Qualsiasi
cosa tu faccia sarà
insignificante ma è molto importante che tu la faccia,
perché nessun altro la
farà. È come quando qualcuno entra nella tua vita
e una parte di te dice
"non sei assolutamente pronto" mentre l'altra metà dice
"falla
tua per sempre"
Giotto
osservò a lungo il panorama fuori dalla finestra con
un’espressione calma, lo
sguardo limpido sembrava poter riflettere più di quanto
potesse riverberare il
cielo stesso che ormai fissava da una mezz’ora, se non di
più.
Uno
sbadiglio, che soffocò con una mano, affondando poi il viso
fra le braccia
incrociate sulla scrivania.
Era
una mattinata insolitamente tranquilla: nessun rumore, nessuno che lo
venisse a
disturbare; non che lo desiderasse ma era tutto così strano.
Inaspettatamente
qualcuno bussò alla porta del suo ufficio e il giovane Boss
dei Vongola
sobbalzò, concedendo il permesso di entrare, chiunque fosse.
Quando
la porta si aprì rivelando il nulla, Giotto intuì
di chi poteva trattarsi; non
tutti i suoi Guardiani si apprestavano a fare entrate così
“spettacolari” e
Daemon Spade era l’unico che come un fantasma riusciva a
infiltrarsi in
qualsiasi luogo, figurarsi l’ufficio di Giotto.
Nonostante
non riuscisse a vederlo, la sua presenza invisibile era appena
percettibile,
probabilmente più grazie ai poteri del Boss che a qualsiasi
altro senso umano.
«Daemon,
non è che ogni tanto
potresti fare un’entrata … normale?»
sentenziò, guardandosi attorno alla ricerca di un qualsiasi
indizio che potesse
indicargli dove trovare l’altro, ma ovviamente fu Daemon a
sorprenderlo per
primo, apparendo
inaspettatamente alle sue spalle,
spiazzandolo come faceva ogni volta.
Daemon
ridacchiò, portando una mano verso il viso
dell’altro, afferrandogli il mento
fra l’indice e il pollice.
«Questo
è il massimo che puoi
aspettarti da un tipo eccentrico come me.»
Rispose
con
fare quasi teatrale, scostandosi all’occhiata scettica del
Boss
e
trattenendo
a stento una risata divertita.
«Direi
che non è poco, Daemon
Spade.» Giotto gli sorrise,
voltandosi
verso di lui, rimanendo appoggiato contro lo schienale della poltrona
di pelle.
Bastò
una rapida analisi visiva affinché Giotto intuisse che
nell’altro c’era
qualcosa che non andava;
allungò
una mano verso quella dell’altro che istintivamente aveva
ritratto e la strinse
forte.
Daemon
gli rivolse un’occhiata sorpresa, perdendosi per qualche
minuto negli occhi
profondi e malinconici di Giotto.
In
un baleno attraverso quella sola occhiata individuò un
sentimento di
rassicurazione, istinto di protezione … e
amore.
Ormai
Giotto conosceva Daemon, o almeno aveva imparato a conoscere bene quel
suo lato
che tendeva a portarlo a preoccuparsi di tutti, come se non volesse mai
venire
meno al suo dovere, offrendo il suo sostegno a chiunque. Sapeva anche
bene che
tutto questo però non lo faceva per gli altri,
bensì per perdonare se stesso,
come se da un momento all’altro avrebbe potuto dare le spalle
ai suoi compagni,
al suo Boss … a tutte le persone che gli erano state
attorno; un tentativo di
Redenzione.
«Avevi
promesso che mi avresti
portato al mare.»
Daemon
si riprese da quello sguardo, giusto in tempo per esser scaldato dal
sorriso
infantile di Giotto, un’espressione carica di fiducia e altri
sentimenti che
ancora non aveva imparato a decifrare per bene.
«Ci
possiamo andare anche ora,
se vuoi.» Sul volto del moro era
comparso un sorriso malizioso, mentre con fare quasi principesco porse
la mano
a Giotto, e
il
Boss la afferrò senza esitazione, lasciando che fosse
l’altro a guidarlo verso
la sua stanza da letto.
***
Inarcò
la schiena quando avvertì l’intrusione da parte di
Daemon, stringendo le
braccia attorno alla sua schiena, conficcando le unghie per rivendicare
il
dolore che provava. Il Guardiano della Nebbia in risposta socchiuse un
occhio,
gemette contro il collo morbido dell’altro, contro la pelle
marchiata dalla sua
stessa bocca.
