Buongiorno!
Il capitolo non è molto lungo, l'ho concluso proprio ora.
Sinceramente non mi soddisfa granchè. La parte centrale di
questa storia è un pò difficile da scrivere, mi sembra
sempre di rendere tutto banale.
Spero di far meglio la prossima volta.
In questo capitolo vedremo Meredith alle prese con i primi allenamenti.
Riuscirà a impedire a Destino di penetrarle la mente?
Buona lettura e grazie infinitamente per le vostre meravigliose parole. Ne sono sempre entusiasta!!!
Capitolo 32 “Missione: proteggere la propria mente”
Dopo quella volta, io e Edward avevamo
imparato a riservarci uno spazio tutto nostro, quando era possibile.
Credo tutto questo fosse dovuto anche
alla paura che entrambi avevamo di perderci. Nessuno dei due l’aveva detto
all’altra, ma era tangibile ogni volta che ci stringevamo o ci baciavamo, o
semplicemente ci scambiavamo occhiate languide.
A scuola nel frattempo, fervevano i
preparativi per il grande ballo fissato per il 5 giugno. Tutte le ragazze erano
in agitazione, i loro discorsi erano tutti incentrati sugli abiti, trucchi e
quant’altro.
I professori, ormai rassegnati, non
sapevano più cosa fare per riportare tutti all’ordine.
Io e Edward eravamo gli unici a
fregarcene.
Ce ne stavamo nel nostro angolino ad
osservare, chiusi nella nostra piccola bolla.
Il tempo era volato talmente velocemente
che eravamo giunti all’ultimo giorno di scuola.
Io la vivevo diversamente rispetto agli
altri.
Non avrei preso il diploma con tutti gli
altri, con molta probabilità
No: non avevo ancora deciso se andare o
restare, però avvertivo uno strano sentore nell’aria.
Nei giorni precedenti avevo iniziato
anche gli allenamenti con Kabkaiti.
Spesso erano avvilenti e stancanti.
Sforzarsi mentalmente di respingere
delle voci o dei sentimenti, era complesso. Richiedeva una grande capacità di
concentrazione e una certa dose di volontà.
Non ne ero priva, solo che ero talmente
stanca da non essere preparata adeguatamente.
Kabkaiti mi aveva spiegato che la mente
umana era come una specie di muraglia.
Una muraglia che non sempre era così solida.
“Essa nasce e si modella con noi, con le
nostre esperienze. Così come noi cresciamo e ci evolviamo, la muraglia acquista
consistenza e importanza. È un po’ come la personalità di un individuo. Gli
episodi della vita la plasmano, ro fortificandola o indebolendola. La tua è
molto particolare, Meredith” il saggio camminava avanti e indietro, calpestando
con forza, nonostante l’età, l’erba del bosco.
“Perché?” chiesi, arrestando il suo
andirivieni.
Kabkaiti fermò le sue pupille nelle mie.
“La morte di tua madre ha inciso
parecchio su di te! E la tua muraglia ne porta segni ben evidenti: fori e
piccole fessure che permettono a Destino di introdursi in te e parlarti. Ma in
te è racchiusa, non so come, né perché, la forza di Jannasute ed è proprio
questa a farti rimanere in piedi. Dobbiamo sfruttare il tuo potenziale per
ricostruire la muraglia e renderla invalicabile” spiegò riprendendo a
camminare.
“Questo spiegherebbe perché Edward
talvolta riesce a leggermi la mente” proferii pensieroso.
“Si e no! Il potere di quel vampiro si
basa sulle frequenze su cui viaggiano i pensieri, le muraglie non gli
impediscono il passaggio, altrimenti non sarebbe possibile leggere nella mente
di tutti. Il fatto è che i poteri dei vampiri funzionano diversamente e in modo
più amplificato rispetto alla mente umana”
“E allora perché il potere di Edward
funziona a tratti su di me?” domandai, confusa da tutte quelle notizie.
“Sei tu che favorisci o meno, la lettura
del pensiero. Te l’ho detto Meredith: tu sei diversa dagli altri, il tuo scudo
assorbe tutto e se nel momento in cui Edward tenta di penetrare la tua mente,
esso è in azione, seppur involontariamente, lo dissolvi e gli impedisci di
leggerti” disse.
Da allora, mi ero impegnata al massimo,
ma probabilmente non bastava.
