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Autore: CFC    06/01/2011    3 recensioni
Un uomo evoca per sbaglio un dio della corte di Azothoth.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mangia cuori
“Eri su un treno. Un treno pieno di gente. Tu stavi seduto ed era come se su quel treno non ci fosse nessuno. Guardavi nel vuoto e non pensavi a nulla. Poi all’improvviso hai alzato la testa e nel volto avevi un’espressione triste da cane bastonato e hai guardato il finestrino. Doveva esserci la tua immagine riflessa, ma non era così. Il volto era sempre il tuo, ma invece che triste avevi un’espressione cattiva e truce. Poi ti sei guardato intorno ed era di nuovo pieno di gente, ma stavolta erano tutti distesi a terra e non respiravano più. Ti sei chiesto che cosa era potuto succedere, chi aveva potuto fare quel massacro; hai avuto paura che potessi essere stato tu. Il treno si è fermato, la porta si è aperta e prima che qualcuno potesse entrare, ti sei tuffato fuori dalla carrozza che puzzava di morte. Uscito dalla stazione senza mai guardarti indietro, hai iniziato a correre verso una meta imprecisata. La pioggia scendeva dal cielo senza dare l’impressione di volere smettere di cadere e tu non avevi alcuna intenzione di smettere di correre. I tuoi vestiti bagnati ti rendevano faticosi i movimenti, ma tu continuavi a correre. Poi che cosa è successo? Ah si! Sei arrivato a casa. Ti sei spogliato, quasi strappandoti di dosso i vestiti e ti sei buttato dentro la cabina della doccia. Finita la doccia, ti sei messo davanti alla tv e hai guardato il telegiornale. Il giornalista diceva che c’era stato un massacro su una carrozza di un treno, ma che c’era stato un sopravvissuto che era stato in grado di fare con il cellulare una foto allo spietato killer. E’ stata fatta vedere la foto dell’assassino e anche se era un po’ mossa riuscivi a riconoscerti. Dallo choc sei svenuto e quando hai riaperto gli occhi hai deciso di consegnarti alla polizia, giusto?”
Alzai lo sguardo e vidi che il poliziotto, che stava raccontando la mia storia stava ridendo e non mi piaceva affatto. Gli dissi: “Si, è tutto giusto.”
Il poliziotto, che sembrava piuttosto divertito dall’intera faccenda, mi disse: “Credo che lei abbia avuto un incubo. Non c’è stata nessuna strage e nessun telegiornale ha trasmesso questa notizia.”
Io sbalordito gli dissi: “No, non è possibile. Sembrava tutto così reale.”
Il poliziotto mi disse scortese: “Dovrebbe essere contento di non aver ucciso nessuno e se vuole un mio consiglio dovrebbe raccontare questa storia ad uno specialista. Adesso se ne vada, non mi faccia perdere tempo”
Così dopo aver fatto una figuraccia, me ne andai al lavoro, ma non potei fare a meno di pensare per tutta la giornata al mio incubo. La sera tornato a casa ero così stanco, che non appena mi sedetti sulla mia poltrona, mi addormentai, purtroppo rifeci quell’incubo. Decisi così di prendermi una giornata di ferie e di andare da uno psicologo a parlare del mio incubo. Dopo aver raccontato il mio incubo ricorrente, lo psicologo mi domandò:“E’ possibile che lei abbia della rabbia repressa?”
Io gli risposi: “No, non sono timido e manifesto sempre a parole la mia rabbia.”
Lo psicologo mi chiese: “Da quanto è che lei ha questo incubo?”
Io gli risposi: “Da due giorni.”
Lo psicologo mi chiese: “E’ successo qualcosa due giorni fa?”
Mi ricordai  di quello che feci due giorni fa, ma mi vergognavo a rivelarglielo e così gli dissi che non era successo nulla. Forse intuì che non ero stato completamente sincero e mi chiese: “Ne è sicuro?”
Gli risposi che ne ero sicurissimo e lui mi disse: “Tutto ciò è molto strano, bisogna andare molto a fondo, vuole continuare un altro giorno?
Gli risposi: “No,  è solo un incubo e stasera forse non lo farò più.”
Lo psicologo mi disse: “ D’accordo, ma se lo farà ancora questa sera me lo dica.”
