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Autore: Morea    10/01/2011    7 recensioni
Damon c'era già, quando Dio creò il mondo: tramava nell'ombra ed aspettava il suo momento di gloria.
Siamo sicuri che Adamo ed Eva siano stati cacciati dall'Eden per colpa di un misero serpente?
Avvertimento: tratto di un episodio religioso, e non credo di essere stata blasfema: se vi ho offeso, fatemelo notare civilmente.
Questa è una storia satirica ed ironica: se ritenete di poter essere offesi dalla trattazione 'leggera' della Creazione, evitate di cliccare sul link.
Hasta Luego!
Genere: Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Damon Salvatore
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La Creazione secondo Damon
Genesi, Leggendo tra le righe





In principio Dio creò il cielo e la terra. Ma la terra era deserta e disadorna e v'era tenebra sulla superficie. [...]

Lui era già lì, ad attenderlo: si celava nella tenebra, solitario e tranquillo, perchè il buio era tutto ciò di cui aveva bisogno.
Dio allora ordinò: "Vi sia luce". E vi fu luce. E Dio vide che la luce era buona e separò la luce dalla tenebra. [...]
Lui imprecò, nel silenzio più assoluto, e per la prima volta Dio storse il naso.
Poi venne sera, poi venne mattina: un giorno.

Dio disse ancora: "Vi sia un firmamento in mezzo alle acque che tenga separate le acque dalle acque". [...]
Lui scrollò le spalle: quel liquido gli era indifferente. C'era solo quella dannata luce ad infastidirlo, per questo ricercava l'ombra e la pace del tramonto.
Di nuovo venne sera, poi mattina: secondo giorno.

Dio comandò ancora: "La terra faccia germogliare la verdura". [...]
Fu il suo turno di arricciare il naso: tutto quel verde non lo interessava, ma anzi lo tediava con i suoi colori sgargianti e la sua fertilità: troppa allegria per un'anima come la sua, troppa anima per un mondo che non l'aveva.
E Dio vide che questo era buono. Di nuovo Dio ordinò: "Vi siano delle lampade nel firmamento del cielo, per separare il giorno dalla notte; siano segni per feste, per giorni e per anni, e facciano da lampade nel firmamento del cielo, per illuminare la terra." E avvenne così. [...]
Non gli piaceva quella palla infuocata che appariva nel cielo durante il cosiddetto giorno. Disturbava i suoi occhi, con tutto quel calore, senza contare che era completamente inutile, dato che quella verdura che Dio aveva creato cresceva lo stesso, senza bisogno di aiuti d'alcun tipo. Amava le lanterne più piccole, invece: quelle che abbellivano il suo regno, che sbucavano insieme a lui, nella tacita armonia di una notte serena; per quelle sole rivolse un cenno d'intesa alla tenebra, come muto ringraziamento per un privilegio gradito.
E venne sera, poi mattina: quarto giorno.

E Dio disse: "Brulichino le acque d'un brulichio d'esseri viventi, e volatili volino sopra la terra, sullo sfondo del firmamento del cielo". [...]
Per la prima volta, respirò un odore nuovo, inebriante, totalizzante: si avvicinò senza timore a quelle strane creature dai manti variopinti e dalle fattezze più diverse. Ne trovò una che gli interessava: nera come la pece, morbida al tatto, liscia e lucente. La chiamò Corvo, e non se ne separò più. Guardò le altre creature, le sfiorò e le sentì pulsare sotto penne e piume: fu con un riflesso inconsulto che si passò la lingua sui canini e che scoprì di averli stranamente appuntiti. 
E venne sera, poi mattina: quinto giorno.

