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Autore: Zabosh    03/01/2011    0 recensioni
Viaggio nel limbo personale di Severus Piton che, dopo la sua morte, si ritrova in un nulla misterioso.
Paradiso o inferno?
Quale sarà il suo destino?
E chi saranno i suoi compagni di viaggio?
Vide le sue parole uscire dalla sua testa e circondarlo. Lentamente, senza che il vuoto intorno a lui emettesse uno sbuffo d'aria, ​​i suoi pensieri iniziarono a ruotargli intorno, come in un girotondo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Severus Piton | Coppie: Lily/Severus
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Il sangue fluiva dalla ferita denso e lento, scappava dal suo corpo senza fretta, infiltrandosi nel legno ormai marcio​.

Nella stanza regnava un silenzio innaturale e la luna illuminava gli occhi vitrei del mago, puntati proprio verso la finestra. Severus Piton e la Luna si guardavano senza vedersi: lui freddo e immobile, una piccola comparsa nella tragedia di quella guerra che aveva visto tanti altri morti, tanti altre iridi opache e senza vita; lei, invece, ne era l'osservatrice attenta che illuminava lividamente i tratti del Morto, stupita. Dopo tanto tempo non riusciva ancora a capacitarsi della volubilità della vita umana: un attimo prima saltavano, urlavano, si ferivano a vicenda per motivi assurdi, quello dopo tac!​ Una spinta un po' troppo forte, un piccola disattenzione, ed eccoli cadere a terra, vuoti.​

Dove sono?

Severus Piton aveva riflettuto molto sulla morte. Se l'era chiesto spesso cosa sarebbe accaduto dopo, dove si sarebbe ritrovato (Inferno? Paradiso? Un limbo senza via d'uscita?) e, soprattutto, chi ci sarebbe stato accanto a lui (Lily, forse? Il suo cuore, sempre che lì fosse possibile che ne avesse ancora uno, perse un battito).

Si guardò intorno, stupito: niente. Il nulla, nero e silenzioso, si stagliava intorno a lui per chilometri, all'infinito forse.

E' questo che mi tocca, alla fine? Il nulla?

Non sentì nè le sue labbra muoversi, nè l'aria articolare suoni nella sua bocca, e neanche la sua lingua muoversi di un sol millimetro.

Vide le parole uscire dalla sua testa e circondarlo. Lentamente, senza che il vuoto intorno a lui emettesse uno sbuffo d'aria, ​​i suoi pensieri iniziarono a ruotargli intorno, come in un girotondo.

- Giro, giro tondo... Casca il mondo... -

Una ''i'' grande quanto la sua testa iniziò ad allungarsi, fino a diventare abbastanza alta da arrivargli alla vita, il puntino sopra al suo busto snello si allungò e vi si congiunse, formando una bella testa rotonda e l'abbozzo di un collo. Qualcosa si mosse nel petto dello strano omino che, a fatica, fece sbucare due piccole braccia ai lati. E poi due gambe, i piedi, le mani, per giunta! Piton osservò la piccola lettera trasformarsi in una persona, una persona terribilmente simile a lui. Gli unticci capelli neri erano sempre gli stessi e gli occhi del medesimo colore dell'antracite scintillavano allegri nei suoi.

Era se stesso all'età di undici anni.

Le lettere continuavano a girargli intorno e a cantare. Più intonavano quella filastrocca,​ più le voci diventavano spaventosamente familiari e alte. Si poteva piangere in quel nulla? Qualcosa aveva iniziato a colargli sulle guance -sempre che fossero ancora lì, posate sopra le ossa zigomatiche del suo cranio-​. Non era niente di umido, solo una sostanza pesante e calda. Le ''lacrime'' scivolarono giù, fino al mento, e si tuffarono in quell'oblio che lo circondava.

Parevano fatte di sangue. Erano piccole gocce rosse e asciutte che invece di cadere sotto di lui, piegavano all'improvviso verso la sua destra per poi iniziare anch'esse a ruotargli intorno. Sembrava cercassero un posto in mezzo a quelle parole: prima avevano cercato un posto tra il trattino della ''t'' e il ventre rotondo della ''o'', dopodiché, spaventate dalla loro velocità si erano rintanate nella piccola pancia della ''q''.

Se fosse stato possibile avrebbe deglutito: aveva paura, Piton. Tutta quella confusione non era di certo la pace di cui aveva tanto sentito parlare nel mondo dei vivi!

