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Autore: valekiller    12/01/2011    5 recensioni
Merope e le sue emozioni, a cui non sa dare un nome.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Merope Gaunt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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NdA: Ho usato il nome originale del padre di Merope. E' più bello secondo me. Merope mi piace, mi ha sempre fatto una tristezza infinita e spero di essere riuscita un minimo a farlo sentire. Storia che ha partecipato al Flashfic&Movies' Quotes, arrivando settima. La citazione è tratta da "Practical Magic". E' stato bellissimo partecipare e ringrazio molto vogue per tutto, ecco. Buona lettura!


 

A volte sento un vuoto dentro di me, un vuoto che sembra bruciare. Penso che se avvicinassi il mio cuore al tuo orecchio...”

 

 

Merope sbircia fuori dalla finestra lurida. Oggi è il grande giorno. E' molto tempo che aspetta quest'occasione, che prepara tutto con estrema cura e precisione. E oggi, finalmente, quel bel Babbano sarà suo.

 

 

Merope sistema un cuscino sul divano. Si allontana per vedere l'effetto. Spolvera i soprammobili. Cambia le tende. Tom è in cucina a prepararle un pranzo da regina. “Quale tu sei”, come le ripete in continuazione. Merope inizia a lucidare l'argenteria. Strofina forte, nemmeno oggi ha voglia di pensare. Cambia la disposizione dei mobili.

Lui non è tuo. Non lo sarà mai.

Una sedia si schianta contro il muro. Si guarda le mani. Vorrebbe che tremassero. “Tutto bene tesoro?” I capelli corvini spuntano da dietro la porta. Merope vorrebbe piangere e confessargli la verità. Ma i suoi occhi non sono nemmeno umidi.

 

 

Marvolo non era nato per fare il padre. Marvolo non sapeva amare. E a Merope non era stato insegnato. Osservava il mondo da dietro la sua cortina di capelli sporchi e il mondo le sembrava stupido. Crudele. Beffardo, perfino.

 

 

Tom la stringe fra le braccia e la culla. Si sente battere il cuore in petto. Stringe le vesti del suo uomo e una lacrima le scende lungo il viso.

 

 

La prima volta che Tom l'aveva portata al mare era scoppiata in lacrime. Tutta quell'acqua le aveva riportato alla mente i “bagni” educativi di Marvolo. Ma poi lui l'aveva rassicurata e si erano messi a fissare l'acqua, inalare l'odore salmastro e ascoltare il rumore delle onde. Poi Tom, arrivati a casa, le aveva appoggiato un bicchiere sull'orecchio.

 

 

Si stacca da lui. Prende un bicchiere di cristallo e lo stringe forte. Il fragile materiale si spezza nel suo palmo, conficcandole decine di schegge nella pelle. Dal pugno destro scorre copioso il sangue. “Vedi? Non sento niente.”

 

 

Suo padre, anche se rabbrividiva a chiamarlo così, le aveva insegnato il rispetto. Il dolore. Gliene aveva fatto provare talmente tanto che ora non lo sentiva nemmeno più. I ricordi si accavallano nella sue mente, disordinati e confusi. Una cinghiata, una frustata, un generico movimento della bacchetta. (Odia quelle cose.) La prima (o era la terza?) volta che aveva bruciato la cena l'avevano appesa per i polsi per tutta la notte. Niente cicatrici però. Non visibili almeno.

 

 

Si sveglia nel cuore della notte, urlando, chiedendosi dov'è e perché non è in cucina ad aspettare Marvolo. Allora Tom la stringe forte, le canta quella bella canzone e il nulla torna ad avvolgerla.

 

 

Nella sua giovane vita, ad un certo punto, si era ritrovata a sentire troppe cose contemporaneamente. Il cuore, il cervello, la cassa toracica, sembravano frantumarsi sotto il peso di tutte quelle cose. Finché un giorno, un bel giorno, dopo essersi scavata le orbite a furia di piangere, si era alzata dalla sua cuccia e aveva smesso di sentire. Sentiva solo gli occhi bruciare, la fame, la stanchezza. Niente più intrusi, niente più emozioni. Niente più Merope.

 

 

... probabilmente sentiresti il rumore del mare.”

   
 
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