-Hai mai
disegnato la pioggia?-
-Non
credi che quella mano sia venuta alquanto storta? Capisco che
l’arte non sia
necessariamente perfezione…
-Dimentichi
che nessuno è perfetto.
-Infatti
stavo dicendo, se solo tu non mi avessi interrotto, - riprese
l’altro con fare
seccato – che l’arte non è
necessariamente perfezione. Anche l’imperfetto può
essere arte. Però, e scusate se dico ciò che
penso, l’arte deve essere bella. E
non mi sembra affatto che quella mano sia bella, non credete anche voi?
-L’arte
deve essere bella? Che razza di discorso è mai questo?
– domandò incredula una
piccola donnina con degli occhiali troppo grandi, facendosi timidamente
spazio
nel gruppo con il gomito. –L’arte non segue mica
qualche obbligo, sai? L’arte
può essere bella, non deve-
proferì,
enfatizzando l’ultima parola del suo discorso.
-Sì,
infatti…l’arte deve avere un significato, giusto?
Trasmettere qualcosa, è
quello l’importante. Perciò Carla, non starlo a
sentire: le sue non sono altro
che critiche inutili, come sempre.
Ah,
l’invidia:
quale dolce sensazione sentir gli altri grondare invidia da tutti i
pori.
Vederli ridicolizzarsi con commenti inutili era quanto di
più divertente le
fosse mai capitato e tale diletto sembrava solleticarle il petto ancor
di più
quando, senza nemmeno aver avuto l’opportunità
d’aprir bocca, qualche cavaliere
dall’armatura scintillante si prodigava per difenderla. Era
buffo pensare che
non fosse nemmeno lei a dover infierire sull’invidia
bruciante di chi la
critica, perché vi era sempre qualcun altro a pensarci al
posto suo. Ecco
perché Carla non si era mai
presa la
briga di cambiare il suo circolo di amici in favore di una compagnia
più
interessante, magari capace di trarla fuori dal suo soffocante studiolo
di
tanto in tanto: perché rinunciare a questo divertente
spettacolino?
Sorrise
in direzione dell’ultimo commento, con fare distaccato, come
se non stessero
discutendo del suo ultimo dipinto.
-Hai
già venduto tutto anche di questa mostra, non è
così? Chissà come hanno potuto
comprare una mano storta!- sentì dire dalla protettrice di
turno. Quando
scoppiarono tutti a ridere (tutti tranne uno, s’intende), si lasciò
scappare solo un lieve risolino per
non essere scortese. Infine, posò una delle sue graziose
mani sulla spalla del
suo critico più accanito, come a dirgli
“tranquillo, ti perdono”.
-Mi
dispiace, ma adesso penso che me ne andrò
-Ma
come? Non vieni a prendere qualcosa da bere con noi? Dai, offre Luigi
–
aggiunse qualcuno, facendo cenno in direzione
dell’uomo ormai messo ad una simpatica berlina.
Carla rifiutò
cortesemente, alzando appena la voce su un sottofondo di risa
divertite:
d’altronde, non avrebbe mai sopportato un’intera
serata trascorsa sciorinando
filosofia spicciola su cosa sia l’arte.
Quei pochi minuti dall’agrodolce sapore di un
decadente circolo di
bridge le erano più che sufficienti, pensò con
sprezzo fra sé e sé. E poi, di
cosa sia l’arte non gliene importava proprio un bel niente.
Non era certo per
passione che si ritrovava lì, ma per un triviale bisogno di
denaro; quello che
spinge chiunque ad adattarsi a qualsiasi attività che porti
a casa uno
stipendio.
-
Allora io vado. Ad ogni modo, Luigi, quando vuoi, sei libero di venirmi
a
trovare nel mio studio, sai? Forse saprai darmi qualche dritta per
disegnare
bene quella mano. – disse stringendo con fare sornione le
dita che teneva
ancora sulla spalla dell’amico - I
tuoi
consigli sono sempre i bene accetti – concluse, quindi,
sapendo bene che di lì
a poco sarebbero scattate le lodi sulla sua “incredibile
modestia”. In momenti
come questi, le sembrava di trovarsi in uno di quei teatrini di
marionette che,
alle volte, aveva visto sul ciglio di qualche strada.
