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Autore: Globulo Rosso    09/01/2011    5 recensioni
L’illusa. L’infame. La perdente. L’omosessuale.
Quattro storie di ragazzi che non hanno avuto nulla dalla vita, ma che a forza di provarci ce l’hanno fatta.
[Happy B-Day Lù! E perdona il ritardone ;D]
{Partecipa al The One Hundred Prompt Project di BalckIceCrystal e alla Love Challenge-Do you Love me? di Mayumi_san}
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Hinata Hyuuga, Sabaku no Gaara , Sakura Haruno, Shikamaru Nara
Note: AU, Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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- Questa storia fa parte della serie 'Love Challenge e The One Hundred Propt Project!' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Premessa: come al solito mi tocca ripetere che le idee espresse in questa shot non sono affini al pensiero dell’autrice. I pensieri del protagonista sono ponderati, basati sulla sua personale esperienza di vita. Vorrei che vi dimenticaste di me, come posso dire … l’autrice non esiste, la mentalità è sua, non sono io che parlo, ma lui, lui e la sua esistenza. O ciò che ha tratto, dalla sua esistenza. Qualche zampino su riferimenti ai capitoli passati c’è, credo lo noterete, ma dovevo pur metterlo. Mi ha fatto piacere essere con voi, leggere le vostre recensioni e commenti, vedervi inserire la raccolta nei preferiti/seguiti/ricordate. E’ per me un’enorme soddisfazione avervi fatto riflettere, o sorridere, o semplicemente farvi aver passato degli ottimi 5 minuti per via delle mie parole. Come sapete ci tenevo molto, a questa raccolta. Avevo proprio voglia di scriverla. Ad ogni modo, GRAZIE. Di cuore. E bando alle ciance, vi lascio alla lettura, non prima di aver sottolineato sempre i dovuti credits.

La fan art non è mia, è stata trovata sul Web. Non intendo avvalermi della maternità di essa. The Fan art is not mine, i’ve found it on web. I don’t own it.

 

 

Prompt # 31, Sole; 


The One Hundred Prompt Project

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E’ stato come bere un bicchier d’acqua.

{Gaara – L’omosessuale}

 

C’è qualcosa di estremamente lugubre nella figura ricurva di un uomo disperato. Qualcosa che obbliga gli astanti a rifuggire il suo sguardo, presi da una sorta di senso di colpa che gli comprime le menti. Colpevoli di nulla, per altro, ma agli occhi dell’uomo disperato colpevoli di essere felici.

Analizziamo per qualche attimo la parola ‘disperato’. In questo caso si tratta di una persona privata del suo Cuore, dei sentimenti che prova e sente nei confronti degli altri. La ragione? Forse la conoscete già. E sì, non parlo del cuore che palpita, il muscolo che pompa il sangue ossigenato nelle vene. No, quello è necessario, ma non vitale. Prenderete questa affermazione come futile e incoerente, ma aspettate che la frase giunga al termine, prima di giudicare.

Il cuore è necessario, il Cuore è vitale. L’uomo non esiste, senza emozioni. Non è nessuno, se non un involucro vuoto, che si muove per inerzia, che solca le strade del mondo con una ragione sovrana, sottile, distaccata, fredda.

Un morto vivente, ecco cosa. Un gelido corpo senz’anima. Tutta questa premessa ha un motivo valido. Non trovate anche voi estenuante, fingere di essere privo di Cuore? Privo di amore, di emozioni, di spirito? Non è estremamente ipocrita e innaturale? Perché pretendere di non essere se stessi? L’unica risposta plausibile è la paura. Paura di essere giudicati, derisi, spiati, scherniti. Paura di essere isolati.

Gaara ha smesso di dormire per questo. Ogni volta che la sua testa tocca la superficie fresca del cuscino i suoi occhi si sgranano, come se il letto fosse sinonimo di rimorso. Non riesce a chiudere le palpebre e sognare, se non sotto sonniferi efficaci. E per questo si reputa un drogato. Nessuno sembra smentire la sua affermazione, comunque. A pochi interessa la storia delle occhiaie di lui, dei capelli scompigliati e delle sue iridi sempre più vacue e stanche.

