Temporale
a casa Gandini
23 giugno 2010
Ti ritrovi d’un
tratto in un enorme letto al buio.
Quando solamente pochi
istanti prima eri certa di essere
in una specie di sala operatoria stranamente illuminata, con qualcuno
che
somigliava fortemente a Malosti.
Sobbalzi quando un secondo
tuono – sì, doveva essere il
secondo, poiché era stato il primo a causarti il risveglio
improvviso –
squarcia il silenzio della notte.
Ecco.
Proprio nei momenti come
questi ti viene spontaneo
chiederti perché sei così sfigata da avere solo
il cuscino come elemento
concreto e possibilmente morbido da abbracciare.
Non ci sono risposte
sufficientemente esaurienti, perché
il sonno ti rapisce di nuovo.
Inesorabilmente.
“Mamma!”
Qualcuno ti scuote.
Qualcuno che, dall'epiteto
che ti attribuisce, aveva
probabilità di essere tua figlia.
“Mamma svegliati,
c'è il campanello che suona da un
quarto d’ora!”
Mugugni, rinsavendo
dall’ennesimo sogno.
“Che…
che c’è?” farfugli, confusa.
Ti volti supina: la luce era
accesa, ed inutile era ricordare
a tua figlia della fotofobia appena svegli.
“Ti ho detto che
suonano alla porta!”
“E vai ad
aprire!” gridi anche tu, coprendoti gli occhi
col cuscino.
Elena scende dal tuo letto e
corre rapida giù per le
scale.
Ti rintani per la terza
volta in quel piacevole stato di
dormiveglia.
Interrotto da una voce
alternata a periodici silenzi.
“Cristiana?”
Poi un’altra
più femminile, che si dissolve subito dopo.
“Io
gliel’ho detto, di aspettare di sotto!”
“Cristiana?
Ehi…” ti solleva piano il cuscino dalla
faccia.
La luce era appena
accennata, quasi l’avessero resa
soffusa.
Mugugni quando un altro
tuono disturba l’atmosfera
quieta.
E giù acqua,
tamburellante sul tetto.
Si avvicina a te, salendo
sul letto.
Incapace di formulare
qualcosa di sensato, borbotti
ancora.
“Ehii”
ti sussurra ad un orecchio, appena sopra di te.
Rabbrividisci quando
qualcosa dalla consistenza dei
petali di un fiore accarezza la tua guancia.
Ti volti piano, intimorita.
E metti a fuoco una rosa
rossa.
“Che ci fai
qui?”
Il tuo tono pseudo-severo
correlato di un sorriso fa
sorridere anche lui.
“Ti
pensavo.”
“Di solito quando
si pensa…”
“Non dovevo
venire.”
Si solleva.
Tu lo trattieni per un
braccio.
“Sì.”
Ti guarda con aria
interrogativa.
“Sì”
ripeti, annuendo.
“Sì
cosa?”
“È
bello dire sì ogni tanto, no?”
Ride.
“Perché
sei qui?” gli chiedi poi, avvicinandoti.
“Per farmi odiare
ancora di più da tua figlia?”
“Ci sei riuscito,
direi.”
Rigiri il fiore tra le tue
dita, come incantata.
“Ho tolto le
spine, hai visto?”
Ti volti a guardarlo.
“Potevi
lasciarle.”
“Perché?”
“Perché
non ci sono rose senza spine” proverbizzi.
“E… le
mie spine sei tu.”
“Fammi capire una
cosa… tu saresti la rosa?”
“Ho la faccia da
spine?”
Si sposta sopra di te.
“L’avrei
io?”
Il respiro leggermente
affannato e coinvolto in una
risata si spegne sulle sue labbra.
Il che voleva dire solo una
cosa.