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Autore: Dea Elisa    07/01/2011    1 recensioni
[Paura Di Amare - Marco/Mirella]
“Hai saputo?” Mirella si voltò verso di me, e abbassò gli occhi quando si accorse che la distanza tra noi non era affatto quella che si immaginava.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Carte e sorrisi

5 gennaio 2011

 

Sapevo che l'avrei trovata di fronte a quel lettino da neonato, eppure qualcosa mi aveva trattenuto ad incontrarla. Quanti ancora avrebbero dovuto essere questi appuntamenti improvvisati affinché ci si accorgesse - o, meglio, lei si accorgesse - che non vi era casualità in essi?

Gli occhi velati da una inconsistente patina di tristezza fissavano il lenzuolino arricciato con cui Davide giocava, gemendo talvolta per abbozzare un sorriso alla donna che sorrideva con lui.

“Oh, ciao” nella sua voce notai spavento tramutato in sorpresa, quando i tacchi delle mie scarpe mi avevano tradito rivelando la mia presenza.

“Ciao, Mirella.”

Mi trovai accanto a lei prima che il tic tac di qualsiasi orologio potesse continuare ad infastidire il silenzio.

La camicia di raso beige che indossava rifletteva ogni minuscolo raggio di sole proveniente dalla finestra dalle tende semiaperte, creando con il minimo spostamento un gioco di luci che si rinfrangeva sulla pelle chiara del viso donandole sempre nuove sfumature di colore.

“Hai saputo?” Mirella si voltò verso di me, e abbassò gli occhi quando si accorse che la distanza tra noi non era affatto quella che si immaginava.

Tuttavia non mi spostai, preso dalla preoccupazione infondata che a lei potesse d’un tratto servire una spalla su cui poggiarsi. Che sciocchezza.

Infatti annuì soltanto, dopo essere tornata a giocare con una manina del bambino.

“Non ho nemmeno più il coraggio di prenderlo in braccio. Ho paura di…” sospirò. “Ho paura di affezionarmi a lui più di quanto lo sia già.”

Ruotò di nuovo il capo, ma stavolta riuscii a intrappolare il suo sguardo nel mio per più di qualche secondo.

Le feci scivolare la mano lungo la spina dorsale, tastando la morbida stoffa che non nascose il brivido che le avevo provocato.

“Almeno avrà una famiglia” era l’unico aspetto positivo che da imparziale potevo evidenziare.

“Se solo Paride…” s’interruppe allo squillo del mio cellulare, ma ero certo che non avrebbe continuato comunque.

“Scusa” allontanai la mano dalla sua schiena non prima di aver fatto frusciare la stoffa su un suo fianco, e, con aria scocciata ma rassegnata, avvicinai il telefono all’orecchio. “Pronto?” continuavo a fissare i suoi occhi dal castano profondo mentre Gironi farfugliava qualcosa dal tono agitato. “Sì, d’accordo, arrivo.”

“Non posso trattenermi di più, mi spiace” buttai lì, allargando le braccia.

“Anche io tornerei a casa.”

Le sorrisi, mentre, imbarazzata dalla scelta del saluto più opportuno, si sistemava una ciocca di capelli dietro l’orecchio. La precedetti, sfiorandole la guancia con le labbra. “A presto.”

Non so quante volte avesse annuito, perché se avessi deciso di contarle tutte, non sarei mai uscito da quella stanza.

Solo quando salii in macchina, mi maledissi per non averle proposto di riaccompagnarla a casa.




   
 
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