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Autore: smiles    10/01/2011    2 recensioni
Isabella Swan ha diciotto anni e vive a Forks da quando, all’età di dieci, è stata adottata da un uomo dopo la morte dei genitori. Qui viene costretta a prostituirsi fino a quando non riesce a scappare. Ma la sua scelta la porterà in situazioni pericolose, in cui potrebbe rischiare anche la morte. Edward Cullen è un vampiro. Vive con la sua famiglia a Forks e la sua vita viene stravolta dall'odore della giovane ragazza che ritrovano nel bosco.
Cosa succederà a loro due? Perchè i loro destini sembrano essere intrecciati?
Genere: Drammatico, Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Autore: smiles
Categoria: Twilight
Titolo: Escaping
Generi: Drammatico, Erotico, Sentimentale
Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, un po’ tutti.
Rating: Arancione
Avvertimenti: Alternative Universe, Lemon, Out of Character
Introduzione: Isabella Swan ha diciotto anni e vive a Forks da quando, all’età di dieci, è stata adottata da un uomo dopo la morte dei genitori. Qui viene costretta a prostituirsi fino a quando non riesce a scappare. Ma la sua scelta la porterà in situazioni pericolose, in cui potrebbe rischiare anche la morte.

Salve a tutti! Come avrete capito dall’introduzione questa storia è completamente OOC perché personalmente adoro vedere i miei amati Edward e Bella in situazioni completamente differenti dalle solite, poiché a mio parere Twilight è uno solo e se proprio dobbiamo usare questi due personaggi è meglio sconvolgerli completamente! E’ una fan fiction un po’ forte, o almeno lo diventerà nel corso dei capitoli. Nel primo capitolo è Bella a raccontarci la storia, nei prossimi il punto di vista si sposterà su Edward perché… perché lo vedrete, insomma. Non voglio svelarvi altro, quindi vi auguro buona lettura e al prossimo capitolo, baci!
PS: ricordatevi che le recensioni, negative o positive, sono sempre molto gradite! (;

 

ESCAPING
Chapter 1

Isabella Swan POV

Ce l’ho fatta, sono libera!
Fu quella la prima cosa che pensai quando entrai correndo nel bosco, un secondo dopo essere scesa dalla macchina. Da quanto tempo scappavo? Forse ore o forse solo minuti, avevo perso completamente la cognizione del tempo. Avrei anche potuto fermarmi se non avessi avuto lui alle costole.

Ne avevo completamente dimenticato il nome, forse proprio a causa del disprezzo che provavo nei suoi confronti. Nella mia mente era solo “quel lurido bastardo” niente di più. L’avevo conosciuto all’età di dieci anni, forse nove – non lo sapevo dire con certezza perché avevo cercato di cancellare ogni ricordo di come il mio incubo fosse cominciato – nell’orfanotrofio in cui risiedevo. Dopo la morte dei miei genitori in un incidente stradale il tribunale decise che una casa-famiglia era il posto più adatto a me, che non avevo parenti prossimi a cui essere affidata. Fui portata lì all’età di quattro anni e ne fui portata via a dieci, probabilmente. Ero davvero felice di andarmene, pensavo che fosse il posto peggiore in cui una ragazzina potesse vivere, ma mi sbagliavo di grosso.
Il posto peggiore si chiamava Forks, un piccolo, sperduto, orrendo paesino della contea di Clallam, nello stato di Washington, che vantava la spaventosa cifra di tremiladuecentoventuno abitanti. All’inizio, lo dovevo ammettere, non sembrava essere un posto così terribile. Era pieno di alberi e ogni cosa profumava di muschio, pioveva spessissimo ed io amavo il rumore della pioggia scrosciante che sferzava le finestre. Certo era però che non riuscivo a capacitarmi del perché un uomo sulla quarantina, scapolo e abbastanza benestante decidesse di prendere in custodia una ragazzina di appena dieci anni, che rischiava solo di essere una complicazione della sua vita. La risposta non tardò poi molto ad arrivare.
Vidi la strada per la prima volta all’età di tredici anni e per quanto ci provassi – e Dio solo poteva sapere quanto ci avessi provato – non riuscivo a dimenticare cosa fosse accaduto, era marchiato a fuoco in maniera indelebile nel mio cervello e ogni volta che ci pensavo la reazione era sempre la stessa: un senso di nausea pressante, di quelli che ti tolgono il respiro e ti fanno girare la testa, una stretta alla bocca dello stomaco che ti stritola e ti fa solo desiderare di non dover soffrire più. Fu la prima di una lunga serie di notti passate al freddo, sotto la pioggia o la neve, ma certamente la più terrificante. Il bastardo mi costrinse ad andare con un uomo sulla cinquantina, piuttosto avvenente per la sua età, che a me faceva comunque ribrezzo. Mi prese velocemente sui sedili posteriori della sua auto di lusso, toccandomi ovunque le sue mani schifose riuscissero a trovare la mia pelle. Quando cominciai a urlargli di lasciarmi mi infilò la lingua in bocca per farmi tacere, costringendomi a baciarlo. Per fortuna venne quasi subito, mi lasciò alcune banconote nelle mutandine che non aveva nemmeno avuto l’accortezza di sfilarmi e mi cacciò fuori dall’auto, lasciandomi sul ciglio della strada sola e terrorizzata. Da quel giorno divenni una prostituta. Che altra scelta avevo? Ci provai diverse volte a scappare, a ribellarmi, a rifiutarmi, ma l’unica cosa che ne ricavavo erano dolore, violenza, giorni interi senza cibo e tanta rabbia repressa. Ma in quel momento era tutto finito. Ero libera!