Uscii dal suo studio soddisfatto, perché sapevo da che cosa dipendevano i miei incubi ed ero sicuro che quella notte sarebbero terminati. Tornato a casa, presi un libro dalla mia scrivania, il Necronomicon, il libro che avevo letto prima di avere quell’incubo. Il libro parlava di cose terribili e probabilmente mi aveva sconvolto la psiche. Perché non l’ho detto allo psicologo? Perché la lettura di quel libro mi aveva così tanto affascinato che quella stessa sera avevo praticato un rito di evocazione, ma non era successo nulla e me ne andai a letto prendendomi in giro per aver creduto a tutte quelle stupidaggini. Intanto al telegiornale stavano parlando di uno strano avvenimento, alcune persone erano morte misteriosamente e dalle autopsie risultavano che erano morte perché il cuore non c’era più, era stato estratto senza aprire il petto o senza danneggiare gli organi vicini, le arterie e le vene non erano state recise. Il cuore era scomparso nel nulla. Le vittime non erano collegate tra di loro. La cosa più strana fu il fatto che quando fecero vedere le foto delle vittime, pensai che li avevo già visti da qualche parte. Pensandoci un po’ ci arrivai. Li avevo visti nel mio sogno. Che cosa voleva dire questo? Avevo sognato delle persone che non avevo mai visto, le avevo sognate per giunta morte e poi queste erano morte davvero. Tutto questo non aveva senso. Sembrava un incubo. Mi pizzicai forte, ma ero sveglio. Stavolta non era un incubo.  Allora pensai che forse la notizia era di due giorni fa e che adesso il telegiornale per via del suo lato misterioso la stava di nuovo diffondendo, che me ne ero dimenticato e che quindi era normale che li avevo sognati, dato che li avevo già visti al telegiornale. Non c’era altra spiegazione e non ne cercai un’altra. Me ne andai a letto e mi addormentai. Chiusi gli occhi e mi ritrovai seduto su quel dannato treno, vicino a me era seduta una ragazza. Lei mi salutò e iniziò a parlarmi. Aveva voglia di fare conoscenza con qualcuno. Scoprii così che era nuova della città, che non aveva molti amici e che le sarebbe piaciuto che io diventassi un suo amico. Accettai molto volentieri. Iniziammo a conoscerci. Seppi così che lei era vedova: suo marito era morto in un incidente stradale. Dopo due anni di lutto aveva deciso di cambiare vita. Non poteva rimanere in una casa che le ricordava lui e non poteva più frequentare i suoi amici, che la guardavano con pietà. Io cercai di non darle la stessa impressione. Cercai di farla ridere raccontandole che ero andato dalla polizia per denunciarmi di un omicidio fatto in un sogno. Lei scoppiò a ridere e mi disse che non ci poteva credere. Iniziai a raccontarle di me, della mia vita all’università. In due anni non erano riuscito a darmi nemmeno una materia e così avevo abbandonato. Lei era laureata in psicologia. Un altro psicologo! Le chiesi che cosa poteva voler dire quel maledetto sogno oltre al fatto che desidero uccidere delle persone. Lei mi disse che aveva promesso a se stessa che non avrebbe fatto la psicologa anche nella vita privata. All’improvviso abbassai la testa perché mi girava, i suoni si facevano confusi e creavano una cacofonia in ascoltabile. Misi le mani sulle orecchie per non ascoltare e poi la testa in mezzo alle gambe. Dopo qualche minuto la cacofonia era cessata, la testa non mi girava più. Abbandonai la mia posizione e iniziai a guardarmi intorno. La donna con cui avevo parlato era caduta per terra. Forse si era sentita male. La presi e la misi sul sedile, ma mi accorsi che aveva il torace squarciato e che le mancava il cuore. Mi alzai spaventato e sporco di sangue. Mi guardai intorno in cerca di aiuto, ma tutti e dieci i passeggeri che erano con me nella carrozza erano per terra. Erano morti. La porta interna della carrozza si aprì e vidi sulla sua soglia un uomo vestito da controllore. Il cappello che aveva sulla testa, gli faceva ombra e così io non potevo vedere il suo volto. Alzò il braccio destro e con l’indice mi indicò. Del suo volto  potei vedere il grande sorriso che mi fece e i suoi denti perfetti e bianchi, poi pronunciò una parola che io non sentii, che non ruppe il silenzio di morte che era calato sulla carrozza. In ogni caso capii dal labiale che mi diceva Grazie! Non appena capii ciò che mi aveva detto mi svegliai dentro il mio letto urlando. Non volevo che quell’essere mi ringraziasse! Ero completamente sudato, decisi di farmi una doccia. Aprii l’acqua dentro la cabina e non appena iniziò a scendere calda mi misi sotto. Lasciai che l’acqua mi scorresse addosso, che mi lavasse di dosso la stanchezza che sentivo. Mi preparai per andare a lavoro e mentre aspettavo che il cafè salisse, aprii la televisione e ascoltai il telegiornale. C’era una notizia incredibile: altre morti misteriose. Quella stessa mattina avevano trovato una donna appena trasferitasi in città morta. Dall’autopsia era emerso che non aveva il cuore. Fecero vedere la foto della donna e la mia mano si rilassò completamente come se privata della vita e lasciò cadere il telecomando a terra. Quella donna era quella che avevo sognato. Il nome coincideva, il fatto che era vedova da due anni pure. Cosa voleva dire tutto ciò? Iniziai a pensare a migliaia di cose e feci un miliardo di congetture. Tornai alla realtà per via del rumore della caffettiera. Il cafè era salito e si era versato tutto sul fornello. Privato del piacere di un discreto cafè, uscii di casa dopo aver pulito quel macello, ma anziché andare a lavoro, andai dal mio psicologo. Gli raccontai il mio sogno e gli chiesi come mai vedevo persone, le conoscevo nel mio sogno e poi queste morivano il giorno dopo? E per giunta di quella morte misteriosa? Mi diede una spiegazione scientifica complicata e razionale, mi disse di non preoccuparmi e mi fece tante domande sulla mia infanzia e adolescenza. Me ne andai da lui per nulla soddisfatto. Comunque decisi di andare a lavoro.  Iniziai a fare il mio lavoro, ma ero distratto da quel maledetto sogno. Un mio collega lo notò e mi chiese che cosa c’era che non andava. Gli raccontai ogni cosa. Ogni cosa eccetto del fatto che avevo aperto il Necronomicon e fatto un’evocazione. Finita la giornata, andai a casa. Mangiai una scatoletta di tonno, non avevo alcuna voglia di cucinare. Dopo la “cena”, aprii la televisione di nuovo e mi guardai un film che finì verso le ventitre. Mi feci un cafè e cercai qualche altro programmo divertente. Rimasi a vedere la televisione e a bere cafè fino alle quattro. Avevo paura di chiudere gli occhi. Avevo paura di ritrovarmi seduto su quella stramaledetta carrozza. Presi quel libro dallo scaffale e iniziai a leggere il rito di evocazione che avevo fatto. Dopo aver finito la lettura, lasciai cadere a terra il libro. Che cretino ero stato! Ma davvero poteva accadere? Sono io la causa di tutte quelle morti! E’ colpa mia! Per fortuna che ho in casa sempre una corda e una bella trave resistente sulla quale legarla. Addio e sappiate che non volevo essere la causa di tutte quelle morti.
