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Autore: pk82    02/01/2011    12 recensioni
«Dovrai vederlo tu stessa». Ron fece scivolare il ricordo nel Pensatoio. Si voltò verso Hermione. «Da sola».
Hermione si avvicinò al Pensatoio: era la prima volta che lo vedeva da vicino e doveva ammettere con se stessa che provava qualcosa a metà tra la riverenza e il timore.
Ma quello era il modo in cui Ron la stava rendendo partecipe dei suoi pensieri: era quello il mezzo usato da Ron per permetterle di chiarire i suoi dubbi.
Fece un piccolo sorriso a Ron prima di chinarsi e infrangere la superficie col viso.
Un attimo dopo venne risucchiata all’interno.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Il Dubbio…

Il Dubbio…

 

 

Hermione era seduta sulla sua poltrona preferita, davanti al camino della Sala Comune, con un grande libro sulle gambe. La neve che scendeva lenta e silenziosa e che ricopriva di un soffice manto bianco il paesaggio fuori dalla finestra era stato una grande stimolo a rifugiarsi al caldo.

Molti studenti avevano deciso di uscire all’aperto, dando vita ad agguerrite battaglie sulla neve o preferendo usufruire della superficie ghiacciata del lago, ideale per pattinare. I compiti potevano aspettare: era venerdì, l’ultimo giorno di lezione della settimana che non sarebbero riprese prima di lunedì. C’era tempo per completarli.

Naturalmente Hermione non era di quest’avviso.

Come sua abitudine aveva già completato i compiti per tutta la settimana successiva e, una volta terminato il lavoro, aveva lasciato l’amata ma fredda biblioteca di Hogwarts per rifugiarsi nella più calda Sala Comune di Grifondoro.

Cercò di ritrovare il rigo che stava leggendo, ma la sua mente si perse ancora una volta in altri pensieri.

Era passato quasi un anno dalla fine della guerra, da quando Harry era riuscito a fermare il mago oscuro più potente mai esistito. La festa per la fine di quel periodo di terrore durò a lungo… ed anche il dolore per la perdita di tutte le persone uccise. A dir la verità molti non lo avevano ancora superato.

I lavori per la ricostruzione di Hogwarts erano cominciati circa dieci giorni dopo; qualcuno poteva pensare che fosse troppo presto… quasi come se, in qualche modo, si mancasse di rispetto ai caduti, al dolore dei vivi e dei sopravvissuti; molti, invece, si unirono ai lavori, convinti che questo potesse essere il simbolo della rinascita, della ripresa.

Il primo di Settembre la scuola era pronta ad accogliere nuovamente tutti gli studenti, compresi coloro che l’anno precedente non hanno potuto frequentare le lezioni a causa della politica del Ministero sotto il controllo di Voldemort.

Hermione credeva che sarebbe tornata solamente lei.

Era certa che Harry sarebbe rimasto a Londra, prendendo parte al corso per diventare Auror, nonostante non avesse terminato gli studi: l’impresa che aveva compiuto era migliore di qualsiasi altra credenziale.

Non credeva nemmeno al ritorno di Ginny e Ron; per loro era decisamente più difficile dopo aver perso un fratello, il dolore e la tristezza si erano impadroniti della Tana. La signora Weasley, come tutti, aveva pianto molto la scomparsa di Fred, ma erano una famiglia forte e unita: il dolore, probabilmente, non se ne sarebbe mai andato del tutto, ma con l’aiuto di tutti, forse, si sarebbe almeno attenuato.

E ora era lì, di nuovo a Hogwarts, con le tre persone a cui voleva più bene al mondo: Harry, Ginny e Ron.

Ron.

Le guancie di Hermione si arrossarono ripensando al bacio che si erano scambiati durante la battaglia. Era stato il primo, a cui ne erano seguiti molti altri, sebbene abbia dovuto aspettare parecchio tempo per il secondo, nonostante non gliene facesse una colpa. Era più importante restargli accanto, dargli il proprio appoggio, aspettando che tornasse a essere il suo Ron.

I suoi pensieri furono interrotti dal rumore del ritratto della signora Grassa che si apriva. La voce di Ginny anticipò la sua entrata. «La prossima volta che decidi di fare allenamento durante una nevicata ti schianto, Harry!».

«Eddai Ginny» disse Harry, quasi correndo dietro la rossa e lanciando uno sguardo d’aiuto a Hermione. Ginny mantenne la sua espressione offesa ma la riccia vedeva un sorrisetto divertito, nascosto alla vista di Harry.

