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Autore: Wendy C    16/01/2011    2 recensioni
Erano gli anni delle grandi rivoluzioni, dell’emancipazione femminile. Quando si ripensa a quegli anni si va sempre a parare alle rivoluzioni operaie e studentesche del sessantotto, ma quello che a me è rimasto veramente impresso è stata la vera e propria rivoluzione sessuale che ci fu tra noi giovani...
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: George Harrison, John Lennon , Nuovo personaggio, Paul McCartney , Ringo Starr
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Back to the Sixties.



 

Have some fun tonight
Some fun tonight.
Long Tall Sally – The Beatles



Ricordo alla perfezione quella giornata, sono passati tanti anni ormai, ma la ricordo come se fosse stato ieri. Ricordo l’odore di quella fontana, ricordo il suo profumo e anche gli ideali che tutti noi ci portavamo appresso. Quegli anni, gli anni sessanta, sono stati i migliori della mia vita, non li rimpiango, magari provo nostalgia, ma in ogni caso li ricordo con felicità perché se ora sono questa persona è anche grazie a loro.

Era la mattina del 28 giugno 1965, Roma risplendeva sotto al sole cocente e appena aprii gli occhi mi investii il profumo dei croissant appena sfornati nella pasticceria sotto casa.
Mi svegliai ansiosa e impaziente quella mattina; la sera prima, ero andata con la mia amica Nicoletta  al Piper Club e Giorgio, uno dei tanti ragazzi che frequentava Nicoletta, ci aveva promesso di venderci gli ultimi due biglietti rimasti per il concerto dei Beatles al cinema Adriano. Avremmo dovuto raggiungerlo il giorno dopo alle dieci in piazza Cavour. Io però ero troppo emozionata per aspettare fino alle dieci, così mi misi un vestitino nero che arrivava a coprirmi giusto il sedere, con le maniche a tre quarti e un paio di stivali, diedi una veloce occhiata allo specchio, sistemai la mia frangetta rossa passandoci sopra con le mani e corsi a rotta di collo giù per le scale per raggiungere Nicoletta che abitava dall’altra parte della via.
-Dove pensi di andare con quel vestito così spudoratamente corto Caterina?- chiese mia madre guardandomi in tralice e con le mani sui fianchi, come era abituata fare quando era arrabbiata.
-Ehm…non è poi così corto dai!- cercai di giustificarmi tirando verso il basso i lembi del vestito.
-Vai subito a cambiarti!! Non esci di casa conciata così! Sembri una prostituta santo cielo!!-
-Ma mamma…-
-ORA!! Altrimenti stasera puoi sognartelo il concerto di quei tre scarafaggi- tuonò mia madre.
-Sono quattro e poi…non sono degli scarafaggi…- borbottai salendo nuovamente le scale.


Quella era l’età peggiore, almeno, era quello che pensavo allora, da diciassettenne con tanta voglia di cambiare e di essere indipendente, ma che doveva sempre fare i conti con i propri genitori abbastanza conservatori. Erano gli anni delle grandi rivoluzioni, dell’emancipazione femminile. Quando si ripensa a quegli anni si va sempre a parare alle rivoluzioni operaie e studentesche del sessantotto, ma quello che a me è rimasto veramente impresso è stata la vera e propria rivoluzione sessuale che ci fu tra noi giovani, il modo di vestirsi era cambiato, non più castigato come negli anni cinquanta e di conseguenza era cambiato anche il modo di porsi al resto del mondo. Le persone erano più spregiudicate, c’erano meno tabù e dentro di te sapevi che avresti potuto spaccare il mondo. Altro fattore che ha temprato il mio carattere è stata la musica, adoravo la musica Beat. Tutti adoravamo quel tipo di musica, andavamo al Piper perché era uno dei pochi locali in cui potevamo ascoltare i gruppi inglesi, che il rock l’avevano nel sangue, non come gli italiani. Nessuno di noi ascoltava i cantanti italiani, ci facevano schifo.