Il commissario Valeria Airoldi appoggiò il biglietto sulla scrivania e disse al suo sottoposto: “Avete trovato solo questo? Di solito un uomo che sta per uccidersi chiede perdono ai suoi parenti. Giuseppe Verdi non ha parenti?”
Il suo sottoposto le rispose: “Si, una sorella minore Aida Verdi, ha riconosciuto il fratello. Adesso è andata a casa.”
Valeria ci pensò un attimo poi disse: “C’è poco da dire su questo caso, è tutto palese. Giuseppe Verdi soffriva di un grave disturbo psichico, credeva di aver evocato un essere malvagio grazie ad un libro di non buona fama, che quell’essere era la causa delle morti misteriose di cui ha sentito parlare al telegiornale. Ha pensato di essere lui la causa e ha deciso di togliersi la vita.”
Il sottoposto guardò intimorito il commissario e le chiese: “Commissario, il libro lo diamo alla sorella o lo dobbiamo tenere come prova?”
Valeria gli rispose garbatamente: “Prima voglio leggerlo anch’io, voglio vedere quanto ha influito la lettura di quel libro sulla sua mente. Poi verrà restituito alla sorella, che potrà farne quello che più crede. Io lo darei alle fiamme.”
Il sottoposto cercando di fare una battuta disse: “Commissario, siete un inquisitore?”
Valeria a quella battuta non rise e il sottoposto se ne andò dal suo ufficio. Il commissario si avvicinò ad un tavolo su cui c’erano tutte le prove, prese il libro e lo aprì. Finalmente lo aveva trovato. Aveva mentito al suo sottoposto, lei sapeva che Giuseppe Verdi non era un pazzo e che il demone evocato era reale. Lo sapeva perché conosceva quel libro e sapeva che ciò che era scritto su di esso era pericoloso. Lo sapeva dall’età di quindici anni. Suo padre era riuscito a trovare una copia di quel libro. Iniziò a leggerlo, a studiarlo e farci degli esperimenti. Dopo un paio di mesi che aveva comprato quel libro maledetto, secondo molti il professore di filologia Carmelo Airoldi era diventato strano e aveva iniziato a comportarsi in maniera stravagante. Il distaccato e serio professore Airoldi era diventato affettuoso e divertente con i suoi studenti, soprattutto con le ragazze. Qualcuno pensò che questo era dovuto ad una crisi di terza età. Poi le studentesse che frequentava iniziarono a sparire e la polizia iniziò ad indagare anche su di lui. Gli investigatori trovarono un garage appartenere al professore Airoldi e fecero una perquisizione. Quando aprirono la serranda, si trovarono davanti uno spettacolo orribile. Almeno una decina di corpi di ragazze e sull’unico tavolo due libri: il necronomicon e un libro scritto dal padre il de natura.
Dall’autopsia si scoprì che le vittime non erano state uccise né con il veleno né con qualche arma da taglio. I corpi erano integri all’esterno. Quando venne fatta un’autopsia più approfondita si scoprì che quei corpi in realtà erano solo dei gusci vuoti e che al loro interno non vi erano nessuno organo. Come era riuscito a farlo? Fu rilasciato un mandato di arresto nei suoi confronti. La polizia non riuscì mai a trovarlo. Da quel giorno Valeria fu chiamata dai suoi compagni la figlia del mostro e venne sempre più emarginata. La ragazza era convinta dell’ innocenza del padre e decise di diventare una poliziotta per poter anche indagare sul padre e trovare una pista. Tutte le piste che scopriva  portavano ad un libro, il necronomicon, che era quasi impossibile da trovare. Adesso dopo tanti anni ce lo aveva fra le mani e poteva cercare di scoprire ciò che era successo a suo padre e ciò che era successo a Giuseppe Verdi. Valeria iniziò a leggere il libro scritto dall’arabo pazzo Abdul Alhazred nell’ottavo secolo dopo Cristo. Lesse e fu affascinata dell’inspiegabile distico del poeta che diceva:       Non è morto ciò che può vivere in eterno,
E in strani eoni anche la morte può morire.