A
ogni spinta il moro s’inebriò della voce
dell’altro, del suo respiro affannato,
del suo bacino che si strusciava contro di lui in risposta ai suoi
movimenti.
Sali lungo il collo esposto di Giotto, alla ricerca delle sue
labbra
leggermente
incurvate in un sorriso.
«Quella
del mare era una
maledettissima scusa, vero?»
Mormorò
contro le sue labbra, fra un respiro e l’altro, cercando di
non far caso alla
sabbia che si appiccicava in maniera a dir poco fastidiosa sul suo
corpo
sudato.
«Per
essere solo un’illusione è
piuttosto realistica, hai superato te stesso questa volta.» Ridacchiò, sporgendo appena
un piede in
avanti, a contatto con l’acqua calda del mare nel punto del
bagnasciuga,
dove erano rimasti dopo una lunga
passeggiata, finendo poi a fare l’amore.
«Non
c’è niente che per me
possa essere impossibile.»
Rispose
fingendo un’aria superiore, avvicinando la propria giacca
addosso all’altro,
per coprirlo.
Giotto
accettò di buon grado l’offerta, lasciando
scivolare la giacca dell’altro sulle
spalle, sollevando poi lo sguardo verso il suo viso.
«Perché
fai tutto questo per
me?» Gli domandò,
tanto
improvvisamente da lasciar spiazzato l’altro che di fronte a
quella domanda
assunse un’espressione di chi veniva facilmente preso alla
sprovvista.
«Sei
il mio Boss, ecco perché.»
Suonò più come un modo per chiudere il
discorso, piuttosto che una risposta sincera. Giotto fece per
ribattere, ma
Daemon lo squadrò con un’occhiata eloquente,
posandogli una mano sul viso,
eludendo da ogni possibilità di sostenere un contatto
visivo.
Giotto
tentò di ribattere, ma dopo un lieve movimento delle labbra
gli fu impossibile
parlare poiché l’altro accostò la bocca
alla
sua.
«Dormi,
Boss.» Un sussurro appena
impercettibile che
spezzò la tensione creata. Giotto lottò a lungo
con i propri occhi che
minacciavano di chiudersi da un momento all’altro, ma alla
fine il “sonno” ebbe
la meglio e si abbandonò a quella sensazione di freddo e
buio.
***
Quella
sensazione di freddo non
lo
abbandonò finché una voce
famigliare
chiamò,
ad enfatizzare il richiamo fu il continuo bussare alla porta;
affondò
maggiormente il viso nel cuscino, sospendendosi quando, al contatto con
la
superficie fresca della federa una sensazione di umido gli percorse il
viso.
Solo
allora si accorse che il cuscino era bagnato e i suoi occhi, ancora
socchiusi,
erano umidi.
A
tentoni cercò a
fianco a
lui un minimo di contatto fisico, ma l’unica cosa che
trovò fu l’anello della
Nebbia di Daemon.
In
quel momento il suo primo pensiero fu che Daemon avesse
scordato di
rimettersi l’anello, ma poi perché? Lui
non se lo sfilava mai.
Senza
nemmeno pensarci ulteriormente, si sollevò, infilandosi
velocemente i pantaloni
e la camicia stropicciata, senza nemmeno badare all’ordine
dei bottoni. Una
volta indossate le scarpe si catapultò alla porta,
incontrando il viso di G. ,
l’espressione del Guardiano della Tempesta che
diventò
preoccupata quando incrociò lo
sguardo terrorizzato di Giotto.
«Daemon,
dov’è Daemon?!»
La sua voce tremò, così come il suo corpo
quando G. posò entrambe le mani sulle sue esili spalle. Il
Guardiano deviò
leggermente lo sguardo, incapace di guardare direttamente negli occhi
il suo
Boss, il suo migliore amico.
Quel
semplice gesto amplificò il terrore in Giotto che strinse
con forza l’anello della Nebbia che
teneva
in
mano, nel pugno.
«G.
cos’è successo?»
Perché
non parlava? Perché non lo guardava? Il Guardiano della
Tempesta rimase in
silenzio per altri secondi;
il Boss tremava di fronte a
lui, mentre troppi
pensieri si affollavano nella sua mente ancora offuscata per
l’illusione di
Daemon, senza contare il dolore che avvertiva dalla schiena in
giù.
«Ha
disertato, ci ha traditi.»
