FINALLY
La
strada era buia e deserta, fatta eccezione per un paio di gatti infreddoliti
che si rincorrevano nell’ombra. Nell’aria aleggiava il profumo di una stagione
finita, e lo stesso odore lo portavano le finestre chiuse e gli alberi che
iniziavano a piangere le loro foglie.
Camminava
piano, prendendo a calci, di tanto in tanto, un sassolino, per poi seguirlo e
spedirlo ancora più lontano. Saliva un vento leggero che gli scompigliava i
capelli corti, corti da poco tempo, e che non riusciva a smettere di toccarsi
continuamente con una mano. Si specchiava anche in ogni auto: vecchia abitudine
che non aveva mai perso, nonostante ogni volta si trovasse più sbagliato della
precedente.
Il
pub era una semplice insegna, da quel punto. Un’insegna vistosa e accattivante,
non di quelle squallide al neon. Un insegna che prometteva birra e oblio e
qualche bella ragazza. Decise che ci sarebbe entrato.
Lei
era qualcosa di strano. Era certo di non vederla per la prima volta, seppure la
poca luce nel locale, le due birre e la stanchezza potevano averlo indotto a
pensieri errati. Eppure, quel sorriso sembrava familiare; quello sguardo,
divertito e sereno, conosciuto, come quando sai di aver già visto un attore, ma
proprio non ricordi chi sia. Era con un gruppo di ragazze, a pochi metri da
lui, e parlavano e ridevano, ma lei meno delle altre. Partecipava ai discorsi
solo con il suo volto, sorridendo quando doveva, distogliendo lo sguardo se
nessuna aveva niente da dire.
Proprio
quell’apparente distacco, gli occhi di lei che osservavano attenti, gli fecero
capire chi fosse.
-Non
ci siamo mai presentati.-
Lo
disse timidamente, ancora non del tutto sicuro di quello che stava facendo. Le
sue amiche erano al centro del locale, e ballavano. Lei, seduta, le guardava
con una bizzarra espressione. Quando lui aveva parlato, si era voltata, appena
spaventata, e poi, certamente riconoscendolo, era rimasta senza parole.
-Piacere,
Danilo.-
Questo,
la confuse ancora di più. Spalancò leggermente gli occhi, e lo fissò
intensamente. Era abituato a lei che lo fissava. Del resto, era l’unico tipo di
contatto umano che avessero mai avuto. Continuava a non dire niente, e sembrava
non credere a quanto stava succedendo intorno a lei. Lui si sedette.
-Strano
incontrarci qui. Tu come ci sei capitata?-
Lei
era voltata verso le amiche, che non si erano accorte di nulla e continuavano a
ballare.
-Ci
studio-
Disse
piano, quasi non ne fosse convinta neanche lei. Poi attese, e quel silenzio diceva
chiaramente che stava ricambiando la domanda.
-Ah.
Io sono da un amico. -
Seguì
un silenzio imbarazzato. Lui si chiedeva perché avesse avuto la malaugurata
idea di fare quello che aveva fatto, e lei stava pensando esattamente la stessa
cosa, solo in termini appena più coloriti.
-Ho
sempre sospettato che non fossi una tipa molto loquace.-
-Ti
sbagli-
-Beh,
cambierò idea quando risponderai con più di due parole.- disse con tono
divertito. Non vedeva uno scopo preciso in quello che stava facendo, ma allo
stesso modo era contento di averlo fatto. Ogni tanto aveva ripensato a quella
storia, e l’unica cosa che aveva provato era una certa angoscia per non aver
sfruttato l’occasione.
Lei
aveva pensato molto e spesso a quella storia. Nonostante ci fosse ben poco da
pensare.
-Mi
dispiace se ti metto in imbarazzo.-
-Non
preoccuparti-
Le
sue erano risposte taglienti; le risposte di chi aveva immaginato quella
conversazione così tante volte e con così tanti toni diversi da poter dire di
averci perso tempo; e il doverla intrattenere con diversi anni di ritardo contribuiva
decisamente alla brevità e all’acidità di ogni frase.
-Sei
un po’ cambiata. Quasi non ti riconoscevo.-
-Si,
forse. Io non ti avevo visto.-
-Bene,
abbiamo battuto un record, con ben sette parole.-
Il
sarcasmo non era esattamente l’occorrente in un frangente simile. Il silenzio
tornò a farla da padrone.
-Si
soffoca, qui. Facciamo una passeggiata, ti va?-
Per
un secondo pensò davvero che avrebbe rifiutato. Valutò l’opportunità, per poi
darsi dell’imbranata solo per aver ritenuto, anche per un istante, di avere una
scelta. Acconsentì con un cenno del capo, si voltò verso le amiche e fece
capire loro che stava uscendo per qualche minuto con lo sconosciuto seduto
accanto a lei. Risposero con gesti d’assenso e sguardi maliziosi, e poi
tornarono a ballare.
Impacciati,
uscirono dal locale.
L’aria
era più fredda di prima e lei si strinse nel suo soprabito leggero. Lui, si
passò la mano tra i capelli.
Camminarono
per qualche metro.
-Perché?-
Lei
si voltò a guardarlo con aria interrogativa.
-Voglio
dire, perché io? E’ quello che avrei sempre desiderato chiederti.-
Abbassò
lo sguardo, si morse un labbro. Lo guardò intensamente.
-Perché
sulla carta eri perfetto.-
Questo
lo fece sorridere.
