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Autore: Ellie_x3    12/01/2011    5 recensioni
"Silenzio. Non sono queste le cazzate per cui si interrompe l'allenamento della prima unità della Shinsengumi.”
Sì.
Una gran bella frase -con un che di eroico. Molto bellina.
Potrei usarla in un romanzo di guerra. O in un haiku. O in un diario.
E' -presumibilmente- l'ultima frase di Okita Souji come un capitano.
Perchè poi -come se dopo la menzione alla Shinsengumi nulla fosse importante- mi aspetta l'ultimo eco di una protesta, roco e distante, e il
buio.
Okita Souji fa talmente schifo, come uomo, che non riesce nemmeno a reggersi in piedi.
Persino la Katana non ne vuole più sapere, di lui. E' stato talmente debole a cedere all'Ochimizu.
In mezzo a tutto questo schifo, come diavolo si può pretendere da lui - da me - di mantenere una promessa?
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Leave out all the rest

[Okita Centric]





After my dreaming
I woke with this fear
What am I leaving
When I'm done here
(Linkin park)



“Okita-san?”

Non mi sono mai fatto male.
O per lo meno, non mi sono mai fermato di fronte al dolore.

“Continuiamo l'allenamento.”

Respiro accelerato -Kami, cuore del cazzo, perchè vai tanto veloce?

“Ma Okita-san...”
Non sbattermi in faccia la realtà.
Il sangue sulla mia mano non c'è. Non esiste.
“Ho. Detto. Continuiamo.”

Scatto -l'ultimo slancio dell'animale ferito. Spingo sulle gambe e sono già lanciato in avanti, con una forza che credevo mi avesse abbandonato.
Il mio avversario indietreggia, la katana usata come uno scudo e non come l'arma che è.
E' sbagliato, sciocco, addirittura blasfemo, ma lo fa per riguardo -Non vuole colpirmi.
Uno di noi due è debole -lui crede che sia io.

Sbaglia.

Colpo -Sì, lo sente, lo batte, gli fa spalancare gli occhi e inizia a capire.
Lo incassa a fatica, mette un passo dietro l'altro sbadatamente, si spinge contro la parete e finalmente ricomincia ad attaccare. Ma è una successione di colpi leggeri, prevedibili -colpi che persino un malato potrebbe evitare.
Merda.
“Sol-”
Solo questo sai fare?
Non so come dirlo -le parole le ho, il fiato mi manca.

Che capitano orribile, sono.
La katana mi sfugge dalle mani, cozzando legno su legno con un 'tunk' che sembra rimbombarmi nella testa. Un'esplosione.
Vergognati Souji.
Ma ormai la risposta del mio avversario era a metà e lui non poteva lasciarla così, non sapeva che altro fare se non chiuderla.
E così, dopo la katana, a terra ci sono anche io. A farle compagnia, suppongo.
L'altro mi guarda, stupito, sbatte le palpebre e in un attimo sul suo viso si disegna  il terrore - è un mocciosetto della prima unità, non avrà più di sedici anni. Forse un giorno diventerà bravo, forse, se il destino glielo concederà. Noi ronin abbiamo bisogno di tue cose: tecnica e tempo.
Se non abbiamo l'una, il nostro tempo verrà spezzato da un altro essere umano. Di contro, senza l'altro, la tecnica vale a ben poco. La spada contro gli dei non serve a molto.

“Okita-san!” sento sangue sulla mia fronte. Mi bagna i capelli, mi cola lungo il naso, finisce sulle labbra. E infine sporca il kimono.
Per fortuna dovevo lavarlo.
“Okita-san!”
“State bene, capitano?”
“Okit-”

Oh Kami quanto sono rumorosi, questi esecutivi.
Così spaventati dal fatto che io gli possa morire davanti.

“Riuscite ad alzarvi, Okita-san?”

Già, Souji, riesci ad alzarti? -lo domando a me stesso, sarcastico.
E' divertente come no, non voglia alzarmi e come sì, sì, ci riesca anche da solo.
Io mi rialzo sempre, quando cado.
Più o meno -una volta no, ma solo quella.
Però avevo solo nove anni puntualizza una vocina nella mia mente.
Doveva essere maggio.

O aprile.

O devo semplicemente arrendermi al fatto che non me lo ricordo.
Ricordo Kondou, però.
E il sangue.
E la katana.



