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Autore: CriminalDanage    08/01/2011    3 recensioni
Qualsiasi cosa tu faccia sarà insignificante ma è molto importante che tu la faccia, perché nessun altro la farà. È come quando qualcuno entra nella tua vita e una parte di te dice "non sei assolutamente pronto" mentre l'altra metà dice "falla tua per sempre" - [Daemon Spade x Giotto.]
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Daemon Spade, Giotto
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Qualsiasi cosa tu faccia sarà insignificante ma è molto importante che tu la faccia, perché nessun altro la farà. È come quando qualcuno entra nella tua vita e una parte di te dice "non sei assolutamente pronto" mentre l'altra metà dice "falla tua per sempre"

 

 

 

Giotto osservò a lungo il panorama fuori dalla finestra con un’espressione calma, lo sguardo limpido sembrava poter riflettere più di quanto potesse riverberare il cielo stesso che ormai fissava da una mezz’ora, se non di più.

Uno sbadiglio, che soffocò con una mano, affondando poi il viso fra le braccia incrociate sulla scrivania.

Era una mattinata insolitamente tranquilla: nessun rumore, nessuno che lo venisse a disturbare; non che lo desiderasse ma era tutto così strano.

 

Inaspettatamente qualcuno bussò alla porta del suo ufficio e il giovane Boss dei Vongola sobbalzò, concedendo il permesso di entrare, chiunque fosse.

Quando la porta si aprì rivelando il nulla, Giotto intuì di chi poteva trattarsi; non tutti i suoi Guardiani si apprestavano a fare entrate così “spettacolari” e Daemon Spade era l’unico che come un fantasma riusciva a infiltrarsi in qualsiasi luogo, figurarsi l’ufficio di Giotto.

Nonostante non riuscisse a vederlo, la sua presenza invisibile era appena percettibile, probabilmente più grazie ai poteri del Boss che a qualsiasi altro senso umano.

 

«Daemon, non è che ogni tanto potresti fare un’entrata … normale?» sentenziò, guardandosi attorno alla ricerca di un qualsiasi indizio che potesse indicargli dove trovare l’altro, ma ovviamente fu Daemon a sorprenderlo per primo, apparendo inaspettatamente alle sue spalle, spiazzandolo come faceva ogni volta.

Daemon ridacchiò, portando una mano verso il viso dell’altro, afferrandogli il mento fra l’indice e il pollice.

«Questo è il massimo che puoi aspettarti da un tipo eccentrico come me.» Rispose con fare quasi teatrale, scostandosi all’occhiata scettica del Boss e trattenendo a stento una risata divertita.

 

«Direi che non è poco, Daemon Spade.» Giotto gli sorrise, voltandosi verso di lui, rimanendo appoggiato contro lo schienale della poltrona di pelle.

Bastò una rapida analisi visiva affinché Giotto intuisse che nell’altro c’era qualcosa che non andava;

allungò una mano verso quella dell’altro che istintivamente aveva ritratto e la strinse forte. 

 

Daemon gli rivolse un’occhiata sorpresa, perdendosi per qualche minuto negli occhi profondi e malinconici di Giotto.

In un baleno attraverso quella sola occhiata individuò un sentimento di rassicurazione, istinto di protezione …  e amore.

Ormai Giotto conosceva Daemon, o almeno aveva imparato a conoscere bene quel suo lato che tendeva a portarlo a preoccuparsi di tutti, come se non volesse mai venire meno al suo dovere, offrendo il suo sostegno a chiunque. Sapeva anche bene che tutto questo però non lo faceva per gli altri, bensì per perdonare se stesso, come se da un momento all’altro avrebbe potuto dare le spalle ai suoi compagni, al suo Boss … a tutte le persone che gli erano state attorno; un tentativo di Redenzione.

«Avevi promesso che mi avresti portato al mare.»

Daemon si riprese da quello sguardo, giusto in tempo per esser scaldato dal sorriso infantile di Giotto, un’espressione carica di fiducia e altri sentimenti che ancora non aveva imparato a decifrare per bene. 

«Ci possiamo andare anche ora, se vuoi.» Sul volto del moro era comparso un sorriso malizioso, mentre con fare quasi principesco porse la mano a Giotto, e il Boss la afferrò senza esitazione, lasciando che fosse l’altro a guidarlo verso la sua stanza da letto.