Lesse anche tante altre cose, ma quella che la affascinò di più fu il capitolo in cui si evocava un essere malvagio che agiva nei sogni e che divorava gli organi delle sue vittime uccidendole. Anche se agiva nei sogni i suoi atti avevano effetti anche nel mondo materiale e le sue vittime venivano uccise realmente. Leggendo ciò, pensò che aveva trovato il suo assassino e che grazie alla morte di Giuseppe Verdi non avrebbe potuto più agire. Infatti questo essere malvagio una volta evocato rimane nel corpo dell’uomo che lo ha evocato e sceglie le sue vittime attraverso gli occhi di chi lo ospita. Il nome di questo essere malvagio è Althotep, un figlio del dio Nyarlathotep. Quindi si domandò se questo essere malvagio potesse avere a che fare anche con il caso di suo padre. Anche le sue allieve erano state trovate senza più organi e questo era una cosa in comune. Suo padre era cambiato da quando aveva letto quel libro e lo stesso era accaduto a Giuseppe Verdi. Ma che ruolo aveva suo padre in quella faccenda? Era uno sprovveduto come Giuseppe Verdi che quando scoprì ciò che aveva fatto per errore aveva deciso di rimediare, anche con l’estremo gesto o era parte attiva, portava spontaneamente le prede ad Althotep? Perché le ragazze erano state trovate nel suo garage? Perché aveva scritto un altro libro il de natura? E dove era andato a finire quel libro? Erano tutti interrogativi che perseguitarono per tutto il giorno e per tutta la notte la mente di Valeria. Interrogativi che però non trovarono risposta. Il commissario Airoldi la mattina seguente andò nel suo ufficio e lì verso le undici arrivò un altro suo sottoposto che le disse: “Commissario, c’è un problema.”
Valeria lo guardò e gli chiese: “Che tipo di problema o devo indovinare da sola?”
Il suo sottoposto si fece coraggio sapendo che quell’argomento la turbava molto e le disse: “Commissario, è stata trovata un’altra vittima. Hanno già fatto l’autopsia ed è emerso che al suo interno non aveva più il cuore.”
Valeria buttò un pugno sulla scrivania e disse: “Non è possibile! Non doveva continuare a succedere!”
Il sottoposto le disse: “Bisogna fare qualcosa! La città è colpita da un’onda di isterismo. La gente non fa che comprare immagini di santi e catenine del rosario. Sono comparsi dei profeti che annunciano che la fine del mondo è vicina. Gli scienziati di tutto il mondo non sanno cosa dire. Dobbiamo rivolgerci a qualche stregone?”
Valeria lo fece zittire con un gesto della mano e gli disse: “Caputo, non dire sciocchezze. Noi dobbiamo indagare sugli omicidi. E’ un omicidio? C’è un killer che fa queste cose? Può trattarsi di una malattia che scioglie gli organi interni, ma non è un problema nostro. Noi dobbiamo fare solo le autopsie quando scopriamo che la morte è provocata da un uomo in carne e ossa, interveniamo. A proposito, hai trovato quello che ti avevo chiesto?”
Caputo le rispose: “Commissario, tra qualche giorno un mio amico me lo porterà. Il libro di Giuseppe Verdi lo riporto alla sorella?”
Valeria ci pensò e poi disse: “No, non ho ancora finito di leggerlo.”
Finita la sua giornata di lavoro, tornò a casa e lì rilesse per dieci volte il paragrafo sull’evocazione di Althotep. Sentiva che le sfuggiva qualcosa. Per la seconda notte di fila dormì per poco ore. Questo caso la stava consumando. Al mattino tornò al lavoro e ricominciò a svolgere i suoi compiti, fin quando non entrò il suo sottoposto Caputo che le disse: “Sono state trovate altre tre persone morte e tutte come le altre.”
Valeria buttò la testa all’indietro, guardò il soffitto e disse: “Che cosa possiamo fare?”
Caputo si sedette in un’altra sedia e disse: “Lei ha ragione commissario. Sono da tre generazioni che nella mia famiglia siamo poliziotti. Prima mio nonno, poi mio padre e mio zio e infine io e i miei cugini. Siamo tutti poliziotti! Possiamo dire di averlo nel sangue. Per questo so che i poliziotti non si possono occupare di queste morti. Possiamo salvare tante persone, ma queste no. Siamo impotenti anche noi e questo anche se mi fa incazzare devo accettarlo e anche lei deve farlo.”
Valeria sorrise e disse: “Che cosa hai detto sul fatto del sangue?”
Caputo le rispose: “Che nella mia famiglia possiamo dire di averlo nel sangue il fatto di essere poliziotti.”
Valeria entusiasta disse: “Grazie Caputo, hai ragione. Ora puoi lasciarmi da sola?”
Caputo uscì e Valeria pensò: “Ecco il pezzo che mi mancava.”
Valeria riprese il Necronomicon e lesse di nuovo il paragrafo sull’evocazione di Althotep. Ormai lo poteva recitare a memoria, ma voleva essere sicura di ricordare bene. Di tutto il paragrafo solo una frase le interessava:
L’evocatore si lega ad Althotep,il mangia cuore
Con il corpo, con lo spirito e con il sangue.
Voleva dire che l’evocatore si legava ad Althotep anche con la sua famiglia, che l’essere malvagio continuava a colpire attraverso la sorella di Giuseppe. Valeria chiamò Caputo, che giunse di corsa e disse: “Commissario, avete dei comandi?”
Valeria con fermezza disse: “Riporta il libro ad Aida Verdi ed io verrò con te.”
