Tu
che non puoi essere più mia
9 settembre 2010
No, non sono innamorato.
Non posso esserlo, non
di… lei.
Oh, beh, non posso esserlo
in generale.
Esiste una spiegazione
logica per tutto ciò che ci
succede; tutto può essere previsto; tutto è
calcolabile in funzione di
causa-effetto, conseguenze, reazioni ragionevoli.
Tutto è possibile
di verifica sperimentale, o, in caso,
falsificazionista in termini popperiani.
Tutto è
risolvibile – nei limiti della gravità
–, tutto è
dimostrabile – nei limiti dell’assurdità.
Stringo i pugni e li porto
alle tempie.
Io…
Io, Malosti.
Io non sono riuscito a
capire che ci stavo cadendo
dentro.
Io non sono riuscito a
prevedere e soprattutto prevenire
questa eventualità.
E mi odio tremendamente, ma
non quanto odi lei in questo
momento.
Lei che non può
essere mia, lei che sminuivo quando per
me non era niente se non una collega.
Ora invece
s’interseca coi miei pensieri, la ritrovo in
ogni frase, in ogni persona, mi perseguita fuori e dentro
l’ospedale.
“Stai
male?”
Anche adesso mi sembra di
sentirla avvicinarsi a me.
Sto sognando che quelle mani
si appoggino alle mie
spalle, che una di esse mi tasti la fronte.
“Non sembra che tu
abbia la febbre. Cosa c’è che non va?”
Non credo si possa
rispondere ad un’allucinazione.
“Riccardo?”
Appoggio le mani alle mie
spalle, giusto per rendermi
conto di quanto peggiore fosse la mia condizione psichica.
Ritrovo le sue.
Calde.
Morbide.
Lisce.
Da chirurgo.
“Non credo di
stare bene.”
“Di cosa hai
bisogno?”
Ma sì, forse
è solo la gelosia.
Forse è solo che
vedendola avvinghiata a quel ragazzino
mi faceva imbestialire.
Di
te, Cristiana,
di te, di te… ho bisogno di te…
“Di una pastiglia
per il mal di testa.”
“Te la porto
subito.”
“E di
te.”
Di te che adesso non puoi essere più mia.
“Al limone o alla pesca?”
Ovviamente l'ultima battuta è orrendamente fuori luogo, oltre che un banale stereotipo dell'omofonia xD.