Torno ad uscire più ansiosa di prima, con indosso un paio di fuseaux blu che arrivano fino sotto al ginocchio e una camicetta bianca con fiori blu rossi e gialli sopra.
-Io esco!!- urlo prima di chiudermi la porta alle spalle e correre a casa di Nicoletta.
Nico era la mia migliore amica da sempre, abbiamo deciso insieme di iniziare ad andare al Piper. La prima sera che abbiamo messo piede in quel “luogo di perdizione”, come lo chiamava mia madre, eravamo entrambe abbastanza impacciate e fuori luogo, ma ormai, dopo quasi sei mesi, ci eravamo ambientate decisamente bene, se poi quella sera fossimo riuscite anche solo a farci fare un autografo dai Beatles saremmo sicuramente diventate le beniamine del Piper.
Quando entrai in camera di Nico, la trovai davanti allo specchi che cercava di cotonarsi i capelli.
-Secondo te come dovrei portarli stasera? Sai, vorrei tanto farmi notare da Paul- mi chiese con occhi sognanti.
-Non so Nico, prima dovremmo assicurarci di avere i biglietti- ammetto che forse ero un tantino preoccupata, non volevo brutte sorprese e non volevo restare delusa. E se quel Giorgio non aveva i biglietti come ci aveva detto?
-Non preoccuparti Cate!! Ci possiamo fidare di Giorgio, è un bravo ragazzo-
-Lo spero per lui, perché altrimenti potrei uccidere, non ho quasi dormito stanotte al pensiero di poter vedere George!!-
George Harrison. Ai miei occhi era un adone greco. Bello da morire, con un sorriso disarmante e un corpo perfetto. Non ho mai potuto soffrire i ragazzi super-palestrati, ho sempre preferito i fisici asciutti come il suo. Adoravo tutto di lui, pure il suo monociglio, a mio modesto parere era l’unico che poteva permetterselo senza sembrare bigfoot o un lupo mannaro.
-Certo Cate! Non preoccuparti, piuttosto aiutami a pensare che vestito scegliere per stasera. Tu cosa ti metti?- mi chiede Nicoletta tutta su di giri.
-Oddio! Non ci ho pensato!! Credo che metterò il vestitino nero, quello corto-
-Ottima idea, ti sta da Dio quel vestito! Io penso che metterò questo- ed estrasse dall’armadio un vestitino rosso con dei pois bianchi. Era molto grazioso, aveva le maniche corte e il colletto con dei bottoncini. Si abbinava perfettamente ai suoi capelli biondo platino.
Non passò molto tempo che era già ora di raggiungere Giorgio in piazza Cavour, tenevo la borsetta, con dentro i soldi per il biglietto, saldamente stretta al petto, come se ne andasse della mia stessa vita.
Corremmo come due pazze fino alla fermata dell’autobus e naturalmente una volta sopra non pagammo il biglietto, come sempre. Era divertente, un po’ come giocare alla roulette russa, fino a quando nessun controllore ti beccava continuavi a farlo e anche dopo a dir la verità. Per ora ero stata beccata una sola volta.
Arrivate in piazza rimanemmo per quasi un’ora ad aspettare sedute vicino alle aiuole che circondavano la statua di Cavour. Incominciavo a spazientirmi, come si permetteva quel tipo di darci buca cosi? Tutti i miei sogni sui Beatles potevano andare a farsi benedire se quel Giorgio non si faceva vivo.
-Nico, se non si fa vivo io giuro che…-
-Gli taglierò la testa! Lo so, lo so- concluse per me visto che ormai era la ventesima volta che lo ripetevo.
-Eccolo la!- disse ad un certo punto Nicoletta indicandolo con il dito.
Scattai in piedi come un furetto impazzito e aspettai che quel tizio riccioluto e con gli occhiali si avvicinasse a noi.
-Nicoletta…sei sempre uno splendore!- esordì Mr Casanova dei miei stivali.
-E tu sei?- si rivolse poi a me con sguardo da triglia lessa, ma che secondo lui doveva essere affascinante.
-Caterina, hai i biglietti?- chiesi subito di getto senza troppe moine. Era quasi mezzogiorno e volevo tornare a casa, mangiare qualcosa e passare il resto del pomeriggio con Nico a trovare un’acconciatura decente per i miei capelli.
-Certo, certo. Tranquilla bambola- rispose lui con voce cantilenante, era davvero un tipo disgustoso, non so proprio come facesse Nico ad uscirci.
-Gio, davvero, abbiamo fretta…se vuoi domani usciamo assieme- rispose Nico prima di me, perché sapeva che altrimenti non avremmo cavato un ragno dal buco.
-Okay, tieni i biglietti bellezza- e fece per porgerglieli –Sono 8000 lire in tutto- e così estrassi i soldi dalla borsa e con un movimento felino presi i biglietti e mi tenni i soldi però.
-Nico scappaaaa- nel dirlo mi buttai in mezzo alla strada, stava giusto passando il nostro autobus, saltai sul mezzo insieme a Nicoletta che rideva come una pazza e feci il dito medio al povero Giorgio che ci guardava sbalordito dall’altra parte della strada e non aveva ancora capito cosa fosse successo.