“Meredith sforzati! Elimina ogni
pensiero negativo e focalizzati su ciò che ami. Tu lotti per le persone a te
care. Le vuoi difendere? Vuoi che non venga fatto loro del male?” la sfida
nella voce del saggio era evidente.
“Certo!” risposi pronta, raddrizzandomi
e pulendomi il pantalone sporco di terreno.
“E allora combatti!” esclamò Kabkaiti.
Nello stesso istante egli si concentrò, gli occhi fissi su di me. Fu così che
partì il nuovo attacco.
Un sottilissimo filo di pensieri penetrò
nel mio cervello, lo sentii chiaramente strisciare, superando ogni barriera.
Chiusi gli occhi per sforzarmi
maggiormente.
Un fulmine e la mia mente viaggiò
indietro nel tempo…
<< Ero nella mia camera.
Fuori gli uccelli cantavano allegri, eravamo in piena estate ed io ero
solita starmene seduta sul davanzale della finestra in stanza, a leggere un
buon libro.
Andrew era in salotto a studiare quei grossi tomi di medicina generale.
Abitudine che aveva preso da quando nostra madre era morta. Lo aiutava a
non pensare, un po’ come succedeva a me con la lettura.
Leggevo per la terza volta consecutiva “Twilight”e sorridevo teneramente
ogni volta che Edward si mostrava così premuroso e innamorato nei confronti di
Bella. Nello stesso momento, la mia mente viaggiava e immaginava cose
insensate, come una persona tale e quale ad Edward che mi amasse in quel modo
assolutamente perfetto.
Alzai lo sguardo dal libro e mi misi a fissare il cielo. Era così azzurro
e limpido da dare quasi fastidio agli occhi, ma era piacevole perché mi metteva
di buon umore ed io non avevo intenzione di rovinarmelo. Se non fosse stato per
quelle quattro pettegole che stavano passando sotto casa mia.
Si fermarono a pochi passi da casa mia e si misero ad urlare “Meredith!!!
Che fai chiusa in casa con questa bella giornata?” fu automatico per me, girare
la testa verso di loro. Le riconobbi immediatamente: erano quattro ragazze che
venivano in classe con me. Le più oche e odiose che avessi mai avuto il
dispiacere di conoscere.
Sospirai già conscia che mi avrebbero presa in giro.
“Sto leggendo” risposi, mostrando loro il libro e salutandole con un
finto sorriso.
Come mi aspettavo, si lanciarono occhiate complici e poi scoppiarono a
ridere.
Ovviamente ridevano di me, ma ero abituata anche a quello.
“Oh allora scusaci se abbiamo interrotto quest’attività così
interessante” ciarlò una di loro.
“Ti lasciamo proseguire questa intensa relazione sociale col tuo libro”
aggiunse un’altra.
Storsi la bocca per la pessima battuta. Non erano neanche capaci di far
ridere.
Le salutai con un cenno della mano e tornai di nuovo al mio adorato
libro.
Ero nuovamente con Edward. Lui si che mi amava sul serio e mi proteggeva
dalle intemperie del mondo… >>
Sentii il piede sinistro indietreggiare,
seguito ben presto anche da quello destro.
Stavo nuovamente permettendo a Kabkaiti
di infilarsi nella mia testa.
“Combatti! Reagisci! Non farti dominare
dai ricordi!” gridò e grazie a quell’incitamento ritrovai la concentrazione.
Dovevo farlo per Edward e per la sua
famiglia.
Per Charlie e il suo goffo modo di dimostrarmi
affetto.
Per me stessa, per mio fratello Andrew e
per mia madre.
Lei avrebbe voluto che combattessi e
fossi forte.
Così spalancai gli occhi di botto e non
so come, quel filo invisibile che mi martellava la testa, si dissolse.
Kabkaiti tornò in posizione retta,
sorridendo mellifluo.
“Bene” disse “Vedo che inizi a
rispondere ai miei attacchi” intrecciò le mani sul petto.
“Per oggi basta così, va a casa a
riposarti. Presto potremmo coinvolgere nelle nostre esercitazioni anche i
Cullen, così mostreremo loro quali sono i tuoi reali poteri” asserì serio.
“Ma saggio!” lo interruppi “Non li
conosco neanche io questi poteri, come posso mostrarli a loro?” domandai.
