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Autore: crisalide    14/01/2011    2 recensioni
Lei, che non era grembo ma gonfio ventre.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DDDDDD

LEI.

 

 

 

Respiravo velocemente, a fondo e i miei polmoni urlavano, i miei polmoni erano freddi ma non respiravo ossigeno, perché nell’aria c’era lei, lei che riempiva i miei polmoni e mi scendeva per la gola, dentro la mia gola scendeva lei.
Camminavo velocemente tra muri di pietra, ma la pietra non era scura, non era pietra perché tra me e i muri c’era lei, lei che storpiava la luce dei lampioni facendoli sembrare mostri che squarciavano la notte, notte che non era notte perché nella notte lei era scesa, a imputridirne le tenebre.
I miei passi, i miei passi risuonavano come amplificati nel silenzio, silenzio che non era realtà perché… beh, perché la realtà non era lei. Era venuta a coprirla, la realtà, che pure la faceva a pezzi.
La ghiaia gemeva sotto le suole perché era lei, che pure la pietra faceva tremare per l’agonia, la rendeva essere mostruoso come rendeva mostro pure la luce, luce che non illuminava perché nella luce c’era lei.
Dentro le vetrine al caldo, gli uomini non erano uomini ma corpi, perché tra me e loro c’era lei, e le loro anime le aveva risucchiate nel suo ventre, e questi non era che il luogo dove mi trovavo, io, io ero nel suo ventre.
Dietro le mie spalle scure poi, c’erano loro, loro correvano dietro i miei passi affrettati e mi afferravano le spalle, ma rifuggivano gli occhi perché nei miei occhi c’era lei, solo lei riempiva il mio sguardo, e loro erano demoni la cui presenza mi correva accanto, mi lambiva la pelle.
Nel negozio, nel negozio non c’ero io ma lei, non ha parlato la mia bocca ma la sua, perché io non ero più io ma io ero lei, nient’altro che lei, nulla al di fuori di lei e lei che si era presa la mia anima, si era mangiata il mio corpo tanto che nel negozio non sono entrata io ma lei, non è entrata una donna ma un mostro appena partorito dal suo ventre rigonfio e ancora ricoperta dal sudiciume del parto.
All’esterno… all’esterno non era lei ma io, perché la notte era lei, e gli altri non-uomini come me lei li ingoiava davanti al mio sguardo terrorizzato, e io non facevo che fuggirne, fuggire dai non-uomini, perché loro erano lei e lei mi faceva paura.
Nei vicoli… nei vicoli io fuggivo e le macchine mi rincorrevano, macchine che mi atterrivano perché le macchine non erano lei, che ormai era il mio ossigeno.
Per le strade, i vuoti dei portoni erano pozzi di tenebra che tenebra non era, perché era tenebra di lei, alito delle sue fauci infernali; lontano dai lampioni, in fondo alla via mi sono infine immersa in lei, perché a casa, nel mio rifugio dovevo rintanarmi come un animale braccato; ma davanti alla porta le mie mani tremavano e nel mio rifugio c’era lei, c’era lei perché io l’avevo lasciata entrare, perché io ero lei e lei era ancora nei miei occhi e nelle mie carni che tremavano sulle ossa.
Mi sono tolta i vestiti ma sui miei vestiti c’era lei, ero nuda ma sulla mia pelle lei danzava ancora, lei la copriva ancora come una seconda pelle, una cappa, un abito da mostro su corpo umano perché lei, lei era su di me.

Lei, che non era grembo ma gonfio ventre.

 

   
 
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