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Autore: Clou Jeevas    03/01/2011    2 recensioni
Improvvisamente qualcosa colpì la sua attenzione, o meglio, un oggetto che non doveva trovarsi in casa sua.
Affiancato alla sua impareggiabile collezione di gialli - terribilmente ordinata, quasi in modo maniacale-
e i romanzi di Charles Dickens, un libro, dall'intestatura così semplice,quasi infantile,
spiccava il nome di un autore che Arthur preferiva non pronunciare perchè francese.
Dannazione, tutto questo era sicuramente opera di Francis.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Arthur scosse la testa, inspirando l'aria inebriata dell'aroma del suo British Tea.
Osservò pigramente la tazzina  di porcellana, girandone lievemente il piccolo manico color panna. Silenzio. 
Sta piovendo. Piccole goccioline  trasparenti lavano  Londra.
Arthur finalmente decise di sorseggiare il suo Tea, ha il palato terribilmente asciutto e la gola secca. Pacatamente sollevò la chicchera portandone il bordo alle labbra e, senza neanche accorgersene, avvertì un pungente calore che divampò sulla superficie dei suoi vestiti nuovi.
  «Damn it» mormorò acidamente alzandosi d'istinto, rilevando il piccolo disastro che aveva combinato. Una camicia novella, firmata per giunta, da spedire direttamente in lavanderia. Inasprito  e adirato da quella macchia color mandarino si levò immediatamente l'indumento, rabbrividendo leggermente al contatto della pelle umida con l'aria esterna. Dalla rabbia scaraventò la camicia sul divano, senza neanche piegarla, se ne sarebbe occupato più tardi. 
Si spostò verso il grande armadio di camera sua, scegliendo un golfino di lana color porpora, ritornando poi in soggiorno.
Improvvisamente qualcosa colpì la sua attenzione, o meglio, un oggetto che non doveva trovarsi in casa sua.
Affiancato alla sua  impareggiabile collezione di gialli - terribilmente ordinata, quasi in modo maniacale- e i romanzi  di Charles Dickens
, un libro, dall'intestatura così semplice,quasi infantile, spiccava il nome di un autore che Arthur preferiva non pronunciare perchè francese.
Dannazione, tutto questo era sicuramente opera di Francis.
Con estrema cautela ed una punta di spossatezza l'inglese afferrò il piccolo volume straniero, spostandolo dai suoi amati romanzi, questo così detto  "Le Petit Prince" non meritava di circondarsi di libri tanto celebri.
Decise di restituirlo al suo legittimo proprietario, ma nel caso in cui non avrebbe accettato, non avrebbe esitato a gettarlo direttamente nella spazzatura.
Preferiva non conservare nulla che appartenesse o a Francis o alla Francia. 

Con lentezza fece scorrere l' increspata carta delle pagine tra le sue dita, sfogliando lentamente il volume, senza alcun interesse particolare. Le facciate apparivano come  un'insieme di parole di senso compiuto stampate con dell'inchiostro nero , niente di più e niente di meno. Francis si era preso addirittura il disturbo di procurargli la versione inglese, anzi che in lingua originale, forse perchè desiderava veramente che Arthur leggesse quelle frasi.
Inaspettatamente notò alcune parti evidenziate, insieme di sillabe scrupolosamente colorate che attirarono l'attenzione dell'inglese, spingendolo così a scorrervi gli occhi sopra.


« -Perchè bevi?- chiese il Piccolo Principe all'ubriacone.
-Per dimenticare che ho vergogna- Rispose quest'ultimo.
-Vergogna di che?-Insistette il Piccolo Principe. -Vergogna di bere...-
I grandi,decisamente,sono molto,molto bizzarri,si disse il Piccolo Principe mentre se ne andava.»