Quel pomeriggio passò in fretta, tra canzoni dei Beatles e smalti per le unghie. Tutto ciò che ci si può aspettare da due ragazzine, nulla più nulla meno, vivevamo di sogni e di musica. Io volevo andare a vivere a Londra, volevo diventare una fotografa, amavo l’arte e amavo l’atmosfera della Swinging London, a quei tempi era considerata il centro del mondo, La Mecca dell’arte. Personaggi come Mary Quant, la pop art, i Beatles o gli Who. Amavo quel senso di libertà e innovazione che si respirava, e volevo a tutti costi andare a vivere li.

Alla sera, la fatidica sera, uscii di casa vestita in modo molto sobrio; un paio di jeans a vita alta e strettissimi e una camicetta marrone annodata in vita. Però portavo con me una borsetta molto più capiente e appena svoltai l’angolo con Nicoletta mi nascosi in un vicolo cieco e mi cambia d’abito. Misi un vestitino bianco molto corto con le maniche lunghe e larghe in fondo. Aveva un bel colletto con le rifiniture blu e sotto portavo delle decolté con un po’ di tacco.
Proveniva direttamente da Londra quel vestito, l’aveva preso mia sorella a Carnaby Street.
Il concerto all’Adriano fu stupendo nonostante la pessima acustica e trovarmi in prima fila vicino ad altre ragazze del Piper era davvero emozionante, potevo quasi vedere il sudore sulla fronte dei favolosi quattro di Liverpool.
Era un’esperienza quasi mistica, impossibile da descrivere, vederli li davanti a me che suonavano e cantavano era incredibile. Tante volte li avevo immaginati o visti alla televisione ma vederli dal vivo era tutta un’altra cosa, capivo benissimo perché le ragazze svenivano, si strappavano i capelli o urlavano come delle disperate. Era tutta colpa della loro carica erotica e della loro musica; ti travolgeva come un treno in corsa, prendeva possesso di ogni singola cellula del tuo corpo ed era come toccare il cielo con un dito.
Ma io decisi di non urlare, non volevo omologarmi, volevo spiccare.
Mi piaceva andare contro corrente, così tutte le volte che George posava lo sguardo su di me in prima fila, io sorridevo, lo guardavo negli occhi e sorridevo. Le altre ragazze urlavano, ma io no. Più sorridevo più lui mi guardava, ormai era diventato un gioco di sguardi e sorrisi, fino a quando, finito di suonare “Things We Said Today”, George mi salutò con la mano.
Subito vidi una marea di volti guardarmi sconvolte, io stessa ero scioccata, probabilmente avevo la classica espressione da pesce lesso.
Non potevo crederci, aveva salutato me, proprio io. George Harrison aveva salutato Caterina Medici, semplicissima ragazza romana con la passione per la musica e la fotografia.
-Oh mio Dio!! Cate!! Ti ha salutato!!- Nicoletta mi stava praticamente urlando in faccia strattonandomi per le spalle.
-Lo so! Lo so!- urlai in estasi.
-Vieni dai!! Il concerto è finito!! Dobbiamo incontrarli assolutamente!- urlò Nico cercando di sovrastare le urla di tutte le ragazze presenti in sala, chiamavano i quattro boys che stavano andando dietro alle quinte per poi uscire dall’Adriano.
-Ma come facciamo Nico? Non ci faranno mai entrare!- mentre lo dissi vidi con la coda dell’occhio George Harrison che mi stava guardando e faceva cenno di seguirlo.
-Io?- chiesi indicandomi sorpresa.
Mi fece cenno di si con la testa.
Mi avvicinai pian piano seguita da Nicoletta.
