Scappavo
da troppo tempo, da troppo tempo non mi nutrivo.
Erano
giorni che correvo nella foresta sperando di liberarmi di loro.
La
sete che sentivo bruciarmi la gola era fortissima, un tizzone ardente
che mi
incendiava, che mi annebbiava i sensi.
Le
forze mi stavano venendo a mancare, avevo assoluto bisogno di placare
quella
sensazione di sofferenza.
La
mia vista percepiva l’ambiente circostante in una
tonalità di rosso, acceso,
ardente, la mia natura rivendicava di essere saziata.
Stavo
percorrendo i boschi, per cui non mi sarebbe stato facile trovare
qualcuno che
servisse a placare quel bisogno insistente.
Invece
il destino pose un’abitazione sulla mia strada, una piccola
casa in pietra,
situata al limitar del bosco, vicino c’era la cittadina di
Lengs, ma non avevo
la forza di proseguire oltre, dal camino della casa usciva del fumo,
per cui la
casa era abitata, solo questo mi interessava.
Mi
ero avvicinato veloce e avevo distintamente sentito un cuore battere,
pompava
sangue, dolce sangue, dal profumo soave.
Aggirai
l’abitazione per raggiungere il punto esatto in cui quel
battito pulsava,
attirandomi come il canto di una sirena, ero totalmente schiavo dei
miei
istinti, dominato da impulsi forti, naturali, sicuri, la ragione non mi
apparteneva più da troppo tempo.
Dietro
la casa trovai la mia preda, era nel giardino che tagliava legna, era
un uomo,
ed aveva un profumo invitante, delizioso, pregustavo già il
sapore dolce che
avrebbe posto fine alla mia sofferenza. Mi avvicinai non indugiando
oltre, mi
avventai su quell’uomo corpulento, robusto, ma indifeso, indifeso,
perché ero io ad attaccarlo.
Lo
afferrai da dietro stringendolo nella morsa delle mie braccia, per lo
spavento
un’ondata di caldo sangue si riversò nel suo
corpo, trafelato, impaurito,
incatenandomi.
Fu
un attimo, giusto il tempo di sentirgli sussurrare Lily disperato,
poi
conficcai i miei denti aguzzi nella sua carne debole, nel massiccio
collo che
si lacerò subito al contatto con i miei canini bramosi, e
avvelenati.
Succhiai
quel dolce fluido con avidità, con desiderio, mi dissetai
sentendo il sangue
scendermi in gola, e poi più in basso, dove lasciava una
scia di calore, nel
mio corpo freddo e immutabile.
Bevvi
con la bocca satura di sangue e veleno fino a quando fui abbastanza
sazio da
riuscire a ritirare i denti e allontanarmi da quel corpo riverso a
terra.
Solo
in quel momento mi resi conto di un altro cuore, era più
piccolo, potevo
sentire che batteva lento ma regolare, potevo persino percepire che il
sangue
che immetteva in circolo nel corpo era poco, ma riusciva ad essere
ancora più
invitante di quello appena tracannato, era mielato, zuccherino.
Come
un flash mi attraversò la mente un sussurro Lily,
l’ultima parola che aveva
pronunciato l’indifesa vittima prima di perire per mano mia.
Lily
ripetei nella mia mente, sorridendo, mi sentivo sazio, l’uomo
era alto e
robusto e il suo sangue aveva quietato il mio bisogno, però
quel dolce aroma mi
invitava a entrare nella casa.
Con
passo lento, mi diressi nell’abitazione che era composta da
sole due stanze,
una piccola cucina e una stanza più grande con un letto nel
centro, da cui
proveniva quel profumo delizioso.
Alzai
la coperta che avvolgeva qualcosa di inaspettato, qualcosa a cui ero
estraneo
da troppo tempo, due occhi di un azzurro intenso mi guardavano, un
volto
pallido e minuscolo conteneva quelle due piccole stelle di luce, la
testolina
era incorniciata da corti riccioli biondi e il naso era così
piccolo che quasi
non si notava. Ma la cosa che più mi lasciò
basito fu la piccola bocca a forma
di cuore, che prima si era chiusa a formare una O e poi si era distesa
in un
sorriso sdentato incredibilmente ilare.
Era
una bambina di pochi mesi, o almeno così mi sembrava, aveva
davanti un mostro,
desideroso di ucciderla, avevo appena assassinato suo padre poco
distante da
lei e..
lei
sorrideva.
Era
ovvio che non potesse avere consapevolezza dei suoi movimenti, della
mia
presenza o della morte del padre, era troppo piccola, ma qualcosa mi
lasciò
paralizzato, era surreale che sorridesse gioiosa.
Il
suo cuoricino pulsava, ma io non mi ero avventato su di lei, la stavo
osservando.
Da
anni non guardavo nulla di quello che mi circondava, ero un mostro
determinato
dagli istinti, schiavo della sete, la mia unica reazione era scattare,
uccidere, placare il bisogno, ma fermarmi e osservare, non facevano
parte di
me, non in quel momento di sicuro, e forse nemmeno prima di allora,
anche se di
una vita precedente alla trasformazione non avevo nessun tipo di
ricordo.
Stavo
pensando, qualcosa che per tanto tempo non avevo fatto, pensare
può far male,
le riflessioni di un mostro possono far male.
Chi
vive in superficie, invece, come avevo fatto io fino a quel momento,
non
rischia di sprofondare in pensieri dolorosi.