Caputo la guardò stupito e poi le disse: “Ma ne siete sicura? Vi allontanate dal commissariato solo per ridare un vecchio libro?”
Valeria si alzò dalla sedia e disse: “Si, credo che sia molto importante.”
Valeria e Caputo arrivarono a casa di Aida. Caputo suonò il campanello, ma nessuno andò ad aprire. Valeria bussò con forza e iniziò a chiamare il suo nome. Nessuno rispondeva. Caputo le disse: “Mi sa che non c’è nessuno.”
In quel momento uscì una vicina di casa che disse: “Chi state cercando?”
Caputo rispose: “La signorina Aida Verdi.”
La vicina disse: “Non vi risponde? Strano, deve essere in casa perché la macchina è sotto. Forse starà dormendo.”
Valeria guardò Caputo e poi gli ordinò: “Sfonda la porta.”
Caputo la guardò incredulo e le chiese: “E’ sicura, commissario?”
Valeria con durezza gli rispose: “Apri la porta, ho un cattivo presentimento!”
Caputo prese la rincorsa maledicendo dentro di sé i presentimenti delle donne che molte volte si rivelano veri e diede una spallata alla porta. Il povero Caputo sentì un dolore incredibile alla spalla, ma la porta fu scardinata e Valeria disse compiaciuta: “Non ti facevo così forte.”
Caputo sorrise e Valeria fece altrettanto, ma ben presto i loro sorrisi si spensero lasciando nei loro volti lo stupore per ciò che stavano vedendo.
Aida stava penzolando da una trave priva di vita e sotto i suoi piedi si era formata una pozza di sangue. Valeria ordinò a Caputo di chiamare la scientifica e nel frattempo lei iniziò a ispezionare la casa, trovando l’ultimo messaggio della suicida.
Il sono Aida Verdi e chiunque tu sia, se stai leggendo questo biglietto vuol dire che sono già morta. In queste poche righe voglio solo dirti perché ho deciso di uccidermi e avvertirti di un grave pericolo. Ciò che mi ha portato a questa decisione è iniziato il giorno del funerale di mio fratello, Giuseppe Verdi, anche lui suicida, poiché sulla nostra famiglia è piombata una maledizione terribile per noi e per l’intera umanità. Dopo il funerale di quello sventurato, ero tornata casa e non facevo altro che pensare a mio fratello. Era pazzo come credevano i poliziotti? E in due settimane si può perdere talmente la ragione da arrivare ad uccidersi, perché fino a due settimane fa per me era a posto con la testa? Ma forse io essendo sua sorella non ero riuscita a vedere i suoi gravi problemi, non volevo vederli probabilmente e mi ero convinta che lui stava bene?Mi tormentavo con questi pensieri quando il sonno mi colpì e mi fece assopire sulla mia poltrona. Ciò che accadde dopo fu terribile e forse in molti non mi crederanno, forse tutti voi penserete che eravamo tutti una famiglia di pazzi. Mi ritrovai seduta su un treno. Mi guardai intorno e sulla mia stessa carrozza c’erano solo altri tre uomini che non riuscivo a distinguere se erano uomini o donne. Era tutto così buio e oscuro. Riuscivo a sentire il loro vociare, il rumore del treno che correva sui binari, il vento che batteva sui finestrini. Sentivo tutto, poi come se fossi diventata completamente sorda tutto divenne silenzio. La testa iniziò a girarmi e io dovetti chiudere gli occhi per qualche secondo. Quando li riaprii la testa non mi girava più, ma non riuscivo a sentire il vociare delle persone. Così decisi di girarmi verso di loro per vedere cosa stavano facendo. Li vidi tutti distesi a terra. Corsi verso uno di loro e cercai di alzarlo. Nel farlo vidi una cosa terribile e mi allontanai terrorizzata e iniziai a tremare. L’uomo che avevo cercato di soccorrere aveva il petto squarciato  e il cuore gli era stato strappato dal petto, le budella erano posate sul pavimento. Stavo per vomitare, ma riuscii a controllarmi. Poi la porta della carrozza si aprì e io vidi sulla soglia il controllore, del quale non riuscivo a vedere il volto eccetto il suo sorriso, e un passeggero che avanzò verso di me. Quando si avvicinò, lo riconobbi::era mio fratello. Gli dissi: “Non è possibile, tu sei morto.”
Mi rispose: “Sono morto ma sono in un posto migliore, in cui tu mi raggiungerai.”
Gli chiesi spaventata: “Quando e che posto è? Il paradiso?”
Il controllore a sentire quella parola abbandonò il suo sorriso e mi sembrò fare un’espressione di ribrezzo. Mio fratello continuava a sorridermi e mi disse: “No, non è il paradiso. Si tratta della corte di Azathoth.”
Gli chiesi curiosa: “Che cosa è la corte di Azathoth?”
Mio fratello orgoglioso mi rispose: “Sono gli dei esterni, i più potenti e malvagi dei che possono esistere nel creato. Ed io sono stato ammesso alla loro presenza. E sai perché?”
