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Autore: samek    06/01/2011    2 recensioni
La scatola era di latta smaltata, un vecchio contenitori di biscotti ricoperti di cioccolato, regalatigli da Lily per un Natale. Al tempo, Remus non sapeva che sarebbe stato l’ultimo che avrebbero passato tutti insieme.
L’aprì esaminandone il familiare contenuto; i ricordi di una vita passata.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Yaoi | Personaggi: James Sirius Potter, Remus Lupin, Sirius Black, Teddy Lupin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Nuova generazione
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La scatola che stava cercando era giusto in cima allo scaffale più alto;

Fandom: Harry Potter;

Pairing: Remus/Sirius, James Jr./Teddy;

Rating: Pg13;

Beta:

Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico, Romantico.

Warning: Era dei Malandrini, Missing Moment 5°libro, Post 5°libro, Post 7°libro con Epilogo, Slash;

Note: Scritta per il Wolfstar Remix 2010 di wolfstar_ita, sulla fic “Une photo, vieillie photo di Chu. I paragrafi in grassetto, chiusi tra parentesi quadre, sono tratti proprio da questa storia.

Scritta, inoltre, sul prompt 40. Angst preso dalla mia cartella della Maritombola di maridichallenge.

Summary: La scatola era di latta smaltata, un vecchio contenitori di biscotti ricoperti di cioccolato, regalatigli da Lily per un Natale. Al tempo, Remus non sapeva che sarebbe stato l’ultimo che avrebbero passato tutti insieme.

L’aprì esaminandone il familiare contenuto; i ricordi di una vita passata.

 




DISCLAIMER: Non mi appartengono… bla-bla-bla…. Non ci guadagno niente… bla-bla-bla

 

 

THE MEMORY BOX

 

~ [La scatola che stava cercando era giusto in cima allo scaffale più alto.] ~

 

La scatola era di latta smaltata, un vecchio contenitore di biscotti ricoperti di cioccolato, regalatigli da Lily per un Natale. Al tempo, Remus non sapeva che sarebbe stato l’ultimo che avrebbero passato tutti insieme.

L’aprì ed esaminò il familiare contenuto: i ricordi di una vita passata.

Vi era un mucchio di cianfrusaglie – un fermacravatte grosso e pacchiano appartenuto a suo padre, il primo biglietto di compleanno speditogli da James, la sua spilla da Prefetto, una foglia secca dell’albero sotto cui si rifugiavano da ragazzi – ma ognuna di esse era importante come un tesoro.

 

~ [In un angolo della scatola, c’era un scatolina più piccola, di un rosso un po’ troppo polveroso; aprendola, Ted vi trovò due orecchini spaiati, di metallo e, a giudicare dalle macchie di ruggine, un metallo nemmeno troppo buono. Sotto la scatolina, un bigliettino accuratamente ripiegato in quattro recitava, in una grafia curata: Periodo punk (o tentativo di un periodo punk). Non poteva sbagliarsi, la grafia era quella di suo padre, ma che Ted sapesse suo padre non aveva mai avuto un periodo punk.] ~

 

C’era anche una piccola scatola rossa e Remus l’accarezzò con circospezione, sfiorandola solo con i polpastrelli, come se avesse paura che potesse morderlo. Infine si decise e la raccolse tra le dita, schiudendola attentamente.

Gli sfuggì un sospiro quando vide il contenuto: due orecchini spaiati.

Il primo era sottile quanto un ago, ornato da un rubino piccolo come una capocchia di spillo.

Ricordava quando l’aveva conservato insieme all’altro, allegando un bigliettino che ricordasse a che periodo appartenevano, ma con ancor più chiarezza ricordava il giorno che aveva ricevuto il più piccolo e l’espressione ansiosa eppure entusiasta di Sirius, mentre lui lo osservava.

Allora, quel cofanetto conteneva due orecchini identici.

«Non è il mio compleanno» gli aveva ricordato, non comprendendo il perché di quel regalo.

«Lo so. In realtà non sono per te, ma per noi. Farai il buco all’orecchio con me, vero?»