-Certo,
certo. Sarebbe divertente vederti all’opera –
replicò quello, assottigliando
appena gli occhi . Ma proprio quando si stava voltando per imboccare la
porta
della sala d’esposizione, fu fermata da una mano stretta con
arroganza attorno
al suo polso fino: - E se ti proponessi una sfida?
Come
in un film di bassa categoria, un coro di sospiri stupefatti si
levò dai
presenti.
-Che
sfida?
-Se
ti
commissionassi un quadro…
-Non
ti disegnerò l’intera cappella Sistina in scala,
se è questo che stai
chiedendo- lo interruppe stizzita. Quella situazione cominciava a farsi
alquanto fastidiosa, mentre lei non desiderava altro che tornare a casa
e sorseggiare
una tazza di thè caldo davanti ad un film degli anni
cinquanta.
-No,
no…niente sfide impossibili – disse
l’altro ridacchiando. Poi riprese: - Un
qualcosa di semplice, giusto per poter avere la soddisfazione di
esporre un tuo
favoloso quadro nel mio salotto.
Ci
mancava solo il sarcasmo scadente. Dando un violento strattone,
divincolò il
suo polso dalla presa insistente dell’altro, per poi
massaggiarsi l’arto offeso
in un implicito atteggiamento di biasimo.
-Suvvia,
dimmi di cosa si tratta, una buona volta!
-Disegnami
la pioggia- concluse Luigi con un sorriso beffardo stampato in volto.
-La
pioggia? – cosa ci sarà mai di difficile nella
pioggia? Proprio non capiva dove
volesse andare a parare…
-Ma
sì! Solo la pioggia. Per il resto ti lascio carta
bianca…nulla di complicato,
visto?
-Di
tutto ciò che potevi domandarle, hai scelto proprio la
più ridicola! – si
intromise nuovamente quella donnicciola dai grossi occhiali e la vocina
stridula. – Non sarà certo un problema per Carla,
non è così?
-No,
non penso ci siano problemi. E poi, non devo preparare altre
esposizioni al
momento…Per quando vuoi che te lo consegni?
-A
tua
discrezione.
-Bene,
allora ti farò sapere – concluse, grata
all’idea di poter finalmente
sgattaiolare a casa. Salutando
di nuovo
tutti quanti, si strinse di più nel suo cappotto,
infilò i guanti con una certa
fretta e si incamminò verso il suo appartamento. In genere
le importava ben
poco dei commenti dei suoi “ammiratori”, visto che
non considerava così
importante il livello della sua produzione artistica, fin tanto che
vendesse.
Tuttavia, stavolta si trovava a concordare con loro su una cosa:
disegnare la
pioggia era davvero una richiesta ridicola. Ma, d’altronde,
si disse anche che
non valeva la pena rovinarsi una serata rilassante su una questione
così
sciocca: avrebbe risolto quella seccatura l’indomani, in
poche ore e senza
troppe difficoltà.
****
Quando
le chiedevano perché avesse cominciato a dipingere, non sapeva se sentirsi in
imbarazzo oppure
seccata a quella domanda inutile. Trovava assurdo che tutti quanti
pensassero
che il presupposto di una qualsiasi carriera artistica fosse una
spassionata
dedizione alla propria pratica, una passione imprescindibile. Per
questo delle
volte era tentata di dir loro la verità:
immaginava se stessa ridere con malizia e rispondere con
falsa innocenza
“non sapevo che altro fare e, visto che il talento non mi
mancava, mi son detta
che o mi mettevo a dipingere, o avrei trascorso la mia vita a far
compagnia ai
barboni sotto i ponti”. Chissà quale sarebbe stata
la reazione di tutti quei
spocchiosi che pendevano dalle sue labbra nel sapere che quei
capolavori, fino
ad allora definiti “l’espressione della sua anima
sensibile” non erano altro
che una patacca qualsiasi buttata giù per racimolare qualche
soldo.
