LEI.
Respiravo velocemente, a fondo e i miei polmoni urlavano,
i miei polmoni erano freddi ma non respiravo ossigeno, perché nell’aria c’era
lei, lei che riempiva i miei polmoni e mi scendeva per la gola, dentro la mia
gola scendeva lei.
Camminavo velocemente tra muri di pietra, ma la pietra non
era scura, non era pietra perché tra me e i muri c’era lei, lei che storpiava
la luce dei lampioni facendoli sembrare mostri che squarciavano la notte, notte
che non era notte perché nella notte lei era scesa, a imputridirne le tenebre.
I miei passi, i miei passi risuonavano come amplificati
nel silenzio, silenzio che non era realtà perché… beh, perché la realtà non era
lei. Era venuta a coprirla, la realtà, che pure la faceva a pezzi.
La ghiaia gemeva sotto le suole perché era lei, che pure
la pietra faceva tremare per l’agonia, la rendeva essere mostruoso come rendeva
mostro pure la luce, luce che non illuminava perché nella luce c’era lei.
Dentro le vetrine al caldo, gli uomini non erano uomini ma
corpi, perché tra me e loro c’era lei, e le loro anime le aveva risucchiate nel
suo ventre, e questi non era che il luogo dove mi trovavo, io, io ero nel suo
ventre.
Dietro le mie spalle scure poi, c’erano loro, loro
correvano dietro i miei passi affrettati e mi afferravano le spalle, ma
rifuggivano gli occhi perché nei miei occhi c’era lei, solo lei riempiva il mio
sguardo, e loro erano demoni la cui presenza mi correva accanto, mi lambiva la
pelle.
Nel negozio, nel negozio non c’ero io ma lei, non ha parlato
la mia bocca ma la sua, perché io non ero più io ma io ero lei, nient’altro che
lei, nulla al di fuori di lei e lei che si era presa la mia anima, si era
mangiata il mio corpo tanto che nel negozio non sono entrata io ma lei, non è
entrata una donna ma un mostro appena partorito dal suo ventre rigonfio e
ancora ricoperta dal sudiciume del parto.
All’esterno… all’esterno non era lei ma io, perché la
notte era lei, e gli altri non-uomini come me lei li ingoiava davanti al mio
sguardo terrorizzato, e io non facevo che fuggirne, fuggire dai non-uomini,
perché loro erano lei e lei mi faceva paura.
Nei vicoli… nei vicoli io fuggivo e le macchine mi
rincorrevano, macchine che mi atterrivano perché le macchine non erano lei, che
ormai era il mio ossigeno.
Per le strade, i vuoti dei portoni erano pozzi di tenebra
che tenebra non era, perché era tenebra di lei, alito delle sue fauci
infernali; lontano dai lampioni, in fondo alla via mi sono infine immersa in
lei, perché a casa, nel mio rifugio dovevo rintanarmi come un animale braccato;
ma davanti alla porta le mie mani tremavano e nel mio rifugio c’era lei, c’era
lei perché io l’avevo lasciata entrare, perché io ero lei e lei era ancora nei
miei occhi e nelle mie carni che tremavano sulle ossa.
Mi sono tolta i vestiti ma sui miei vestiti c’era lei, ero
nuda ma sulla mia pelle lei danzava ancora, lei la copriva ancora come una
seconda pelle, una cappa, un abito da mostro su corpo umano perché lei, lei era
su di me.
Lei, che non era grembo ma gonfio ventre.