Lui è un frocio, a nessuno importa. Digrigna i denti, Gaara, spostando lo sguardo verso terra, a quel pensiero. E’ in metropolitana, ascolta la voce lenta e strascicata dell’autoparlante. La prossima fermata è la sua. Quando pensa non censura gli insulti. No, preferisce ripetersi le parole nella sua mente, come per assuefarsi. Frocio, finocchio, bastardo, addirittura scherzo della natura. Forse spera di narcotizzare la punta di ostilità che si accende all’altezza del petto, in qualche modo.

Ripiega veloce il giornale, guardando fisso di fronte a sé. Le luci passano rapidissime, la galleria è rischiarata di tanto in tanto da bagliori accecanti e fastidiosi. Si massaggia le tempie, sempre più stanco. Un’altra giornata di lavoro è terminata, e lui non può che compiacersene. Eppure quella soddisfazione viene schiacciata da un’ira cieca, che lo assale appena varca la porta di casa sua. Sa già che, appena messo piede nella sua dimora, qualcosa gli salirà dalle viscere, fino ad intaccare la sua mente. Qualcosa che lo divora, da dentro.

Il suo Cuore. Sospira, scendendo mollemente dalla metro, chiamando un taxi per farsi portare a casa. Agli occhi estranei non è nessuno, se non un ragazzo giovane, forse fin troppo smunto e trascurato. Nel momento in cui la relazione diventa più stretta, il ragazzo obbliga sé stesso a dire la verità. Perché dovrebbe mentire, se già al mondo ci sono abbastanza bugiardi?
E  fino ad ora, nessuno ha mantenuto i contatti con lui. Perché è frocio.

Digrigna i denti, nervoso. Sente già la sensazione percuotergli le membra. Gira la chiave nella toppa, apre la porta e la richiude con un gesto secco alle sue spalle. Per un secondo pare rimanere lucido, fissa il suo clone alla specchio. Quell’immagine lo fa cadere in ginocchio, non prima di aver gettato per terra la grossa superficie riflettente. Perché non si riconosce, Gaara. Quello non è lui, ma solo un fantoccio.

Respira affannosamente, sbattendo le palpebre innumerevoli volte. Nulla. L’ira non pare scemare. Digrigna i denti e stringe i pugni. Quella furia che ha in corpo cresce ogni istante. Mai, e dico mai, Gaara ne ha provata così tanta in una notte. Prende il giaccone ed esce, chiudendosi la porta alle spalle.  I cocci di vetro ancora sparsi per terra sembrano riflettere un monito per la stanza, ignorato dall’intera esistenza del ragazzo. Non privarti del tuo Cuore. Uscendo da casa sua persino l’eco di quel consiglio svanisce.

 

Sedersi al bar e ordinare un bicchier d’acqua attira le attenzioni degli altri clienti, questo è poco ma sicuro. Sono altri giudizi, ragazzi, di poco conto, ma pur sempre giudizi. C’è chi si chiede perché lo fa – deve portare qualcuno a casa? Sta male? - , c’è chi lo canzona mentalmente – che sfigato, non regge -, chi annuisce a quel gesto di responsabilità giovanile – forse non sono tutti persi, questi giovani, forse – e c’è chi invece lo serve senza farsi domande, tanto gli basta che paghi. Si guarda intorno, poco interessato. In quel bar ci sono sempre le solite quattro facce, persone senza via di scampo. Non hanno imparato a non affidarsi all’alcol, nei momenti di dolore. Perciò non hanno modo di uscire dal baratro in cui loro stessi sono caduti. Gaara pare guardarli con disprezzo, quasi risentito. E questi stronzi si reputano migliori di me? Perché alla fine è logico che tanto dolore sfoci in odio. Agli occhi di Gaara, arrossati dalla ferita inferta al suo orgoglio, quelle persone valgono meno di niente. Non capisce, e non capirà mai cosa non va in lui, perché in effetti, non c’è niente di storto.