Di certo, in un primo momento, nessuno le avrebbe creduto. Dopo qualche
attimo
di silenzio, si sarebbero sentiti risolini forzati e un qualche
“che scherzo
divertente!” sussurrato flebilmente. Ma quando lei avrebbe
confermato ciò che
aveva detto? Avrebbero scosso la testa indignati? L’avrebbero
insultata fino a
non avere più fiato in gola? O si sarebbero fissati le
scarpe, non sapendo che
dire?
Nonostante tutto, le sarebbe davvero piaciuto rispondere
così. Sapeva, però,
che non poteva permetterselo: non per chissà quale motivo,
ma poiché le avevano
costruito attorno delle aspettative che lei non si poteva concedere di
deludere. Alle volte le sembrava di avere due mani che, con dedita
gentilezza,
le strangolavano il collo. Così, con voce alle sue orecchie
strozzata, finiva
sempre per rispondere ciò che tutti si aspettavano da lei.
Il fatto che si
fosse messa a dipingere perché nessuna università
o qualsivoglia lavoro le
interessavano sarebbe rimasto un segreto custodito tra lei e le sue
tele.
Il
giorno
seguente si era svegliata tardi e, dopo aver fatto colazione sfogliando
una
rivista capitatale fra le mani, si era pigramente vestita. Afferrando
di nuovo
i guanti e il cappotto e avendo già preso le chiavi dello
studiolo, sbirciò
fuori dalla finestra, osservando il cielo plumbeo che sembrava
incombere sul
suo appartamento.
-Stupida
pioggia… - mormorò fra sé e
sé, agguantando un vecchio ombrello.
***
Con
sua somma sorpresa non aveva piovuto, il che era stata una fortuna:
odiava
lavorare quando c’era brutto tempo. Si sentiva indolenzita e
svogliata e le
veniva voglia di scappare al bar di fronte a bersi un thé.
D’altronde, non è
che avesse bisogno di guardare il fenomeno vero e proprio per
riprodurlo: non
era certo un’impressionista e non dipingeva en-plein-air. Senza contare che ne
sapeva abbastanza di
tutti quegli insulsi luoghi comuni che la gente considerava tanto
poetici.
Bastavano quelli, in realtà, per comporre un bel quadro.
Quando piove, il mondo piange.
Quando piove, il mondo è freddo e triste.
La pioggia è “spleen”, come aveva
gentilmente suggerito a suo tempo Baudelaire,
e le sue gocce che scivolano con languore sulle finestre non sono altro
che le
sbarre di una prigione.
E bla, bla, bla.
In
definitiva, seguendo queste indicazioni, e mettendosi di buona lena, ci
aveva
messo ben poco per dipingere quello stupido soggetto (grazie anche alla
tela di
piccole dimensioni che aveva scelto; un trucchetto per accelerare i
tempi). Il
suo quadro non presentava altro, oltre alla pioggia:
sembrava che la scena fosse osservata da una
finestra perché vi erano alcune gocce condensate in primo
piano, ma non vi
erano particolari indicazioni, oltre a
ciò, che lo facessero pensare; esso era un
trionfo grigiastro, dove
lievi sfumature lasciavano intravedere delle sbarre immaginarie e
alcune tracce
di un verde smorto evocavano un praticello intristito (ma, in effetti,
talmente
indistinguibile da non poter essere definito tale).
In poche parole, a
quel suo gruppo civettuolo sarebbe di certo
piaciuto, l’avrebbero lodata a dismisura e lei si sarebbe
divertita a
punzecchiare, con falsa modestia, il solito criticone, crogiolandosi
nella sua
biasimata invidia.
Dopotutto,
pensò leccando le tracce di yogurt dal suo cucchiaino, si
poteva ritenere
soddisfatta.
Proprio per questo fu un’enorme sorpresa constatare che le
cose non sarebbero
andate come lei si aspettava.