“Okita-kun”
Hijikata mi guarda male.
L'ha sempre fatto, a quanto ricordo. La sua faccia è stampata a fuoco nella mia memoria -sì, chiaro, non ricordo il giorno ma ricordo i suoi occhi puntati su di me.
Sarcastici.
Io un bambino, lui già quasi un adulto. A quell'epoca lavorava in un negozio di Kimono, ogni tanto.
“Un samurai non piange.”

Mi aveva fatto male, quell'allenamento.
Forse, un pochino, Toshi l'aveva fatto di proposito -sì, dubito che il suo aprirmi uno squarcio in fronte sia stato un errore.
Non siamo mai andati troppo d'accordo, lui e io.
Ci vogliamo troppo bene per vivere tranquilli l'uno con l'altro.

“Okita-san!” una mano mi cala sulla spalla. E' il moccioso di prima.
Sbatte le palpebre talmente in fretta che posso sentirle sfarfallare, impazzite. Si guarda attorno e urla “Qualcuno chiami Yamazaki-san!”
La risposta è quasi un sibilo.
“E' fuori.”
“Dove?”
“Non lo so.”
“Chiamate Chizuru-san allora.”

…Chizuru. Quella mocciosetta con gli occhi lucidi.
A Ikedaya, pure, m'è toccato salvarla.
Non me ne sono pentito, no, non del tutto. Semplicemente, è stata una scocciatura.


Colpo di tosse.
Aggiunge sangue al sangue, sul kimono, sulle labbra, sulla mia mano che corre alla katana in un gesto naturale.
E' la mia unica compagna, la mia vita. Mia madre e il mio amore.
Sono nato per lei come lei è nata per me dalle fiamme.
Poetico, Souji. La voce di Hijikata è ferma nella mia mente. E dici a me di essere penoso con gli haiku.

“Okita-san!”
l'arma mi viene strappata di mano con una certa fretta, un istante prima che possa arrivare a toccarla.
“Non dovete, siete ferito!”
“Calmatevi, Okita-san! Chizuru-san sarà qui a momenti.”

“Silenzio-” latro -sì, Kami, sono un animale ferito. Lasciatemi morire combattendo, almeno.  Prendo un sospiro profondo. “Silenzio. Non sono queste le cose per cui si interrompe l'allenamento della prima unità della Shinsengumi.”

Sì.
Una gran bella frase -con un che di eroico. Molto bellina.
Potrei usarla in un romanzo di guerra. O in un haiku. O in un diario.
E' -presumibilmente- l'ultima frase di Okita Souji come un capitano.
Perchè poi, come se dopo la menzione alla Shinsengumi nulla fosse importante, mi aspetta l'ultimo eco di una protesta, roco e distante. E il buio.

#





“Souji!”
Kondou-san sbarra gli occhi. Urla di chiamare un medico, o qualcosa di simile. Mi corre incontro con espressione cupa.
Ho paura -certamente mi picchierà per aver sporcato l'uniforme di sangue.

Mi abbraccia.

Certo, questa non me la aspettavo.
Evidentemente non se l'aspettava neanche quell'antipatico di Toshi, perchè il suo sorriso soddisfatto sbiadisce e scompare, come una scritta sulla sabbia.
Cancellata da un'onda con una katana al fianco -impetuosa e, mi ci è voluto un po' per capirlo e ancora adesso me ne stupisco, preoccupata.
“Souji, cosa diavolo hai fatto per ridurti in questo stato?”

[Ma è solo sangue.]

“Il vostro kimono si sporcherà, Kondou-san-”
“Cosa, Souji?”
Perentorio -un ordine vero e proprio. Ora sì che ricordo perchè Kondou-san è il migliore dei comandanti.
“Io- Niente, è stato un incidente. Mi stavo allentando e-” silenzio un istante. “ma non è niente, davvero. Posso continuare senza problemi.”
Non sono spaventato.
Divertente- sono un bambino, sto praticamente morendo dissanguato e non ho paura.
Forse è stato per quella mia mancanza, il mio rifiuto della debolezza e del terrore, che sono diventato la bestia che sono.
La stretta di Kondou si fa più lenta, ma è un secondo.
Quello dopo è più forte che mai.

