Autore:
smiles
Categoria:
Twilight
Titolo:
Escaping
Generi:
Drammatico, Erotico, Sentimentale
Personaggi:
Edward Cullen, Isabella Swan, un po’ tutti.
Rating:
Arancione
Avvertimenti: Alternative Universe, Lemon, Out of
Character
Introduzione:
Isabella Swan ha diciotto anni e vive a Forks da quando,
all’età di dieci, è
stata adottata da un uomo dopo la morte dei genitori. Qui viene
costretta a
prostituirsi fino a quando non riesce a scappare. Ma la sua scelta la
porterà
in situazioni pericolose, in cui potrebbe rischiare anche la morte.
PS: ricordatevi che le
recensioni, negative o positive, sono sempre molto gradite! (;
ESCAPING
Chapter
1
Isabella
Swan POV
Ce
l’ho fatta, sono libera!
Fu
quella la prima cosa che pensai quando entrai correndo nel bosco, un
secondo
dopo essere scesa dalla macchina. Da quanto tempo scappavo? Forse ore o
forse
solo minuti, avevo perso completamente la cognizione del tempo. Avrei
anche
potuto fermarmi se non avessi avuto lui alle costole.
Il
posto peggiore si chiamava Forks, un piccolo, sperduto, orrendo paesino
della
contea di Clallam, nello stato di Washington, che vantava la spaventosa
cifra
di tremiladuecentoventuno abitanti. All’inizio, lo dovevo
ammettere, non
sembrava essere un posto così terribile. Era pieno di alberi
e ogni cosa
profumava di muschio, pioveva spessissimo ed io amavo il rumore della
pioggia
scrosciante che sferzava le finestre. Certo era però che non
riuscivo a
capacitarmi del perché un uomo sulla quarantina, scapolo e
abbastanza
benestante decidesse di prendere in custodia una ragazzina di appena
dieci
anni, che rischiava solo di essere una complicazione della sua vita. La
risposta non tardò poi molto ad arrivare.
Vidi
la strada per la prima volta all’età di tredici
anni e per quanto ci provassi –
e Dio solo poteva sapere quanto ci avessi provato – non
riuscivo a dimenticare
cosa fosse accaduto, era marchiato a fuoco in maniera indelebile nel
mio
cervello e ogni volta che ci pensavo la reazione era sempre la stessa:
un senso
di nausea pressante, di quelli che ti tolgono il respiro e ti fanno
girare la
testa, una stretta alla bocca dello stomaco che ti stritola e ti fa
solo
desiderare di non dover soffrire più. Fu la prima di una
lunga serie di notti
passate al freddo, sotto la pioggia o la neve, ma certamente la
più
terrificante. Il bastardo mi
costrinse ad andare con un uomo sulla cinquantina, piuttosto avvenente
per la sua
età, che a me faceva comunque ribrezzo. Mi prese velocemente
sui sedili
posteriori della sua auto di lusso, toccandomi ovunque le sue mani
schifose
riuscissero a trovare la mia pelle. Quando cominciai a urlargli di
lasciarmi mi
infilò la lingua in bocca per farmi tacere, costringendomi a
baciarlo. Per
fortuna venne quasi subito, mi lasciò alcune banconote nelle
mutandine che non
aveva nemmeno avuto l’accortezza di sfilarmi e mi
cacciò fuori dall’auto,
lasciandomi sul ciglio della strada sola e terrorizzata. Da quel giorno
divenni
una prostituta. Che altra scelta avevo? Ci provai diverse volte a
scappare, a
ribellarmi, a rifiutarmi, ma l’unica cosa che ne ricavavo
erano dolore,
violenza, giorni interi senza cibo e tanta rabbia repressa. Ma in quel
momento
era tutto finito. Ero libera!
«Cazzo,
cazzo, cazzo!» imprecai a
voce alta,
premendo l’acceleratore. «Stupido pick-up vai
più veloce!»
La
macchina scivolava sull’asfalto bagnato, rendendomi
difficoltosa la guida e
complicandomi anche le manovre più semplici. Giunta al
limite del bosco l’una
soluzione era proseguire a piedi. Scesi dall’auto che era
ancora in corsa e
cominciai a correre a perdifiato nel bosco, ma lo sentivo, era dietro
di me.
Non riuscii però a trattenere un pizzico di gioia, quella
era la mia libertà.
Sentii un colpo alle mie spalle che mi fece sobbalzare, spingendomi ad
andare
più veloce. Cazzo, ha la pistola!
