Il sudore
che si muove sulla mia pelle,lentamente,sinuoso come un serpente che
cerca di
sedurmi,mi fa sentire maledettamente vivo.
Il sole
bollente intrappola tutti i palazzi,le gambe nude,gli shorts,i volti
sorridenti
e i capelli in disordine nelle sue fauci.
La
città
affollata,con il suo solito odore di novità.
Sull’asfalto
secco e caldo i
piedi cominciano a farmi
male,mentre continuo a camminare.
Perché
io
voglio andare lontano.
Lo sguardo
mi cade sulle persiane abbassate di quella vecchia abitazione. Siesta
pomeridiana.
Un’abitudine che avevo anche io,prima di perdere il sonno.
Continuo a
nuotare in questo mare di nuche nude e di dolci mani che si sollevano i
capelli
,di movimenti felini e distratti.
L’estate,nel
suo pieno mese di vita,sta leccando questo posto. Con la punta della
sua lingua
sta accarezzando dolcemente e lentamente tutto,dalla punta del
grattacielo fino
al sassolino per terra.
Io continuo
a camminare,pur sapendo di rimanere sempre nello stesso punto.
Perché
quando
una cosa vive nella tua testa non sarai mai abbastanza lontano dalle
sue
radici.
Neanche
finisco di formulare questo pensiero che già
insegne,palazzi,auto,lampioni
prendono la solita fisionomia. QUELLA fisionomia.
Mi dico che
è colpa di quel maledetto sole che mi pugnala gli occhi,ma
lo so che non è
così.
Con il dorso
della mano asciugo il sudore della mia fronte.
Una mano
forte,dura. La mano di un uomo.
Un uomo che
non esiste. Non più.
Potrei
rincorrere in lungo e in largo tutto questo continente,ma non starei
facendo
altro che girare su me stesso.
Non sarei
mai veramente lontano dalle sue labbra morbide,dai suoi occhi
profondi,dal suo
collo bianco,dalla sua dannata voce.
E io vi
posso giurare che quella non è una donna. Una donna non
puo’ toglierti anima e
corpo,sonno e fame.
No. Lei
è
una ferita. E’ una larga e profonda e sempre aperta ferita
nel basso ventre. Un
prurito letale dietro la schiena che non puoi grattarti.
Lei è
l’
Oblio,e io mi faccio risucchiare dentro. Ancora,ancora e ancora.
Quando una
cosa vive nella tua testa,sei morto per metà.
E io non
esisto più.
Chiudo gli
occhi. Il suo solo pensiero mi fa battere il cuore a mille.
Mi appoggio
al muro,gli occhi ancora chiusi,immersi nell’arancione delle
mie palpebre
baciate dal sole.
Respiro.
Tranquillamente,profondamente.
Rilasso i muscoli.
La gente mi
passa davanti. Inutili formiche che corrono.
Il mio cuore
non accenna a rallentare. Le mie tempie sono martelli nella mia
testa,mentre
vengo immerso in un bagno di sudore freddo.
Persino le
ossa cominciano a farmi male.
Follia.
Deliziosa
e dolorosa follia. Tutta questa corsa,questa fuga,questa disperazione.
E’
follia.
Una follia
necessaria.
La mia
sconfitta.
Uccidimi.
Lo voglio.
Tutto si
calma,non sento più dolore.
Riprendo a
camminare,quelle due fitte ancora nei talloni.
Una
particella impazzita che girovaga senza meta. Solo per un attimo mi
fermo a
guardare il mio
riflesso in una vetrina
.
Ed eccoli
lì,quegli occhi profondi,quelle labbra morbide,quel collo
bianco e quelle forme
floride.
Una goccia
di sudore mi scivola tra i seni.
La mia
carnefice ancora a fissarmi.
Ed io
riprendo a camminare,riflettendo sul fatto che vittima e carnefice sono due facce
della stessa
medaglia.
Cammino su
questi tacchi,consapevole del fatto che quando una cosa vive nella tua
testa
significa che sei morto e nato due volte.
Non si può fuggire
da se stessi.