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Autore: Miki loves Yuu    12/01/2011    2 recensioni
Possono le parole di una canzone riusicre a descrivere perfettamente quello che senti?
4° classificata al contest "I found myself in the (telefilm) wonderland" indetto da Rò e Kiki (superkiki92) sul forum EFP.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Damon Salvatore
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Miki loves Yuu
Titolo: Tu non ci sei
Rating: Verde
Genere: Romantico
Avvertimenti:
Personaggi/Pairing: Damon Salvatore
Titolo della canzone scelta: Questo piccolo grande amore
Note dell'autore: Questa è una fan fiction Damon x Katherine


Lei era un piccolo grande amore,
Solo un piccolo grande amore,
Niente più di questo, niente più.
Mi manca da morire quel suo piccolo grande amore adesso che saprei cosa dire,
Adesso che saprei cosa fare,
Adesso che voglio un piccolo grande amore.


Tu non ci sei


Da poco avevo scoperto che Katherine e gli altri vampiri che camminavano per le strade di Mystic Fall non erano bruciati insieme alla chiesa, come avevo creduto per centoquarantacinque anni, ma in realtà erano stati rinchiusi all’interno di una cripta sotto di essa. A quel tempo io e mio fratello, Stefan, non facevamo ancora parte della loro razza, ma avevamo già avuto modo di scoprire qual’era la natura della donna che amavamo. Entrambi ci eravamo innamorati della stessa ragazza, ma alla fine fu a causa della sua non curanza che Katherine venne catturata insieme agli altri vampiri.
Era colpa sua se l’avevano scoperta; era colpa sua e della sua stupidità se non aveva colto nessuno dei segnali che avevano dato nostro padre ed i cittadini che insieme a lui collaborarono alla loro cattura; era colpa sua se la donna che amavo, l’unica che abbia mai amato in vita mia, mi era stata portata via per sempre. Era colpa sua. E per questo non l’avrei mai perdonato.
Ma la cosa più assurda era che nel tentativo di salvarla, restammo uccisi noi stessi, per poi risorgere nella nostra nuova vita.
Al mio risveglio fui costretto a scavare per uscire dalla mia tomba, cosa che non mi sorprese particolarmente, in fondo Katherine aveva bevuto il mio sangue ed io il suo, quindi ero preparato a questa evenienza. Risalito in superficie ebbi comunque un attimo di smarrimento; non sapevo dove fossi, il sole mi faceva male agli occhi, i muscoli mi dolevano ed avevo una terribile nausea: il mio corpo mi spingeva a nutrirmi, nutrirmi di sangue umano per completare la trasformazione. Ma non sarebbe mai accaduto; in quel momento decisi di lasciarmi morire, avevo scelto di trasformarmi per stare con Katherine, ma, credendola morta, non aveva senso continuare. Volevo solo che tutto finisse.
Quello che invece non riuscivo a spiegarmi era come mai avesse fatto sì che anche Stefan si trasformasse. Mi aveva sempre detto che ero io quello che preferiva, che lui era soltanto un ragazzino, che non le poteva dare quello di cui aveva bisogno, ed invece poi lo aveva trasformato. Lui che era stato la causa della sua cattura.
L’aveva reso immortale, dandomi prova di essere stata con lui in tutte quelle notti che non trascorreva con me. La sola idea che le mani di Stefan l’avessero toccata in ogni sua curva perfetta, che i loro corpi si fossero uniti più volte come si erano uniti i nostri in tante notti, mi faceva ribollire il sangue. Avrei dovuto essere io. Soltanto io.
In quel momento odiai mio fratello. Mai avevo desiderato qualcosa in egual misura ed i segnali di questo mio interesse erano stati ben visibili e chiari, ma Stefan non li aveva colti, o aveva finto di non coglierli. In fondo era sempre stato abituato così, nostro padre era stato sempre particolarmente permissivo nei suo confronti, mentre con me, che ero il primogenito, non era mai stato tanto magnanimo. Per tutti questi motivi avevo giurato di rendergli un’eternità piena di sofferenza. E fu per questo che alla fine mi decisi e mi cibai di una creatura mortale. Fu la vendetta il mio movente.
In quel momento sperimentai sensazioni e cambiamenti indescrivibili, neanche minimamente paragonabili a quelli che mi aspettavo dopo le innumerevoli domande poste a Katherine. Tutti i miei sensi erano stati potenziati, la mia vista mi consentiva di coprire lunghe distanze e vedere anche al buio, il mio udito, ormai finissimo, mi permetteva di ascoltare le persone parlare a diversi isolati di distanza; inoltre la mia forza fisica era aumentata notevolmente e potevo muovermi con una velocità incredibile. E il senso di colpa, il dolore, potevo spegnerli come un interruttore. Ma non verso di lui.