«Sono allergico all’argento» gli aveva fatto presente. Uno degli inconvenienti di essere un Licantropo. Quel metallo era come veleno per i suoi simili, ma Remus preferiva pensare di aver ereditato quel tratto da sua madre, che aveva una comunissima e umanissima allergia.

«Non è argento, sono stato attento, è acciaio chir-qualcosa».

«Chirurgico?» aveva suggerito.

«Sì, esatto! Mi hanno assicurato che non causerà nessun tipo di fastidio. Allora, lo farai?»

«Perché dovrei voler portare un orecchino?»

Felpato aveva sbuffato: «Noioso» imbronciandosi ed incrociando le braccia al petto «Sono fighi. E più discreti di due fedi, non trovi?»

Lui, dopo l’iniziale momento di stupore, era quasi scoppiato a ridere. Sirius davvero voleva che dividessero una coppia di orecchini come le ragazzine? L’aveva guardato di sottecchi, divertito – ma sotto sotto intenerito – cercando di trovare le parole giuste.

L’altro, però, impaziente come al solito, aveva passato il peso del corpo da un piede all’altro e gli aveva strappato il cofanetto di mano. «Sai che c’è? Lascia stare, è una cazzata» aveva sbottato deluso, facendo per allontanarsi, ma Lunastorta l’aveva afferrato per un gomito, trattenendolo.

«Mi piacciono» aveva ammesso alla fine, sorridendo.

A ben vedere, non erano davvero tanto male, erano discreti – per gli standard di Sirius s’intende. Quel ragazzo aveva un amore smodato per le cose vistose, ma stavolta sembrava essersi contenuto per scegliere qualcosa che potesse piacere anche a lui.

Il secondo, invece, aveva la forma di una grossa lettera “M” ed era stato James, geloso dell’idea dell’amico, a costringere tutti loro a fare un secondo buco ed indossare degli orecchini identici. Avevano litigato a lungo sulla scelta del monile, tutti avevano da dire la loro e non riuscivano a trovare un accordo, alla fine era stata Lily ad avere l’idea geniale: “M” come “Malandrini”, ovviamente.

E, prendendoli bellamente per i fondelli, aveva soprannomianto quello il loro “Periodo Punk”.

Remus riemerse dai ricordi e sorrise nostalgico, rimettendo a posto il cofanetto e riprendendo l’esplorazione. Spostò con attenzione alcuni oggetti e poi trovò qualcosa di più interessante.

 

~ [C’erano delle lettere, tenute insieme da uno spago; le tirò fuori e notò che il destinatario era suo padre, mentre il mittente era sempre Sirius Black.] ~

 

Al lato destro, posto sul fondo, vi era un plico di lettere che, tempo prima, aveva legato con un rozzo spago giallognolo. Le raccolse e sfilò una a caso dal mucchio, dispiegandola per rileggerla:

 

26 Luglio, 1994

 

Ehi, Lunastorta!

Come va da quelle parti? Hai avuto problemi i giorni scorsi? (Non ho dimenticato che era plenilunio, non sono così svampito, sai?)

Qui ai Caraibi è favoloso. Mi sto godendo la vita da ricercato e Port Royal è il mio nuovo paradiso! È un tripudio di rum da tracannare, sole sotto cui spiaggiarsi e sabbia in cui rotolarsi. Come dicevo: il paradiso!

Vieni via con me, Remus. Se non hai i soldi per la Passaporta, io e Becco verremo a prenderti.

Sto ricominciando e voglio farlo con te, Lunastorta. Ne abbiamo bisogno entrambi.

 

Felpato.

 

Gli sfuggì un sorriso. Pazzo, sciocco, avventato e meraviglioso Sirius Black, pronto a rischiare di tornare in Inghilterra e farsi catturare dai Disennatori solo per “venire a prendere” lui, come un adolescente che sfida il fratello maggiore della ragazza che vuole portare al ballo di fine anno.

Col senno di poi, Remus si era pentito di aver tergiversato tanto ad accettare la sua proposta, perché qualche mese dopo il nome di Harry era stato messo nel Calice di Fuoco e tutto era cambiato.

