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Autore: Trick    10/01/2011    13 recensioni
"«Di', c'è qualcosa che non sai fare, Mago di Oz?».
Lui rise.

Missing Moment del primo "a me non importa niente", scritto per il prompt 072. Riparato della Big Damn Table.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Titolo: Il pianoforte accordato
Fandom: Harry Potter
Personaggio/Coppia: Remus/Tonks
Prompt: 072. Riparato
Rating: Verde
Conteggio parole: 2108
Riassunto:
Tonks guardò le sue mani scivolare con delicatezza sui tasti bianchi e neri, mentre il suo intero busto sembrava accompagnare quell'armonioso motivo, e si sentì invadere da un calore disarmante”.
Disclaimer: I personaggi della storia appartengono a J.K. Rowling.
Note dell'autrice: Una mia amica mi ha fatto notare che in nessuna delle mie fan fiction compare mai l'espressione “veste da mago” e che nessuno dei miei personaggi ne indossa mai una, quando nel libro, in effetti, maghi e streghe indossano abiti Babbani solo in certe occasioni - e quando lo fanno, in genere, lo fanno male. Lei è convinta che io sia stata influenzata dai film, dalla cravatta di David Thewlis in PoA e dallo straordinario panciotto di Gary Oldman in Ootp. La spiegazione che ho dato a questo quesito è stata piuttosto diretta: nessun mago può essere considerato sexy se indossa una cosa ridicola come una vestaglia da notte. Ma stiamo scherzando? No, dico, ma avete presente come diavolo è fatta una veste da mago? Andate su Gugòl, digitate “veste mago” e provate a immaginarvi l'uomo della saga che ritenete più figo infilato in una di quelle stupide tende.
Per cortesia, siamo seri. Il mio Remus Lupin non indossa vesti da mago, ma vecchi, logori e minuziosamente rattoppati completi da uomo stile “vecchia scuola”. E non ha nemmeno l'aspetto di David Thewlis, in effetti – senza nulla togliere al grandissimo attore che è.
:)
Scritta per l'allucinante sfida della Big Damn Table indetta da Fanfic100_ita e della quale sono già riuscita a completarne più di un quarto! Mi dichiaro completamente e incontrovertibilmente allibita.




Tonks aveva preso l'abitudine di riposare a Grimmauld Place quando terminava il suo turno di guardia. Inizialmente, aveva accettato solo per mettere a tacere le paranoiche insistenze di Moody, ma si era presto resa conto che addormentarsi in una casa dove non era da sola, in un modo o nell'altro, la aiutava a calmare l'agitazione della notte trascorsa all'Ufficio Misteri.
Era quasi l'alba quando era sgattaiolata fuori dal Ministero sotto al Mantello Invisibile di Moody e si era Smaterializzata davanti al numero dodici di Grimmauld Place. I lampioni erano ancora illuminati e gli abitanti del quartiere ancora profondamente addormentati, ma qualche colomba tubava già fra i rami del parco lì accanto.
Trattenendo un sbadiglio, Tonks strinse gli occhi e ripensò intensamente alla grafia serrata con cui Silente aveva vergato le parole “Il Quartier Generale dell'Ordine della Fenice si può trovare al numero dodici di Grimmauld Place, Londra”.
D'un tratto, fra il numero undici e il numero tredici comparve una rovinata porta di quercia che doveva essere stata incredibilmente raffinata. Alti finestroni a sesto acuto e decorati cornicioni parevano uscire dalla pietra stessa, contorti come carta straccia e anneriti dal tempo e dalla trascuratezza.
Tonks si avvicinò a passi lesti ai gradini d'entrata, estrasse la bacchetta e picchiò alla porta una volta. Si udirono innumerevoli rumori metallici prima che la porta si aprisse con un raccapricciante cigolio. Scivolò all'interno con estrema cautela: il suo ultimo desiderio era di svegliare qualcuno alle prime luci dell'alba a causa della sua goffaggine.
«Lumos» sussurrò nell'oscurità.
La punta della sua bacchetta illuminò il lungo androne dalla tappezzeria umida e scolorita. Si avviò a passi leggeri, sollevando completamente le suole dei pesanti anfibi che indossava e posandoli con estrema premura sulla moquette lisa. Quando ebbe oltrepassato l'intero corridoio senza cadere o provocare rumore, si lasciò scappare una grossa imprecazione di sollievo. Era arrivata a pochi metri dalle scale, quando sentì un'indistinta melodia aleggiare fino a lei. Curiosa, si diresse verso la direzione dalla quale pareva provenire la musica. Le ci vollero pochi istanti per raggiungere la porta del salotto. Abbassò delicatamente la maniglia e infilò la testa nella stanza.
Remus sedeva con elegante compostezza allo sgabello del vecchio pianoforte che era appartenuto ad Arcturus Black. Indossava una camicia bianca, sdrucita lungo l'orlo dei polsini ma perfettamente stirata, e un gilè dal taglio elegante, ma scolorito e rattoppato in molti punti. Tonks guardò le sue mani scivolare con delicatezza sui tasti bianchi e neri, mentre il suo intero busto sembrava accompagnare quell'armonioso motivo, e si sentì invadere da un calore disarmante.