“Non farmi mai più prendere una paura del genere, Souji.”
“No, Kondou-san. Sul serio.”
“Sei un bravo bambino, Souji.” avverto un sorriso, oltre la mia spalla “E sei un genio della spada. Ma non farlo mai più..”



“Souji! Maledizione, Souji, svegliati.”
Mani che mi rimboccano le coperte -e rabbia nelle parole che mi vengono rivolte.
Conosco quella voce e anche il tocco di quelle mani.

“Toshi?” provo.
Socchiudo un occhio -accorgendomi della difficoltà nascosta in quel semplice movimento- e ne incontro un paio color viola intenso.

Sospiro in risposta.
Shimatta. Certo che non muori proprio mai tu, eh?”
“Vi sembrano cose da dire, vice comandante?”
La replica non sembra toccarlo -non che mi aspettassi niente di diverso.
Ben poche cose urtano davvero Hijikata-san. Una di queste è la mancanza di the. Oppure di lavoro -e sembra proprio che io abbia interrotto quest'ultimo.
“Hai fatto preoccupare Chizuru-san.” è il commento pacato del ronin. Lo tradisce solo il minuscolo sorriso apparso sulle sue labbra. “Non volevi far preoccupare Chizuru-san, vero?”
“E' la cosa più lontana dalle mie intenzioni che poteste immaginare.”
Anche ammettendo che Chizuru in crisi di panico mi sarebbe proprio piaciuto vederla.
Così carina.
Dall'alto, Hijikata mi lancia un'occhiata divertita.
“Allora volevi veder preoccupato me, Souji?”

Ugh.
Chi? Io?
Ma se c'è una cosa divertente, nella mia vita da Shinsengumi, è prendere in giro Toshi.
O minacciarlo di morte.
O tutti e due.

Sorrido -tipo gatto.

“Assolutamente sì.”
Risponde un sospiro, vagamente esasperato.
“-Souji. In questi momenti ti odio.” poi c'è una pausa -proprio minuscola, quasi impercettibile- e sul suo viso si disegna una smorfietta insofferente.  “Non solo in questi.”
“Perchè ti faccio preoccupare, Toshi?”
“No, perchè interrompi il mio lavoro.”
“Povero, povero Haiku. L'hai abbandonato a sé stesso, solo, senza una fine.” mi concedo un sorriso. Uno vero -non un ghignò né simili.

[Io e Toshi ci vogliamo troppo bene per vivere in pace l'uno con l'altro.]


“Sai, dovresti smetterla di stuprare quelle povere parole.”
“E cosa suggerisci, allora?”
tono altezzoso.
Stavolta l'ho proprio offeso.
“Scopa di più.” propongo.
Mi guarda male. Molto male.
Certo, detto da uno che non esce mai dal dojo e che mette molto raramente piede a Shimabara è un'idea un po' azzardata.
Soprattutto se propinata a quanto-siete-figo-Hijikata, che di Shimabara non ha affatto bisogno.
Sicuro che lui non ha certo necessità di sciropparsi i miei consigli.

E poi, so già cosa mi dirà.
'Ma il lavoro.'
'Ma la Shinsengumi.'
'Ma gli haiku.'
'Ma Kondou-san' -manco fossimo sposati tutti con Kondou-san.
'Ma Yukimura-san. Non va bene, andare troppo a Shimabara con una donna in casa. '
Oh, certo.
“Ma-” eccola, sta per investirmi l'ondata di proteste. E magari ci sta anche un discorsetto sull'onore e sui toni da mantenere con un superiore.

E invece, dopo essersi morso il labbro, Toshi scrolla le spalle. Ha gli occhi vuoti.
“E come pensi che potrei?” rilancia “E comunque, prenditi le tue responsabilità. Sono mesi che non penso ad altro. Mi rovini il lavoro.”
Oh, bello.
Non solo dovevo sentirmi in colpa con me stesso, per la dannata debolezza del mio corpo, ci si devono anche mettere quel demone di vice comandante e le sue frasette da poeta.
Lo guardo -no, ecco, diciamo che lo incenerisco.
Odio le sue prediche.
Odio quelle di Kondou-san.
E odio quelle del me stesso bambino, che ha promesso di non far mai più preoccupare Kondou.
 