Ripiegò la lettera con attenzione e la riunì alle altre. Era davvero un plico enorme, le missive più vecchie risalivano addirittura a quand’erano ragazzini e la pergamena era più ingiallita dello spago che le fermava.

Avrebbe perfino potuto studiare il modo in cui, negli anni, la grafia di Felpato si era evoluta, passando da una elegante ed impostata – tipica di chi ha dovuto seguire dei corsi specifici – ad una più definita e personale. Quella degli ultimi anni era reclinata e graffiante, proprio come lui – piegata, ma non spezzata, e spigolosa, ma vivida – l’inchiostro nero si stagliava con forza sul bianco delle pagine.

 

~ [“Chissà perché Andromeda le ha nascoste, però…
“Non riesco proprio ad immaginarlo.” Commentò Lupin, prendendo un’altra foto dal mucchio. In questa suo padre sedeva su una poltrona, intento a leggere; poi nell’immagine compariva Sirius, che si avvicinava a lui e gli sfilava il libro dalle mani… Prima che Ted potesse sorridere per il gesto infantile dell’amico di suo padre, il sangue gli si gelò nelle vene: dopo aver tolto a Remus il suo libro, Sirius si chinava in avanti e lo baciava.
Sulle labbra.] ~

 

Dentro la scatola, vi erano anche alcune foto. Remus ne prese una dal mazzo, un’istantanea che risaliva a poco più di un anno prima e lo ritraeva seduto in poltrona a leggere. Poi arrivava Sirius a disturbarlo.
Ricordava quel giorno come se fosse stato ieri. Il libro era Canto di Natale di Charles Dickens, decisamente adatto al periodo, ed aveva quasi finito di leggerlo, quando Felpato era arrivato e glielo aveva sfilato di mano con dispettosa prepotenza.
«Sono ore che ti chiamo» aveva asserito. Conoscendolo, lui era certo che non fosse più di qualche minuto.
«Come, sei già stanco di storpiare le carole babbane?» lo aveva punzecchiato, allungandosi per cercare di riprendere il volume «Ti prego non smettere, sei così intonato!»
Sirius gli aveva tirato una ciocca di capelli e poi si era chinato a baciare le sue labbra, tenendo il libro fuori dalla sua portata.
Era allora che avevano sentito il “click” della macchina fotografica e, quando si erano voltati, avevano trovato Harry in piedi, a qualche metro da loro, che sventolava l’istantanea per farla asciugare.
«Materiale da ricatto» aveva sogghignato il ragazzino, con un luccichio mefistofelico che era così tanto “James” da lasciare loro due imbambolati.
«L’hai sentito, Lunastorta?» gli aveva dato l’imbeccata Sirius.
«Sì, Felpato, penso proprio che il nostro Harry meriti una punizione. Lo credi anche tu?» gli aveva dato spago lui.
Il giovane Potter li aveva guardati allarmato e poi si era dato alla fuga, proprio nel momento in cui loro balzavano al suo inseguimento.

 

~ [Il ragazzo si era impossessato del pacco di fotografie e, guardandole, ne aveva trovata una che raffigurava suo padre, all’incirca della sua età, fra due adulti; Ted riconobbe suo padre nell’uomo che sorrideva pacatamente e con il volto rigato da cicatrici. L’altro invece, che teneva una mano sulla spalla di un giovane e sorridente Harry, era sicuramente Sirius. James voltò la foto e lanciò un altro urlo entusiasta. “Dice Natale 1995 il che vuol dire che mio padre aveva un anno meno di me in questa foto!”] ~

 

Avevano dato la caccia a Harry per tre piani di scale, finché Sirius non l’aveva placcato, prima che potesse chiudersi nella propria camera, trascinandolo con sé sulla moquette lisa e torturandolo a suon di solletico. Remus gli aveva dato man forte, costringendo il più piccolo a rotolandosi a terra, bloccato tra le loro braccia, implorando perdono.

Nel frattempo, richiamati dalle risate e dai gridolini del ragazzo, metà degli Weasley erano usciti dalle loro stanze e si erano fermati per godersi la scena; soprattutto i gemelli, che stavano lì impalati con due enormi e identici ghigni stampati in faccia.