Arthur rimase immobile qualche secondo, non riusciva a capire. Era tutto uno scherzo?  Forse il francese si stava prendendo gioco di lui e delle sue debolezze, d'altronde, anche se i loro rapporto negli ultimi tempi era leggermente migliorato, restavano sempre nemici giurati. E questa volta Francis aveva proprio superato sè stesso.
Dannazione, non poteva farsi prendere per il culo in questo modo! 
Gettò il Piccolo Principe bruscamente sul tavolo, agguantando il cellulare e componendo freddamente il numero di Francia. Il telefono squillò un paio di volte, secondi utilizzabili  per fantasticare sugli insulti da spolmonare al francese non appena avesse risposto, maledizione, non lo avrebbe "perdonato" tanto facilmente. 
«Pronto ?» gracchiò la voce dall'altra parte, ignara dell'ira funesta di Arthur.
«You... son of a bitch!» rigettò quelle parole come se gli dovesse vomitare addosso da un momento all'altro, era ricolmo di rabbia dalla testa fino ai piedi,
«Oh, mon Arthùr» cinguettò Francia divertito 
« a cosa devo il piacere di questa tua telefonata così sdolcinata?» naturalmente non faceva altro che peggiorare la situazione.
«Perchè porti i tuoi dannati libri idioti a casa mia?! E poi perchè sottolinei frasi senza senso appositamente riferite al sottoscritto?! Fuck you, bastard, stai cercando di fottermi o fare ironia? Bhe, non è divertente.  »
« Veramente io pensavo...» 
«Tu non pensi.  Tu blateri, blateri, ma alla fine sei il meno indicato per fare a me il "maestro di vita".  Chi diamine sei? Gesù Cristo? »
«No, sono solo - »
«Sono abbastanza grande e non mi servono i tuoi consigli del cazzo, ma se era uno scherzo complimenti. »
«Non era uno scherzo. Voglio solo che tu capisca -»
« What? Che bere non è la soluzione di niente? Grazie ma lo sapevo»
«Arthùr...»
«Taci, non dirmi quello che devo fare,  sei il primo che beve! Stupida rana, va al diavolo. »
«Pronto? Pronto? Arthùr? Sei lì?»

Sembra tutto così leggero e immediato. Prima prendi la bottiglia, senza esagerare versi un primo bicchiere di wisky con ghiaccio, lo gusti lentamente, assaporandolo, la gola inizia leggermente a pizzicarti.
Il secondo bicchiere è molto simile al primo, questa volta però il contenuto è molto più sostanzioso, solitamente lo si ingurgita invece che berlo. Il terzo bicchiere è privo di qualsiasi accortezza, è liscio, veloce, quasi non ti accorgi  di finirlo in pochi fiati. Poi si passa direttamente alla bottiglia e il più delle volte si esagera, conviti di tracannare tutto l'alcool disponibile. Tutto diventa più soffuso, offuscato, come se dovesti svenire da un momento all'altro. 
Alcuni minuti dopo, senza che tu ricordi come o perchè, ti ritrovi steso sul pavimento a ridere. 

«E tu che cazzo hai da guardare Piccolo principe? Ti senti così potente?» sghignazzò Arthur in preda alla sua follia.
Era a terra, con la bottiglia di Wisky ancora in mano, mentre osservava la copertina del libro francese. 

«Lo vedi, Piccolo principe, bevo e mi diverto invece di rompere i coglioni alla gente come fai tu ».
Svuotò l'ultima goccia del liquido amarognolo sogghignando, in quel momento si sentiva vuoto di ogni cosa, ma ... felice?
Un momento di puro compiacimento, niente di più. Si rallegrava nell'aver dato una lezione con i fiocchi a Francis, quella dannata rana che non conosceva niente del suo mondo, ma che pretendeva di cambiarlo in "meglio".  «No, non mi vergogno » mugugnò l'inglese abbandonando la bottiglia sul pavimento, trascinandosi a fatica sul divano,
 
«No, sono solo un po' stanco ».
Socchiuse gli occhi per qualche secondo, appoggiando il palmo della mancina sulla fronte e poi sul viso, come se tentasse di lavarsi via qualcosa.
E in effetti, in cuor suo, si vergognava parecchio. 
Se per disgrazia qualcun'altro oltre ai soliti, anzi, al solito Francis, l'avesse visto in quelle condizioni, Arthur non se lo sarebbe mai perdonato.
Avvolte odiava per fino ammetterlo, non si riconosceva in quella figura così trasandata e sciatta, eppure, altre volte ne sentiva ossessivamente il bisogno. 
Presto o tardi, l'inglese ci ricascava sempre. Intontito dal liquido che gli scorreva nelle vene, riuscì a malapena a scorgere l'orologio da polso. Le nove.
Perfetto, non si sarebbe dato pace per l'intera notte.  La porta si socchiuse appena, lasciando entrare una leggera strisciolina di luce esterna.
«Arthùr » pigolò Francis sospirando, avvicinandosi al suo corpo semi dormiente.
Si inginocchiò d'innanzi a lui, stropicciando leggermente il naso per il pungente odore di Wisky che circondava quella stanza, ma ormai quasi familiare. In quel momento provò una certa tenerezza per l'inglese, sembrava quasi uno di quei bambini adorabili delle pubblicità.
Piano piano Francia avvicinò la punta delle dita sulle labbra di Inghilterra, tracciandone lievemente il contorno, il quale, infastidito, si rigirò di pancia bazzicando qualche parola:  «No, sono solo un po' stanco di ricordare, Piccolo principe...». 


 
   
 
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