Il bambino prese a girargli intorno, sorridente. Sembrava che non fosse mai stato più felice in vita sua.

Severus chiuse gli occhi, cercando di sbattere fuori quel ricordo, di sbattere fuori dalla mente quel fanciullo.

Era un Occlumante, sarebbe stato facile, più che facile.

O no?

All'improvviso, uno stridio metallico lo costrinse a volgere il capo verso l'alto: una gabbia di ferro, dalle sbarre grosse quanto un suo braccio, stava cadendo proprio sopra di lui. Cercò di spostarsi in fretta di lato, ma il bambino gli impedì il movimento, continuando a ridere allegro. Si tuffò verso destra, e le lettere gli sbarrarono la strada.

La prigione calò su di lui con un tonfo sordo, imprigionandolo con se stesso e i suoi pensieri.

- Giro, giro tondo... -

Allargò la bocca e si piegò in avanti, come se dovesse urlare: qualcosa, all'altezza del suo petto stava prendendo fuoco, ardeva come un diavolo e cercava di venir fuori. Appoggiò le mani sulle ginocchia, cercando di calmarsi. Il Crucio non era niente a confronto. Inspirò una boccata di quel nulla e il dolore si accentuò, l'agonia lo costrinse a raggomitolarsi a terra, ansante. Altre gocce rosse fuoriuscirono dai suoi occhi e scivolarono agilmente qualche metro davanti a lui, brillanti e ancora vive. Le altre, quelle rintanate nella ''q'', si lasciarono cadere verso il basso e si riunirono alle lacrime sorelle. Il sangue, o quello che era, divenne come un fuoco liquido che si agitò nell'aria prima di ricadere pesantemente verso il suolo, immobile.

Questo dev'essere l'inferno, si...

Il dolore al petto com'era arrivato iniziò a calmarsi e il mago, finalmente, riuscì per lo meno a pungolarsi sulle mani e a sollevare il busto.

Si trascinò fino alla pozza color rubino poco distante e iniziò a studiarla. In realtà non era rossa, ma un insieme infinito di colori che si univano, brillanti come diamanti. I pigmenti rilucevano in quelle tenebre luminose come tante piccole gemme preziose. Affascinato, avvicinò una mano per toccare il liquido.

Intorno a lui regnava il silenzio e il giovane Severus continuava a danzare, gaio e in compagnia dei suoi pensieri.

- AHI! -

Una piccola scossa lo costrinse subito a ritirare la mano e, senza neanche dargli il tempo di allontanarsi, la strana sostanza iniziò a ribollire e ad ergersi su se stessa. Trattenne a stento un gemito spaventato e gattonò alla svelta lontano da essa, benché le sbarre gli impedissero qualsiasi via di fuga. Tirò e tirò, chiese aiuto più volte e cercò anche di sollevare la gabbia, ma niente. Quest'ultima rimaneva ferma e pesante al suo posto, imprigionandolo.

- Severus... -

No, non era un suono nella sua mente e non poteva essere neanche una sua stupida fantasia. L'aveva sentita chiamarlo a pochi metri dal suo orecchio, con la sua bellissima e tanto amata voce. Le mani, sì, perché ora aveva delle mani (riusciva a sentirle palpitare esattamente sotto i polsi forti e robusti) iniziarono a tremare. La sua bocca, prima del tutto assente, si aprì in una smorfia orribilmente felice e stupita assieme mentre gli occhi iniziarono ad ardergli, febbricitanti.

Lily.

Si voltò lentamente in direzione della voce, gli occhi chiusi per paura di essersi inventato tutto. Finché non li avesse aperti, la voce sarebbe rimasta quella della sua amata e non uno stupido scherzo della sua mente.

- Severus... -

Una scossa attraversò il suo corpo e lo fece vibrare impercettibilmente.

No, doveva sapere.

Gli occhi si aprirono indipendentemente dalla sua volontà e questa volta il suo cuore, che pulsava frenetico nella sua gabbia toracica,  si fermò sul serio.

Lily, la sua Lily era davanti a lui e sorrideva.

Era sempre lei, solo più piccola, doveva avere la stessa età del ragazzino che gli danzava intorno, probabilmente, i capelli sempre di quel bel rosso scuro e gli occhi più vivi che mai.

- Oh, Lily! -

Quasi non fece caso al suono della sua voce arrochita,​ allargò le braccia e corse incontro alla ragazzina. Il volto dell'uomo era una maschera di mille emozioni diverse: stupore, gioia, tormento, inquietudine, amore...

