Solitudine. Angoscia. Agonia. Questo offre la mia scura cella di Azkaban. Quanti anni sono ormai che sono prigioniero? 5? 6? O forse 10? Che differenza può fare? Nessuna.
Penso. Penso per non impazzire. Ricordo. Ricordo per non perdere me stesso. Ma sono ancora in tempo? Oppure ho già varcato la soglia della follia, oltre la quale non si fa più ritorno?
No, non può essere così… ne sono certo. Anche in
questo gelido posto di morte la mia unica certezza è diventata la tristezza, e
quel poco cibo che ci danno per tenerci appesi a questo filo che chiamano vita.
Ma lo è veramente? Vivere non vuol dire gioire per ciò che accade di
bello? Vivere non vuol dire confrontarsi con la gente? Vivere non
vuol dire respirare l’aria della libertà?questo per me era vivere… ora non più.
Ora passo le giornate, se così le posso ancora chiamare, a meditare vendetta. Una truce, lenta, dolorosa e saporita vendetta. Per me? No. Per la mia libertà? Neppure. Fosse solo per quello, se la caverebbe con la morte e basta. Mentre io desidero vederlo soffrire. Soffrire come ha sofferto il mio cuore nel veder scomparire due persone tra le più importanti della mia vita. I pilastri della mia esistenza. Due anime che ora sono state strappate dal loro bambino. Sì, anche per lui e per il suo dolore nel non conoscere mai i suoi genitori, io chiedo una rivalsa.
Il mio cuore, o quel che ne rimane dopo tutto il
tempo di prigionia, ha ancora in sé una piccola scintilla di speranza…dovuta al
ricordo di un esserino così piccolo, che scrutava il mondo con i suoi occhioni
verdi. E che ora mi crede un assassino. L’assassino dei suoi genitori. Questo
non mi da pace. No. Quel piccino, di cui io sono il padrino, non può
credere ad una tale sciocchezza.
Forse sono un illuso. Come posso io sperare di
essere compreso, quando l’intero mondo mi conosce per tale assassino
traditore?? Come??
Disperazione. Buio. Sto cadendo di nuovo in
quell’abisso senza fondo da cui loro non vogliono che io esca. Quella
sensazione di infelicità… e quel ricordo… il mio peggior ricordo… il marchio
nero sulla loro casa… una corsa sfrenata contro il tempo… vedere in faccia
colui che ha tradito la fiducia di tutti.. il suo inganno.. una trappola con i
fiocchi, da degno seguace di Voldemort devo ammettere! Solo un suo dito fu
trovato sul luogo. E subito il mio nome divenne leggenda. E la mia esistenza
vana.
Eppure non riesco ad arrendermi. O non voglio.
Sinceramente non lo so e non mi interessa. Sarà solo l’illusione di riuscire
ancora a vedere una volta il sole, sentire un’aria fresca e profumata scompigliarmi i capelli, vedere quegli occhi
intensi come gemme di smeraldo sorridermi e provare affetto per me come ne
provavano i genitori.
Misuro a grandi passi la mia cella. Sono agitato.
Qualcosa sta per accadere. Non qui, non in questo posto dimenticato da Dio,
lontano da ogni forma vivente con dei sentimenti che vadano aldilà dell’odio e
della follia.
Ma lì fuori. Qualcosa di potente, di oscuro che
investirà il mondo intero.
Tempo. C’è bisogno di tempo. Ma quanto? E come posso
io parlare di tempo quando non so neppure da quanto ormai sono chiuso qui?
Sto straparlando. Mi sento stanco. Mi accascio a
terra. Un sospiro gelido. Ecco. Arrivano. Loro stanno facendo il solito
giro di guardia. Si avvicinano alla mia cella. Non ho bisogno di guardarli per
capire che sono come minimo in tre. Con me non si risparmiano. Io ho questo onore.
Più dissennatori che mi vengono a trovare diverse volte durante il giorno, per
puro piacere, la maggior parte delle volte, perché se ricevo qualche
tozzo di pane e un goccio d’acqua una volta al giorno devo già ritenermi
fortunato.
Aprono la porta. Uno lascia cadere qualcosa sul
pavimento di pietra lercio, deve essere il mio rancio. Gli altri due mi si
avvicinano. Avevo ragione allora, sono in tre. Sento che tutti i miei momenti
felici stanno per essere cancellati in eterno… ecco.. un’intera vita mi passa
davanti e sembra scivolare via… le partite di Quiddich, la scuola, le ragazze…
i miei amici… Lily… James… Silente… il piccolo Harry… No. Non lo permetto. Con
l’unica arma che mi rimane, la mia mente, li respingo. Non avrete i miei
ricordi. Non mi lascerete come vostro regalo quella sensazione di vuoto
e di tristezza. No. Mi faccio forza. Penso intensamente alla mia passata
felicità. Caccio via la sensazione di gelo che mi attraversa il corpo nel
sentire il loro fiato così vicino. Dopo alcuni istanti, che per me
sembrano un tempo infinito, li sento allontanarsi. Il “mondo” torna al
suo tepore. Anche per oggi ho vinto io.
Mi getto come un affamato -beh… è quello che sono in
realtà- su quel piccolo pezzo di pane… raziono l’acqua. Mi è indispensabile per
sopravvivere.
Un po’ più sollevato di essere riuscito anche per
oggi a conservare un briciolo della mia razionalità, mi sdraio. Cerco di
immaginare il cielo fuori da quelle mura, anche se è difficile… a mala pena lo
ricordo.
Sento un rumore lontano. Sembra un latrato. Un cane
abbaia per ridestare la mia voglia di vivere e riscattarmi. Ora so cosa devo
fare.