Alla fine, avevano aiutato un Harry con gli occhi umidi d’ilarità a rimettersi in piedi e Felpato aveva dichiarato: «Sai, dovresti usare questa macchina fotografica in modo più proficuo. Qui ci vuole una foto! Non abbiamo ancora una foto tutti insieme» così aveva schiaffato l’aggeggio tra le mani di Fred – o era George? – e aveva costretto lui ed il figlioccio a mettersi in posa.

I due Weasley li avevano storditi con un ritornello di «Un po’ più a destra… un po’ più indietro… no, ora è troppo, venite un po’ più avanti…» facendo ringhiare d’impazienza Sirius, che li aveva minacciati di mordergli le chiappe.

«Oh, be’, potrebbe anche piacerci!» aveva concluso uno dei gemelli, prima di scattare finalmente la foto.

Come fosse finita tra le proprie cose, Remus non lo sapeva più. Forse avrebbe dovuto incorniciarla, ma non era certo di sopportare di avere davanti tutti i giorni il ricordo del sorriso di Sirius; la sua scomparsa era ancora troppo recente.

Accarezzò l’immagine sentendosi chiudere la gola da un nodo grande quanto un pugno. In quei giorni, per un breve periodo, aveva creduto di riavere finalmente una famiglia, ma ora era di nuovo solo.

Deglutendo a fatica, tirò fuori dalla tasca della sua veste lisa un foglio di carta appallottolato. Lo dispiegò con attenzione, lisciando le pieghe. Era la pagina di un libro, strappata nel più grande impeto di rabbia e dolore che avesse mai avuto nella sua vita.

Masochista, la rilesse per l’ennesima volta:

Lethifold (noto anche come Velo Vivente).
Classificazione M.D.M.: XXXXX.
Il Lethifold è per fortuna una creatura rara, diffusa unicamente nei climi tropicali. Assomiglia ad un mantello nero dallo spessore di oltre 1cm (più spesso se di recente ha ucciso e digerito una vittima) che scivola sul suolo di notte. Il resoconto più antico che abbiamo sul Lethifold fu stilato dal mago Flavius Belby, che ebbe la fortuna di sopravvivere all'attacco di un Lethifold nel 1782, mentre trascorreva le vacanze in Papua Nuova Guinea.

CITAZIONE:

Verso l'una del mattino, mentre finalmente cominciavo a sentirmi insonnolito, udii un lieve fruscio molto vicino. Credendo che fossero soltanto le fronde dell'albero all'esterno, mi girai nel letto, con la schiena rivolta verso la finestra, e scorsi quella che sembrava una nera ombra uniforme scivolare sotto la porta della mia camera.
Giacqui immobile cercando di capire, nel dormiveglia, che cosa potesse proiettare una tale ombra in una stanza illuminata solo dalla luna.
Senza dubbio la mia immobilità indusse il Lethifold a credere che la sua potenziale vittima fosse addormentata.
Con mio orrore, l'ombra prese a strisciare su per il letto, e io ne avvertii il lieve peso addosso. Assomigliava a una cappa nera increspata, e i suoi lembi si agitarono appena mentre scivolava sul letto verso di me. Paralizzato dal terrore, ne avvertii il tocco umido sul mento prima di scattare a sedere.
La cosa tentò di soffocarmi scivolando inesorabilmente sul mio viso, sulla bocca e le narici, ma lottai, sentendomi avvolgere dal suo gelo.
Ormai stordito mentre la cosa si sobillava sul mio volto, incapace di respirare, mi concentrai con tutte le mie forze sullo Stupeficium e poi
poiché s'era rivelato inefficace nel soggiogare la creatura, pur aprendo un foro nella porta della mia camera da letto sul Maleficio Impedimentum, che parimenti non mi giovò affatto. Sempre lottando follemente, rotolai su un fianco e caddi pesantemente a terra, ormai completamente avvolto dal Lethifold.
Sapevo di essere sul punto di perdere conoscenza. Disperato, raccolsi la mia ultima riserva di energia, puntai la bacchetta lontano da me, nelle pieghe mortifere della creatura, e richiamando il ricordo del giorno in cui ero stato eletto presidente de club locale di Gobbiglie, eseguii l'Incantesimo Patronus.
Quasi all'istante sentii aria fresca solleticarmi il volto. Guardai e vidi quell'ombra mortale scagliata nell'aria dalle corna del mio Patronus. Volò attraverso la stanza e scivolò via rapida per sparire dalla vista.