«Dobbiamo allenarci se vogliamo vincere ancora la coppa» aggiunse Harry.

«Non serve a niente se rimaniamo ghiacciati sulle scope».

Harry si passò una mano fra i capelli, sospirando. «E va bene, mi dispiace. Puoi perdonarmi?»

«Non lo so signor Potter» fece altezzosa Ginny.

Harry sorrise, prendendola dolcemente per un braccio e facendola voltare. Le accarezzò una guancia. «Non lo faccio più, lo prometto».

«Oh… e va bene» Ginny gli diede un leggero bacio sulle labbra. «Perdonato».

Qualcuno tossicchiò alle loro spalle. «Perché non andate da qualche altra parte?».

Hermione ridacchiò vedendo l’espressione fintamente seccata di Ron, entrato poco prima: sapeva bene che Ron aveva accettato da tempo la relazione tra sua sorella e il suo migliore amico. Ne avevano bisogno entrambi, anche lui lo sapeva… ma non poteva certo lasciare il suo ruolo da fratello iper-protettivo.

Ginny alzò gli occhi al cielo. «Sei sempre il solito» prese per mano Harry e lo trascinò verso l’uscita. «Ce ne andiamo, contento?» e sparì lasciando a Harry solo il tempo di sillabare un “ci vediamo dopo”.

«Quella ragazza mi farà diventare matto». Si tolse il mantello, posandolo su di una sedia. Ron si lasciò cadere sulla poltrona accanto a quella occupata da Hermione, chiuse gli occhi e abbandonò la testa all’indietro, restando in silenzio.

Hermione rimase a osservarlo, rapita: da quando si era scoperta innamorata di Ron era una cosa che aveva fatto spesso, senza che lui se ne accorgesse. Il ragazzino allampato e magrolino se n’era andato: il volto che stava osservando era di una persona matura, cresciuta, ma gli occhi blu erano sempre gli stessi di cui si era innamorata, i capelli rossi leggermente lunghi, il fisico tonico e asciutto.

Ron riaprì gli occhi all’improvviso, sorprendendo Hermione. «Cosa c’è?»

«Niente» rispose frettolosamente la ragazza mentre arrossiva.

Ron inarcò un sopracciglio. «Sei rimasta qui tutto il tempo da sola?»

Hermione scosse la testa. «Ero in biblioteca, cercavo di portarmi avanti con i compiti».

«Certo» fece Ron con un sorriso. «Avrei dovuto immaginarlo».

Hermione roteò gli occhi, ma sorrideva. Superando il precedente imbarazzo allungò la mano, prendendo quella di Ron e intrecciando le dita. Aveva scoperto come la sua mano, piccola, stava bene in quella di Ron: la mano del ragazzo era grande e calda e ogni volta che la stringeva si sentiva al sicuro.

Stava nuovamente per parlare quando notò lo sguardo di Ron: era puntato sulle loro mani ma non sembrava felice, non era sereno.

Hermione trattenne il fiato: aveva cercato di non pensarci, di credere che fosse solo un momento passeggero, ma non era più così. Da quasi un mese si era accorta di questo atteggiamento da parte di Ron; a volte sembrava distante, perso nei suoi pensieri, anche quando erano insieme. Teneva la fronte corrucciata, come se trovasse quel contato… sbagliato. Gli occhi di Ron non erano mai caldi in quei momenti: Hermione non riusciva a capire cosa si agitasse dentro Ron ma sembrava che provasse… disagio, angoscia, paura… ed anche rabbia.

E non sapeva se quella rabbia era rivolta verso di lei.

«Ron» sussurrò Hermione ed il ragazzo parve risvegliarsi. Sbatté le palpebre, posando lo sguardo su Hermione; non aveva ripreso il sorriso. Sciolse la stretta con la mano di Hermione, che si sentì persa.

«Sono stanco» annunciò Ron alzandosi dalla poltrona. Tenne lo sguardo fisso sul camino acceso prima di voltarsi verso di lei. «Vado a dormire» si abbassò per baciarla, ma all’ultimo sembrò ripensarci. Le baciò una guancia. «Buonanotte».

E se ne andò, lasciando la povera Hermione ancora sulla poltrona, triste e confusa.

 

**

 

Il giorno dopo Hermione era tornata in biblioteca; ufficialmente avrebbe dovuto terminare una tesi aggiuntiva sui Dissennatori da consegnare al professore di Difesa contro le Arti Oscure. In realtà le serviva un posto tranquillo per pensare.