-E’
favoloso, sai? Come sempre, dopotutto. Sarebbe sprecato nel salotto di
Luigi!
Perché non lo tieni tu? O se non ti
interessa…regalalo a me! – le disse uno,
ridacchiandole divertito in un orecchio.
-Allora
Luigi? Tu cosa ne dici? Non sei tu quello che ha lanciato
quest’insulsa sfida?
-Beh…fatemici
pensare…- replicò quello, mettendo un
po’ di distanza fra lui e il quadro per
osservarlo meglio. Carla guardò la scena divertita,
consapevole che, di lì a
poco, l’altro avrebbe declamato una qualche critica insulsa,
scatenando
l’ilarità generale.
-E’
dipinto in maniera eccezionale, davvero – disse invece.
Pensò di aver sentito male, ma quando osservò le
espressioni incredule di tutti
quanti, si rese conto che Luigi aveva detto ciò per davvero.
Se ne sentì quasi
rammaricata: dove stava il suo divertimento, così? Se anche
l’invidia di Luigi
fosse scomparsa, le sue esposizioni sarebbero di certo diventate
più noiose di
quanto già non fossero.
-Ti
piace davvero?
-No
Ah, ecco. Lasciò andare un sospiro di sollievo nella sua
testa.
-Non è carino farmi illudere che ti sia piaciuto un mio
dipinto, sai? – disse
allora con pacatezza e con fare divertito.
-Cosa c’è che non va? Forse la mancanza di
soggetto? O il fatto che il prato
sia troppo indistinto? Dici che avrei potuto disegnarlo meglio? Dimmi;
sai che
le tue critiche mi interessano – proseguì,
disgustata alle sue stesse parole.
Non pensava certo ciò che aveva detto…
-No,
non ho mentito. Non hai proprio capito: è disegnato
magnificamente. Ma, sbaglio
o voi stessi l’altra volta avevate detto che l’arte
è ciò che vuole trasmettere?
Beh, questo dipinto è di certo ben fatto ma…non
mi sembra di capire cosa tu
pensi della pioggia, sai?
-Non
capisco…cosa vuoi dire?- chiese con voce sommessa. Si
sentiva alquanto confusa.
-Dico
che ti sei ispirata a Baudelaire, vero? E se non a lui, a qualche altro
poeta,
immagino. Forse a Paolo Conte? Non c’è una sua
canzone in cui scrive “fuori
piove un mondo freddo”?
Quando Luigi si fermò in attesa di risposta,
regnò il silenzio più assoluto.
Nessuno sapeva cosa dire e una sensazione di disagio
cominciò a serpeggiare fra
tutti i presenti, Carla compresa.
-Ma
tu? Tu cosa pensi della pioggia? – riprese l’altro,
soddisfatto della reazione
ottenuta. – Sai, un soggetto così comune come
questo, deve per forza essere
espresso attraverso ciò che si senti. Altrimenti, dove
sarebbe la sua
attrattiva? Per
farla breve, a disegnar
la pioggia così, è
capace chiunque abbia
un minimo di familiarità con i pennelli. Questo quadro
– e qui fece un piccola
pausa, come a voler imprimere meglio ciò che stava per dire
– non mi trasmette
niente.
Quando
nessuno aprì di nuovo bocca, Luigi sorrise a trentadue denti.
-Ma sai cosa ti dico? E’ comunque carino; nel mio salotto ci
farebbe una bella
figura – concluse ridacchiando nello stupore generale.
***
Come?
Come
si disegna la pioggia?
Non
le
era mai capitato, fino ad allora di sentirsi così umiliata.
Più ripeteva a sé
stessa che non le importava nulla dei suoi dipinti (né
tantomeno dei commenti
di qualcuno che non aveva nient’altro di meglio da fare di
fingersi un critico
d’arte), e più sentiva il petto bruciarle ed una
vocina fastidiosa in testa
ripeterle che non era brava nemmeno a disegnare la pioggia. Non aveva
mai
preteso che i suoi quadri significassero qualcosa, o che trasmettessero
qualcosa; finché vendevano, andavano bene.