“Bah. Come se l'avessi chiesto io.”
Colpo di tosse e sangue sulla mia mano.
E' odiosa, ed è terribile, come verità. Ma non posso proprio farci niente.
La tubercolosi è parte di me -per quanto possa infastidire Hijikata e preoccupare Kondou.

L'ennesima occhiata seccata.
Per un istante mi chiedo se Toshi non sappia far altro che dispensarmi sguardi di disapprovazione.
Certo che è maledettamente-

Mi prende la mano sporca di sangue prima che possa finire il pensiero. Lo fa con delicatezza, attento ad evitare il sangue schizzato sul palmo.
Sarebbe molto carino da parte sua, anche se strano, prendersi il disturbo di pulire tutto quel rosso.
E' così brillante nella sua oscurità che fa male agli occhi. Mi disturba.
E, fra l'altro, sarebbe il primo gesto gentile di Hijikata Toshizou verso  Okita Souji.
I gesti di Hijikata nei miei confronti sono stati di natura più disparata -e non sono tutte cose che uno di noi due sarebbe disposto a raccontare-, ma mai gentili. Abbiamo saltato quella base, nel nostro rapporto.
Quindi, aspettarsi qualcosa di dolce è stato, da parte mia, un errore.

Lo pulisce, sì -e bene, anche. Ma con la manica del Kimono.
Gesto stupido.
Me lo sarei aspettato da quel mocciosetto di Heisuke.
“Che diavolo-”
C'è odore di emoglobina, nell'aria.
Risveglia qualcosa -la bestia che mi permette ancora di stare in piedi- ma io sono più forte di lei.
Per il momento.
Ancora per poco.

Con espressione seria, mi mostra la manica. Le sue dita ancora strette alle mie.
“Ora, sentiti in colpa.”
“E per cosa, di grazia?”
“Sentiti in colpa come mi sono sentito io quando sei stato così deficiente da voler diventare un Rasetsu.”

Una volta, ricordo che Shinpachi aveva paragonato lo stupore ad una ventata d'aria gelida.
Non ci avevo creduto -non del tutto, per me lo stupore era sempre stato qualcosa di leggero, caldo, non del tutto sgradevole.
E sbagliavo.
“Ah. Era quello?”
“Mi sembra ovvio.”
“Non è stata una decisione.”
Annuisce.
“Infatti. E' stata una stupidaggine.”

“Lo è stata.” mormoro “Ma è stupido anche il mio amore nei confronti di un ideale. E su questo non hai mai avuto nulla da ridire.”
Toshi ci pensa -si sfiora il labbro inferiore con la mano libera, alzando gli occhi al cielo, sovrappensiero. Poi un fantasma di sorriso si dipinge sul suo viso.
Non è giusto.
Uomini così belli non dovrebbero esistere.
“No, mai. Perchè è anche il mio amore, quell'ideale. E' quello di tutti noi.”
“Molto poetico.”
Annuisce, ma c'è del sarcasmo in quel gesto. Quasi più che nel mio commento.
“Molto vero.” puntualizza.

Gli lancio un'occhiata, da sotto in su.
Come quando facevo quando io ero un moccioso e lui una maledettissima stanga.
Ora sono più alto io.
Non sono sicuro che sia un bene - Toshi fa anche più paura visto dall'alto. Fa pensare che possa sempre tirarti un pestone, se si altera.
“Siamo un gruppo di uomini che corrono come disperati dietro alla Makoto.” commento “E, anche se detta così sembra divertente, non lo è.”
“Lo era. Prima che tu ti facessi prendere da non so quale colpo di matto.” A dispetto delle parole dure, il vice comandante sembra piuttosto soddisfatto. “Devi solo promettermi che non morirai prima del tempo.”

[Io e Toshi.]

“Ormai è questione di tempo.”

[Ci vogliamo bene.]

“Non dire stupidaggini. Non è ancora ora.”
 
[Troppo, per poterlo dimostrare l'uno all'altro.]