Il comportamento di Ron la lasciava confusa. Quando erano assieme a Harry e Ginny il giovane Weasley si comportava normalmente: scherzava, chiacchierava, si lamentava delle lezioni o dei troppi compiti… era il solito Ron. Ma quando si ritrovavano da soli ecco che tornava quello sguardo, lo stesso della sera precedente.

In un momento di confusione ed irritazione totale, Hermione era arrivata addirittura a pensare che Ron si era stufato di lei, che aveva trovato un’altra… forse ancora Lavanda… e il disagio che trasmettevano i suoi occhi era solo dovuto al fatto che non riusciva più ad avere certi atteggiamenti con  lei, a manifestare quell’affetto che solo pochi mesi prima erano una cosa naturale.

Subito dopo aver pensato tutto ciò Hermione si diede della stupida: forse il motivo non era lei, non era quello che Ron provava nei suoi confronti: forse era dovuto al dolore che Ron non era riuscito ancora a superare.

Molte volte, finita la lezione, Hermione percorreva i corridoi della scuola in cerca del ragazzo; lo aveva quasi sempre ritrovato davanti alla grande lapide di marmo bianco costruita vicino alle rive del Lago. A caratteri dorati erano incisi i nomi di coloro che erano caduti in battaglia, morti per difendere il mondo. Aveva trovato Ron che fissava il nome di Fred, gli occhi lucidi. Quando lo raggiungeva si limitava a stargli accanto, prendergli la mano, rimanendo in silenzio ma cercando di fargli sentire tutto il suo sostegno.

E Ron ricambiava sempre quella stretta.

Si passò una mano fra i capelli, sbuffando. Non poteva continuare a scervellarsi in questo modo: l’unica maniera per risolvere la situazione era parlare. Ci voleva il giusto approccio, sapeva che Ron si sarebbe chiuso in se stesso se si sentiva “minacciato”. Raccolse le sue cose, le infilò nella borsa ed uscì, con l’obiettivo minimo di trovarlo.

Percorrendo i corridoi si ritrovò al primo piano. Stava svoltando in un altro corridoio quando una voce familiare la raggiunse oltre l’angolo.

«Ne ho davvero bisogno, professoressa» stava dicendo Ron.

Facendo il meno rumore possibile, sporgendosi quel tanto che bastava, Hermione vide Ron fermo nel corridoio deserto, fatta eccezione per la professoressa McGranitt.

«La prego» aggiunse Ron.

«D’accordo Signor Weasley» Hermione vide l’anziana strega accennare un sorriso. «Venga con me, le mostrerò cosa deve fare».

Rispondendo al sorriso, Ron seguì la McGranitt senza accorgersi di Hermione, rimasta ferma oltre l’angolo, sempre più confusa.

 

**

 

«Quello sconsiderato di un fratello, sempre a creare disastri»

Hermione sorrise: sapeva che Ginny voleva tirarle su il morale ma sapeva anche che la rossa era preoccupata.

Dopo che Ron si era allontanato con la McGranitt, Hermione era andata in cerca di Harry e Ginny: doveva parlare con loro, doveva condividere con loro quello che provava, quello che aveva sentito. Passò il resto del pomeriggio in Sala Comune, assieme ai suoi due amici, mettendoli al corrente del comportamento di Ron.

«Sicuro di non aver notato niente?» chiese Hermione ad un certo punto del racconto.

Harry scosse la testa. «Mi spiace Hermione. Quando è con me non ha di questi atteggiamenti. Non ho notato nessun cambiamento oppure è bravo a nasconderlo».

Anche Ginny scosse la testa. «Anche quando siamo tutti insieme si comporta normalmente». Guardò l’amica, dubbiosa.«Sei… sei sicura che non avete litigato? Forse è offeso per qualcosa».

Hermione negò col capo. «Non è successo niente Ginny. Non abbiamo litigato. Anzi… a dirla tutta è tanto che non litighiamo». Lo sguardo della riccia s’intristì. «Ha dei problemi» la voce le si stava spezzando. «Ha dei problemi e io non me ne sono accorta. Che razza di persona sono».

Ginny le si sedette accanto, abbracciandola. «Non sentirti in colpa. Se ha qualche problema neanche noi non ce ne siamo accorti». Harry annuì in conferma. «E’ un testardo. Magari penserà che deve risolvere questa faccenda da solo… qualunque cosa sia».

