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Autore: _Ella_    08/01/2011    3 recensioni
Sette: Gioco.
“Giochiamo?” “No.” “Ma perché, Xal?” “…” “Xaaaaal” “Non chiamarmi così!” “E va bene, Din. Però giochiamo, dai scegli tu.”
Genere: Fluff, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Demyx, Xaldin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco, Altro contesto
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Dedico questa fic ad Hayley Black, perché se la merita.

 

Fifteen Dreams.

 

Uno: Amicizia.
Loro non erano niente. I Nessuno che altro potevano essere? Eppure, Xaldin era sicuro che quella… uhm… non-amicizia che c’era col Sitarista fosse qualcosa di più, che una semplice non-amicizia.

Due: Battito.
Un cuore non lo aveva, Demyx. La sua vita era scandita dalle note del sitar, e tanto gli bastava. Lui non era un tipo che amava molto riflettere sui problemi esistenziali di loro Nessuno. E non gli interessava più di tanto, poi. Perché era sicuro, che quel battito di ali che sentiva nello stomaco ogni volta che due oggi viola intenso lo fissavano, servisse a pieno per dimostrargli che verso il numero III provava qualcosa di vero.

Tre: Cuore.
Aveva creduto ingenuamente, il numero IX, di aver trovato una vera ragione di vita. Non quella di avere un cuore – forse nemmeno ci aveva mai creduto davvero – piuttosto quella di rendere felice – per quanto un Nessuno potesse esserlo – la persona a cui teneva di più in assoluto. Ma quando quella persona era sparita via come fumo, forse lo stesso fumo che gli stava procurando tutte quelle lacrime e che gli stava facendo mancare l’aria, anche l’ultima cosa che lo rendeva vivo era sparita. Adesso, quel cuore non gli sarebbe mai servito, se non per soffrire di più. Lo aveva sempre detto, a Xaldin, che lui del cuore non se ne faceva nulla.

Quattro: Dimora.
Quel castello bianco non era una vera casa. Xaldin gli aveva spiegato che la casa era un posto in cui ti senti bene, dove tutti a te ci tengono, dove ti senti riscaldato da qualcosa di indefinito. Ingenuamente, aveva sorriso, rispondendogli con un: “Allora la mia casa è fra le tue braccia, Xal”.

Cinque: Espressività.
Demyx non sapeva esprimersi. Non a parole, almeno. Non era quasi mai capace di tirare su una frase di senso compiuto in cui non ci fossero versi strani che nemmeno delle onomatopee avrebbero potuto dal loro un nome. Ma adorava – tuttavia – quando quella voce ripeteva come una cantilena il suo nome, mentre gli unici versi che faceva erano solo di assoluto piacere.

Sei: Fumo.
Se c’era una cosa che quel ragazzo dai capelli biondo cenere odiava, era il fumo. Quello delle sigarette e via discorrendo. Se c’era una cosa che odiava ancora di più era l’odore del fumo. Infine, odiava categoricamente che Dilan fumasse. Eppure, ogni volta che si trovava a respirare l’aroma che aveva la pelle di Dilan, si diceva che forse poteva sopportarlo un altro po’, quell’odore.

Sette: Gioco.
“Giochiamo?” “No.” “Ma perché, Xal?” “…” “Xaaaaal” “Non chiamarmi così!” “E va bene, Din. Però giochiamo, dai scegli tu.”
Un ghigno si era, dipinto sulle labbra del numero III, che aveva tirato fuori delle manette.
Uhm… giochiamo a guardia e ladro?” “Vedrai, Dem, vedrai”.

Otto: Indignazione.
Lui non era geloso, per niente. Non poteva esserlo, tecnicamente, quindi non lo era nemmeno obbiettivamente. Ma quando si accorgeva, che vedendo il Sitarista gironzolare attorno a quel maledetto topo da biblioteca, si sentiva particolarmente geloso, quello che ne seguiva era un enorme indignazione verso se stesso.

Nove: Luce.
La sua era un esistenza oscura, un buio cieco ed eterno, lo sapeva bene. Eppure, si ricredeva completamente, quando fissava gli occhi di Demyx, perché racchiudevano tutta la luce che poteva desiderare.

Dieci: Melodia.
Aveva sempre pensato che fosse un babbeo. Poi si era ricreduto, perché Demyx era un madornale babbeo. Ma quando lo sentiva suonare, quando lo vedeva suonare, il suo giudizio mutava immediatamente: Demyx era un madornale babbeo fottutamente bravo a suonare.

Undici: Naso.
Doveva esserci una ragione, una spiegazione logica e obbiettiva, se quel Nessuno, oltre al cuore, aveva perso il cervello.
“Ti ho preso il naso!” “Demyx, smettila di farneticare!” aveva borbottato, ma l’altro insisteva “Ma guarda, cel’ho tra le dita”.
No. Forse Demyx un cervello non cel’aveva mai avuto.

Dodici: Ordine.
Quando qualcuno gli imponeva qualcosa, non ne era mai contento. Gli dava fastidio che gli dicessero cosa fare, magari proprio quando lui voglia non cel’aveva. Ma quando era lui ad ordinargli, con quella maledetta voce roca e sensuale, uno: “Spogliati, Demyx”, eseguiva volentieri.

Tredici: Prezioso.
Lui teneva al suo sitar, naturalmente. Era la sua arma, era il suo strumento, e non permetteva a nessuno di toccarlo. Tuttavia, l’avrebbe anche spezzata con le sue stesse mani, se gli avessero chiesto di scegliere. Non c’era niente di più prezioso che Xaldin.

Quattordici: Ricordi.
Erano essenziali i ricordi, per Demyx. Sicuramente anche per Xaldin. Ricordavano loro che un tempo, quei bei tempi in cui avevano un cuore, il loro amore – a chiunque fosse rivolto – era stato vero e sincero. Essenziali soprattutto per capire che, nonostante dei sentimenti rimanesse solo un futile ricordo, quello che provavano l’uno per l’altra era vero.

Quindici: Sogni.
Aveva un sogno, Demyx. Quello di restare vicino a Xaldin per tutta la vita.
Un sogno, nonostante non sembrasse il tipo, lo aveva anche Xaldin. Ovvero, quello di realizzare tutti i desideri di Demyx.

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Sono emozionata. Molto.
Tra una settimana, ovvero il 15 gennaio, io e l'amore della mia vita faremo "1 anno di matrimonio". Non a caso il numero delle piccole drabble.
Beh, ringrazio chiunque la legga, chiunque la recensisca.
Ma adesso, passo a qualcosa di più importante.
Giuggy, questa è per te. Perché io ti amo anche se adori questa strampalata coppia. Quindi, anche se in anticipo

tanti auguri amore mio.

   
 
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