Quelle
parole portarono una sensazione di nausea, seguita da smarrimento,
rabbia,
tristezza, dolore. Un miscuglio micidiale che gli si abbatté
improvvisamente
addosso, come un’onda che s’infrange su uno
scoglio, poi scivola via, tornando
a disperdersi nell’immensità del mare.
Daemon
era proprio come un’onda, si era sprigionato addosso a lui,
facendolo sentire
fragile ma allo stesso momento donandogli quel momento effimero di
felicità.
Eppure, nonostante le parole di G. non riuscì a credere che
fosse successo
davvero qualcosa del genere, non voleva
crederci.
***
«Non
credo che tu sia adatto ad essere Boss dei Vongola.»
Giotto
non cambiò espressione, rimanendo serio e inflessibile di
fronte a Daemon che
sedeva a terra, svuotato della sua forza, dei suoi poteri, ma ancora
pieno
d’orgoglio.
Il
Boss avvertì lo sguardo dei suoi Guardiani posato sulle sue
spalle, G. alla sua
destra tremante di rabbia che minacciava da un momento
all’altro di assalire il
traditore.
Solo
allora notò un minimo di esitazione nello sguardo di Daemon,
insicurezza che
per un attimo gli aveva fatto credere che in fondo era il Daemon che
aveva
sempre conosciuto.
«Lasciatemi
solo con lui.» A quella richiesta
G. scattò in avanti,
contrariato «Primo, non dire
assurdità …»
Giotto si voltò verso il Guardiano della Tempesta, che
deviò lo
sguardo con un verso di stizza nel momento esatto in cui
incrociò lo sguardo
autoritario dell’amico.
Senza
aggiungere altro tutti i Guardiani ad eccezione di Giotto e Daemon
abbandonarono la stanza, che cadde nel silenzio più totale.
«Pensavo
che i nostri ideali
fossero gli stessi.» Giotto
spezzò il
silenzio creatosi, quando in realtà non aveva interrotto
nemmeno per un secondo
il contatto visivo con l’altro.
Daemon
rise, sia per l’affermazione che per la serietà
con cui l’altro l’aveva
pronunciata, pensando a quanto fosse ingenuo e moralista.
«Ingenuo,
sognatore ed
estremamente ottimista. Ora ricordo il perché ho deciso di
seguirti.»
Fu
la sua risposta, accompagnata da un sorriso. Giotto non
cambiò espressione,
nemmeno per un attimo.
La
verità era che a Daemon il
mare non bastava, lui ambiva all’oceano.
«Quindi
questo … è un addio?»
Domandò Giotto, senza aggiungere altro.
Non un perché, non un tentativo di discussione. Quella sua
reazione lo lasciò
leggermente basito, seppur conoscesse il sangue freddo che riusciva a
mantenere
Giotto in certe situazioni.
«Già.
Non voglio più aver a che
fare con te.»
Eppure
non sarebbe stato semplice, poiché le impronte che si
lasciano non sbiadiscono
mai sulle vite che vengono toccate e così sarebbe stato fra
loro due; i gesti,
le parole che si erano scambiati non sarebbero mai scomparsi
così facilmente.
La
verità, quella cruda che Daemon non
avrebbe mai rivelato per orgoglio è
che non era pronto per uscire dal mare, per gettarsi
nell’oceano … perché aveva
profondamente paura di annegare.
Un’altra
verità, forse quella che faceva ancora più male
era che in fondo lui era un
inguaribile bugiardo: perché le parole che avrebbe voluto
dire in quel momento
non fu in grado di pronunciarle: “Ti amo”
, “Mi mancherai”.
Giotto
invece era sempre stato più coraggioso di lui;
prima di congedarsi sussurrò un «Ti
perdono»
***
“Fallo
tuo per sempre.”
Fissò
con astio la lapide del Primo. Era morto, quell’uomo pieno di
ideali, ingenuo
come pochi, troppo fragile per combattere in un mondo che dei suoi
sogni non se
ne faceva niente.
Che
senso aveva avuto arrivare fino a quel punto, quando alla fine
l’unica cosa che
aveva ottenuto era la gloria, quando lui non l’aveva mai
veramente desiderata?
Per
questo l’aveva spesso e volentieri accompagnato nelle sue
Illusioni, proprio
perché in quel mondo, creato appositamente per lui
… non avrebbe mai sofferto; ma
alla fine lui stesso era stato causa della
sua sofferenza.
C’era
una cosa che aveva capito sin dall’inizio: il loro
“amore” era sostenuto dalla
malinconia.