Hermione rimase in silenzio qualche istante prima di buttare fuori i suoi pensieri. «Forse non mi vuole più».

«Cosa!?

La riccia si morse un labbro, cercando di ricacciare indietro le lacrime. «Forse ha trovato un’altra e si sente a disagio quando siamo insieme».

«Non dire fesserie Hermione». Ginny sembrava arrabbiata. «Ron può avere tanti difetti, può essere testardo, impulsivo, ottuso… ma ti ama, di questo ne sono sicura».

Harry le mise una mano sulla spalla per consolarla.

«Allora cosa gli succede?» chiese quasi disperata Hermione.

Un attimo dopo il buco del ritratto si aprì: Ron entrò, il volto più pallido del solito. Rimase piuttosto sorpreso nel vedere i tre ragazzi puntare lo sguardo su di lui.

Prima che potesse dire qualche cosa Ginny si fiondò su di lui. «Che cosa stai combinando?» gli chiese, con le mani posate sui fianchi in stile mamma-Weasley. «Stai facendo preoccupare tutti quanti col tuo atteggiamento, specialmente Hermione».

Ron posò lo sguardo su Hermione che, a sua volta, aveva alzato lo sguardo su di lui: il ragazzo provò una fitta allo stomaco vedendo gli occhi arrossati di Hermione. Ancora una volta Hermione vide lo sguardo di Ron farsi triste, addolorato.

Anche Ginny rimase un momento sorpresa da quel cambiamento. Cominciava a preoccuparsi seriamente anche lei

Il ragazzo fece un passo avanti, verso Hermione. Allungò la mano. «Verresti con me?»

Hermione si asciugò gli occhi. Era forse venuto il momento dei chiarimenti? Era il momento in cui Ron le avrebbe detto cosa gli era successo? L’avrebbe lasciata? Le avrebbe detto che si era stufata di lei?

Ron si inginocchiò davanti a lei, che trasalì non aspettandoselo. «Per favore» aggiunse Ron con un tono che ad Hermione pareva di supplica. Non poteva certo far finta di niente. Gli fece un piccolo sorriso, prendendogli la mano.

Si alzarono sotto lo sguardo perplesso di Harry e Ginny. Ron si voltò un momento verso di loro. «Ci vediamo dopo» ed uscì dalla Sala Comune seguito da Hermione.

Durante il tragitto non parlarono: sembrava che entrambi fossero troppo imbarazzati o avessero troppa paura per parlare. Continuavano a camminare tenendosi per mano, l’unico contatto a cui entrambi si aggrappavano in quel momento.

Hermione si accorse dopo un po’ di percorrere il corridoio che portava all’ufficio della preside. Questa non se l’aspettava.

«Pallini acidi» mormorò Ron e il gargoyle di pietra scartò di lato, lasciando libera la via. Salirono le scale a chiocciola fino a trovarsi davanti ad una porta. Ron bussò.

La voce della professoressa arrivò attutita. «Avanti».

Entrò seguendo Ron. L’ufficio era colmo di oggetti strani che riempivano i tavoli presenti: alcuni sbuffavano, altri roteavano, altri vibravano ma in tutta quella confusione c’era qualcosa di rilassante, familiare. Forse era l’idea che quegli oggetti erano appartenuti al professor Silente a trasmettere una sorta di tranquillità. La McGranitt non aveva voluto disfarsene, limitandosi invece ad aggiungere diversi libri.

Era seduta dietro la scrivania, l’attenzione rivolta ad un foglio di pergamena dall’aria importante – erano visibili alcuni timbri del Ministero – gli occhiali posati sul naso. Ripose la piuma accanto al calamaio, richiuse la pergamena e finalmente alzò gli occhi, chiari e gentili, su di loro.

«Buonasera Signor Weasley. Signorina Granger».

«Professoressa» rispose educatamente Hermione, mentre Ron fece solo un cenno col capo.

La McGranitt si alzò facendo il giro della scrivania, avvicinandosi ai due giovani. «Come d’accordo, signor Weasley, avrà l’ufficio libero per le prossime due ore».

«Grazie».

«Quando avrà finito la prego di risistemare ciò che userà». Infilò una mano sotto la veste: sotto gli occhi confusi di Hermione estrasse una piccola fiala vuota. «Questa potrebbe servirle» e la consegnò a Ron.

Si avviò verso l’uscita, richiudendosi la porta alle spalle e lasciando i due ragazzi soli.