Sì, per la prima volta dopo tanto tempo, gli occhi di Severus Piton stavano brillando di nuovo.

Un piccolo passo indietro e la ragazzina scansò il suo abbraccio, divertita.

Poi, lanciandogli un ultimo sguardo di pura ilarità, sgusciò via dalla prigione e prese a danzare intorno alle sbarre insieme all'altro ragazzino.

Com'erano felici! E spensierati, poi!
Le labbra dei due erano dischiuse in sorrisi serafici e le mani intrecciate le une nelle altre.

Ballavano, e non sembravano intenzionati a fare altro per tutta la loro vita.

- Giro girotondo...​
come è bello il mondo...​
ci son tanti bambini...​
i fiori e gli uccellini...​
e l'acqua della fonte ...​
e l'erba e tanti frutti...​
il mare c'è per tutti...​
il cielo e la terra...​
Tutti giù per terra! -

Le parole cantavano melodiose la filastrocca, continuando a vorticare, sempre più veloci.

Piton sentì il suo corpo divenire leggero e perdere di nuovo sostanza, gli occhi rovesciarsi all'indietro e il respiro farsi veloce e superficiale.

Stava annegando nel suo nulla.

***

Volteggiava in quel buio assordante e inesistente, leggero come un filo d'erba trasportato dal vento impetuoso, il giovane Severus e la piccola Lily a pochi metri da lui. Correvano in quel nulla così scuro, ancora sorridenti. Di tanto in tanto si lanciavano occhiate complici, si prendevano le mani e ridevano, ridevano come matti. Quale fosse poi la causa di tanta ilarità, Piton proprio non riusciva a immaginarselo. Non sapeva perché li stesse seguendo e quando, di preciso, aveva smesso di affogare nella gabbia e aveva iniziato a fluttuare come un fantasma in quel luogo che ricordava tanto il limbo di cui gli aveva sempre parlato suo padre e, se era davvero questo il posto in cui si trovava, poteva ancora sperare in un destino diverso da quello delle fiamme dell'inferno.

Non se lo sarebbe mai perdonato, lui, quell'attimo.

L'istante esatto in cui aveva venduto via il suo amore, seppur inconsapevolmente, per un poco di stima.

Da parte di chi, poi? Di Voldemort? L'uomo -se così poteva ancora definirlo- che era stato quasi capace di uccidere un bambino?

Un moto di disgusto attraversò il suo animo e all'improvviso sentì la sua sostanza diventare più densa, quasi palpabile.

Lily e Severus continuavano a ridere, totalmente incuranti del dolore che lo stava attraversando, puntando un qualcosa di impreciso di fronte a lui. Pareva un piccolo puntino luminoso che gli correva incontro alla velocità della luce. Eppure, più si avvicinavano e più il piccolo segno in quelle tenebre così profonde si delineava. Era un qualcosa di rettangolare e dorato, che riluceva di una luce calda e avvolgente, così stonata con l'ambiente circostante, cupo e tetro; un piccolo pomello, anch'esso d'oro, stava sul lato destro della porta, tremendamente invitante.

I due ragazzini si lasciarono la mano e si piantarono ai due lati dell'uscio, le piccole mani tese ad indicare quel rettangolo invitante e misterioso.

Se fosse stato possibile, il cuore gli sarebbe schizzato fuori dal petto per l'emozione.

Avvicinò lentamente una mano-fantasma alla porta ed eccola, la luce!

***

Il giovane mago stava nascosto dietro un bel cespuglio di azalee viola, lo sguardo puntato su una ragazzina dai capelli rossi che si dondolava su una piccola altalena. Accanto a lei vi era una giovane poco più grande, dai capelli biondicci e gli occhi di un azzurro opaco e spento. Era lì da quasi un'ora ormai, e per tutto quel tempo non aveva fatto altro che fissare quella bambina dagli occhi così vivi rispetto a quelli della sorella, che aveva quasi perso la cognizione del tempo.

- Lily, non farlo! -

Quandò la bambina si lanciò verso il cielo, il ragazzino trattenne il fiato, spaventato. Osservò la giovane strega ridere della sua acrobazia e atterrare con una leggerezza innaturale sul morbido prato dove facevano la loro comparsa delle piccole margherite appena nate.

- La mamma ti ha detto di non farlo! - La rimproverò l'altra, fermando l'altalena con i talloni e lanciandole un'occhiata che era un misto tra invidia e preoccupazione.