Come Belby rivela in modo così drammatico, il Patronus è l'unico in grado di respingere il Lethifold. Dal momento che in genere esso aggredisce chi dorme, tuttavia, le sue vittime hanno di rado la possibilità di usare qualsivoglia magia contro di esso. Una volta che la sua preda è stata soffocata con successo, il Lethifold la digerisce lì stante, nel suo letto. Poi abbandona la casa appena più spesso e grasso di prima, senza lasciare alcuna traccia di sé o della vittima.

Il paragrafo gli era caduto sotto gli occhi quel pomeriggio, mentre riordinava i propri libri. Il volume intitolato Le Creature Magiche dove trovarle gli era scivolato di mano ed era caduto a terra aperto. Quando Remus l’avevo sollevato, aveva lisciato la pagina che si era spiegazzata e aveva notato proprio le parole “Velo Vivente”.

Si era sentito ghiacciare, schiaffeggiato dal peggiore scherzo che il Destino potesse giocargli.

Un Patronus, sarebbe bastato evocare subito un Patronus e Sirius si sarebbe salvato. E lui, un Professore di Difesa Contro Le Arti Oscure, non aveva riconosciuto la creatura per ciò che era, quando la soluzione si trovava proprio nei suoi libri. E non in chissà quale raro libro, ma in quello che qualunque studente di Hogwarts possedeva!

Prima di riuscire a controllarsi, aveva strappato via la pagina e l’aveva stretta nel pugno, soffocandola. Il suo grido di dolore era rimbombato tra le pareti del Quartier Generale, assordandolo. E era grato di essere stato solo, perché sembrava gli avessero appena strappato il cuore.

Non era intervenuto, di nuovo, non aveva saputo riconoscere il Lethifold, proprio come non si era accorto che Peter era un Mangiamorte, e aveva lasciato morire Sirius senza intervenire, come era successo con James e Lily.

Piegò in quattro il foglio e lo mise nella scatola, sopra la foto che ritraeva lui, Sirius e Harry.

Il vero traditore non era Codaliscia, era lui. Li aveva traditi tutti quanti, soprattutto Harry.

Richiuse la scatola e la infilò nella sua vecchia valigia, decorata con le lettere scrostate “R. J. Lupin”, dove conservava tutto ciò che possedeva. Poi serrò anche quella e, afferrando la maniglia, lasciò Grimmauld Place.

 

*°*°*°*°*

 

~ [“Sai, sono contento d’aver scoperto che l’omosessualità si trasmette di padre in figlio.”] ~

 

Teddy ci aveva riflettuto a lungo, ma alla fine aveva deciso di incorniciare le due foto che aveva trovato in quella vecchia scatola polverosa e le aveva appese sopra al camino del suo nuovo appartamento, accanto a quella dei suoi genitori.

Che la mansarda dove si era recentemente trasferito fosse quella in cui avevano abitato suo padre e Sirius Black, quando si erano appena diplomati a Hogwarts, non era affatto un caso.

Ted aveva trovato l’indirizzo in uno dei vecchi diari di suo padre e, curioso, si era recato lì per vedere almeno il palazzo. Una volta arrivato, aveva scoperto che quella casa minuscola – poco più di un buco, davvero! – era ancora in affitto e ad un modico prezzo.

Senza pensarci su due volte, aveva contattato la padrona di casa ed aveva preso accordi per traslocare lì il prima possibile.

Mentre osservava le due istantanee, si sentì cingere la vita da due braccia forti e un bacio gli venne schioccato rumorosamente sulla conchiglia dell’orecchio, assordandolo.

«Ah, James!» esclamò, coprendosi istintivamente i timpani che fischiavano.

Il ragazzo ridacchiò, stringendosi a lui e posandogli il mento s’una spalla: «Sono a casa, amore» annunciò, guadagnandosi una gomitata nelle costole.

 

FINE.

 

 

   
 
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