Nel silenzio che seguì Hermione fece viaggiare lo sguardo sui ritratti appesi alle pareti. Con un tuffo al cuore intercettò uno sguardo cristallino dietro ad un paio di occhiali a mezzaluna. Seduto su di una poltrona, Silente li osservava con il suo sguardo sereno, un piccolo sorriso seminascosto dalla lunga barba bianca.

«Buonasera ragazzi».

«Salve professor Silente».

«A quanto vedo è il momento per i chiarimenti» fece l’occhiolino ad Hermione e la ragazza si chiese come facesse sempre a sapere tutto. Vide Silente alzarsi dalla poltrona. «Credo che farò visita al mio amico Gifford Abbot, al terzo piano. Mi deve ancora una rivincita a spara schiocco» e con un’ultima occhiata allusiva sparì oltre il bordo del ritratto.

Ora erano soli.

Hermione puntò lo sguardo su Ron che non aveva preso parte al piccolo scambio di battute con Silente. Era arrivato lentamente fino alla scrivania, appoggiandosi con le mani al legno scuro come se stesse facendo molta fatica: le dava ancora le spalle.

Hermione stava diventando sempre più tesa, consapevole e allo stesso tempo impaurita del momento in cui sarebbe venuta a conoscenza della verità.

«Mi dispiace» cominciò Ron facendo trasalire Hermione. La sua voce era roca, bassa. «Mi dispiace di essermi comportato in maniera strana in questo ultimo periodo. So che te ne sei accorta e che ti ho fatto soffrire, ma credimi: tu non c’entri niente, il vero problema sono io».

Hermione rimase qualche attimo a riflettere sulle parole di Ron: anche lui era teso, lo si poteva capire dal tono della voce e dalla postura rigida. La tensione di entrambi vibrava nell’aria.

«E pensare che ho creduto che tu volessi lasciarmi» se ne uscì Hermione, con una risatina isterica. Aveva lasciato che quel pensiero uscisse, sia per tranquillizzarsi, sia per smorzare la tensione.

Quando Ron si voltò, però, il sorriso le morì sulle labbra: lo sguardo del ragazzo era ancora pieno d’ansia, timore… colpa. «Non potrei mai lasciarti, Hermione» e la serietà che usò Ron colpì Hermione. «Ho già commesso questo errore troppe volte. Non voglio separarmi da te… non posso separarmi da te».

Una lacrima malandrina scivolò lungo la guancia senza che Hermione potesse impedirlo. Ron le si avvicinò, allungando la mano e raccogliendola. «Mi dispiace» ripetè Ron come se queste due semplici parole potessero in qualche modo alleviare il dolore che sentiva.

Hermione gli prese una mano. «Ron, ti prego dimmi cosa ti succede».

Ron la guardò timoroso. «E’ difficile… per me…»

«Ti prego» disse ancora Hermione, posando una mano sulla guancia del ragazzo in modo da incontrare ancora il suo sguardo. «Lascia che ti aiuti».

Ron chiuse gli occhi. Impiegò alcuni istanti prima di parlare. «Ho bisogno.. ho bisogno che tu sappia… che tu capisca… perché mi comporto in questo modo…»

«Ti ascolto»

Scosse la testa. «Non… lo sai, non sono mai stato bravo con le parole…». Prese la fiala che gli aveva consegnato la McGranitt e la aprì; estrasse la bacchetta puntandosela alla tempia. Borbottando una formula, allontanò la punta della bacchetta ma a questa rimase attaccata una sorta di filo argentato. La calò dentro la fiala prima di richiuderla.

Lanciò un’occhiata ad Hermione che osservava attenta i suoi movimenti: era un ricordo, lo aveva capito, e l’azione successiva era scontata. Ron si avvicinò ad un armadio; aprì le ante e un altare su cui si posava un bacile di pietra scivolò verso di loro.

«Dovrai vederlo tu stessa». Ron fece scivolare il ricordo nel Pensatoio. Si voltò verso Hermione. «Da sola».

Hermione si avvicinò al Pensatoio: era la prima volta che lo vedeva da vicino e doveva ammettere con se stessa che provava qualcosa a metà tra la riverenza e il timore.

Ma quello era il modo in cui Ron la stava rendendo partecipe dei suoi pensieri: era quello il mezzo usato da Ron per permetterle di chiarire i suoi dubbi.

Fece un piccolo sorriso a Ron prima di chinarsi e infrangere la superficie col viso.

Un attimo dopo venne risucchiata all’interno.

 

 

 

  
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