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Autore: Unamuno    13/01/2011    7 recensioni
Avere tante, troppe idee che restano tutte confinate nel proprio mondo, perché non si ha il coraggio di chiamarle e di farle uscire allo scoperto.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Uhm.

La parte difficile di buttare giù un racconto, secondo me, è il titolo.
Trovare un nome, una frase, un detto, od un accostamento di lettere che sia semplice, d'impatto, brillante, attraente, e che racchiuda in sé tutto quel che contiene il proprio racconto, il proprio personaggio oppure il proprio luogo, lo trovo estremamente difficile.

Il libro non si giudica dalla copertina, mi dico sempre, ma non è mai vero.
Insomma, guardare un'immagine da calendario della Ferilli è bello, ma non se sotto c'è scritto "La Sacra Bibbia".
Ognuno ha i suoi gusti, le sue aspettative, le sue paure, e tutto questo si riversa nelle sue scelte.
Per tale motivo il titolo è la cosa più importante da scegliere.
Colpire il lettore, certo, è quello che vuole fare uno scrittore. Magari non con un gancio destro, ma vuole colpirlo. Fargli sapere, o perlomeno farglielo credere, che la sua storia fa parte anche di qualcun altro.
Che c'è un'altra persona su questo globo terrestre che può capire cosa si possa provare in una determinata situazione.
Ed allora il lettore legge. Si appassiona. Viene invogliato. Inizia a pensare, a rimuginare, a riflettere sul proprio percorso, e su quello che invece gli è stato imposto dall'autore.
Scopre un nuovo mondo, un mondo che non si sarebbe mai aspettato di incontrare, e che invece lo porta a sognare con la propria fantasia, e lo fa volare con la mente, libero.
O magari no, perché decide semplicemente che quel racconto è troppo distante da lui, e passa oltre.
E si perde un mondo di fantasia, un mondo che potrebbe far parte di lui, un mondo che potrebbe essere il suo, ma lui non lo giudica all'altezza.
Un titolo è la cosa più importante da scegliere.


Il mio più grande dono è di avere una mente creativa: mi capita molto spesso di trovare idee guardando nei posti più impensabili, ad esempio ieri ho iniziato a scribacchiare qualcosa sul mio palmare in autobus mentre un tizio pestava in pieno una cacca di cane.
Le idee, e la penna, giusto. La mia maestra di italiano mi ha sempre detto che avrei avuto un futuro nel campo letterario, come Dan Brown, oppure Federico Moccia, ma a me non interessa fare soldi mentre tiro fuori la realtà dalla realtà.

I titoli, però, non li ho mai sopportati. Resto con lo sguardo fisso, per minuti e forse addirittura ore, a decidermi su quale nome sia il più decente per il mio neonato di appena 20 anni.

"Richard? No, troppo inglese...
Ted? Non si addice proprio a lui...
Bob? Troppo comune...
...Sarah?"


Ho una mente creativa, mi piace esplorare dappertutto, scandagliare ed analizzare per bene ogni possibilità, ma proprio per questo non riesco a trovare delle soluzioni soddisfacenti al mio problema.

"Oh, bene: Joshua è perfetto per lui! Sembra essere un nome fatto apposta per il protagonista di questa fic!
...ma se invece scegliessi Matthew? Dopotutto, sono belli tutti e due..."


Perché scegliere nomi? Perché lasciarsi trasportare da questa mania? Se chiamassi il protagonista "il protagonista", tutti saprebbero comunque che lo è, anche nel caso in cui egli si chiami "Joshua", "Matthew" oppure "Carmelo".

Anche qui, anche ora. Perché questo mio racconto deve avere un nome?
Per essere meglio indicizzato tra tutta questa sapienza digitale?
Il mio è un accalcarsi di parole su parole, che importa se si chiamino "Joshua", "Matthew" oppure "Carmelo"?
Loro sono parole. Non danno conto a nessuno di ciò.
Potrebbero andarsene e restare celate per sempre, mi basta premere una crocetta in alto a destra dello schermo.

Ma in fondo, a loro ci sono affezionato. Le voglio bene, sono parte di me, di tutti noi.

Anche di te, lettore, che ormai sarai arrivato alla fine di questo mio svago: le parole ci circondano, ci attraversano, e noi non siamo che veicoli di esse.
Possiamo soltanto metterle in fila, una alla volta.
Magari agghindarle un po', con un grassetto qui, un corsivo là, un bel colore vivido da questa parte, oppure ancora una grandezza considerevole da quest'altra.
Ma che importa? Loro restano parole.


E questo mio racconto resta un racconto.
Magari lo declamerò ai miei nipoti, quando ne avrò.


Ed ora... forse "Idee apolidi" potrebbe andare, come titolo...
...magari però è meglio optare per altro, non so...
   
 
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