***

 

Inarcò la schiena quando avvertì l’intrusione da parte di Daemon, stringendo le braccia attorno alla sua schiena, conficcando le unghie per rivendicare il dolore che provava. Il Guardiano della Nebbia in risposta socchiuse un occhio, gemette contro il collo morbido dell’altro, contro la pelle marchiata dalla sua stessa bocca.

A ogni spinta il moro s’inebriò della voce dell’altro, del suo respiro affannato, del suo bacino che si strusciava contro di lui in risposta ai suoi movimenti. Sali lungo il collo esposto di Giotto, alla ricerca delle sue labbra leggermente incurvate in un sorriso.

«Quella del mare era una maledettissima scusa, vero?» Mormorò contro le sue labbra, fra un respiro e l’altro, cercando di non far caso alla sabbia che si appiccicava in maniera a dir poco fastidiosa sul suo corpo sudato.

«Per essere solo un’illusione è piuttosto realistica, hai superato te stesso questa volta.» Ridacchiò, sporgendo appena un piede in avanti, a contatto con l’acqua calda del mare nel punto del bagnasciuga, dove erano rimasti dopo una lunga passeggiata, finendo poi a fare l’amore.

«Non c’è niente che per me possa essere impossibile.» Rispose fingendo un’aria superiore, avvicinando la propria giacca addosso all’altro, per coprirlo.

Giotto accettò di buon grado l’offerta, lasciando scivolare la giacca dell’altro sulle spalle, sollevando poi lo sguardo verso il suo viso.

«Perché fai tutto questo per me?» Gli domandò, tanto improvvisamente da lasciar spiazzato l’altro che di fronte a quella domanda assunse un’espressione di chi veniva facilmente preso alla sprovvista.

«Sei il mio Boss, ecco perché.» Suonò più come un modo per chiudere il discorso, piuttosto che una risposta sincera. Giotto fece per ribattere, ma Daemon lo squadrò con un’occhiata eloquente, posandogli una mano sul viso, eludendo da ogni possibilità di sostenere un contatto visivo.

Giotto tentò di ribattere, ma dopo un lieve movimento delle labbra gli fu impossibile parlare poiché l’altro accostò la bocca alla sua.

«Dormi, Boss.» Un sussurro appena impercettibile che spezzò la tensione creata. Giotto lottò a lungo con i propri occhi che minacciavano di chiudersi da un momento all’altro, ma alla fine il “sonno” ebbe la meglio e si abbandonò a quella sensazione di freddo e buio.

 

***

 

Quella sensazione di freddo non lo abbandonò finché una voce famigliare chiamò, ad enfatizzare il richiamo fu il continuo bussare alla porta; affondò maggiormente il viso nel cuscino, sospendendosi quando, al contatto con la superficie fresca della federa una sensazione di umido gli percorse il viso.

Solo allora si accorse che il cuscino era bagnato e i suoi occhi, ancora socchiusi, erano umidi.

A tentoni cercò a fianco a lui un minimo di contatto fisico, ma l’unica cosa che trovò fu l’anello della Nebbia di Daemon.

In quel momento il suo primo pensiero fu che Daemon avesse scordato di rimettersi l’anello, ma poi perché? Lui non se lo sfilava mai.

Senza nemmeno pensarci ulteriormente, si sollevò, infilandosi velocemente i pantaloni e la camicia stropicciata, senza nemmeno badare all’ordine dei bottoni. Una volta indossate le scarpe si catapultò alla porta, incontrando il viso di G. , l’espressione del Guardiano della Tempesta che diventò preoccupata quando incrociò lo sguardo terrorizzato di Giotto.

«Daemon, dov’è Daemon?!» La sua voce tremò, così come il suo corpo quando G. posò entrambe le mani sulle sue esili spalle. Il Guardiano deviò leggermente lo sguardo, incapace di guardare direttamente negli occhi il suo Boss, il suo migliore amico.

Quel semplice gesto amplificò il terrore in Giotto che strinse con forza l’anello della Nebbia che teneva in mano, nel pugno.

«G. cos’è successo?»

Perché non parlava? Perché non lo guardava? Il Guardiano della Tempesta rimase in silenzio per altri secondi;  il Boss tremava di fronte a lui, mentre troppi pensieri si affollavano nella sua mente ancora offuscata per l’illusione di Daemon, senza contare il dolore che avvertiva dalla schiena in giù.

 

«Ha disertato, ci ha traditi.»