Kabkaiti rimaste immobile per qualche
istante, suscitando in me un’innaturale agitazione.
“Lo scoprirai molto presto. Ricorda
quello che ti ho detto: tieni fuori dalla mente sentimenti e ricordi.
Concentrati solo su te stessa, immagina di dover issare un muro che protegga te
e la tua mente. Esercitati, Edward può esserti d’aiuto” annuii alle sue parole
e contemporaneamente il mio corpo si rilasso, tanto che sbadigliai.
“Torna a casa, Meredith e abbi fiducia
in te stessa” detto questo sparì.
Dopo un iniziale smarrimento, scossi la
testa e mi diressi verso casa di Jacob, ma mi fermai prima, quando dal suo
garage sentivo provenire degli strani lamenti.
Allarmata, mi precipitai verso la porta.
Con facilità l’aprii.
“C’è qualcuno?” chiesi entrando con
titubanza, misurando ogni passo.
Il cuore che mi era salito in gola.
D’un tratto i lamenti cessarono e mi
spaventai maggiormente.
“Jacob?” chiamai “Sono Meredith. Sei
tu?” continuai, nella vana speranza che qualcuno mi rispondesse.
Feci qualche altro passo in avanti e
avvertii un fruscio provenire alla mia sinistra.
Tre motociclette ostacolavano la mia
visuale, così mi sporsi oltre e scorsi una figura ripiegata su se stessa.
Quando ne riconobbi il viso, sussultai.
“Jacob!” esclamai avvicinandomi e
chinandomi su di lui.
“Jacob sono Meredith, guardami!” lo
intimai, accarezzandogli la testa.
Lui obbedì, mostrandomi oltre il viso
anche un’enorme ferita sanguinante sul braccio destro.
Spalancai gli occhi turbata.
“Cosa accidenti è successo?” dissi,
indicandogli il braccio.
Jacob sembrò trattenere un’imprecazione,
vedevo che respirava a fatica.
“Lo sai no che sono un lupo” rispose con
una punta d’astio nella voce.
Annuii, sorvolando sul modo in cui
l’aveva detto.
“Ho avuto uno scontro, tutto qui e tu
non dovresti essere in questo posto” ringhiò.
Non mi mossi. Non lo temevo.
Lo fissai dritto negli occhi.
“Con chi ti sei scontrato?” domandai a
bruciapelo e con durezza.
Jacob sembrò voler evitare di
rispondermi, ma gli afferrai il viso tra le mani e lo spinsi a guardarmi.
“Non lo ripeterò ancora: chi ti ha fatto
questo?” il mio tono di voce era quasi irriconoscibile. Il mio fu quasi un
ordine e il lupo davanti a me, sembrò capirlo e non potè fare a meno di
rispondermi.
“Dei vampiri” a quel nome, strinsi i
denti.
“Continua!” lo intimai con lo stesso
timbro di prima.
“Si sono introdotti nel nostro
territorio. Sam ci ha detto che i Cullen stanno tenendo d’occhio le sparizioni
a Seattle avvenute qualche mese fa” annuii a quelle parole.
“Bene. Abbiamo tutte le ragioni di
credere che si tratti degli stessi vampiri che hanno ammazzato tutta quelle
gente innocente” digrignò i denti, irritato.
“Quanti ne erano?” chiesi con interesse.
“Tre. Due maschi e una femmina. È stata
lei ad aggredirmi e a ferirmi. Bastarda!” esclamò, stringendo i pugni e poi
lamentandosi per il dolore.
“Ti porto da Carlisle” dissi. Jacob mi
guardò stranito, poi scosse la testa.
“Noi possiamo guarire, dovresti saperlo”
“Ferite così profonde vanno curate. Non
possono guarire! Quindi andiamo! Edward sarà di sicuro al confine ad
attendermi” mi alzai in piedi, porgendogli una mano.
Jake la fissò. “No, non mi faccio mettere
le mani addosso da una sanguisuga” proferì con astio.
In risposta io indurii lo sguardo.
“Sei uno stupido! Voi e questa
stupidissima rivalità! Ancora dovete capire che i Cullen non vogliono essere
ciò che sono? Metti da parte l’orgoglio e lascia che ti aiuti!” gridai.
Forse furono le mie parole a
convincerlo, fatto sta che Jacob afferrò la mia mano e mi seguì in silenzio.