Manda giù un lungo sorso di acqua fresca e appoggia il bicchiere sul bancone, lentamente. Affossa le mani nei capelli rossi, richiudendosi su se stesso, in se stesso. I suoi occhi scorgono il legno scheggiato del tavolone, e quella visione un po’ lo rassicura. Si è sempre considerato la spina nel fianco di qualcuno. Essere talmente fastidioso da non poter essere dimenticato ha sempre giovato alla sua ira. E’ un toccasana, una sorta di balsamo tranquillizzante. Che sa di menta. Lui ama la menta, cazzo. Gli ricorda l’infanzia.

“Ho lasciato Shikamaru, fratellino. Troppo apatico, troppo infame.” Una ragazza bionda si siede accanto a lui, soffiando. Gaara si gira appena a guardare il suo viso stanco, per poi tornare al tavolo scheggiato. Quella vista lo calma, non ne capisce nemmeno lui il motivo. Forse gli rimembra lo specchio, i tanti vetri che ha gettato a terra, in un impeto d’ira. Temari, così si chiama la sorella, ordina qualcosa di forte, allungando il collo e la mano verso il barman. Lui sorride, prima di preparare quello da lei richiesto. Si conoscono già, la giovane frequenta quel bar forse da un paio d’anni. Temari non ha mai nascosto il sollievo ricavato da un bicchierino con gli amici, o in questo caso, con il fratello.

“Mi dispiace per te.” Gaara annuisce, il tono lapidario di chi vuole mostrare la propria indifferenza. Ma lei lo conosce, non si fa scoraggiare.

“Gaara, devi smetterla d’isolarti.” Sussurra, più tra sé e sé che per lui. Il dolore del fratello è qualcosa che non riesce a sopportare, qualcosa di malsano, che gli rode gli organi, che divampa inestinguibile. Ci vorrebbe una sorgente d’acqua pura, qualcosa che riesca a placare quel sentimento d’odio che si porta appresso come il suo miglior amico. Perché non ha che quella rabbia, lui, che quel dolore. E Temari non riesce a comprenderlo.

“Ho parlato con Kankuro, sai? Lui dice che…” non fa in tempo a concludere la frase che il disagio di quell’affermazione le stringe il cuore. E’ costretta ad abbassare gli occhi, imbarazzata. Gaara sorride, ironico. Emette un verso dal significato inequivocabile. Fa schioccare la lingua contro il palato e si alza, il rumore dello sgabello sul pavimento fa torcere il collo a qualche curioso.

“Non fare così, fammi almeno finire …” sembra una supplica, quella di lei. Poggia la mano d’istinto sull’avambraccio di lui, chiedendo implicitamente di restare. Gaara scrolla il capo, ridendo. E’ esasperato.

“Smettila, cazzo. Lasciami vivere. So bene cosa pensa di me Kankuro. E non voglia neanche la tua stupida commiserazione.” La mano di Temari scivola via, lentamente. Un groppo in gola che stenta ad essere trattenuto, il capo chino e un sospiro lungo. Perché non essere accettati dagli estranei è complicato da sopportare, ma dalla propria famiglia è quasi impossibile. Deglutisce, Temari, vedendolo abbandonare la sala. Lei vorrebbe dirgli che le è vicina, che è sua sorella e che Kankuro è suo fratello. Che a nessuno dei due importa com’è. Eppure non ci riesce, non è capace di mentire a se stessa. Non è come Shikamaru, lei.

“Pago io per lui.” Dice, sorseggiando il drink ghiacciato che le ha appena servito il barman. Poi dà un’occhiata al bicchiere del fratello. Un dito d’acqua naturale è quello che resta della sua ordinazione. L’angolo della bocca si tira in un sorriso intenerito. Gaara non cambierà mai, nessuno riuscirà a cambiarlo.