Pensai terrorizzata. Sentivo i suoi passi sempre più veloci,
mi aveva
raggiunta. Quel bastardo per quanto non fosse più
giovanissimo ci sapeva ancora
fare. Mi fu di fronte presto, troppo presto. Si fermò con un
ghigno compiaciuto
sulla faccia costringendomi ad arretrare finché non sentii
la corteccia solida
e massiccia di un albero sotto la schiena.
«Non
ci siamo piccola, non ci siamo affatto» mi disse in tono
minaccioso, ma l’unica
cosa che riuscivo a vedere era la pistola che teneva nel pugno serrato,
l’indice appena appoggiato sul grilletto. La alzò
lentamente ed io chiusi gli
occhi, spaventata a morte.
«Ti
prego, ti prego, non farlo. Mi dispiace» mormorai, la voce
tremava esattamente
come il mio corpo stretto contro l’albero.
«Isabella,
te lo avevo detto, no?» la sua voce divenne di miele e forse
era anche più
minacciosa. «Se mi disobbedisci devo punirti».
Serrai
gli occhi, pregando con tutte le mie forze che mi picchiasse, che mi
lasciasse
a terra ansante e gonfia, ma che non mi sparasse.
Il
colpo arrivò prima che le mie preghiere si potessero
concludere. Istintivamente
portai una mano all’addome aprendo gli occhi. Sangue. Non
sentii neanche
davvero dolore. Riuscivo a vedere solo le mie dita grondanti di sangue
rosso
cremisi che gocciolava lentamente, bagnando le foglie sotto i miei
piedi e mi
si annebbiò la vista. Le gambe cedettero e mi ritrovai
riversa a terra mentre
una piccola pozzanghera rossa si allargava sotto di me.
«Sei
un lurido figlio di puttana» gemetti senza fiato con il viso
tra le foglie
umide. Stavo per morire, potevo cantargli tutto il mio disprezzo. Mi
passò un
piede sulla schiena e sentii qualche costola scricchiolare sotto il suo
peso,
strappandomi grida di dolore, poi lo sentii allontanarsi.
Che
morte del cazzo, pensai
mentre ormai facevo fatica a respirare. Gli unici pensieri che riuscivo
a
formulare però erano per i miei genitori.
Erano
i genitori migliori del mondo e, anche se ero troppo piccola quando
loro
morirono, ne conservavo diversi ricordi felici. Erano così
belli insieme
Charlie e Renée, sempre così felici e sorridenti,
sempre in viaggio per il
mondo. Anche quando un giorno mia madre rimase incinta di me non
smisero di
viaggiare, portando il loro piccolo tesoro ovunque andassero. Nutrivo
la
segreta speranza che, morendo, potessi rincontrarli. Ma non era
possibile, non
c’era paradiso per una come me, per una puttana.
Respiravo
ormai sempre meno, gemendo di dolore ogni volta che le costole si
flettevano
anche di poco togliendomi il fiato. Ma allora perché non
morivo, dannazione! E
poi passi, tanti passi nel bosco, qualcosa si muoveva veloce tra gli
alberi e
faceva scricchiolare i rami secchi. Era tornato? Un rantolo di terrore
sfuggì
alle mie labbra sporche di fango.
«E’
una ragazza!» sibilò una voce poco lontana da me.
Qualcuno mi toccò una spalla
girandomi, così che il mio viso fosse rivolto al cielo. I
miei occhi annebbiati
videro due iridi color ambra, dei capelli meravigliosamente biondi e un
viso
dai lineamenti dolci e confortanti. E’
un
angelo, pensai subito estasiata da quella visione.
«Ha
perso molto sangue, Carlisle, devi fare qualcosa» la voce
preoccupata di una
donna giunse ovattata alle mie orecchie ed ecco alle sue spalle una
figura
dolce dai bellissimi capelli caramello e gli stessi occhi di
quell’uomo che
aveva chiamato Carlisle. L’uomo si chinò su di me,
puntandomi i suoi occhi nei
miei.
«Riesci
a capirci?» domandò. Non capivo cosa volesse ma
accennai comunque un sì
muovendo il capo. «E’ ancora lucida»,
mormorò tra se. Poi si avvicinò al mio
orecchio. «Ti prometto che non ti faremo del male»,
sussurrò.
Mi
sollevò tra le sue braccia e quando cominciò a
correre nel bosco mi parve di
volare. Ero morta, decisamente. Non c’era altra spiegazione
plausibile. Come
poteva una persona correre così veloce? Come poteva un
essere reale avere una
bellezza simile? Ma ero terribilmente stanca e delle risposte in quel
momento
non mi importava. Chiusi gli occhi esausta e mi lasciai trascinare in
un limbo
buio, che non sapevo dove mi avrebbe condotta.