Scacciai i ricordi del passato che mi invadevano la mente. Purtroppo, per quanto potesse essere grande il mio odio nei suoi confronti, non potevo liberare Katherine da solo, perché a tenere chiusa la grande e pesante porta in pietra c’era un incantesimo. Ero stato costretto a chiedere aiuto a Stefan e ad Elena, che avevano convinto le due streghe, Bonnie e sua nonna, a darci una mano, dato che il sigillo era stato impresso da una loro antenata.
A noi si era unita Anna, una vampira che voleva liberare la madre intrappolata nella cripta, ed insieme ci eravamo recati al sepolcro ed eravamo scesi sotto la vecchia chiesa fino a raggiungere l’antro che precedeva l’entrata. Al centro di esso vi era una vasca circolare, sul cui bordo le due streghe collocarono quattro candele, in direzione dei punti cardinali, più una al centro. Io mi posizionai accanto all’uscio per poter entrare il prima possibile, con me avevo portato anche una sacca di sangue rubata dall’ospedale.
Avvertivo l’ansia attanagliarmi lo stomaco, mentre osservavo fremente le streghe iniziare il loro rituale.
Le due, tenendosi per mano, cominciarono a pronunciare un antico incantesimo in latino che ripeterono varie volte. Il tempo sembrava non passare mai ed il rituale pareva, volta per volta, diventare sempre più lungo. Era strano da dirsi per un vampiro, la cui concezione del tempo è decisamente molto diversa da quella degli umani. In fondo noi avevamo tutta un’eternità davanti, un tempo infinito da trascorrere sempre nello stesso corpo e nella stessa vita, camminando sulla terra per secoli e secoli assistendo a tutti i cambiamenti subiti e cercati dall’uomo. Quindi che cosa potevano mai essere centoquarantacinque anni per uno come me? Quando non si ha una scadenza il tempo diviene veramente relativo.
In quel momento però il tempo stava diventando come un macigno opprimente, mai come in quella circostanza mi era parso tale. Riuscivo a trascorrere delle ore a volte senza fare niente, ma lì, quando ormai il tempo che mi separava dal riabbracciare Katherine si riduceva di secondo in secondo, l’attesa non faceva che divenire sempre più angosciante.
Alla fine del lungo rito magico pronunciato da Bonnie e sua nonna, la spessa entrata in pietra si aprì, ed io la afferrai per tirarla quel tanto che mi avrebbe permesso di entrare. L’ambiente all’interno era umido e buio con diversi corridoi, su tutto il tragitto trovai i corpi prosciugati, tanto da sembrare mummificati, di coloro che ricordavo bene aver visto passeggiare per le strade. Presi a controllarli uno ad uno per essere sicuro di trovarla; dietro di me c’era sempre Anna che presto trovò sua madre e, dopo averle dato un po’ del sangue che aveva portato con sé, la accompagnò fuori dalla cripta. Avevo già controllato più di una volta tutti i corpi presenti, senza risultato, quando mi raggiunse Stefan informandomi che Katherine non era lì e spiegandomi che a dirglielo era stata Pearl, la madre di Anna.
Furibondo gettai violentemente la sacca di sangue che avevo con me contro il muro rompendola e uscii da quel posto con mio fratello. Non attesi neanche che le due streghe rimettessero il sigillo, il peso degli sguardi di chi mi compativa non faceva che aumentare la mia rabbia; risalii in superficie e presi a correre il più lontano possibile.
Mi sentivo ribollire il sangue nelle vene, per più di un secolo l’avevo data per morta credendo di non poterla più rivedere ed ora quella piccola speranza che si era riaccesa in me nell’ultima settimana, si era frantumata nuovamente come una doccia gelida. Nella corsa giunsi sino al luogo dove un tempo sorgeva la casa in cui ero nato e cresciuto. Ben poco rimaneva di lei, solo una piccola colonna del cancello d’ingresso ed una delle panchine in pietra del giardino a labirinto che avevamo sul retro della casa, il tutto avvolto da una vegetazione incolta. Mi sedetti sulla panchina e mi tornarono alla mente i ricordi di quando l’avevo conosciuta, ancora vividi nonostante i secoli trascorsi. Io l’amavo come non avevo mai amato nessuno in vita mia, ma a Katherine ciò sembrava non importare. Eppure io ora l’avrei voluta insieme a me più che mai; solo in quel momento realizzai quanto fosse diventata il mio piccolo grande amore e di come mi fosse mancata da morire in realtà.
Nella mia mente fantasticai nuovamente, come avevo fatto negli ultimi giorni che credevo mi avrebbero portato a riabbracciarla, su come sarebbe stato averla accanto ora, delle cose che le avrei detto facendole sembrare così giuste e perfette rispetto a quelle che già le avevo detto un tempo, o di quello che avremmo potuto fare una volta insieme. Adesso che saprei cosa dire, adesso che saprei cosa fare, adesso che vorrei Katherine per vivere il mio piccolo grande amore... tu non ci sei e non mi vuoi.


   
 
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