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Autore: Sarugaki145    13/01/2011    1 recensioni
Tu sei ferma sulla pista di atletica, imbottita con guanti, cappellino, pantaloni pesanti e felpone. Stai riprendendo confidenza con la superficie particolare della pista. Non è ne dura, ne molle, è una via di mezzo. Ti ricordi quante volte hai testato quel terreno, con le scarpe da tennis, con le chiodate o a piedi scalzi.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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..Ricordi di quei miseri 400 metri..

È un tardo pomeriggio di Gennaio, non particolarmente freddo, è mite. Il sole nel pomeriggio splendeva, ora si può intravedere solo qualche raggio ritardatario da dietro le tribune.

Tu sei ferma sulla pista di atletica, imbottita con guanti, cappellino, pantaloni pesanti e felpone. Stai riprendendo confidenza con la superficie particolare della pista. Non è ne dura, ne molle, è una via di mezzo. Ti ricordi quante volte hai testato quel terreno, con le scarpe da tennis, con le chiodate o a piedi scalzi.

In breve tempo ti riabitui a quella consistenza particolare e inizi a saltellare.

Le luci artificiali illuminano 400 metri di pista, in mezzo un prato verde ben curato su cui giocheranno a calcio si e no una volta la settimana, visto com’è intatto.

Inizi a muoverti, corricchi sul posto, poi prendi un bel respiro e facendoti coraggio ti metti a correre.

L’aria gelida inonda i tuoi polmoni e un po’ brucia mentre scende nella trachea, ma ti abitui in fretta.

 Il respiro resta leggero per tutto il primo giro di pista, nel secondo giro ti soffermi e cercare di ricordare quante volte hai calpestato quel terreno, gli amici che ti hanno accompagnato, il caldo e il freddo che hai patito in quei miseri 400 metri. Una vita passata a correre e a rincorrere sogni su quella pista.

Superi un’altra persona, immersa nella musica del suo ipod.

Tu continui a correre, forse più veloce di prima, perché vuoi sentirlo.

Vuoi sentire il tuo corpo che ti parla mentre corri, vuoi sentire il tuo respiro che pian piano diventa affannoso, per poi diventare regolare e sincronizzarsi con le gambe. Vuoi sentire il rumore leggero che fai poggiando i piedi sulla pista. Vuoi sentire i mister che urlano ai piccoli calciatori che si allenano nel campetto li affianco.  Senti tutto quello che due cuffie ti impedirebbero di sentire. Senti tutto e ti culli nei ricordi.

Poi finalmente inizi a sentire quello che volevi: senti le risate, le urla, le voci, il fiato di tutte le persone che ti hanno accompagnato su quella pista. Solo così riesci a ricordarti come ti sei sentito la prima volta ai blocchi di partenza, quando ti eri spaventata per lo sparo e così eri arrivata seconda. Risenti quella voce calma “ai vostri posti, pronti..”. Senti le risate di tuo papà che ti prendeva in giro dopo la gara e che per consolarti ti aveva comprato un panino. Senti il rumore degli altri spari, senti il cuore che non sussulta più per quel rumore secco. Ricordi i visi degli avversari, le smorfie per una vittoria o una conquista, senti il cuore che scoppia di gioia e poi di dolore. Senti il dolore sordo ai polmoni, quando non riuscivano più a pompare aria, senti il dolore alle gambe che cercavano di fare quegli ultimi passi.

Poi ti volti verso gli spalti.

Senti chiaramente le urla, intravedi le persone che urlano il tuo nome, quello degli avversari. Senti un’altra volta la voglia di andare avanti senza paura, senti quella scarica di adrenalina che ti scorre nelle vene, quella follia che ti permette di andare avanti. Ogni muscolo nel tuo corpo è teso, senti le gocce di sudore che ti rigano la fronte e subito sono spazzate via dalla velocità.

Poi tutto si ferma.

Cadi per un dolore lancinante e quasi lacrimando ti tieni il ginocchio destro. Infilzi le unghie nella carne delle mani per non sentirlo, ma non si allevia per niente. Subito lo distendi e inizi a fare stretching come hai già fatto migliaia di volte.

Nulla.

Continua a pulsare di dolore e mentre le lacrime ti rigano il volto accaldato ti rendi conto della realtà.

Non sei più la ragazzina di una volta.

Uno stupido ginocchio ha rovinato tutto. Ha infranto i sogni di una ragazzina catapultandola nella dura realtà.

Non avresti mai potuto correre come desideravi, sapevi che il tuo ginocchio non avrebbe retto allo scatto finale che tante volte avevi desiderato di poter ancora fare.

Tiri un pugno sulla terra fredda.

Perché? Perché hai dovuto abbandonare tutto per uno stupido ginocchio?

Ti rialzi dolorante, con l’amarezza che ti strugge il cuore.

Un sogno. Un sogno infranto di una bambina troppo cresciuta.

  
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