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Autore: DubheShadow    11/01/2011    2 recensioni
Quasi - quasi - una song-fic. Semplicemente, pensavo a una persona che tanto amo, e intanto ascoltavo la canzone dei Simple Plan "I Can Wait Forever". Poi la penna è corsa veloce sul quaderno, una di quelle poche volte in cui predilisco la carta alla più comoda tastiera di un computer.
Sono solo pensieri, frasi intrise d'amore, intristite da una forte nostalgia che si rende insostenibile nei primi giorni di distacco, e che poi diventa solo un dolore sordo in fondo al cuore, quanto tutto il resto ormai ha fatto l'abitudine a viverci senza.
Questa storia è nata come una One-Shot solitaria, ma poi Tuomas ha risposto. Perciò andrà avanti così, con me che scrivo le lettere secondo il punto di vista della donna, e lui secondo l'uomo.
"Mi sento come una margherita: m’ama, m’amerà ancora, davvero m’ama ancora? E intanto sfiorisco. Deliziosa, mi ritroverai che sarò solo un gambo! Un tuo bacio, solo uno, e sboccerò di nuovo. È una promessa."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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23/12/1822 – Lettera al mio amato

Colonia.

 

 Oggi, in qualche parte del mondo, è il compleanno di qualcuno. Forse il tuo.

 Scrivo su un tavolo minuto che non mi è mai appartenuto, e che per caso s’è trovato in questa stanza dove sommariamente soggiorno. Il letto è a due posti, ed è strano addormentarsi da sola in questo vasto spazio, con coperte calde e morbidi cuscini che nella notte prendono forme umane, ma non mi abbracciano. O, almeno, non lo fanno come lo facevi tu.

 Al nostro addio, ci siamo detti che nessuna distanza avrebbe potuto dividere i nostri cuori. L’uno nell’altro, mano nella mano, sangue che scorre in due vene di due corpi diversi, ma che – disgrazia! – è lo stesso, condiviso come una caramella fra due bambini. Ogni goccia mia ha sapore di te.

 Oggi mi sono tagliata. Un piccolo graffio sull’indice, sottile. Colpa del gatto. Ed è sgorgato un po’ di sangue, sai? Ma non sapeva di te. Era aspro, acido, era solo mio, era qualcosa d’estraneo a ciò che ero abituata a condividere.

 Posso aspettare. Posso aspettare di sentire di nuovo quella dolcezza scivolare fra il liquido rosso, e avvolgermi del suo incantevole odore. Ma intanto… ogni giorno senza di te – senza te con me – è come un coltello che va a recidere sempre la stessa ferita, e apre cascate acidule da cui non vorrei mai attingere vita.

 La sedia da dove ora ti scrivo è un semplice sgabello in legno, la parte superiore rivestita di un cuscino duro e ruvido al tatto, color panna. Odio quel giallognolo che mischiano dappertutto, è un colore così obsoleto! Rivoglio la mia stanza acquamarina, quella che condividevo con te. E rivoglio quello specchio sottile in cui apparivo così fantastica, come lo eri tu quando mi sedevi al fianco e mi carezzavi la schiena, dolcemente, un ricordo cui per ora non desidero rimembrare. Altrimenti finirei per disperarmi ancora.

 Qua lo specchio è un enorme lastrone posto in fronte alla scrivania, e ogni volta che alzo lo sguardo dalla pergamena vedo il mio volto deturpato dalla solitudine. Le guance incavate sotto il naso, che seguono lunghe curve fino ai bordi delle labbra, perennemente rivolti al basso. Gli zigomi sembrano ancora più appuntiti di come lo sono di solito, e il viso è gonfio, gonfio di dolore e della cioccolata che mangio. Divoro tutto, perché ho paura che la mia bocca, nell’astiosa brama di muoversi, cerchi altre lingue cui concatenarsi. Che pensiero stupido. Sono solo golosa. Golosa di qualcosa che s’avvicini al sapore del tuo collo, delle tue labbra, del tuo corpo…

 I miei stessi capelli sono spenti. Vorrei che ci fossi tu a pettinarmeli; perché, ricordi? Ti dicevo che erano troppo lunghi, ma tu non volevi che li tagliassi, e allora mi venivi alle spalle, mi toglievi delicatamente la spazzola dalle mani e prendevi a lisciarmeli fino in fondo alla schiena. Eri così leggero che quasi non sentivo il tuo tocco, e i nodi restavano lì dov’erano perché temevi di farmi male, eseguendo più pressione del dovuto. Nodi che creavano un groviglio imbarazzante, invero, però quanto mi mancano, ora!

 Posso aspettare a lungo, forse per sempre… e chiedermi quanto durerà questo maledetto viaggio lontano da te. Non ho nemmeno un ritratto che riassuma i tratti del tuo volto. Non ho avuto il tempo di fartelo. Deplorevole, non credi? È che ho paura di uccidere la tua bellezza, se solo cercassi di riprodurla con le mie mani grossolane, poco gentili. Tuttora ho paura, di cosa non so.

 Mi sento come una margherita: m’ama, m’amerà ancora, davvero m’ama ancora? E intanto sfiorisco. Deliziosa, mi ritroverai che sarò solo un gambo! Un tuo bacio, solo uno, e sboccerò di nuovo. È una promessa.

   
 
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