 

Si è seduto sulla panchina della stazione, solo e muto. Guarda i binari vuoti, di fronte a sé, senza riuscire veramente a pensare a qualcosa. E’ perso, come è perso il suo Cuore. Lontano da tutti, in un isolamento volontario. Ma lui se ne fotte, a lui non importa più di nessuno. Starà bene da solo, dopotutto ha sempre vissuto in quel modo. Non farà alcuna differenza se per un giorno, o per una vita. Anzi, ha deciso. Per lui non esisterà nemmeno il tempo. Si annulla, cancellato, tanto si sta limitando a camminare in quel fottuto mondo senza lasciarci davvero un segno. Si sta volutamente privando della sua anima, pur di essere accettato. E quella consapevolezza – perché lo sa, anche se non vuole ripeterselo – lo fa soffrire immensamente.

Finalmente pare accorgersi dei binari. Ogni tanto c’ha pensato, di buttarsi e farla finita. Sarebbe un incoerente a non ammetterlo. Non l’ha mai detto a nessuno, perché non ha mai creduto che a qualcuno potesse interessare la sua esistenza. Forse mancherebbe solo a Temari. Kankuro, bè, non vuole saperne di lui. Non vuole vivere all’ombra di una bugia solo per far piacere a lui, solo per farsi apprezzare. Ha già lottato abbastanza, ora non ne ha più voglia. Le forze l’hanno abbandonato, ad ogni tentativo di farsi amare Gaara sprofondava in una voragine più profonda, più oscura. Mai una mano l’ha sollevato, mai gli è stato dato un appiglio. Che se la vedesse da solo, molti sono come lui. Sorride, nella solitudine della stazione. Ride di quel come lui, pronunciato con un sibilante e sottile disprezzo. Come se fosse una specie diversa, una razza malsana. Cazzate, enormi cazzate, ma che piacciono molto agli ignoranti.

Guarda l’orologio, distratto. Alle 23.00 passerà il treno per andarsene da lì, e lui è deciso a prenderlo. Di fatto non ha che pochi soldi, nel portafogli, un documento e i vestiti che ha addosso, ma basteranno per un week end lontano dalle facce note, lontano da casa sua.

Non è un dramma, non sentire propria la dimora in cui si vive? Respira lento, scandendo nella sua mente i secondi. Pochi attimi e sarà momentaneamente libero. Ogni tanto capita che prenda e se ne vada. Almeno una volta al mese prende un treno diverso, e sparisce per due giorni. Torna il lunedì, giusto in tempo per andare a lavoro. Ad ogni ritorno sembra pronto per sopportare un altro mese di finzioni e menzogne. In qualche modo ritrova la sua forza, la sua lucidità.

“E’ libero?” Si è appena seduto a metà del vagone, abbandonando le membra allo schienale, quasi sollevato. Gaara torce appena il collo, per vedere chi ha deciso di rovinargli il momento di solitudine. Un ragazzo dai capelli biondi, occhi chiari e sorriso quasi snervante gli si pongono davanti come una luce abbagliante. Non l’aveva mai visto, rimane leggermente sorpreso. Quanto sole, quanta vita.

Ci vorrebbe una sorgente d’acqua pura, qualcosa che riesca a placare quel sentimento d’odio che si porta appresso come il suo miglior amico.

“Ci sono un sacco di posti liberi.” Dice, accennando allo spazio rimasto vuoto attorno a lui. Saranno una decina in tutto, i passeggeri, compresi loro due. Il ragazzo sconosciuto ride, grattandosi il capo. Gaara sembra stizzito da tanta felicità. Gli dà fastidio, quasi fosse invidioso di lui e della sua capacità di andare avanti.