Remus riusciva ad attrarla più di quanto non avesse mai fatto qualunque altro uomo – e questo andava davvero contro ogni logica, perché sembrava che in comune non avessero davvero nulla. Lui era calmo, compito ed era in grado di apparire signorile e distinto anche indossando abiti lisi di seconda mano; lei era chiassosa, disorganizzata e portava T-shirt sgargianti, jeans rotti e stivali di pelle. Lui era colto e con un'incredibile attitudine alla lettura; lei era sveglia e imparava in fretta, ma non avrebbe mai sopportato di stare sui libri per tutto quel tempo. Lui era sempre galante e le apriva la porta per farla passare in continuazione; lei s'intendeva di musica punk, gomme da masticare e parolacce.
A volte, Tonks si domandava come fosse possibile che una come lei potesse trovare uno come Remus tanto affascinante. Non era ancora riuscita a darsi una risposta.
Tonks si rese conto solo in quel momento che Remus aveva terminato di suonare ed ora scrutava con aria pensierosa i tasti del pianoforte. Non si era ancora accorto della sua presenza, così Tonks picchiò un paio di volte contro lo stipite di legno. Lui trasalì e si voltò di colpo, spaventato. Quando la riconobbe, perfino le sue spalle parvero rilassarsi e lei non riuscì proprio a trattenere una risatina.
«Ehi, Grifondoro senza coraggio, vuoi uno strappo per il paese di Oz?».
Remus le rivolse un sorriso un po' storto.
«Come hai fatto a sapere che ero qui?».
«Ho seguito la strada di mattoni gialli, naturalmente» scherzò lei, strappandogli uno sbuffo divertito. «Poi ho sentito la musica e bum! Sei stato beccato in flagrante».
Lui aggrottò le sopracciglia, confuso.
«Hai sentito la musica?» chiese. «Strano. Ero convinto di aver lanciato un Incantesimo Imperturbabile alla stanza».
«Anche i migliori sbagliano, professore. Non abbatterti, la prossima volta sarà quella buona» lo prese in giro Tonks. Si avvicinò al sofà e si lasciò cadere malamente fra i cuscini. «È l'alba, Remus» commentò con voce tetra.
«Notevole spirito d'osservazione» ribatté lui, voltando il busto verso di lei e scrutandola in tralice.
«Che ci fai sveglio?».
«Non riuscivo a dormire».
«Suoni sempre il piano quando non riesci a dormire?».
«Ero solo dispiaciuto che un oggetto di questo calibro non fosse stato accordato da anni» rispose con gentilezza Remus, sfiorando appena la tastiera. «È un pianoforte della scuola di Stein: probabilmente uno dei migliori costruttori al mondo. Mozart e Beethoven suonarono e composero sulle tastiere di un pianoforte di poco diverso da questo. Non oso nemmeno immaginare a quanto possa ammontare il suo valore – i tasti sono di ebano e avorio e...» s'interruppe improvvisamente e le rivolse uno sguardo vagamente imbarazzato. «Ma non è certo mia intenzione annoiarti con la cronistoria di un pianoforte».
Tonks era rimasta a fissarlo con le labbra arricciate in un sorriso affettuoso. La sua voce roca aveva qualcosa di ammaliante e quando parlava di argomenti che toccavano sinceramente i suoi interessi, i suoi occhi sembravano accendersi di entusiasmo ed il suo volto segnato appariva d'un tratto più giovane e sereno.
Solo qualche sera prima, lei gli aveva domandato se conoscesse il funzionamento di un Athanor, il particolare forno utilizzato dagli alchimisti. Con tutta la sua sorpresa, Remus le aveva spiegato a grandi linee la difficile sovrapposizione dei piani di cottura dell'Athanor e aveva aggiunto degli sconcertanti riferimenti filosofici. Infine, le aveva consigliato un brano di un'opera latina a cura di un certo alchimista francese di nome Rupescissa di cui lei ignorava totalmente l'esistenza. Tonks aveva sempre odiato Storia della Magia, ma il modo in cui lui parlava e la sua delicata gestualità erano maledettamente coinvolgenti. Sapeva che se avesse avuto Remus come professore avrebbe probabilmente conseguito un M.A.G.O. Eccezionale anche in una materia noiosa quanto Storia della Magia.
«Non mi stai annoiando» lo tranquillizzò dopo qualche istante di silenzio, appoggiando il mento al dorso della mano. «Stavo solo pensando a come cavolo sia possibile che tu sappia anche accordare un pianoforte. Di', c'è qualcosa che non sai fare, Mago di Oz?».
Lui rise.
«Credevo di essere il Leone senza coraggio».
«Sei il tuttofare della mia esistenza, Remus. Devi essere per forza il Mago di Oz».
«Ti assicuro che sono molte le cose che non so fare. In effetti, non credo nemmeno di essere riuscito a fare un buon lavoro con questo pianoforte. Lui doveva essere accordato da anni ed erano anni che io non accordavo nulla, se non le stringhe delle mie scarpe. Una pessima combinazione».
