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Autore: Dea Elisa    13/01/2011    1 recensioni
Ti ritrovi d’un tratto in un enorme letto al buio.
Quando solamente pochi istanti prima eri certa di essere in una specie di sala operatoria stranamente illuminata, con qualcuno che somigliava fortemente a Malosti.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cristiana Gandini, Riccardo Malosti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Temporale a casa Gandini

23 giugno 2010

 

Ti ritrovi d’un tratto in un enorme letto al buio.

Quando solamente pochi istanti prima eri certa di essere in una specie di sala operatoria stranamente illuminata, con qualcuno che somigliava fortemente a Malosti.

 

Sobbalzi quando un secondo tuono – sì, doveva essere il secondo, poiché era stato il primo a causarti il risveglio improvviso – squarcia il silenzio della notte.

 

Ecco.

Proprio nei momenti come questi ti viene spontaneo chiederti perché sei così sfigata da avere solo il cuscino come elemento concreto e possibilmente morbido da abbracciare.

Non ci sono risposte sufficientemente esaurienti, perché il sonno ti rapisce di nuovo.

Inesorabilmente.

 

“Mamma!”

Qualcuno ti scuote.

Qualcuno che, dall'epiteto che ti attribuisce, aveva probabilità di essere tua figlia.

“Mamma svegliati, c'è il campanello che suona da un quarto d’ora!”

Mugugni, rinsavendo dall’ennesimo sogno.

 

“Che… che c’è?” farfugli, confusa.

Ti volti supina: la luce era accesa, ed inutile era ricordare a tua figlia della fotofobia appena svegli.

 

“Ti ho detto che suonano alla porta!”

 

“E vai ad aprire!” gridi anche tu, coprendoti gli occhi col cuscino.

Elena scende dal tuo letto e corre rapida giù per le scale.

 

Ti rintani per la terza volta in quel piacevole stato di dormiveglia.

Interrotto da una voce alternata a periodici silenzi.

“Cristiana?”

 

Poi un’altra più femminile, che si dissolve subito dopo.

“Io gliel’ho detto, di aspettare di sotto!”

 

“Cristiana? Ehi…” ti solleva piano il cuscino dalla faccia.

La luce era appena accennata, quasi l’avessero resa soffusa.

 

Mugugni quando un altro tuono disturba l’atmosfera quieta.

E giù acqua, tamburellante sul tetto.

Si avvicina a te, salendo sul letto.

Incapace di formulare qualcosa di sensato, borbotti ancora.

 

“Ehii” ti sussurra ad un orecchio, appena sopra di te.

Rabbrividisci quando qualcosa dalla consistenza dei petali di un fiore accarezza la tua guancia.

Ti volti piano, intimorita.

E metti a fuoco una rosa rossa.

 

“Che ci fai qui?”

Il tuo tono pseudo-severo correlato di un sorriso fa sorridere anche lui.

 

“Ti pensavo.”

 

“Di solito quando si pensa…”

 

“Non dovevo venire.”

Si solleva.

Tu lo trattieni per un braccio.

 

“Sì.”

Ti guarda con aria interrogativa.

“Sì” ripeti, annuendo.

 

“Sì cosa?”

 

“È bello dire sì ogni tanto, no?”

Ride.

“Perché sei qui?” gli chiedi poi, avvicinandoti.

 

“Per farmi odiare ancora di più da tua figlia?”

 

“Ci sei riuscito, direi.”

Rigiri il fiore tra le tue dita, come incantata.

 

“Ho tolto le spine, hai visto?”

 

Ti volti a guardarlo.

“Potevi lasciarle.”

 

“Perché?”

 

“Perché non ci sono rose senza spine” proverbizzi. “E… le mie spine sei tu.”

 

“Fammi capire una cosa… tu saresti la rosa?”

 

“Ho la faccia da spine?”

 

Si sposta sopra di te.

“L’avrei io?”

 

Il respiro leggermente affannato e coinvolto in una risata si spegne sulle sue labbra.

Il che voleva dire solo una cosa.







   
 
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