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Autore: Il_Genio_del_Male    09/01/2011    10 recensioni
Ovvero come una notte di luna, alla Cross Academy, cambia la vita di Zero e Kaname. E tornare indietro, adesso, è impossibile.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kaname Kuran, Zero Kiryu
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Sol Levante'
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Il fumo della sigaretta sale verso il cielo stellato in una pigra spirale.

Mi ritrovo ad osservarlo, pensando alla pioggia; il grigio impalpabile del fumo aspirato è una sfumatura più tenue e polverosa di quella, plumbea, delle nuvole durante un temporale.

Do un’altra boccata.

“Guarda guarda chi abbiamo qui”.

La voce di Kuran Kaname, materializzatosi improvvisamente al mio fianco, fende l’aria notturna facendomi sobbalzare per la sorpresa; anzi, per poco non rischio di soffocarmi. Provo ad espirare il fumo, ma finisco col tossire e sputacchiare in modo molto poco dignitoso per un Disciplinare.

Kuran inarca un sopracciglio, forse sdegnato dalla mia totale mancanza di compostezza e decoro, e mi assesta alcune poderose pacche sulle spalle –dannata forza erculea dei purosangue.

Riprendo a respirare normalmente, piuttosto imbarazzato; non mi capita spesso di fare figure di merda simili. Spengo la sigaretta sull’erba con la scarpa, visto che ormai era quasi finita.

“Per tutti i vampiri che infestano questo pianeta, Kuran! Ti sembra questo il modo di annunciare la tua regale presenza? O magari contavi di farmi morire d’infarto per sbarazzarti di me definitivamente?”

Maledizione. Ci mancava solo che il tono della mia voce sembrasse quello di una checca isterica, acida e scorbutica per chiudere in bellezza il mio umiliante teatrino. Chissà che grasse risate interiori si starà facendo Mister  Purosangue; se non fosse per l’impeccabile educazione ricevuta, si starebbe sganasciando di fronte a me senza ritegno, ne sono certo.

…No.

Momento momento momento. Da quando in qua m’importa di risultare ridicolo agli occhi di Kuran?

“Perdonami, Zero, non era mia intenzione attentare alla tua incolumità fisica. Mi ero solo perso nella contemplazione di tanta squisita bellezza”.

Eloquio impeccabile come sempre; il tono e lo sguardo di Kuran sono pacati ed educati, ma con un fondo di divertimento compiaciuto ed una buona dose di malizia. Gli rivolgo un’occhiata interrogativa.

“Lo so che detesti i complimenti, Zero, ma davvero… Non hai idea di quali meravigliosi riflessi la luce della luna accenda i tuoi capelli o di come accentui il candore della tua carnagione, per non parlare degli occhi: due pozze d’ametista”.

Mi sento avvampare.

“Chiudi il becco, Kuran” lo zittisco bruscamente.

La ferocia dello sguardo che gli rivolgo, però, è del tutto annullata dalla tonalità rosso semaforo che hanno assunto le mie orecchie.

Dannata tendenza congenita ad arrossire come una ragazzina.

Per fortuna il mio rivale sembra essersi divertito a sufficienza per questa sera, perché la scintilla maliziosa nei suoi occhi vermigli si spegne e il sorriso si attenua.

“Scusami. In realtà mi chiedevo se potevi offrirmi una sigaretta”.

Oh. Ecco cosa voleva, quindi.

“Avresti potuto dirlo subito” borbotto cercando di mascherare la delusione nella mia voce.

Ma delusione per cosa?

Mentre mi sporgo verso di lui con l’accendino, noto che mi tremano lievemente le mani. Gli occhi di Kuran, illuminati dalla fiammella, incrociano i miei.

Ho un tuffo al cuore.

Oh cazzo.