Di nuovo Dio ordinò: "La terra produca esseri viventi, secondo la loro specie: bestiame e rettili e fiere della terra, secondo le loro specie". [...]
Avvicinò le narici alla testa di un piccolo essere, affogando la punta del naso nel suo manto: fu più forte di lui l'impulso di saggiare a fondo la consistenza di quella carne molle e tenera, fu insopportabile il bisogno che sentì di bere fino all'ultima goccia il caldo liquido vermiglio sgorgato per insozzare il pelo grigio. Quando ebbe finito, si sentì completo. Gettò il corpo svuotato dietro un cespuglio, se ne tornò fischiettando nella sua tenebra, sicuro che Dio non avrebbe mai ricontato tutti gli oggetti che aveva distribuito nel mondo.
Finalmente Dio disse: "Facciamo l'uomo secondo la nostra immagine, come nostra somiglianza, affinchè possa dominare sui pesci del mare e sui volatili del cielo, sul bestiame e sulle fiere della terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra". [...]
E lui alzò la testa, accigliato. Perchè diavolo doveva cedere il comando di tutto a due novellini, quando lui popolava la terra da ben prima di loro? Li spiò di nascosto: vide che erano nudi come lui, disarmati e inoffensivi. Vide anche che si cibavano di piante
e che non avevano denti come i suoi: sarebbe stato un gioco da ragazzi cacciarli dall'Eden. Si avvicinò a loro con passo deciso, ma si bloccò a pochi metri di distanza: c'era qualcosa che bolliva in quella donna ed in quell'uomo, c'era un odore irresistibile che lo attirava verso di loro, e gli parve di sentire il rumore di una cascata, dei colpi ripetuti ed incessanti, degli ansiti profondi e vitali. Gli si mozzò il fiato in gola, e si lanciò sul primo mammifero che gli passò vicino, prosciugandolo.
"Siate fecondi e moltiplicatevi".
Si sentì morire, perchè se tutto fosse aumentato di numero, la sua fame non sarebbe mai stata soddisfatta. Fissò il Corvo, e notò che lo guardava con aria malinconica: compagni in tutto, avevano paura di quel chiasso, di quel vociare fastidioso che disturbava la loro quiete e la loro inerzia. Volevano cibarsi del silenzio della notte, e non potevano più farlo: volevano vivere in pace e solitudine, ed il mondo li aggrediva.
Allora Dio, nel giorno settimo, volle conclusa l'opera che aveva fatto e si astenne, nel giorno settimo, da ogni opera che aveva fatto. [...]
Per lui e il Corvo iniziarono il tedio e la noia: si tenevano alla larga dagli uomini, il primo in un disperato tentativo di fuga da qualcosa che lo attraeva fino a renderlo folle di desiderio, il secondo perchè guardato con occhi diffidenti da quelle creature troppo simili a Dio. Cominciarono a chiamarsi Demoni, a sentirsi estranei da quella natura che urlava a gran voce la sua vitalità intrinseca: cominciarono a tramare, perchè quella pace e quell'amore li rendevano instabili, insofferenti e agonizzanti in un mondo che non riconoscevano più. E poi, diamine, c'era quel meccanicismo nei gesti delle creature, quell'artificio forzato nell'amarsi a comando e lo stretto indispensabile che lo infastidiva in maniera indecente: tutto era così ordinato a bacchetta e guidato dall'alto da risultare innaturale, noioso, insostenibile.
Il settimo giorno, mentre Dio riposava su cuscini celesti, Lui si scelse il nome: si sarebbe chiamato Damon, e in questo modo si sarebbe ricordato ogni giorno dell'essenza demoniaca che lo guidava.

Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: "Di tutti gli alberi del giardino tu puoi mangiare; ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiarne, perchè, nel giorno in cui tu te ne cibassi, dovrai certamente morire". [...]
Era l'ottavo giorno, e a Damon quelle parole non piacquero. C'era la sua stessa natura ad opporlo alle imposizioni di qualunque tipo, e Dio insisteva col far accoppiare gli uomini a comando così come le bestie, a guidarli come marionette e a divertirsi ad imporre divieti. A lui non importava granchè degli alberi del giardino - non finchè avesse potuto cibarsi delle creature dell'Eden: in nome di chissà quale coraggio, sfilò però a testa alta fino al colle più elevato del Paradiso, con gli occhi verso il cielo e la sfrontatezza di chi non ha niente da perdere. Gli disse che non era giusto tutto quello, che Adamo ed Eva dovevano poter vivere una vita scevra da ordini ed ingiunzioni, che dovevano conoscere il bene ed il male, come loro già lo conoscevano - o come lui conosceva il male. E Dio gli rispose che non era necessario e che doveva chiudere quella bocca insolente, tornandosene nell'ombra. E Damon urlò, e urlò, e urlò e alla fine si ritrovò addosso una maledizione pesante come l'ultimo mammifero che aveva sgozzato: nell'ombra doveva tornare e nell'ombra rimanere, perchè nel giorno in cui ne fosse uscito, sarebbe certamente morto. E Damon tornò incazzato come una biscia nelle tenebre, e raccontò tutto al Corvo che lo ascoltò ed annuì contrito, almeno finchè proprio una biscia passò di fronte a entrambi, sinuosa come il sospetto ed elegante come la vendetta. E Damon la seguì.