-Sono con noi!- disse George alla guardia di sicurezza che voleva sbarrarci la strada verso i camerini.
Così io e Nicoletta raggiungemmo George nel retro.
Non fu difficile comunicare con lui, ero da sempre appassionata dell’Inghilterra e di tutto ciò che la riguardava, ergo parlavo bene l’inglese. Per tutto questo dovevo anche ringraziare mia sorella che era andata a vivere a Londra quattro anni prima.
-Ciao! Piacere, io sono George!- disse porgendomi la mano.
-Lo so! Cioè…ehm…piacere mio. Io sono Caterina- risposi porgendogli la mano tremante.
-E io sono Nicoletta! Piacere di conoscerti George- si intromise Nico spingendomi di lato.
George le sorrise, probabilmente divertito dalla sua spavalderia.
-Noi adesso pensavamo di andare al Club 84, vi va di venire?- chiese guardandomi dritto negli occhi.
-Veramente noi…-
-Certo!- Nicoletta nel rispondere mi pestò un piede.
Sorrisi e feci una smorfia di dolore allo stesso tempo, sicuramente i miei genitori non sarebbero stati contenti, dovevo tornare a casa entro mezzanotte e mezza. Ora si che ci sarebbero stati dei guai.
-Sicuro, veniamo volentieri- risposi poi rincarando la dose.


Ricordo che in quel momento ero molto più preoccupata per la reazione dei miei genitori, a me sarebbe bastato anche solo poterlo vedere da vicino George, non ci avevo nemmeno lontanamente pensato a parlargli o addirittura passare il resto della serata con tutti e quattro i Beatles al Club 84. Mentre Nicoletta, che era molto più disinibita e sfrontata di me, colse subito l’occasione, sarebbe stato il massimo poter raccontare a chiunque “Io ho passato una serata in compagnia dei Beatles”, credo fosse quasi fondamentale per lei. A me era bastato essere stata salutata da George e poi sul momento ero veramente molto preoccupata per la reazione dei miei genitori. A quei tempi non esistevano nemmeno i cellulari, non avrei potuto chiamare mia madre e dirle che restavo a dormire a casa di Nicoletta, sarebbe stata una scusa più che perfetta.

E così ci dirigemmo al Club 84, non c’era molta gente, anzi a dirla tutta a parte i Beatles, il loro entourage e due fotografi non c’era nessun altro. Ah si, c’eravamo io e Nicoletta che in poco tempo aveva già attaccato bottone con Paul.
Io intanto mi toccavo nervosamente la frangetta e più pensavo a qualcosa di intelligente da dire più il mio cervello si svuotava di ogni tipo di idea.
-Vuoi qualcosa da bere?- chiese George che era seduto su un divanetto di fianco a me mentre fumava una sigaretta.
Pensa a qualcosa di figo Caterina! Non dirgli l’acqua, non dire acqua, non dire acqua.
-Ehm…della Coca Cola, grazie- perfetto, certo, ottima scelta brutta triglia cotta al vapore!
-Subito per lei- rispose scherzosamente e saltellò fino al bancone, da dove poco dopo tornò con un bicchiere di Coca.
Ne bevvi un sorso, ma in realtà non avevo molta sete, poi decisi di fare proprio quella domanda che cambiò la mia vita, cambiò in parte il mio modo di vedere il mondo.
-Hai mai visitato Roma?- buttai li cercando di usare più nonchalance possibile.
-No, in realtà no. Però mi piacerebbe- il suo sorriso disarmante mi sconvolse e per mezzo secondo non mi ricordai più cosa volevo chiedergli.
-Allora ti andrebbe di fare un giro?- chiesi dopo essermi ripresa.
-Si…perché no. Potrebbe essere interessante. Questa è l’ultima serata che passo qui- e nel dirlo arricciò un po’ le labbra come se fosse dispiaciuto.