 

Quelle parole portarono una sensazione di nausea, seguita da smarrimento, rabbia, tristezza, dolore. Un miscuglio micidiale che gli si abbatté improvvisamente addosso, come un’onda che s’infrange su uno scoglio, poi scivola via, tornando a disperdersi nell’immensità del mare.

 

Daemon era proprio come un’onda, si era sprigionato addosso a lui, facendolo sentire fragile ma allo stesso momento donandogli quel momento effimero di felicità. Eppure, nonostante le parole di G. non riuscì a credere che fosse successo davvero qualcosa del genere, non voleva  crederci.

 

***

 

«Non credo che tu sia adatto ad essere Boss dei Vongola.»

 

Giotto non cambiò espressione, rimanendo serio e inflessibile di fronte a Daemon che sedeva a terra, svuotato della sua forza, dei suoi poteri, ma ancora pieno d’orgoglio.

Il Boss avvertì lo sguardo dei suoi Guardiani posato sulle sue spalle, G. alla sua destra tremante di rabbia che minacciava da un momento all’altro di assalire il traditore.

Solo allora notò un minimo di esitazione nello sguardo di Daemon, insicurezza che per un attimo gli aveva fatto credere che in fondo era il Daemon che aveva sempre conosciuto.

«Lasciatemi solo con lui.» A quella richiesta G. scattò in avanti, contrariato «Primo, non dire assurdità …» Giotto si voltò verso il Guardiano della Tempesta, che deviò lo sguardo con un verso di stizza nel momento esatto in cui incrociò lo sguardo autoritario dell’amico.

Senza aggiungere altro tutti i Guardiani ad eccezione di Giotto e Daemon abbandonarono la stanza, che cadde nel silenzio più totale.

 

«Pensavo che i nostri ideali fossero gli stessi.» Giotto spezzò il silenzio creatosi, quando in realtà non aveva interrotto nemmeno per un secondo il contatto visivo con l’altro.

Daemon rise, sia per l’affermazione che per la serietà con cui l’altro l’aveva pronunciata, pensando a quanto fosse ingenuo e moralista.

«Ingenuo, sognatore ed estremamente ottimista. Ora ricordo il perché ho deciso di seguirti.»  Fu la sua risposta, accompagnata da un sorriso. Giotto non cambiò espressione, nemmeno per un attimo.

 

La verità era che a Daemon il mare non bastava, lui ambiva all’oceano.

 

«Quindi questo … è un addio?» Domandò Giotto, senza aggiungere altro. Non un perché, non un tentativo di discussione. Quella sua reazione lo lasciò leggermente basito, seppur conoscesse il sangue freddo che riusciva a mantenere Giotto in certe situazioni.

«Già. Non voglio più aver a che fare con te.»

Eppure non sarebbe stato semplice, poiché le impronte che si lasciano non sbiadiscono mai sulle vite che vengono toccate e così sarebbe stato fra loro due; i gesti, le parole che si erano scambiati non sarebbero mai scomparsi così facilmente.

La verità, quella cruda che Daemon non avrebbe mai rivelato per orgoglio è che non era pronto per uscire dal mare, per gettarsi nell’oceano … perché aveva profondamente paura di annegare.

 

Un’altra verità, forse quella che faceva ancora più male era che in fondo lui era un inguaribile bugiardo: perché le parole che avrebbe voluto dire in quel momento non fu in grado di pronunciarle: “Ti amo” , “Mi mancherai”.

 

Giotto invece era sempre stato più coraggioso di lui; prima di congedarsi sussurrò un «Ti perdono»

 

***

 

“Fallo tuo per sempre.”

 

Fissò con astio la lapide del Primo. Era morto, quell’uomo pieno di ideali, ingenuo come pochi, troppo fragile per combattere in un mondo che dei suoi sogni non se ne faceva niente.

Che senso aveva avuto arrivare fino a quel punto, quando alla fine l’unica cosa che aveva ottenuto era la gloria, quando lui non l’aveva mai veramente desiderata?

Per questo l’aveva spesso e volentieri accompagnato nelle sue Illusioni, proprio perché in quel mondo, creato appositamente per lui … non avrebbe mai sofferto;  ma alla fine lui stesso era stato causa della sua sofferenza.

 

C’era una cosa che aveva capito sin dall’inizio: il loro “amore” era sostenuto dalla malinconia.

   
 
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