Il viso di Severus Piton si rilassò​ un poco, anche se la meraviglia sul suo viso era ancora evidente.​

L'aveva notata qualche settimana prima, sempre lì, in quel parco così accogliente e colorato rispetto al letto fangoso del fiume che scorreva accanto a casa sua. Era bella, sì. Era bella quando rideva per un'acrobazia particolarmente riuscita, quando arrossiva ai rimproveri della sorella o quando le faceva le boccacce alle spalle in risposta a tutti quegli strilli esagerati. 

''Stupida Babbana!"

Come se quell'ottusa ragazzina dagli occhi sbiaditi avrebbe mai potuto anche solo immaginare di comprenderla, la magia!

- Petunia guarda cosa so fare! -


Trattenne il respiro quando Lily si avvicinò al suo cespuglio - che l'avesse visto? -​ e il suo cuore iniziò a mertellare frenetico quando la vide prendere un'azalea dal​ cespo e mostrarla ad una Petunia con gli occhi quasi fuori dalle orbite dallo stupore.

La ragazzina dai capelli rossi riportò per un attimo lo sguardo sul cespuglio, distratta, e, per un'interminabile frazione di secondi, i loro occhi s'incrociarono.

Lui di occhi così non ne aveva visti mai. Nemmeno a Diagon Alley, la via magica per eccellenza, aveva visto un colore così vivo, così... così... magico come quello che colorava le iridi della giovane strega. Sì, perché, se c'era una cosa di cui lui era assolutamente convinto, era proprio che Lily fosse magica. Non come tutti gli altri maghi o streghe, che di magico avevano soltanto la bacchetta e i cappelli a punta. Lei lo era in tutto. Persino poco prima, quando i loro sguardi si erano incrociati, l'aveva vista. Era come una specie di alone che la circondava e la rendeva diversa, qualcosa che si portava dentro, nella carne.

Lei era una magia nuova e diversa dalle altre, una magia che neanche sua madre -una strega così capace- gli aveva mai raccontato.

Lei era lo specchio perfetto di quell'amore che gli stava nascendo dentro.

Ma questo ancora non lo sapeva, il nostro Severus.

***​

- Severus, in piedi! -

Lily, quattordici anni e una folta criniera rossa sul capo, gli tese una mano bianca come la neve, aspettando che si alzasse.

In tutta risposta, lui sbuffò e scosse forte la testa, imbronciato.

Tzè! Come se lui avesse mai ceduto a una richiesta del genere!

- Oh, dai Sev, non fare il guasta feste! E' divertente, vedrai! -

A qualche metro da loro, una piccola radiolina suonava una canzone decisamente rock e la mano della ragazza continuava a penzolare davanti al suo naso adunco e puntato verso il manto erboso del parchetto.

Scosse di nuovo la testa, irritato.

Lo sguardo di Lily si oscurò un poco, presa come al solito in contropiede dal malumore dell'amico.​ Ma durò solo un attimo perché poi, se possibile, il sorriso della ragazza si allargò ancora di più.

- E va bene, Piton. Come vuoi tu. - Finse di voltarsi verso la radiolina, fece due piccoli passi verso di essa e... si voltò di scatto, tese una mano verso il braccio del ragazzo e lo tirò su con forza.

Ma come faceva poi ad averne così tanta?

Lo strinse forte per la vita, appoggiando la testa sul suo petto, proprio sopra il cuore palpitante del mago.

Severus a quel contatto divenne istantaneamente un pezzo di legno, le braccia ciondolanti lungo i fianchi, distanti il più possibile dal corpo della ragazza.

- Visto, non è poi così male, no? - Gli chiese, iniziando a dondolare piano.

In lontananza, la radio suonava una canzone troppo veloce per loro e il vento alitava leggero tra gli alberi, soffiando un po' del profumo della ragazza verso di lui.

No, in effetti non era proprio male.​

Chiuse gli occhi e si abbandonò all'abbraccio, inspirando forte l'odore dei suoi capelli.

***

Si nutriva di briciole. Si nutriva di sguardi distratti che annegavano nel vuoto dell'aria, di sorrisi non indirizzati a lui, di lettere che parlavano dell'affetto che tempo prima era stato solo suo. Ogni notte, alle undici e mezza precise, Severus Piton si vestiva di tutto punto -per quanto le sue finanze permettessero- e prendeva un pullman che portava esattamente in Pound Street. Attraversava tutta la strada a passo svelto, come un uomo che, dopo una giornata faticosa, torna a casa dalla sua famiglia. Arrivato in Jersey Street percorreva ancora qualche metro di strada, fino a una piccola villetta dal tetto a punta e color cremisi. Una di quelle case che si vedono tanto nei film Babbani, insomma!

