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Autore: Mattia Zadra    08/01/2011    1 recensioni
Un viaggio allegorico, che simboleggia la vita delle persone e condanna la loro pigrizia.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sto viaggiando su un treno.
Saranno anni ormai che va avanti così.
Continuo a seguire questa rotaia ed a fare le stesse fermate.
Fin dalle prime volte non sono mai sceso dal treno, me ne restavo nella mia cabina a guardare dal finestrino la gente che passava.
Alcuni cercavano di interagire con me con lo sguardo, ma io li respingevo in malo modo.
La rotaia è circolare, ma ogni volta che finisce un giro il tragitto si allunga e vengono aggiunte nuove fermate.
Altre vengono cancellate, senza che io mi ci sia mai fermato.
Quelle sono andate per sempre, ed io non posso far altro che guardare dal finestrino la gente che passa.
Da un po’ di tempo ho deciso che sarei sceso ad ogni stazione ed avrei visitato tutti quei posti e conosciuto tutta quella gente prima che fosse troppo tardi.
Abbiamo da poco superato la prima stazione, ma quella fermata ormai per me non esiste più da tempo.
La gente che mi vede mi scansa con gli occhi o addirittura mi insulta.
La seconda fermata comincia a sbucare all’orizzonte.
Purtroppo anche questa ormai non esiste più.
Nel corso di tutta la mia vita su questo treno di fermate ce ne sono state migliaia, ma io non sono mai uscito da qui.
Continua il viaggio, e senza che me ne accorga abbiamo già passato più di un centinaio di stazioni senza che il treno accennasse a rallentare.
Strano, l’ultima volta un paio di stazioni attive c’erano.
Magari sono solo invecchiato e non mi rendo conto di quel che succede attorno a me.
Il treno sferraglia ininterrottamente e supera le altre stazioni, a centinai ne sorpassa, ed il tutto sempre con la sua velocità sostenuta.
Nessuno stop per così tanto tempo.
È la prima volta che succede ed io comincio a preoccuparmi.
Apro la porta della cabina ed esco nel corridoio per cercare un addetto al treno.
Nessuno in vista, ne da un lato ne dall’altro.
Solo uno specchio, come un neo su una schiena perfettamente liscia, rompe la perfezione di questo posto.
Mi ci avvicino lentamente e mi guardo riflesso.
Erano anni che non mi vedevo allo specchio.
Che sensazione strana.
Che volto strano che ho.
Sulla superficie liscia del vetro si vedono scorrere delle linee d’acqua all’altezza dei miei occhi, ma quando provo a toccarle con un dito queste non si lasciano prendere, come fossero dentro lo specchio stesso.
È allora che mi accorgo che l’immagine nello specchio non segue i miei movimenti, e lo sconcerto per poco non mi va svenire.
“Che cosa sei?” domando alla mia immagine, la quale però tiene la bocca ben serrata mentre pronuncio la domanda.
“Tu che cosa sei?” mi risponde questa.
“Io sono un uomo, forse non si vede?”
“Io sono te riflesso in uno specchio invece. Vorresti dirmi che ciò che vedi è realmente un uomo?”
Decido di ignorare la stoccata dello specchio per porre la domanda che più mi premeva fare.
“Perché il treno non si è ancora fermato? Tra quanto potrò scendere da qui?”
Il volto scarno ed invecchiato che ho davanti continua a versare le sue lacrime guardandomi fisso.
“Tu hai passato la vita a guardare le vite degli altri senza vivere la tua. Nel corso degli anni più volte ti è stata offerta la possibilità di vivere, ma pian piano restando seduto nella tua cabina hai bruciato ogni stazione ed ogni fermata, così per te ormai vecchio stolto non è rimasta che una sola fermata, e sarai tu a decidere quando sarà.”
Parzialmente rincuorato dalla certezza che una fermata per me esista ancora domando di cosa si tratti.
“Ciò che ti aspetta è il capolinea. Tu sei esistito ma non hai mai vissuto. Ma ora guarda dal finestrino tutte le occasioni e tutte le esperienze che hai gettato nel fuoco con la tua pigrizia. Guardale e piangi nel capire il male che hai fatto a te stesso nel non agire.”
Così dicendo l’immagine scompare, lasciandomi davanti il mio vero volto.
Nulla è cambiato di molto, persino le lacrime sono rimaste.
Le sento percorrermi il viso, segno della consapevolezza di ciò che ho appena udito.
Torno nella mia cabina strisciando le scarpe sul pavimento.
Una volta là, dal finestrino vedo scorrere il paesaggio.
Abbiamo appena passato nuovamente la prima fermata senza che il treno accennasse a rallentare.
Nessuna fermata per me, se non quella che deciderò io.
Una sola fermata.
Mi avvicino al vetro e lo faccio scorrere in orizzontale.
Il vento mi scompiglia i capelli e mi fa chiudere gli occhi mentre metto fuori il viso.
Tutto scorre ed io non posso fermarlo.
“L’ultima fermata è il capolinea” penso, e così facendo mi butto dal treno in corsa.
  
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