Giunti al confine, Edward uscì dalla
macchina venendoci incontro.
Uno sguardo omicida diretto al lupo che
sorreggevo con fatica.
Gli schioccai un’occhiata d’avvertimento
e lui sembrò capire.
“Che è successo?” domandò rivolto a me.
“Vampiri” lui annuì “Portiamolo da
Carlisle” aggiunse, aiutandomi a sistemarlo nell’abitacolo della macchina.
“Sembra svenuto” constatò.
“Si” mormorai, asciugandogli la fronte
imperlata di sudore.
“Sei preoccupata?” chiese Edward
abbracciandomi e baciandomi il capo.
“Molto. Per lui, per noi. Per tutti.
Temo che questi vampiri siano legati a Destino e penso di non sbagliarmi”.
Edward non disse nulla. Restò in
silenzio.
Casa Cullen come sempre era
perfettamente in silenzio.
La gip di Emmett non c’era, quindi con
tutta probabilità era fuori con Rosalie.
Appena entrammo fummo assaliti da
un’Alice preoccupatissima.
“Ho avuto una visione” disse fissando il
licantropo svenuto tra le braccia di Edward.
“Ho visto tre vampiri, poi tutto
confuso. Credevo ti fosse successo qualcosa” aggiunse venendomi incontro e
abbracciandomi.
“Quando sei nel territorio dei lupi non
posso vederti e…accidenti ho temuto il peggio. Non…non sapevo che fare” non
l’avevo mai vista né sentita così agitata.
“Alice calmati! Sto benissimo. Ero col
saggio ad allenarmi. Non ci siamo accorti di eventuali scontri. Ho trovato
Jacob per caso. Approposito” dissi, sciogliendo l’abbraccio.
“Tuo padre è in casa?” chiesi
guardandomi attorno e non vedendo nessuno.
“E’ nel suo studio. Vi ha sentiti
arrivare. Raggiungetelo!”
E così facemmo.
“Fortunatamente la ferita non è
profonda” asserì Carlisle con convinzione, dopo aver analizzato il braccio di
Jacob.
“Ora lo medico, appena si sveglierà si
sentirà un po’ intontito. È il caso che veda te per prima, Meredith” disse
rivolgendosi a me.
Annuii.
“Toglimi una curiosità” continuò
sorridendomi “Come hai fatto a convincerlo a seguirti?”
Senza volerlo arrossii. Sentivo che
anche Edward voleva pormi la stessa domanda e per quel motivo mi stava
guardando.
“Gliel’ho ordinato in un certo senso.
Non so…però ha funzionato, infatti ora è qui!” sorrisi appena e Carlisle annuì
convinto.
“Ora lasciamolo riposare” il dottore ci invitò
a lasciare la stanza.
“Credo che sia il caso di avvertire Sam”
disse Edward rivolto al padre.
“Si, figliolo. Credo tu abbia ragione.
Ci penso io. Voi andate pure”.
Così Edward ed io ci ritrovammo in
corridoio.
“Avverto Charlie che sono qui” sospirai
“Cos’hai?” domandò il mio ragazzo con
tono preoccupato
Scossi il capo.
“Niente. Penso a Charlie. Mi dirà
sicuramente che ultimamente passo più tempo qui che a casa con lui. Mi spiace
che lo pensi…”
“Però?”
Alzai le spalle.
“Però io voglia di stare insieme a te,
chiacchierare liberamente di tutto e a casa mia quando c’è mio padre di mezzo,
è impossibile. Ci controlla a vista” sbuffai.
Edward ridacchiò.
Lo guardai stralunata.
“L’hai definito nuovamente tuo padre”
sorrise “E comunque lo sai. I padri sono gelosi delle loro figlie femmine”
cantilenò prendendomi in giro e stringendomi a lui.
Sbuffai nuovamente.
“Su, su. Raccontami un po’ di questi
allenamenti con il saggio” fu così che mi lasciai trascinare in camera sua.
Tra un bacio e una mezza parola, gli chiesi
di aiutarmi con gli allenamenti.
Gli spiegai ciò che mi aveva detto il
saggio e lui accettò volentieri.
Sapevo che le cose si stavano facendo
sempre più complicate e temevo che ben presto la finta quiete di quel momento,
si sarebbe spezzata e il vero inferno avrebbe avuto inizio.