La verità è stampata sul suo viso, è chiara, ma pretende ancora di nasconderla.
Stupido d'un vice.
“Ti scoccia così tanto dirmi che non vuoi vedermi morto?”
Mi fissa, come se le mie parole l'avessero colpito.
Bam!- un vero pugno in pancia.
Con gli occhi ridotti a due biglie color malva, apre la bocca.
La richiude.
Sorrido.
La riapre e richiude. Di nuovo.
“Non è questo.” sbotta, scostandosi con una manata la coda di cavallo dalla spalla. “E' che-”
“Sì?”
Serpe, Souji. Ti Sibilano le S.
Toshizou abbozza un colpetto di tosse, nervoso.
Guarda da un'altra parte.
“E' che voglio vederti morire quando morirò io. Non prima, non dopo.” sbotta, senza degnarmi di uno sguardo. “Abbiamo vissuto sotto la stessa bandiera. Moriremo nello stesso modo e insieme.”

[Io e Toshi siamo troppo uniti. Per questo non sappiamo che fare se non essere scortesi l'uno con l'altro.]

“Tu non morirai e basta, Toshi.”
“Beh, prima o poi sì.”
“Dopo di me. Io non morirò su un campo di battaglia, morirò solo come un cane in qualche merdoso ricovero di Edo.” gli indirizzo un'occhiataccia, sfidandolo a dire il contrario. “Sai che sarà così.”
Rimane in silenzio.
“Ti scriverò.” promette “Se la causa della Shinsengumi mi porterà lontano. Altrimenti-”
“Altrimenti ti troverai una donna a Edo, caro il mio Hogyoku, e dimenticherai il tuo amico malato.”
Amici.
Non lo siamo.
Non siamo niente più di due folli, cresciuti fianco a fianco, sgomitando per il poso d'onore nel cuore di Kondou-san.
E' divertente come -infine- abbiamo preso i posti migliori l'uno nel cuore dell'altro.
E conosco Hijikata troppo, troppo bene per anche solo sospettare il contrario.

“Non dire cazzate.” ribatte. Cazzate. Non l'avevo mai sentito dire una cosa del genere. “A meno che tu non muoia come rasetsu. Allora lì sì che non ti parlerei più.”
“E ti dimenticheresti di me.” ammicco. “Dei luuuunghi anni passati assieme, io e te.”
“Oh, Souji, non essere melodrammatico.” borbotta, incrociando le braccia al petto.
Facendolo, lascia la mia mano.
Che era fredda. Adesso è calda.
“Già, sei tu il poeta qui.”
Sospira, come per riprendermi per la frecciatina, ma desiste.
“Senti, Souji - vorrei che mi promettessi una cosa.”
“Come amico?”
“Come- beh. Quello che è. Come gli amici che non siamo, insomma.”
Annuisco.
E' una buona definizione.
“Dimmi tutto.”
“Vorrei che non morissi da rasetsu.” mormora, piano. Ha gli occhi bassi, due ciuffi neri che gli piovono sugli occhi come due tende.  Poi, è inudibile, o quasi, ma lo sento. “Voglio avere un corpo su cui piangere.”

Io e Toshi.
Beh, siamo proprio una coppia divertente.
Ci odiamo e ci vogliamo bene.
-ma non abbastanza da essere sinceri.

“D’accordo. Fidati di me.”



“Un ragazzo dai capelli bianchi stava combattendo contro
una dozzina di samurai. Una vista terribile.”
...



Note:
Aw.
Sì, beh, insomma -non è proprio una yaoi. Sono, come ho detto su msn ad una mia amica, o due amici molto uniti o due amanti molto discreti.
Trovo che Toshi e Okita siano l'una e l'altra cosa.
In realtà in Hakuouki si odiano, praticamente -sarebbe stato molto, molto più facile andare a parare in fandom come PMK o Gintama. Però io amo quei due, e, sì, trovo che siano meravigliosi insieme.
Anche quando si picchiano.
Confido, come sempre, che se troverete qualche incongruenza storica, o comunque rispetto all'anime, me lo direte °^° Anche sull'OOCcità dei personaggi, per stavolta, non sono affatto sicura.
Toshi è un po' moscio, ecco.
Anyway, la shot è nata da un'immagine di Hakuouki Reimeiroku, in cui Okita -che sta praticamente morendo dissanguato ._.- viene abbracciato da Kondou. <3
E la canzone è, come da titolo, Leave out all the rest.

Volevo dedicarla a qualcuno, ma non so a chi ._.

...XD ok è tutto. Ringrazio in anticipo chi arriverà fino a questa frase, in fondo in fondo, perchè ha avuto il coraggio di sciropparsi tutto 'sto schifo X3
Elle <3

   
 
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