E allora perché era così turbata da
quel commento? Forse perché, come
Luigi, gli altri estimatori avrebbero potuto dire ciò e non
voler più
acquistare i suoi dipinti? No, era certa che non sarebbe successo nulla
del
genere.
La
mattina dopo si ritrovò nel suo studiolo. Si
stupì nel constatare che vi si era
recata quasi inconsapevolmente, come in una specie di trance. Infatti
non aveva
nemmeno fatto colazione, e la sua idea di prendere un cornetto al bar
sull’altro lato della strada era andata in fumo quando si era
accorta che erano
le sei e che, di conseguenza, il locale era ancora chiuso.
Era andata lì alle sei?!?! Di solito era così
riluttante all’idea di mettervi
piede che più tardi vi si recava e meglio si sentiva, tanto
da essere solita
temporeggiare a casa con il pretesto di una qualsiasi stupidaggine. Ad ogni modo, ripetendosi
che, visto che
ormai vi si trovava, tanto valeva mettersi all’opera, prese i
colori e si
sedette di fronte ad una nuova tela.
La prese più grande stavolta per
dare
libero sfogo alla sua fantasia.
Ma quando avvicinò il pennello, si rese conto che non sapeva
cosa tracciare:
quale fantasia, se non aveva la più pallida idea di come si
disegnasse la
pioggia? Sarebbe finita per dipingere di nuovo un ammasso
d’acqua grigiastra.
D’altra parte, la pioggia era questo, no? Quindi non vi era
altro modo per
dipingerla.
Tirò
un
lungo sospiro, sconsolata.
Fissò il vuoto davanti a sé per lungo tempo,
senza saper cosa fare, o cosa
pensare. Poi, però, sentì un fievole ticchettio,
mano a mano più insistente.
Per un attimo, pensò che il rubinetto perdesse, ma poi,
rivolgendo lo sguardo
al finestrone che affacciava sulla strada, vide che pioveva.
-Poco
importa – pensò – non è che
cambierà qualcosa se mi siederò là
davanti a
dipingere quel che vedo. Luigi dirà solo: “questa
è una strada ben disegnata,
ma ancora non so cosa tu pensi della pioggia”.
Riprese,
quindi, a fissare il vuoto, abituandosi pian piano a quel costante
sottofondo.
Dopotutto, era piuttosto piacevole. Si fermò a pensare
(ridacchiando della sua
stessa idiozia) che sembrava che qualche bambino stesse picchiettando
le sue
piccole dita sulla finestra. In fondo, aveva l’impressione di
aver letto da
qualche parte un paragone simile. Le solite stupidaggini poetiche.
Eppure, soffermandosi a pensarci sopra, si ricordò di quanto
lei stessa, da
piccola, si divertisse a picchiettare le dita sul finestrino della
macchina,
per far scivolare le gocce cadutevi sopra. Sua madre le intimava sempre
di
smetterla perché la distraeva mentre guidava, ma lei
continuava, ignorandola.
Infatti, allora pensava che pioggia fosse così divertente,
così bella. Si
chiese quand’era che avesse smesso di pensarla
così.
Mentre
rifletteva su tutto ciò, immerse le sue stesse dita nella
pittura grigia e le
poggiò varie volte, con una certa insistenza, sulla tela
bianca che aveva di
fronte. Non lo fece di proposito, anzi, per essere precisi, nemmeno si
accorse di
star facendo ciò.
Forse…forse, la pioggia era veramente tante piccole dita che
scivolavano, che
si divertivano a bagnare la gente e a scorrere sulle fiancate delle
auto e sui
muri; si divertivano a giocare nel fango, addirittura a crearlo!
Strabuzzavano
gli occhi nel vedere tutti quegli ombrelli colorati andare da una parte
all’altra, tingendo quel cielo triste, e ridacchiavano nel
creare pozzanghere
che qualcuno non avrebbe visto, ritrovandosi con un calzino tutto
bagnato; si
coccolavano nel vedere chi le osservava dalla finestra con una tazza di
tisana
in mano, e si divertivano nell’osservare chi, senza alcun
ombrello con sé,
correva come un matto per rifugiarsi sotto il portico più
vicino.