«Dove hai imparato?» s'informò curiosamente Tonks, accoccolandosi sul sofà come un gatto.
Remus arrangiò un sorriso timido.
«Mia madre era un'insegnante di piano ed era convinta che per essere dichiarato tale un gentiluomo dovesse necessariamente essere in grado di suonare il pianoforte».
«Suonava anche tuo padre, quindi?».
«Assolutamente no» ribatté lui con voce distante. «Credo sia il solo motivo per cui il loro matrimonio sia resistito per oltre quarant'anni».
Tonks rise.
«Di cosa si occupava?».
Sul volto di Remus scese improvvisamente un'ombra scura. Abbassò la testa e intrecciò fra loro le dita nelle mani, con lo sguardo fisso sulla punta logora delle sue scarpe. Tonks si rimproverò mentalmente di avergli posto una domanda tanto personale. Stava per scusarsi, quando lui fece un profondo respiro e alzò di colpo gli occhi.
«Lavorava all'Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche».
Tonks dischiuse le labbra in una muta esclamazione di sorpresa. Non ci voleva un genio per capire per quale motivo Remus fosse tanto riluttante a parlare del lavoro del padre.
«Scusami» si affrettò a dire, sentendosi fastidiosamente avvampare. «Non avrei dovuto chiedertelo».
«Non è certo un segreto. Tutti sanno cosa faceva mio padre».
Lei inclinò interrogativamente il capo e Remus le rivolse un mesto sorriso.
«È stato Direttore dell'Unità di Cattura fino a... beh, fino a quando il suo lavoro non si è ritorto contro di lui. Lui e la sua squadra davano la caccia a Fenrir Greyback da mesi, ormai. Sembrava dovesse essere un lavoro relativamente semplice, ma Greyback dimostrò di avere un senso dell'umorismo piuttosto particolare e... direi che conosci già la fine della storia».
«Cazzo» imprecò a mezza voce Tonks dopo qualche istante di tetro silenzio. «Se avessi saputo che questa storia sarebbe stata così deprimente, Remus, ti avrei chiesto di parlarmi di fatine, folletti e farfalline».
Remus la fissò intensamente qualche istante, prima di rivolgerle un sorriso di genuina riconoscenza.
«Ti ringrazio».
«Di cosa?».
«Di non aver mostrato compassione».
Si voltò di nuovo verso il pianoforte e riprese a suonare un leggero motivetto. Tonks ebbe la netta impressione che lui stesse cercando di sfuggire da quella conversazione. Lei si alzò in piedi, si avvicinò a lui e sfiorò la montatura di legno con il polpastrello dell'indice. Era perfettamente immacolato dalla polvere. Sorrise fra sé: Remus era un concentrato di prevedibilità e incomprensione incredibile.
Tonks rimase appoggiata al pianoforte e ascoltò la sua melodia delicata – un po' troppo triste, forse. Osservò il modo in cui i suoi capelli scivolavano in morbide ciocche ingrigite davanti al suo volto e i sinuosi movimenti delle sue lunghe dita sui tasti bianchi e neri. Mentre lo guardava, sentì ancora quell'improvvisa sensazione di calore alla bocca dello stomaco. Fu questione di un attimo prima che capisse che non si era presa una cotta per Remus: se ne era completamente innamorata.
Quando l'ultima nota svanì nell'aria del salotto, Remus sollevò la testa verso di lei e le sorrise appena. Lei si chinò verso di lui, sfiorando appena la tastiera.
«Io non capisco un cavolo di pianoforti» disse lei con serietà, scrutandolo attentamente negli occhi. «Ma credo che tu lo abbia riparato bene, dopotutto».
«Non era rotto» la corresse docilmente lui. «Era solo da accordare».
«Remus, sto cercando di sfornare una perla di filosofia che neanche Merlino...! Ti spiacerebbe smettere di essere così saccente per un altro paio di secondi?».
Lui rise di nuovo.
«Come stavo dicendo prima che qualche pedante professore mi interrompesse...» riprese Tonks con vivacità. «L'hai messo a posto bene».
Remus inarcò perplesso un sopracciglio, con le labbra arricciate in un sorriso divertito.
«Dov'è la filosofia in tutto questo?».
«Hai aggiustato il pianoforte» decretò lei con ovvietà. «E non ti è importato quanto vecchio potesse essere, quante volte potesse essersi rotto o quante tarme lo avessero divorato nel corso degli anni. Non te ne è importato niente e lo hai ugualmente riparato».
«Qual è il filo logico di tutto questo?».
Tonks fece un sorriso storto e si raddrizzò.
«Non tutto è importante e non a tutti importa di tutto» dichiarò solennemente, prima di ruotare sui tacchi e dirigersi verso la porta. «E tanto dovrebbe importare a noi tutti, no?».
«Ninfadora, cosa--?».
«Non chiamarmi Ninfadora, Remus».
«Tonks» la chiamò infine, mentre lei abbassava la maniglia. «Cosa significa quell'assurda filastrocca?».
Lei si voltò e gli rivolse un sorriso birichino.
«Significa che a me non importa niente, professore».

   
 
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