Il giardino era curato e pieno di fiori, le tende di quel rosa antico che a lei era sempre piaciuto tanto e accanto alla casa cresceva rigoglioso un bel faggio dall'aria imponente.

Non appena giungeva davanti all'abitazione, si calava meglio il cappuccio sul volto, si nascondeva dietro l'arbusto e passava la serata così, a guardarla incantato. Le parole rivolte al suo sposo ora erano solo per lui, i brillanti occhi di Lily non guardavano più quelli vuoti e arroganti di Potter ma i suoi. ​Persino le labbra erano di sua proprietà, come se quello stupido fantoccio potesse essere in grado di baciarla davvero o anche solo di pensare di amarla. Amore era sentire il proprio cuore bruciare e pulsare dolorosamente, era piangere di notte e svegliarsi il mattino dopo come se non provasse più nulla. Era cercare di non impazzire quando avresti preferito morire piuttosto che vederla con lui.

Amore era morire, e lui, ne era certo, non sarebbe mai morto per lei.​

***

I ricordi lo colpirono forti come tanti, micidiali pugni allo stomaco, senza sosta. Piton boccheggiò, cercò di chiudere la sua mente, di scacciarli via, lontano. Cercò di seppellirli di nuovo nel suo cuore, dove non facevano più male. Non in quel modo, almeno.​

Niente da fare. Continuò ad osservare se stesso vivere con lei, sentire il profumo dei suoi capelli, sorridere da solo senza nessun motivo apparente. Guardò tutto l'amore che impregnava lo sguardo di quel ragazzino e si chiese come potessero essere davvero suoi, quegli occhi, abituato com'era alla sua consueta espressione dura e sarcastica che mai tradiva anche solo un'emozione.

Lentamente, come il sangue che gocciola piano dalle ferite, i ricordi si allontanarono, perdendosi in quell'oscurità di nuovo spaventosa e lasciandolo lì, solo con se stesso.

I due ragazzini erano spariti, inghiottiti anche loro dalle ombre. Non una risata, né un canto, giunse alle orecchie del mago.

Il suo corpo, di nuovo solido, si lasciò cadere al suolo, ansante.

Senza che nessuna emozione lo colpisse di nuovo, notò che le sbarre erano tornate a fargli compagnia, opprimenti e rassicuranti insieme: se non altro, in quel non-spazio infinito, qualcosa di delineato e concreto c'era.

Chiuse gli occhi, e un singhiozzo gli scappò dalle labbra secche.

Com'era potuto succedere?

Come aveva potuto perderla così... così... facilmente?

Piton pianse, questa volta lacrime vere, e rimase lì, rannicchiato e con gli occhi chiusi, ad aspettare qualcosa, qualsiasi cosa; anche il Diavolo in persona sarebbe stato una visita lieta.

- Severus... -

Quella voce, troppo amorevole e carezzevole per essere reale, chiamò il suo nome con affetto.

L'uomo dischiuse appena gli occhi gonfi di pianto, giusto per vedere una figura dai capelli rossi a pochi centimetri dal suo viso.

- Lasciami in pace... - Disse stancamente, abbassando le palpebre sui suoi occhi scuri.

La figura rise dolcemente e gli accarezzò la testa con la mano. Una piccola mano bianca.

- Vieni con me! -

La giovane donna gli afferrò una mano e la strinse forte nella sue, incredibilmente calde.

Piton aprì gli occhi di nuovo e osservò i tratti familiare di Lily sorridergli e invitarlo ad alzarsi.

No, questa volta non rifiutò il ballo.

Si alzò, abbracciò teneramente la strega e, con una lentezza incredibile, iniziò a dondolare, il viso affondato nei suoi capelli vermigli.

Poteva forse un uomo sentirsi talmente felice da sentire il suo corpo espandersi in ogni direzione?

Be', questo era esattamente quello che gli stava accadendo.

Severus Piton e Lily Evans, ora due belle nubi dorate e scintillanti. volteggiavano nell'aria, confondendosi.

Danzarono e volteggiarono ancora in quel nulla non più così tenebroso e poi, nel silenzio più totale, tornarono a casa.​

   
 
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