“Non mi piace stare solo.” Dice lui, scavalcando di forza le gambe del giovane, senza dare peso a quelle parole scoraggianti. Gaara soffia, irritato, ma silenzioso. Non vuole mostrare i suoi sentimenti, anche perché si considera vuoto.

“Bene, dato che il viaggio sarà lungo, che ne dici di fare conversazione? Sono Naruto, piacere.” Gaara non risponde, fingendo di non vedere la mano abbronzata dello sconosciuto protesa verso di lui. Con un sorriso risentito la fa scivolare lentamente sul bracciolo. Si mette a guardare fuori dal finestrino, appoggiando il capo al palmo della mano. Sbuffa, annoiato.

“Non so che cosa tu abbia, ma dovresti essere positivo.” Gli dice, voltandosi improvvisamente verso di lui, gli occhi ridotti a due fessure intestardite, quasi volesse spronare Gaara. Notare che si sono appena conosciuti. Sembra estremamente espansivo ed estroverso, due caratteristiche che Gaara non ha mai apprezzato, probabilmente perché non le hai mai possedute.

“Ci sono posti liberi, ti ripeto. E altri passeggeri.” Dice lui, voltandosi dall’altra parte. Non è dell’umore adatto per parlare, non ora che cerca di ritrovare un po’ di resistenza al prossimo mese. Il biondo non demorde, attratto da quel silenzio.

“Ci conosciamo, io e te?” Gaara arcua un sopracciglio, leggermente sorpreso dalla domanda. Non ha mai conosciuto nessuno di nome Naruto, lui è il primo.

“No, non ci conosciamo.” Il tono apatico e indifferente in cui lo dice non tradisce la sua curiosità. Perché dopo anni di finzione, è bravo, a recitare.

“Ah, peccato.” Sembra deluso, si gratta il mento e alza gli occhi al cielo, come per riflettere. “Forse mi assomigli, ecco perché credevo di conoscerti.” Gaara si cruccia, alzando il collo appoggiato allo schienale del sedile. Non capisce perché lui continui a seccarlo, perché continui a parlargli, perché non smetta di fare considerazioni e affermazioni su di lui, come se lo conoscesse da sempre.

“Perché mi disturbi? E io e te siamo diversi. Io non do aria alla bocca inutilmente.” Non ha mai parlato così tanto, Gaara. Forse non si è mai sentito così in dovere di farlo. Quel ragazzo sembra aver spazzato via le sue difese, con la forza di un fiume in piena. Il deserto che è la sua anima ne aveva bisogno. Infinitamente bisogno. Lo bramava, desiderava un po’ di acqua pura.

“Bè, mi incuriosisci. E poi, qual è il problema? E’ strano che io voglia far amicizia con te? Stiamo viaggiando insieme, che male c’è?” dice, alzando le spalle, guardando il compagno di viaggio risentito e crucciato. Gaara si massaggia le tempie, non riuscendo a comprendere.

Perché non ha che quella rabbia, lui, che quel dolore.

Non ci riesce perché nessuno gli ha dato la possibilità di essere pienamente se stesso. Nessuno è mai stato così naturale, così spontaneo, con lui. Deglutisce, chiudendo per un secondo gli occhi. Lo sa perché è così tranquillo, Naruto, perché non sa che lui è gay. Insomma, certe rivelazioni fanno il loro effetto, in qualsiasi caso, con chiunque. Anche con la persona più buona presente sulla terra. E allora diciamolo, cazzo, a questo idiota. Diciamoglielo e togliamoci il sassolino dalla scarpa. E’ un po’ una sua teoria, questa. Vedere come le persone cambiano dopo notizia simili. Vedere dapprima la sorpresa, poi la diffidenza, poi il sorriso di circostanza che dipinge loro il volto. Ipocriti e falsi uomini.

“Sono gay.” Dice guardandolo fisso in volto. Naruto torce il collo, leggermente. E’ sorpreso, molto, ma non si ritrae.

“ Scusa, eh, ma tu ti presenti così, alle persone? No perché prima dovresti dire il tuo nome.”