Gli feci cenno con la testa di no e lui mi spiegò che aveva evocato il dio Althotep involontariamente e che questo attraverso di lui osservava le prede che più gli piacevano e poi nei suoi sogni li uccideva. “Da adesso sarai tu il suo strumento, sarai tu che farai vedere ad Althotep le sue vittime e sarà nei tuoi sogni che si ciberà dei loro cuori.” mi disse. Io gli dissi che non volevo provocare la morte di nessuno. Lui mi rispose che nemmeno lui aveva voluto e che quando aveva capito ogni cosa si era tolto la vita per salvare l’umanità, non sapendo che il suo sacrificio non avrebbe fermato il dio. Perché il rito di evocazione lega il dio a tutta la sua stirpe. Fin quando tutti i nostri parenti non saranno morti, lui continuerà ad usarli per procurarsi il cibo di cui ha bisogno. Mi disse di non pensare al suicidio. Althotep non si poteva fermare. Mi disse quindi di continuare a vivere come se nulla fosse, che non era colpa mia se quelle persone morivano. Mi disse: “Vivi e poi quando morirai mi raggiungerai alla corte di Azathoth, perché è là che vanno tutti quelli che servano Althotep. E adesso svegliati, perché è mattina!”
Mi svegliai.  Era mattina e io avevo dormito per tutte quelle ore sulla poltrona. Tutte le ossa mi facevano male. Mi spogliai e mi feci una bella doccia rilassante. Ma per quanto l’acqua fosse calda e la doccia piacevole, non riuscivo a rilassarmi perché dentro di me sentivo che c’era qualcosa che mi preoccupava: il sogno. Scossi la testa e mi sforzai di dirmi: “Non pensarci! Era solo un maledetto incubo!”
Riuscii così a togliermi di dosso quella strana angoscia, mi vestii e poi andai a lavorare. Per tutta la giornata lavorai come un mulo e non mi passò mai per la mente l’incubo che avevo fatto, anzi l’avevo già completamente dimenticato. Tornai a casa e aprii la tv per vedere il telegiornale. Il giornalista annunciò che c’erano altri tre morti misteriose quel giorno e fece vedere le foto. Rimasi incredula e terrorizzata perché una delle vittime era l’uomo che avevo cercato di aiutare. Anche le altre due pensai di averle viste su quel treno. Poteva davvero essere tutto vero? Andai a letto con questa angoscia addosso e ebbi paura anche di addormentarmi, ma poi la stanchezza ebbe il sopravvento. Chiusi gli occhi e li riaprii ritrovandomi sopra lo stesso treno e seduto allo stesso posto nella stessa carrozza della sera prima. C’erano due persone sedute nella mia stessa carrozza che parlavano tra di loro, forse erano una coppia di fidanzati o erano degli amici. Dopo un po’ mi riprese quel strano malore che mi aveva preso la notte prima e quando mi ripresi, vidi che i due erano stesi a terra. Non cercai di aiutarli, sapevo che erano morti e che non potevo fare più nulla per loro. Poi la porta si aprì e stavolta c’era solo il controllore. Mi salutò e mi svegliai. Stavo prendendo in considerazione che ciò che mi aveva detto mio fratello in sogno era la verità e ne fui ancora più convinta quando seppi al telegiornale che c’erano state altre due morti misteriose. Le vittime erano le stesse che avevo sognato. Decisi di non andare al lavoro e di pensare ad un modo per salvare le altre persone. Ci pensai a lungo e mi decisi che non avrei più dormito di notte. Purtroppo i miei propositi non vennero mantenuti. Mi ritrovai così sulla stessa maledetta carrozza, dove c’erano altre tre persone. Dovevo salvarle ad ogni costo. Pensai che probabilmente il dio agisse quando io mi sentivo male e che quindi dovevo fare qualcosa prima. Vidi il freno di emergenza e pensai di fermare il treno e poi di aprire le porte e fare scappare le tre vittime. Mi buttai sul freno, ma questo non funzionò. Mi sentii male di nuovo e quando mi ripresi i tre passeggeri erano morti. Iniziai a piangere per la disperazione e si aprì la porta della carrozza. Vidi di nuovo sulla soglia il controllore che stavolta non sorrideva, ma mi guardava arrabbiato, almeno credo. Poi mi svegliai terrorizzata e urlando. Avevo causato la morte di altre tre persone. Che cosa potevo fare per impedirlo? Pensai alle parole di mio fratello che mi ordinava di non uccidermi, che non sarebbe servito a nulla. Althotep si sarebbe servito di un altro nostro parente. Però noi non ne avevamo più. Con la mia morte sarebbe finita anche la mia stirpe e così pensai che forse la mia morte l’avrebbe fermato. Ho comprato una corda e ora sto preparando tutto per fare questo estremo gesto. Spero che non penserai che sono una pazza, spero che invece penserai che sono un’eroina, ma so che l’uomo non riesce a credere così facilmente a ciò che non può comprendere. Addio
Valeria finì di leggere il biglietto, lo diede a Caputo e gli disse: “Credo che sia il fratello che la sorella soffrivano degli stessi disturbi psichici.”
Caputo lesse velocemente il biglietto e disse: “Si, commissario, lo penso anch’io.”
Tornarono al commissariato entrambi non convinti di ciò che avevano detto. Dopo qualche ora Caputo le portò la notizia che avevano trovato altre tre morti misteriose.
Valeria pensò: “Le ultime tre vittime di Althotep, se Aida aveva ragione. In ogni caso sono convinta che mio padre non lo abbia evocato, altrimenti anche dopo la sua scomparsa il dio avrebbe continuato a uccidere e avrebbe iniziato a usare me. Quindi quel dio non centra. Posso scoprire ciò che è successo a mio padre leggendo solo il suo de natura.”