Il serpente era la più astuta di tutte le fiere della steppa che il Signore Dio aveva fatto, e disse alla donna: "E' vero che Dio ha detto: «Non dovete mangiare di nessun albero del giardino»?". [...]
E Damon rise sommesso, nascosto dietro un masso.
"Voi non morirete affatto! Anzi! Dio sa che nel giorno in cui ne mangerete si apriranno i vostri occhi e diventerete come Dio, conoscitori del bene e del male".
E Damon rise e il Corvo fece altrettanto, perchè il serpente le aveva imparate proprio bene quelle parole che lui gli aveva inculcato nella mente con il sapiente uso delle pupille ammaliatrici.
Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, seducente per gli occhi e attraente per avere successo; perciò prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche a suo marito, che era con lei, ed egli ne mangiò. [...]
E Damon rise fino alla nausea, rise tanto ma non abbastanza da non accorgersi delle vene attraenti come il Peccato che pulsavano vicino a lui: il sangue di Adamo ed Eva fluì più velocemente, quando la sorpresa li dipinse nudi e quando l'agitazione si impossessò di loro. Uscì allo scoperto e si lanciò su Eva, mentre ancora Adamo si rimirava le pudenda. Fu la voce di Dio a fermarlo, perchè non ci sarebbe riuscito nessun altro: non quando quel sapore era ciò che di più meraviglioso avesse mai assaggiato, non quando quella carne friabile si infrangeva così volentieri sotto le sue zanne fameliche, non quando Eva gemeva così disperatamente in preda del suo appetito.
Arrivò Dio, e tutto si fermò.

Il Signore Dio li mandò via dal Giardino di Eden. [...]
Adamo ed Eva piansero, mentre si vestivano e lanciavano occhiate di puro terrore al Vampiro.
Questi li guardò con l'acquolina in bocca e leccandosi le labbra, già pregustando il momento in cui avrebbe assaggiato loro e la loro prole.
Poi, Dio guardò lui; Damon era quasi riuscito nel suo intento: per un attimo, incantando il serpente e soggiogando Adamo ed Eva, aveva davvero rischiato di avere l'Eden tutto per sè. Fu quell'insolenza a non piacere a Dio, che lo condannò a vivere nell'ombra e a nutrirsi di violenza ed omicidi, ma stranamente a lui non dispiacque: il Giardino era ormai vuoto, senza nè animali nè uomini, e sarebbe morto in quel Paradiso così fittizio.
Uscì dall'Eden a testa alta, senza inchinarsi ai Cherubini posti a guardia dei cancelli, e giurando vendetta a Dio.

Il nono giorno, Damon creò il Sesso, libertà suprema di ogni uomo e impagabile sollievo in un mondo di sofferenza e dolore.
Ne divenne il Dio, e all'Altro non restò che guardare il mondo andare a rotoli.
In quella direzione che Damon aveva tracciato.







*







Da dove viene questo sclero?
Dal fatto che Damon può tutto.
Dal fatto che lo considero il Dio del Sesso (santo cielo, basta guardarlo).
Dal fatto che se mi vengono in mente scleri simili DEVO scriverli, sennò poi sto male.
Dal fatto che Damon mi pareva perfetto per avere un comportamento simile perfino di fronte a Dio.
Dal fatto che questa si chiama fanfiction apposta. u.u
Tutto ciò è IRONICO: sono atea ma non intendo offendere la sensibilità di nessuno. (E non mi pare che il mondo stia andando nella direzione di pace, amore e giustizia intesa dal Creatore, quindi perdonate se ho attribuito la 'colpa' degli atti meschini e blasfemi a qualcuno di diverso dal Diavolo in persona.)


  
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