 

“Dov’eri finito?” Il biondo si appoggia al bracciolo, irato. La sua espressione esprime tutto il suo rancore, quasi lui gli avesse dato buca. Gaara non si aspettava certo di rivederlo, questo è sicuro. E’ passato un mese e dopo quel viaggio non si sono più rivisti. Ognuno è andato per la sua strada, ma quelle ore passate a parlare l’avevano reso sopportabile, quasi piacevole. Gaara non lo saluta nemmeno, sedendosi con un tonfo accanto a lui. Prende sempre il treno delle 23.00, solo che sono passati trenta giorni, dall’ultima volta.

“Che vuoi da me?” gli dice, guardandolo di sottecchi. Sembra che le occhiaie si siano diradate, o abbiano almeno acquistato un colore più sano, quasi rosato. Come se qualcos’altro gli avesse tolto il sonno. Non i pregiudizi della gente, ma quella testa bionda e quegli occhi azzurri.

“Cavolo, sempre nervoso, eh?” domanda retorica, logicamente. E’ ovvio che lo sia. Naruto soffia, esasperato, ritornando a guardare il treno muoversi lentamente sui binari.

Gaara non parla, non saprebbe cosa dire. Non ha mai provato queste sensazioni e non ha voglia di perdere quel sapore di nuovo che gli lasciano. Qualcosa di fresco, che nel suo immaginario acquista il profumo di menta. Ama la menta, ed è strano che associ quell’odore a lui, a Naruto. Schiocca la lingua, distogliendo lo sguardo dalla chioma bionda del giovane.

“Volevo chiederti se ti va di venire con me, questa volta.” Si volta come la prima volta, guardandolo speranzoso. Gaara si ritrae appena, non si aspettava quella domanda.

“Perché? E’ comunque no. Ho da fare.”

“Non mi va di stare solo, ricordi? E tu mi stai simpatico.” Aggiunge, naturale. Sta celando a se stesso i suoi sentimenti. Non gli sta solo simpatico, ma vedrà di farselo bastare, per ora. Gaara non sembra il tipo da aprirsi facilmente, e lui vuole che il giovane si fidi di lui, che lo riconosca come amico, che lo apprezzi. Che lo consideri la sua acqua pura, la sua menta.

“Portati un amico, la prossima volta.” Gaara si accomoda meglio nel sedile, affossandosi nello schienale, chiudendo gli occhi.

“Ah, lo sapevo che avresti risposto così.” Sorride, dandogli un pugnetto sulla spalla. Lui lo considera già un amico, Gaara è rimasto molto indietro, sulla tabella di marcia. Non importa, Naruto aspetterà anche mesi, anni, purché lui si faccia conoscere. Perché l’ha capito, è bastata qualche ora.

Gaara è estremamente solo, ma estremamente tenacie. Sopporta, dilaniando se stesso e la sua anima. Naruto lo ammira, e gli pare di essergli affine. Un tempo anche lui era stato così. Senza nessuno a cui confidare da che parte pendeva il suo Cuore. Poi li aveva trovati, uno ad uno, gli amici. E giorno dopo giorno, si era creato il suo spazio, la sua vita in mezzo agli altri. Ora non era solo, non era più come Gaara.

“Te l’ho detto, siamo simili, io e te.” Risponde sorridendo allo sguardo accusatorio ed esasperato che il compagno di viaggio gli lancia.

“ E non fare quella faccia, ho un po’ di cose da dirti.” Aggiunge, continuando a guardarlo.

 

All’inizio credeva di farlo più per se stesso, Naruto. Per dimostrare a Gaara che non si vive in solitudine, che tanti lo amerebbero se lui lasciasse una porta aperta. Poi si era ricreduto, lentamente. Lo faceva perché si era innamorato, e non gli dispiaceva rendersene conto.