Quella mattina lui era andato a pesca con degli amici – si permetteva ancora di avere una vita, nessuno poteva immaginare che di notte il caro poliziotto facesse il protettore. Ero sola in casa, ormai avevo smesso di provare a scappare da almeno due anni e in un certo senso lui si fidava di me. Preparai un borsone con le mie cose, uscii da casa sua prendendo le chiavi dell’auto e mi diressi a tutta velocità in direzione del bosco. Sulla strada però, ecco spuntare la sua auto. Mi trafisse con lo sguardo e invertì la marcia per seguirmi.
«Cazzo, cazzo, cazzo!» imprecai a  voce alta, premendo l’acceleratore. «Stupido pick-up vai più veloce!»
La macchina scivolava sull’asfalto bagnato, rendendomi difficoltosa la guida e complicandomi anche le manovre più semplici. Giunta al limite del bosco l’una soluzione era proseguire a piedi. Scesi dall’auto che era ancora in corsa e cominciai a correre a perdifiato nel bosco, ma lo sentivo, era dietro di me. Non riuscii però a trattenere un pizzico di gioia, quella era la mia libertà. Sentii un colpo alle mie spalle che mi fece sobbalzare, spingendomi ad andare più veloce. Cazzo, ha la pistola! Pensai terrorizzata. Sentivo i suoi passi sempre più veloci, mi aveva raggiunta. Quel bastardo per quanto non fosse più giovanissimo ci sapeva ancora fare. Mi fu di fronte presto, troppo presto. Si fermò con un ghigno compiaciuto sulla faccia costringendomi ad arretrare finché non sentii la corteccia solida e massiccia di un albero sotto la schiena.
«Non ci siamo piccola, non ci siamo affatto» mi disse in tono minaccioso, ma l’unica cosa che riuscivo a vedere era la pistola che teneva nel pugno serrato, l’indice appena appoggiato sul grilletto. La alzò lentamente ed io chiusi gli occhi, spaventata a morte.
«Ti prego, ti prego, non farlo. Mi dispiace» mormorai, la voce tremava esattamente come il mio corpo stretto contro l’albero.
«Isabella, te lo avevo detto, no?» la sua voce divenne di miele e forse era anche più minacciosa. «Se mi disobbedisci devo punirti».
Serrai gli occhi, pregando con tutte le mie forze che mi picchiasse, che mi lasciasse a terra ansante e gonfia, ma che non mi sparasse.
Il colpo arrivò prima che le mie preghiere si potessero concludere. Istintivamente portai una mano all’addome aprendo gli occhi. Sangue. Non sentii neanche davvero dolore. Riuscivo a vedere solo le mie dita grondanti di sangue rosso cremisi che gocciolava lentamente, bagnando le foglie sotto i miei piedi e mi si annebbiò la vista. Le gambe cedettero e mi ritrovai riversa a terra mentre una piccola pozzanghera rossa si allargava sotto di me.
«Sei un lurido figlio di puttana» gemetti senza fiato con il viso tra le foglie umide. Stavo per morire, potevo cantargli tutto il mio disprezzo. Mi passò un piede sulla schiena e sentii qualche costola scricchiolare sotto il suo peso, strappandomi grida di dolore, poi lo sentii allontanarsi.

Che morte del cazzo, pensai mentre ormai facevo fatica a respirare. Gli unici pensieri che riuscivo a formulare però erano per i miei genitori.
Erano i genitori migliori del mondo e, anche se ero troppo piccola quando loro morirono, ne conservavo diversi ricordi felici. Erano così belli insieme Charlie e Renée, sempre così felici e sorridenti, sempre in viaggio per il mondo. Anche quando un giorno mia madre rimase incinta di me non smisero di viaggiare, portando il loro piccolo tesoro ovunque andassero. Nutrivo la segreta speranza che, morendo, potessi rincontrarli. Ma non era possibile, non c’era paradiso per una come me, per una puttana.

Respiravo ormai sempre meno, gemendo di dolore ogni volta che le costole si flettevano anche di poco togliendomi il fiato. Ma allora perché non morivo, dannazione! E poi passi, tanti passi nel bosco, qualcosa si muoveva veloce tra gli alberi e faceva scricchiolare i rami secchi. Era tornato? Un rantolo di terrore sfuggì alle mie labbra sporche di fango.
«E’ una ragazza!» sibilò una voce poco lontana da me. Qualcuno mi toccò una spalla girandomi, così che il mio viso fosse rivolto al cielo. I miei occhi annebbiati videro due iridi color ambra, dei capelli meravigliosamente biondi e un viso dai lineamenti dolci e confortanti. E’ un angelo, pensai subito estasiata da quella visione.
«Ha perso molto sangue, Carlisle, devi fare qualcosa» la voce preoccupata di una donna giunse ovattata alle mie orecchie ed ecco alle sue spalle una figura dolce dai bellissimi capelli caramello e gli stessi occhi di quell’uomo che aveva chiamato Carlisle. L’uomo si chinò su di me, puntandomi i suoi occhi nei miei.
«Riesci a capirci?» domandò. Non capivo cosa volesse ma accennai comunque un sì muovendo il capo. «E’ ancora lucida», mormorò tra se. Poi si avvicinò al mio orecchio. «Ti prometto che non ti faremo del male», sussurrò.
Mi sollevò tra le sue braccia e quando cominciò a correre nel bosco mi parve di volare. Ero morta, decisamente. Non c’era altra spiegazione plausibile. Come poteva una persona correre così veloce? Come poteva un essere reale avere una bellezza simile? Ma ero terribilmente stanca e delle risposte in quel momento non mi importava. Chiusi gli occhi esausta e mi lasciai trascinare in un limbo buio, che non sapevo dove mi avrebbe condotta.

  
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