Caputo guardandola così pensierosa non sapeva se disturbarla, ma poi ruppe gli indugi e disse: “Il mio amico mi sta portando ciò che mi avevate chiesto.”
Valeria fu sottratta dai suoi pensieri e rendendosi conto di ciò che aveva detto Caputo, ne fu entusiasta e disse: “Non appena ce l’hai, portamelo qua.”
Caputo uscì e tornò dopo un’ora con un libro, glielo lasciò sulla scrivania e poi uscì quasi subito. Valeria lo guardò, poi lo prese e lesse il titolo: De natura. Aveva davanti l’opera scritta da suo padre, forse avrebbe scoperto il motivo delle sue azioni. Lo aprì e iniziò a leggerlo attentamente. Era pieno di riti e formule con le quali era possibile richiamare dai loro mondi le oscene divinità che popolano il cosmo, come il Necronomicon, ma sembrava molto più approfondito. Giunse al paragrafo in cui c’era il rito di evocazione di Althotep e iniziò a leggere. Le interessò un pezzo che non aveva letto nel Necronomicon. Quindi Valeria prese il paragrafo in cui si parlava di Cthulhu e pensò: “Povero padre mio, ti sei legato ad un’altra divinità. Ti sei sacrificato per rimediare ad un errore e per salvare l’umanità. Adesso lo so, ma questa rivelazione mi fa ancora più male, poiché anche se la rivelassi non potrei riabilitarti, anzi inizieranno a pensare che anch’io sia una folle. Spero che mio padre si sbagli e che Althotep con la morte di Aida non possa trovare un altro strumento.”
Valeria, finita la giornata, tornò a casa e stanca morta si addormentò sulla poltrona mentre guardava la tv.
Riaprì gli occhi e si ritrovò seduta su un treno, deglutì quasi terrorizzata e pensò: “Non può essere vero. Io non ero parente con i Verdi o si? Forse avendo avuto a che fare troppo con questo caso, mi sono lasciata suggestionare.”
Valeria si guardò intorno e vide che c’erano altri tre passeggeri con lei. Pregò Dio affinché quello fosse solo un sogno. All’improvviso si sentì male e quando si riprese vide che i tre passeggeri erano distesi a terra. Non volle andare a controllare, sapeva che erano morti. La porta della carrozza si aprì e il controllore apparve alla soglia. Il controllore nel vederla sembrava ancora più divertito e fece ciò che non aveva fatto con nessun altro, le parlò: “ Non sai come sono stato felice nel sapere che la figlia del professore Carmelo Airoldi fosse una parente alla lontana dei Verdi, finalmente avrei potuto di nuovo unire il mio destino alla stirpe dell’unico uomo che è riuscito a sconfiggermi. Non puoi suicidarti, tua madre è ancora viva. Nessuno può più sconfiggermi, tuo padre è scomparso e tu non sai come fermarmi. Buon giorno Valeria!”
Valeria si svegliò e determinata come non mai disse: “Buongiorno Althotep, ma in realtà io so come fermarti.”
Caputo fu molto sorpreso quando entrò al commissariato e gli dissero che il commissario Airoldi si era presa un mese di aspettativa e che era stata sostituita da un certo Giovanni Brusco. Infatti da quando l’aveva conosciuta, non si era mai assentata. Era sempre chiusa nel suo ufficio pronta ad agire contro qualunque criminale. Che in qualche modo i suicidi dei Verdi l’avessero scossa? O forse era stata la lettura del libero del padre a sconvolgerla? Si era pentito quasi subito una volta che glielo aveva consegnato. Ma forse non era accaduto nulla di grave, si era solo presa un mese di vacanza, infondo anche lei ne aveva diritto. Anche l’instancabile commissario Airoldi poteva decidere di andare un mese in vacanza. Si, volle pensare positivo come faceva sempre. Durante quel mese la polizia dovette indagare ad uno strano caso: dieci tombe erano state profanate in alcuni cimiteri. Indagando si scopri che tutti i cadaveri rubati erano morti di quel male misterioso che divorava il cuore senza lasciare alcuna traccia. Caputo si dannava dentro di sé perché c’erano un nuovo caso ancora più strano e misterioso del primo, proprio quando non c’erano più notizie di persone morte in quella maniera. Il mese di aspettativa finì, ma il commissario Airoldi non tornò al lavoro. Tutti preoccupati decisero di andare a casa sua a vedere se le era successo qualcosa. Caputo volle andare il primo a vedere e con lui andarono altri cinque colleghi. Bussarono alla sua porta, ma nessuno rispose. Caputo, avendo un cattivo presentimento e venendogli in mente i suicidi dei Verdi, con impeto sfondò la porta e fece un sospiro di sollievo quando non vide la donna impiccata. Gli altri poliziotti guardarono le altre stanze della casa, ma del commissario non c’era alcuna traccia. Caputo notò la polvere sui mobili, sui vetri e percepì la puzza di chiuso. In quell’appartamento non c’era entrato nessuno da almeno due settimane. Dove era andata a finire il commissario Airoldi? I poliziotti subito avvertirono il questore che richiamò il commissario Brusco per occuparsi di queste indagini. Il commissario Brusco decise di iniziare le indagini dai movimenti della carta di credito di Valeria Airoldi. Gli ultimi movimenti risalivano a quasi un mese fa e riguardavano una spesa di duemila euro in un supermercato e di cinquecento euro per l’affitto di un garage fuori città. Quando Caputo venne informato dal commissario non poté trattenersi dal dire: “E che cosa ha comprato in un supermercato per arrivare a duemila euro di spesa? Abbastanza cibo per saziare un esercito!”