“Com’è stato conoscermi, Gaara?” Il giovane lo guarda arcuando un sopracciglio, una mano appoggiato all’anca e l’espressione sempre meno stanca. Inizia a dormire, placido, libero. Si sente meglio, e viaggia di più.

“E’ stato come bere un bicchier d’acqua.” Dice, sedendosi sempre al suo solito posto. Non si salutano nemmeno più, quando s’incontrano. A quella risposta Naruto pare leggermente deluso, fraintendendo la sua affermazione. Non sa cosa significa per Gaara, quell’espressione. Temari sarebbe contenta di vedere attingere la sua forza da un fonte che non è l’odio, o l’apatia. E se la fonte di turno è un ragazzo biondo, bello, ed estremamente determinato, la cosa è ancora più piacevole.

“Ah.” Mugugna il biondo, ricomponendosi nel sedile, mordendosi un labbro. “Pensa che per me non è stato affatto facile. Sono venuto qui tutti i week end prima di capire che viaggi una volta al mese.” Gaara si irrigidisce, stringendo i braccioli?

Perché? Perché l’ha fatto? Perché continua a farlo?

“E per quale motivo?” pronuncia, lentamente, cercando di dissimulare quella strana sensazione che lo prende all’altezza del petto.

“Oh, bè, a me pareva ovvio.” Ridacchia, Naruto, sporgendosi verso di lui. Un bacio. Semplicissimo, bellissimo, magnifico bacio. Appoggia le labbra su quelle di lui, e si ritrae, rosso in viso.

“Ora spero sia ovvio anche a te.” Aggiunge, guardando fuori dal finestrino. Gaara rimane fermo sulla sua poltrona, senza più riuscire ad emettere suono. Fa persino quasi fatica a respirare.

Non privarti del tuo Cuore. Non privarti del tuo Cuore. Non privarti del tuo Cuore.

Stringe i denti, sgrana gli occhi. Ha capito, ha compreso, finalmente. Sa cosa significa essere liberi dalle proprie paure. Da ciò che l’ha sempre chiuso in quel mondo fatto di cocci di vetro.

“Se la proposta del mese scorso di venire con te è ancora valida, l’accetto.” Dice, annuendo, senza però guardarlo negli occhi.

 

Casa sua era sempre stata vuota, anonima. Un po’ come quel corpo che costringeva ad alzarsi al mattino, che lo portava al lavoro, che sforzava davanti al pc. Naruto ha risvegliato quell’idea di pace che era nascosta in un angolo della sua mente. Si era lasciato disarmare, mese dopo mese, in quel treno. Poi non solo più lì. A casa del biondo, davanti a Temari, persino davanti a Kankuro. Però non aveva reagito con irruenza, non aveva mai più rotto un vetro. Ci sono voluti anni prima che Gaara riuscisse ad apparire sereno, senza l’ombra di quel dolore portato per una vita intera, prima dell’arrivo di Naruto. Non è stato facile, per il giovane Uzumaki, sopportare quell’animo così pregno di dolore. Non come bere un bicchier d’acqua, certo. Decisamente più complicato e lungo.

Ma ha un Cuore, cazzo, questo che conta. L’ha ritrovato e non ha alcuna intenzione di lasciarlo scappare via. Naruto sorride, servendogli un bicchiere d’acqua e sedendosi di fronte a lui.

“Non mi piace che tu beva birra.” Afferma Gaara, accennando alla bottiglia che lui tiene in mano. Naruto per tutta risposta ridacchia, e trangugia un bel sorso pieno. Poi poggia la bottiglia sul tavolo, non mollandone la presa.

“ E allora toglimela, Gaara, visto che ti dà così fastidio.” Il giovane arcua un sopracciglio, rimanendo apatico. Poi si alza e afferra la bottiglia verde, rapido. La poggia sul lavabo, incrociando le braccia.