Mi allontano praticamente di scatto, ristabilendo una debita distanza tra di noi. Il suo “Grazie” è poco più di un bisbiglio. Passano così alcuni minuti, nel silenzio più teso e imbarazzato. Con la coda dell’occhio osservo Kuran fumare. I miei stessi gesti, ma le sue mani sono aristocraticamente pallide e affusolate, e la bocca, la bocca, così-

Di nuovo, la sua voce vellutata  e carezzevole irrompe nella nostra fragile quiete.

“Sai, stavo pensando… tu ed io siamo come due rette parallele tendenti all’infinito”.

“Come, scusa?” dire che la similitudine geometrica di Kuran mi ha spiazzato è un eufemismo.

“Ma sì, pensaci: noi due siamo destinati a non trovare un punto d’incontro. E’ matematicamente impossibile. E se mai succederà sarà comunque troppo tardi, quando ormai non ce ne importerà più”.

L’amaro cinismo di quell’affermazione, a stento smorzato dall’espressione più o meno impassibile del suo volto, è così tagliente, così dolorosamente familiare che avverto una fitta al petto all’altezza del cuore, lancinante e prolungata.

Ci ritroviamo a fissarci, con un’intensità che mi fa venire la pelle d’oca.

Il labbro inferiore di Kaname trema impercettibilmente, nel suo sguardo color del vino leggo solo una grande tristezza.

Oh, cazzo.

Non può. Non ora, non qui, non davanti a me. Devo impedirglielo. Devo impedirgli di mostrarmi il suo lato più fragile, perché se lo vedessi -se vedessi che è in grado di soffrire come tutti gli altri, che dopotutto ha un cuore- non potrei più illudermi di odiarlo.

Le parole sgorgano dalla mia bocca prima che io possa arginarle.

“E’ vero. Cioè, insomma, forse è vero… che non c’incontreremo mai”.

La mia voce è irriconoscibile, talmente è vibrante e intensa. Incespico sulle parole, m’impappino, ma al diavolo: la dignità è un lusso che adesso non posso proprio permettermi. C’è in gioco ben altro che la mia abilità oratoria.

“Ma a me va bene così, Kaname”. Sono riuscito a dirlo, alla fine. Kaname, non più Kuran. “Mi va bene così perché… finché posso starti accanto, non ho bisogno di raggiungerti”.

Ce l’ho fatta. Sono esausto come dopo un combattimento corpo a corpo con una ventina di Level E contemporaneamente. Ho le orecchie e le guance in fiamme, il fiatone, il cuore che quasi mi esce dallo sterno; di sicuro devo sembrare un idiota totale, ma non potrei essere più fiero di me.

Forse è stata quella minaccia di sconforto nello sguardo di Kaname ad avermi dato il coraggio necessario, o forse  l’amarezza nella sua voce. Fatto sta che il velo sui miei occhi è calato, finalmente, e in un attimo la verità nascosta nelle sue parole mi è parsa davanti in tutta la sua inesorabile semplicità.

Che stupidi  siamo stati: quanti inviti respinti, quante parole non dette, quanti sguardi non ricambiati. In tutti questo tempo, quella che era inequivocabilmente un’attrazione reciproca più forte di entrambi -forse addirittura un sentimento- ci è passata davanti, sotto il nostro naso, e non ce ne siamo voluti accorgere. O abbiamo avuto troppa paura, non lo so.

E non m’interessa se la nostra è una storia impossibile -per  via di Yuuki, del nostro sesso, delle rispettive caste- o se Kaname  preferirà la via più semplice, se si rimangerà le sue parole e torneremo a (fingere di) odiarci; io sarò forte abbastanza per entrambi. Lo perdonerò, e andrò avanti.

Le mie riflessioni vengono interrotte da un paio di labbra morbide che si posano sulle mie; quando le nostre lingue si allacciano e i nostri fiati caldi di tabacco si mescolano e sento le mani di Kaname artigliarsi gentilmente ai miei fianchi, mi viene da pensare che la geometria, in fin dei conti, non è una scienza poi così esatta.

   
 
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