La pioggia non era le lacrime di un mondo triste né un
fenomeno meteorologico,
ma un qualcosa di curioso e liberatorio. Immaginava di correre fuori da
quella
stanzetta soffocante e di stare lì, sotto quelle dita, senza
nessun ombrello;
sentiva un peso sollevarsi dal suo petto, e il suo cuore battere
più forte, in
preda ad un’inspiegabile frenesia.
E le sue dita continuavano a sfregarsi con la tela. Ma non erano
più solo
grigie: erano colorate, come tutti quegli ombrelli che le sembrava di
veder
danzare davanti ai suoi occhi; erano rosee, come le persone che, come
lei,
stavano lì a farsi carezzare da quelle dita e verdi, come
gli alberi dei viali,
e di color mattone, come le mura dei palazzi.
Chiunque l’avesse guardata in quel momento,
l’avrebbe pensata un pazza che si
divertiva ad imbrattare una tela senza alcun motivo, ma Carla
pensò di star
dipingendo. Forse per la prima volta.
***
-Non
capisco…questo cosa sarebbe?- chiese perplessa quella solita
donna occhialuta.
-Non
lo vedi? E’ la pioggia
-A
me
non sembra – s’intromise uno, facendosi spazio nel
solito gruppetto.
-Già…è
solo uno scarabocchio, questo…questa cosa – disse
un altro ancora, guardando le
pareti di quell’asfissiante studiolo pur di non dover
rivolgere i suoi occhi
verso la tela.
-Carla…cosa
ti è preso? Questo non è da te…
-E’
vero! Non devi mica ascoltare le parole di Luigi, sai? Lui parla sempre
per dar
fiato alla bocca e nulla più. Il quadro che avevi fatto
l’altra volta era molto
bello. Questo è solo un…beh, non lo so nemmeno io
– disse, infine, con un po’ di
incertezza.
-Non
sembra proprio pioggia. E poi sai, mica la pioggia è
colorata!
-Scherzi?
Non mi dirai che non hai mai visto pioggia verde! – disse
uno, facendo
scoppiare tutti a ridere. Tuttavia, si zittirono quando sentirono Carla
parlare:
-A
me
piace, invece.
-Come?!
Ma, la pioggia non è così!
-No,
infatti non lo è. Ma…è così
che io la vedo – concluse, guardando per la prima
volta con un sorriso sincero, quella tela imbrattata da una
quantità
innumerevole di dita, da un trionfo di colori un po’
mischiati fra loro.
-Ecco…è così che si disegna la pioggia- disse, infine, osservando le espressioni scandalizzate di tutti i presenti.
Nota dell'autrice:
Salve a tutti coloro che sono riusciti a resistere fino alla fine di
questa lettura senza premere il tasto "destroy" XD L'idea per questa
one-shot mi è venuta questa mattina, a seguito di un attacco
d'ispirazione acuta: era talmente tanto tempo che non scrivevo una
storia (originale, per di più), che mi sono sentita come una
bambina che prova a scrivere un racconto per la prima volta XD In
definitiva, non sono affatto convinta del risultato. Proprio per questo
motivo, ci terrei tanto che, chi ha trovato il tempo per leggere questa
storia, lasciasse gentilmente anche una piccola recensione, giusto per
farmi sapere cosa ne pensa, e farmi qualche critica o darmi qualche
consiglio. Ah, un'altra cosa: nel corso del testo, sono sicura che
abbiate notato una serie di ripetizioni: non mi sono soffermata troppo
nel correggerle perchè, leggendo la shot a voce alta, mi
sono resa conto che non risultavano poi così fastidiose. Ad
ogni modo, se la pensate diversamente, fatemelo sapere e
vedrò di correggerle^^
Infine, vi ringrazio per aver avuto la pazienza di leggere questa mia
storiella! (se così si può definire XD)
Spero che la lettura sia stata di vostro gradimento!