Facile come bere un bicchier d’acqua.” Dice, accennando un sorriso sghembo. In fondo Naruto sa che Gaara ha ritrovato il suo Cuore per merito suo, ma forse non è consapevole che il rosso la pensa diversamente. Naruto non ha ritrovato il suo Cuore, Naruto è il suo Cuore. Prima o poi, forse più poi che prima, Gaara glielo dirà.

 

Fine.

 

 

 

Cose da sapere/dedotte:

#1. Questa shot era dedicata all’omosessuale. Vi sarete domandati perché, dopo tre modelli ‘astratti’, quali l’illusa, l’infame e la perdente io ne abbia mostrato uno così concreto. Bene, il motivo c’é. A parte il fatto che l’idea è stata concepita di getto, e che i primi quattro modi d’essere che mi sono venuti in mente sono stati questi, ho deciso di mantenere l’omosessuale perché è il prototipo perfetto dell’isolamento. Dei pregiudizi, detto in modo banale. Voglio rappresentare questa diffidenza, in questa shot. Un po’ come chi si basa sull’illusione, per andare avanti. Chi si aggrappa all’infamia, per difendersi. Chi si lascia morire, come i perdenti. E chi per farsi accettare si isola, o si trasforma, o abbandona la parte fondamentale della sua vita: i sentimenti. E’ per questo che ho scelto questo quarto modello di vita, solo per questo. Non ho strani intenti cospiratori o offensivi, e spero non siano stati indotti da qualche mia frase.

2# Piccola precisazione, ma importante. Probabilmente crederete che Gaara sia OOC, e per un tratto mi è sembrato tale, ma il fatto che lui si apra con Naruto  non significa che sia diventato improvvisamente estroverso, ma che abbia trovato il suo personale modo di esprimersi. Probabilmente in certe parti assomigliava a Sasuke, per il modo sarcastico di rispondere, ma dovevo farli interagire, e il tentativo persistente di Gaara di allontanare Naruto con frasi scoraggianti è quello che più mi ha convinto. Se è OOC, comunque, non fatevi scrupoli e ditemelo, in questo modo cercherò di migliorare. E per quanto riguarda Naruto, ce lo vedo bene nella parte della persona espansiva, poiché in effetti lo è, e non lo nasconde affatto.

#3 Come avrete notato, la coppia è yaoi, NaruGaa o GaaNaru, una delle poche che apprezzo e che apprezzerò mai in vita mia. Non so perché, ma ce li vedo bene insieme. Sono simili, per quanto diversi. La stessa faccia della medaglia. Anche nel Manga e nell’anime questa somiglianza e attaccamento era sottolineato più volte ed era molto marcato. Quindi ci sono andata a nozze, trovandone le possibili analogie e differenze. So che molti di voi non apprezzano la coppia, ma prendetela come è venuta. Spontanea, come la shot.

4# E’ presente più volte la similitudine dell’acqua e della fonte. Se volete saperne il motivo, ve lo spiego subito. C’è un riferimento al contesto di Naruto, ovvero al Villaggio della Sabbia e a quello della Foglia. Sapete benissimo che Gaara arriva da un villaggio in mezzo ad un deserto, caldo,  privo di qualsiasi sorgente d’acqua. Bene, ho voluto rappresentare questo lato della loro conoscenza con la metafora della fonte. Insomma, Naruto ha dato la vita al deserto di Gaara, non lo pensate anche voi? E poi mi è stato servito il riferimento su un piatto d’argento, non potevo non inserirlo in qualche modo.

 

Bene, termina qui questa raccolta. Spero in modo indolore e senza tante cadute di stile. Spero vi sia piaciuta, e che non vi abbia fatto storcere il naso troppe volte. Vi ringrazio ancora per tutto, e vi chiedo scusa per gli eventuali errori di battitura e di grammatica. Sono stata attenta, ma questo pc nuovo non ha il correttore automatico, dato che non ha il pacchetto Word. Sì, sì, prima o poi alzo il sedere dalla sedia e vado a comperarlo. Alla prossima,

Glob <3

  
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