Il commissario Brusco gli fece notare: “O per poter vivere per almeno tre mesi e anche di più.”
Caputo gli chiese: “E adesso che cosa facciamo?”
Il commissario Brusco gli disse: “Andiamo a vedere il garage che ha affittato fuori città per cinquecento euro.”
Così la polizia andò in quel garage dal quale proveniva una puzza rivoltante, Caputo disse: “Qui puzza come se ci fosse pesce marcio da mesi.”
Il commissario Brusco lo corresse: “O come se ci fosse un cadavere.”
Caputo non poté non pensare che forse dentro quel garage c’era il corpo del commissario Airoldi ormai putrefatto. Ma perché andare in un garage e uccidersi? Perché comprare tutto quel mangiare? No, non poteva essere morta. Si maledisse per aver pensato un’altra volta che il commissario Airoldi si sarebbe potuta suicidare. Non era un’azione che avrebbe fatto. Era una donna che combatteva, che affrontava la vita senza mai darsi per vinta. Quante volte l’aveva vista lavorare su qualche caso impossibile da risolverlo e mai arrendersi? Migliaia! No, c’era un’altra spiegazione e aprendo quel garage l’avrebbe avuta. I poliziotti alzarono la saracinesca e videro uno spettacolo orribile e sentirono una puzza nauseabonda. Molti non si trattennero e vomitarono. Davanti a loro c’erano dieci corpi in decomposizione. Non c’era quasi nient’altro in quel garage oltre ad un tavolo su cui c’erano due libri: Il necronomicon e il de natura. Il commissari Brusco che sapeva alla perfezione la storia del professore Airoldi disse: “Tale padre, tale figlia…il commissario Airoldi è impazzita e ha fatto quello che ha fatto suo padre qualche anno fa. Chissà chi sono le vittime della sua pazzia.”
Caputo abbassò la testa, avrebbe voluto dare un pugno al commissario perché stava mettendo in discussione l’onore di Valeria, ma non lo fece e volle vedere i corpi. Dopo averli notati disse al commissario: “Non sono vittime della sua pazzia, sono i dieci cadaveri che sono stati rubati dai cimiteri circa un mese fa e a cui stavamo lavorando.”
Il commissario gli disse: “Ne sei sicuro?”
Caputo gli rispose: “O sono loro o dei sosia. Anche se hanno iniziato a decomporsi, la loro somiglianza è incredibile.”
Il commissario ordinò: “Fate un’autopsia e verificate il dna.”
Dall’autopsia si scoprì che i cadaveri erano davvero quelli rubati un mese fa, ma anche che gli mancano tutti gli organi interni. Tutti si chiedevano come Valeria Airoldi era riuscita a farlo. Come aveva fatto il professore Airoldi? Nessuno seppe rispondere, ma tutti concordarono con il fatto che quei due libri rendessero le persone pazze e malvagie. Caputo credeva che funzionassero davvero. Inoltre capì che cosa aveva fatto Valeria e l’ammirò per il suo sacrificio, dopo aver letto sul de natura questo paragrafo:“Althotep una volta evocato non può essere fatto tornare alla corte di Azathoth uccidendo tutta la stirpe dell’uomo che lo ha evocato. Infatti è impossibile rintracciare tutti i suoi parenti, soprattutto quelli lontanissimi, poiché il dio è legato anche a loro. Basta una sola goccia di sangue uguale a quello dell’evocatore in una persona, che questa può essere usata come strumento nelle sue mani. L’unico modo per poter scacciare Althotep è prendere dieci sue vittime e chiudersi con loro in un luogo buio. Althotep non potendo vedere altre vittime si accontenterà di mangiare gli altri organi delle precedenti. Quando non avrà più nulla da mangiare, lui uscirà dal corpo del suo strumento e cercherà di ucciderlo affinché possa collegarsi ad un suo consanguineo. Lo strumento per salvarsi può recitare la formula: “ Ph’nglui mglw’nafh Cthulhu R’lyeh wgah’nagl fhtagn.” In questa maniera lo strumento sarà legato al dio Cthulhu, un dio malvagio ma per ora inoffensivo. Althotep a questo punto tornerà nella corte di Azathoth. Lo strumento invece avrà salvato l’umanità da quel dio, ma non sarà affatto salvo, infatti legandosi a Cthulhu dovrà iniziare a partecipare ai rituali in suo onore.”
Un mese dopo una donna su una spiaggia incontrò un uomo di cinquanta anni lo abbracciò e gli disse: “Padre, finalmente ti ho trovato.”
L’uomo le diede un bacio sulla fronte e le disse: “Mi dispiace non averti potuto salvare da questo… adesso andiamo, sta per iniziare in rito in onore di Cthulhu.”
I due si diressero verso un luogo da dove provenivano degli strani versi e un’altrettanto strana musica e da quel giorno nessuno rivide più Valeria e Carmelo Airoldi.
   
 
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