Confuso
da quelle sensazioni, non riuscii ad uccidere la bambina di nome Lily,
uscii da
quella casa e scappai lontano per non tornare più.
**********************
Ero
lontano da non più di due giorni, ma qualcosa mi lacerava,
era una sensazione
strana, sconosciuta, mi dava un senso di smarrimento, che per la mia
natura non
poteva appartenermi.
Ero
nella foresta, ero tornato a cacciare animali, più disteso,
convinto di non
essere più seguito da Maria e i suoi seguaci. Mi ero
abbandonato alla mia
natura, seguivo i miei infimi istinti come sempre avevo fatto, mi
dedicavo alla
caccia, alla perlustrazione nella zona, ma qualcosa era cambiato in me.
Non
riuscivo ad essere lucido, un pensiero mi tormentava, mi confondeva, ma
non ne
capivo il motivo, il pensiero sovrastava i miei impulsi, faceva
scappare le
prede prima che riuscissi ad afferrarle, e ciò non aveva una
logica, io ero un
predatore, ero metodico, preciso, nessuno mi era mai sfuggito.
Il
pensiero che mi tormentava, era Lily, ma non fu facile capirlo,
perché non
sapevo comunicare con me stesso, perché non mi conoscevo,
perché non sentivo
più di appartenermi da tempo, solo gli istinti avevano il
controllo su di me.
Una
consapevolezza mi inondava la mente, Lily era sola nella casa, con un
cadavere
in giardino e nessuno che la nutrisse, non sarebbe sopravvissuta, io
non
l’avevo morsa, ma l’avevo condannata a morte certa,
uccidendo suo padre.
Era
improbabile che qualcuno si fosse avventurato fin lì, al
limitar del bosco,
quindi era improbabile che qualcuno si fosse accorto della sua presenza
e
l’avesse tratta in salvo.
Mi
dissi che non mi importava, che sarebbe stata solo un’altra
delle mie vittime,
ma non trovavo tregua, non era vero che non mi interessava.
Probabilmente
convinto dal fatto che la sete per un po’ non mi avrebbe
logorato, e che forse
potevo controllare il mostro come la volta precedente, la sera del
terzo
giorno, mi diressi alla casa della bambina.
Trovare
la strada fu facile, grazie ai miei infallibili sensi, in poche ore la
raggiunsi.
Mi
avvicinai e per prima cosa notai che non c’era più
il cadavere nel giardino,
per un secondo sperai che qualcuno avesse trovato la bambina e
l’avesse portata
via, ma mi resi subito conto che il suo cuore batteva; entrai nella
stanza
grande e Lily era lì, non sorrideva come la prima volta, e
mi stupii di quanto
mi facesse male quella consapevolezza.
Aveva
gli occhi arrossati e la bocca era screpolata, era ovvio che aveva
pianto molto
e che aveva fame, la bocca era arida, per fortuna dormiva e non mi
notò, non
avrei sopportato che mi guardasse con quegli occhi lucidi e sfiniti.
Non
riuscivo a capire come mai chi aveva portato via il cadavere non si
fosse
preoccupato di portar via quella creatura, possibile che non si fosse
accorto
della sua presenza?
La
guardavo e non sapevo cosa fare, il mio istinto mi diceva di
allontanarmi il
più in fretta possibile e di non preoccuparmene, ma
c’era una nuova vocina
insistente nella mia testa-la mia coscienza forse?-che mi urlava di non
abbandonarla.
Poteva
un mostro avere una coscienza o qualcosa di simile, poteva un mostro
farsi
intenerire da una neonata in fasce, poteva un mostro desiderare di
salvare
un’umana?
La
presi in braccio avvolta nella coperta per non congelarla con il mio
corpo
freddo, e mi sembrò qualcosa di surreale, di sbagliato: era
contro natura che
un vampiro accogliesse tra le braccia un neonato, io ero stato creato
per
uccidere.
Mi
avvicinai alla cittadina di Lengs con le complici tenebre a mascherare
la mia
natura, sapevo che in quella città c’era un
orfanotrofio che forse poteva
accoglierla, stavo aspettando che la zona fosse sgombera, per lasciare
il
fagotto che avevo tra le mani davanti all’entrata, quando una
scena mi distolse
dalla mia intenzione.
Da
una finestra al primo piano si poteva notare uno stanzone dove almeno
cinquanta
bambini erano ammucchiati come topi, aspettando la proprio razione di
cibo,
avevano occhi spenti e tristi, versavano nell’abbandono.
Quella
non era la sorte che avrei inflitto a Lily, l’avevo privata
del padre, di un
futuro, dovevo fare in modo che avesse di più.
Girai
per la città semi deserta cercando in qualche dimora un
posto che mi sembrasse
adatto a lei, ma nulla rispondeva alle mie esigenze, forse
perché già allora mi
rendevo conto che avevo più bisogno io di lei che lei di me.
Quella
bambina con la sua sola presenza aveva risvegliato una parte di me che
era
assopita da lungo tempo, era la parte umana di me, di quello che ero
stato.
Avevo
dovuta nasconderla, confinarla, rigettarla, perché sentirsi
un mostro mi
dilaniava, e spingersi a riflessioni su una morale che avevo stracciato
e
calpestato, a favore della sete, mi avrebbe fatto impazzire.
Fatto
sta che quella sera non trovai un posto adatto a Lily e decisi che per
solo per
quella sera mi sarei preso io cura di lei, per quanto ciò
avesse dell’assurdo,
glielo dovevo.