-Dico
sul serio.-
-Anch’io. Eri un ragazzo
interessante, con gusti simili ai miei, di bell’aspetto all’apparenza
simpatico.-
-Tutto
qua?-
-C’è
chi si sposa per molto meno.-
Anche
questo lo fece ridere. Poi, però, si fermò subito accorgendosi che lei non
rideva.
-Perché
non io?-
Non
era una domanda facile, di certo non l’aveva prevista. E non era neanche certo
di avere una risposta sensata.
-Non
credo di aver mai detto “non tu”. Ho detto che poteva andare. Poi tu non hai
fatto niente, io non ho fatto niente.
Non ho detto di no.-
Ora
lei rise. Di una risata amara.
-Avrei
voluto la verità, ma va bene lo stesso.-
Aveva
ragione, non era tutta la verità. Lei No,
perché ce n’erano di più carine. Con le quali era più facile parlare. Lei No,
perché era strana e diversa e forse inquietante.
-Tutto
questo è assurdo.-
Si,
lo pensava anche lui.
-Perché
sei venuto al mio tavolo?-
Non
lo sapeva esattamente. Non c’era niente di certo, oltre al vento e al fatto che
con lei si sentiva sempre osservato, da quegli occhi profondi che non trovavano
tregua.
-Tutti
meritano una seconda occasione, non credi?-
Lei
annuì.
-Piacere,
Sara. –
Si
strinsero la mano. Quelle di lui erano fredde e per un attimo trovarono
ristoro.
-Potremmo
far finta di essere degli sconosciuti che si sono incontrati per caso in un pub
e hanno iniziato a parlare.-
-Siamo
qualcosa di diverso?-
Rise
per l’ennesima volta. Aveva ragione, ma non avrebbe mai potuto affermare di non
conoscere quello sguardo indagatore e sorridente, suo malgrado, mentre scrutava
ogni centimetro del suo volto illudendosi di non essere notato.
-No,
hai ragione. Non sei uno sconosciuto, so tutto di te. –
Stupito,
si fermò.
-Davvero.
Ma non ti dirò nulla. Siamo due sconosciuti appena incontrati, ricordi? Tutto
quello che è accaduto prima non conta-.
-Allora
non potrò dire che ho sempre trovato strano il tuo sguardo. Era davvero come se
sapessi tutto di me.-
Si
fermarono entrambi.
-Sei
tu che mi lanciavi strani sguardi. O meglio, che distoglievi lo sguardo quando
per caso ci incrociavamo.-
-Sono
timido.-
-Lo
so. –
Sorrise
lievemente, poi guardò il cielo buio e nuvoloso e di nuovo quegli occhi
calamitanti. Si passò ancora la mano tra i capelli.
-Dovrei
tornare dentro. Le mie amiche volevano andare via prima dell’una.-
-Allora
dovresti andare. Sarebbe meglio che non torni a casa da sola.-
Non
capì perché aveva detto quella frase. Sembrava starci bene.
Lei
fece per andarsene, come se ancora non credesse ai suoi occhi per lo strano
incontro.
-Allora… ciao. Ho sempre pensato che
parlare con te mi avrebbe aiutato a fare chiarezza. Non è servito a molto.-
Un’altra
risata.
-Mi
dispiace. Magari dovremmo approfondire la chiacchierata. Sono certo che
possiamo fare di meglio.-
-Dubito
che ci incontreremo ancora per caso. Una volta mi sembra già chiedere troppo.-
-E’
successo stasera, potrebbe accadere di nuovo domani. Del resto, l’avresti mai
ritenuto possibile?-
Detto
questo, si strinsero la mano, e lei tornò indietro.
Lui
restò per qualche minuto impalato sul marciapiede, sotto un lampione che si
spegneva a tratti. Le mani in tasca, cercava con lo sguardo un sassolino per
ricominciare il gioco. Non aveva ancora deciso come sentirsi a proposito. Era
contento, in parte, e stupito e incredulo che fosse così parlare con lei. Non
avrebbe voluto smettere tanto presto.
Camminava
velocemente, desiderosa solo di rientrare nel pub e buttare giù tre bicchieri
della bevanda più forte che avessero. Dire che era scossa sarebbe stata
riduttivo. Si sentiva scioccata, presa in giro, euforica e felicissima allo
stesso tempo. Rivederlo aveva cancellato ogni momento trascorso da quello in
cui l’aveva visto l’ultima volta, e non
poteva immaginare una conclusione migliore per quella vecchia storia.
D’un
tratto, decise.
Sentì
dei passi dietro di sé, dei passi affrettati. Era a pochi metri dalla porta del
locale, e si voltò. Lui le veniva incontro, ora di nuovo camminando, un’espressione
strana sul volto e uno sguardo indecifrabile. Si avvicinò molto, troppo. Lei
era immobile per lo stupore e allo stesso tempo tremava.
Si avvicinarono
nello stesso istante, guardandosi intensamente negli occhi. Lui la baciò
improvvisamente, portando le sue mani dietro la sua testa, e attirandola a sé,
confuso e poco convinto di qualsiasi cosa stesse avvenendo al di là delle loro
labbra che si cercavano. Lei lo strinse forte, si perdette e ritrovò più volte
in quel bacio che era così strano e così imperfetto, e che aveva atteso per
molto tempo, prima di dimenticarlo.
Si
guardarono ancora negli occhi. Lui sorrideva. Dal pub proveniva una musica
brutta e ovattata, e le campane della città rintoccarono.
-Non
dovevamo incontrarci per caso?-
-Non
volevo perdere altro tempo.-