George Harrison nel 1965 aveva ventidue anni, la stessa età del mio ex ragazzo, Marco.
Io non ero vergine, non ero nemmeno così posata e innocente come potevo dar a vedere. Avevo una specie di maschera da brava ragazza acqua e sapone. Ma non ero così impacciata e timida con i ragazzi. Certo, era pur sempre gli anni sessanta, vivevamo comunque con l’ombra dei pregiudizi dei nostri genitori alle spalle. Non è coma adesso, allora dovevi veramente fregartene per andare avanti con i tuoi ideali. Ora non ci sono nemmeno più degli ideali.
Nonostante tutto, però, con George non riuscivo a comportarmi in modo disinvolto, sapevo anche perché, era un musicista famoso, molto famoso, non era il ragazzo che incontravi tutti i giorni mentre andavi a scuola e poi era di una bellezza disarmante.
Ecco perché gli chiesi di fare un giro, magari se lo estraniavo dal mondo in cui ero abituata a immaginarlo, circondato dagli altri tre e in un locale, forse sarei riuscita ad allentare quell’agitazione che mi attanagliava lo stomaco.

Sgattaiolammo via dal locale e la brezza estiva della notte ci accarezzò i volti.
-Dove mi porti allora?- chiese George, teneva le mani in tasca e osservava il cielo stellato.
Dove potrei mai portare uno dei Beatles alle due di notte a Roma in piena estate? Pensai subito ad uno dei posti che più di tutti io trovavo magico. Soprattutto perché a quest’ora di notte nessuno avrebbe riconosciuto un eventuale George Harrison a passeggio per Roma con una diciassettenne qualunque.
-Vieni con me e vedrai- sorrisi e inizia a correre! Era un ottimo modo per scaricare la tensione e per liberare la gioia del momento.
-Aspettami!!- urlò George correndomi dietro, rideva e così inizia a ridere anche io.
-Non sei molto allenato George Harrison, eppure dovresti correre tanto con tutte le fan che vi inseguono ogni volta-
-Infatti ogni volta rischio di morire d’infarto,avrei dovuto…mangiare…di meno…stasera- bofonchiò fermandosi e piegandosi in due per lo sforzo.
-Dai che ormai siamo quasi arrivati- certo, più o meno, eravamo alla fine di via Vittorio Veneto, mancava ancora tutta via del Tritone.
-Sai, questo posto è magico. Devi assolutamente vederlo prima di andartene- ormai eravamo arrivati, si poteva vedere in lontananza la Fontana di Trevi.
-Magico? Spiega, sono interessato- chiese penetrandomi l’anima con il suo sguardo, i suoi occhi erano così profondi da potersi perdere.
-Questa sera…puoi essere quello che vuoi, puoi esprimere un desiderio ed essere tutto ciò che vuoi- risposi. E buttai una monetina dentro la fontana.
-Tutto quello che voglio hai detto?- stava guardando pensieroso la monetina che orma aveva raggiunto il fondo della fontana.
-Tutto, solo per stasera però- e mi sedetti sul bordo.
-Tu cosa vorresti essere Caterina?- mi chiese sedendosi vicino a me.
-Io…vorrei essere…una farfalla- risposi mordendomi il labbro.
-Una farfalla? Posso sapere come mai?-
-Perché…le farfalle hanno una vita breve e sanno di averla. Io penso che le farfalle vivano intensamente ogni singolo momento della loro vita. Ed io vorrei vivere così, non vorrei spegnermi lentamente- spiegai un po’ imbarazzata la mia teoria, non ne avevo mai parlato con nessuno e dirla ad alta voce, per di più a George Harrison in persona mi turbava. Magari pensava fosse un pensiero infantile.
