..Ricordi di quei miseri 400 metri..
È
un tardo pomeriggio di Gennaio, non
particolarmente freddo, è mite. Il sole nel pomeriggio
splendeva, ora si può
intravedere solo qualche raggio ritardatario da dietro le tribune.
Tu
sei ferma sulla pista di atletica, imbottita
con guanti, cappellino, pantaloni pesanti e felpone. Stai riprendendo
confidenza con la superficie particolare della pista. Non è
ne dura, ne molle,
è una via di mezzo. Ti ricordi quante volte hai testato quel
terreno, con le
scarpe da tennis, con le chiodate o a piedi scalzi.
In
breve tempo ti riabitui a quella consistenza
particolare e inizi a saltellare.
Le
luci artificiali illuminano 400 metri di
pista, in mezzo un prato verde ben curato su cui giocheranno a calcio
si e no
una volta la settimana, visto com’è intatto.
Inizi
a muoverti, corricchi sul posto, poi
prendi un bel respiro e facendoti coraggio ti metti a correre.
L’aria
gelida inonda i tuoi polmoni e un po’ brucia
mentre scende nella trachea, ma ti abitui in fretta.
Il respiro
resta leggero per tutto il primo giro di pista, nel secondo giro ti
soffermi e
cercare di ricordare quante volte hai calpestato quel terreno, gli
amici che ti
hanno accompagnato, il caldo e il freddo che hai patito in quei miseri
400
metri. Una vita passata a correre e a rincorrere sogni su quella pista.
Superi
un’altra persona, immersa nella musica
del suo ipod.
Tu
continui a correre, forse più veloce di
prima, perché vuoi sentirlo.
Vuoi
sentire il tuo corpo che ti parla mentre
corri, vuoi sentire il tuo respiro che pian piano diventa affannoso,
per poi
diventare regolare e sincronizzarsi con le gambe. Vuoi sentire il
rumore
leggero che fai poggiando i piedi sulla pista. Vuoi sentire i mister
che urlano
ai piccoli calciatori che si allenano nel campetto li affianco. Senti tutto quello che due
cuffie ti
impedirebbero di sentire. Senti tutto e ti culli nei ricordi.
Poi
finalmente inizi a sentire quello che
volevi: senti le risate, le urla, le voci, il fiato di tutte le persone
che ti
hanno accompagnato su quella pista. Solo così riesci a
ricordarti come ti sei
sentito la prima volta ai blocchi di partenza, quando ti eri spaventata
per lo
sparo e così eri arrivata seconda. Risenti quella voce calma
“ai vostri posti,
pronti..”. Senti le risate di tuo papà che ti
prendeva in giro dopo la gara e
che per consolarti ti aveva comprato un panino. Senti il rumore degli
altri
spari, senti il cuore che non sussulta più per quel rumore
secco. Ricordi i
visi degli avversari, le smorfie per una vittoria o una conquista,
senti il
cuore che scoppia di gioia e poi di dolore. Senti il dolore sordo ai
polmoni,
quando non riuscivano più a pompare aria, senti il dolore
alle gambe che
cercavano di fare quegli ultimi passi.
Poi
ti volti verso gli spalti.
Senti
chiaramente le urla, intravedi le persone
che urlano il tuo nome, quello degli avversari. Senti
un’altra volta la voglia
di andare avanti senza paura, senti quella scarica di adrenalina che ti
scorre
nelle vene, quella follia che ti permette di andare avanti. Ogni
muscolo nel
tuo corpo è teso, senti le gocce di sudore che ti rigano la
fronte e subito
sono spazzate via dalla velocità.
Poi
tutto si ferma.
Cadi
per un dolore lancinante e quasi lacrimando
ti tieni il ginocchio destro. Infilzi le unghie nella carne delle mani
per non
sentirlo, ma non si allevia per niente. Subito lo distendi e inizi a
fare
stretching come hai già fatto migliaia di volte.
Nulla.
Continua
a pulsare di dolore e mentre le lacrime
ti rigano il volto accaldato ti rendi conto della realtà.
Non
sei più la ragazzina di una volta.
Uno
stupido ginocchio ha rovinato tutto. Ha infranto
i sogni di una ragazzina catapultandola nella dura realtà.
Non
avresti mai potuto correre come desideravi,
sapevi che il tuo ginocchio non avrebbe retto allo scatto finale che
tante
volte avevi desiderato di poter ancora fare.
Tiri
un pugno sulla terra fredda.
Perché?
Perché hai dovuto abbandonare tutto per
uno stupido ginocchio?
Ti
rialzi dolorante, con l’amarezza che ti
strugge il cuore.
Un
sogno. Un sogno infranto di una bambina
troppo cresciuta.