardò timoroso. «E’ difficile… per me…»
«Ti prego»
disse ancora Hermione, posando una mano sulla guancia del ragazzo in modo da
incontrare ancora il suo sguardo. «Lascia che ti aiuti».
Ron chiuse
gli occhi. Impiegò alcuni istanti prima di parlare. «Ho bisogno.. ho bisogno che tu sappia… che tu capisca… perché mi
comporto in questo modo…»
«Ti ascolto»
Scosse la
testa. «Non… lo sai, non sono mai stato bravo con le parole…». Prese la fiala
che gli aveva consegnato la McGranitt e la aprì; estrasse la bacchetta
puntandosela alla tempia. Borbottando una formula, allontanò la punta della
bacchetta ma a questa rimase attaccata una sorta di filo argentato. La calò
dentro la fiala prima di richiuderla.
Lanciò
un’occhiata ad Hermione che osservava attenta i suoi
movimenti: era un ricordo, lo aveva capito, e l’azione successiva era scontata.
Ron si avvicinò ad un armadio; aprì le ante e un
altare su cui si posava un bacile di pietra scivolò verso di loro.
«Dovrai
vederlo tu stessa». Ron fece scivolare il ricordo nel Pensatoio. Si voltò verso
Hermione. «Da sola».
Hermione si
avvicinò al Pensatoio: era la prima volta che lo vedeva da vicino e doveva
ammettere con se stessa che provava qualcosa a metà tra la riverenza e il
timore.
Ma quello era il modo in cui Ron la stava
rendendo partecipe dei suoi pensieri: era quello il mezzo usato da Ron per
permetterle di chiarire i suoi dubbi.
Fece un
piccolo sorriso a Ron prima di chinarsi e infrangere la superficie col viso.
Un attimo
dopo venne risucchiata all’interno.