-Wow…è una teoria davvero interessante…-rispose pensieroso.
-E tu cosa vorresti essere George?- chiesi mentre mi levavo le scarpe ed entravo dentro la fontana.
-Magari vorresti essere il vento?- presi a muovermi in modo leggiadro, come se fossi una ballerina di danza classica, o il vento.
-Sarebbe figo non trovi?- mi sorrise George. Era rimasto seduto sul bordo e mi guardava titubante, non sapeva se poteva entrare o no nella fontana.
-Andiamo…entra!- lo invitai continuando a ballare come se volessi spiccare il volo da un momento all’altro.
Non se lo fece ripetere due volte, si levò le scarpe e mi raggiunse.
Incominciammo a ballare tutti e due ridendo come dei matti, era liberatorio e allo stesso tempo qualcosa di intimo. Ballare è sempre qualcosa di intimo, devi far trasparire le tue emozioni, non puoi tenerle dentro, altrimenti non riuscirai mai a ballare. Continuerai a pensare a quanto sia da impacciati fare una cosa del genere.
Mentre noi ballavamo, ballavamo come due anime libere da ogni peso del mondo. Eravamo liberi come le farfalle, come il vento.
Ad un certo punto ci prendemmo per mano e iniziammo a ballare un lento.
-Ta.Ta.Ta- scandiva il tempo George.
Ballavamo dentro la fontana di Trevi, ma nessuno si fermava a guardarci, ai loro occhi probabilmente eravamo due pazzi ubriachi che si rinfrescavano nell’acqua. Sicuramente era un momento solo nostro. Il nostro unico momento.
-Siamo al centro del mondo e balliamo. Mi piace ballare con te Caterina-
-Chiamami Cate- ormai ballavamo molto vicini, il suo naso poteva sfiorarsi con il mio. E il mio cuore batteva all’impazzata.
-Caterina è più bello- sospirò e poi si avvicinò ulteriormente. Le nostre labbra si sfiorarono, erano salate le sue e morbide. Poi mi baciò.
Fu un bacio dolce e lento, sentivo ogni battito del mio cuore disperdersi per tutto il corpo, era come se tutto andasse al rallentatore. Le mani mi tremavano e il mondo intorno a noi era scomparso. Eravamo davvero al centro dell’universo, soli seduti su una stella, liberi come il vento.


Non ricordo molto altro di quella serata, tornai a casa alle cinque del mattino, ormai i miei genitori avevano chiamato la polizia e non vi dico le botte da orbi che ci furono quando mi videro tornare completamente fradicia. Ma poco mi importava, quella serata aveva inconsciamente segnato le nostre vite, in un certo senso aveva aperto gli occhi ad ognuno di noi. Parlo per me, ma penso di poter parlare anche per George, dopo quella sera ho capito che potevo davvero vivere ogni momento al massimo e che se non volevo spegnermi lentamente dipendeva tutto da me. Dalle mie scelte e dalla mia voglia di vivere. Perché era quello che tutti noi avevamo un po’ perso, la voglia di vivere davvero.
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Hello Goodbye

Ecco qua la one-shot che finalmente ho terminato XD E pensare che volevo scrivere giusto una paginetta...alla fine è diventata di 5 pagine o_o
Comunque...non l'ho riletta perchè mi sapeva fatica ma spero che non ci siano errori troppo grossolani...soprattuto su Roma e sugli anni 60 XD
Spero di averli descritti al meglio (: Bene...con questo è tutto...enjoy it.
Brookelle <3
  
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