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Autore: hipopo    17/01/2011    9 recensioni
La mia personale versione dell'ultima sera di Oscar e André: assolutamente da fan, quello che io avrei voluto vedere, quello che io ho voluto vederci, quello che mi sono raccontata per far quadrare le cose e "addolcire" l'amaro finale.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: nella stesura di questa fan fiction non è stato fatto alcun male agli splendidi personaggi creati da Riyoko Ikeda. Sono stati presi in prestito e poi sono stati restituiti alla loro fantastica creatrice, il tutto senza fini di lucro. Buona lettura.


Sul coraggio.

Oscar entrò nella propria camera e iniziò lentamente a slacciarsi la camicia, avvicinandosi all'armadio per prendere l'uniforme. Alain e gli altri soldati della Compagnia B se ne erano appena andati e André era andato a preparare la sua roba pronto a seguirla a Parigi per rientrare in caserma.
Con un sospiro, Oscar si infilò la giacca della divisa e si avvicinò allo specchio, per allacciarla. Chiuse gli occhi, per un istante, improvvisamente oppressa dal peso degli eventi e delle notizie degli ultimi giorni: la cecità di André, che lui si ostinava a nasconderle, la propria malattia che, lo sapeva bene, le lasciava poche speranze ed ora i nuovi ordini, che le imponevano di sedare la rivolta armata, anche a costo di sparare sulla folla affamata, stanca e disperata.
Lentamente, col colletto della giacca ancora aperto, appoggiò la fronte allo specchio, cercando di fermare per un attimo quel folle turbinio di pensieri, cercando di mettere ordine nel caos che era diventata la sua carriera, la sua vita, la Francia. E, come sempre, furono un'immagine e una voce che la riportarono con i piedi per terra: André.
Un accesso di tosse la squassò e Oscar crollò in ginocchio, cercando di calmare il dolore bruciante al petto. Respirava lentamente e chiuse gli occhi per non vedere più la sua immagine: quella caricatura di comandante, tremante e in lacrime, sola davanti ad uno specchio.
Per 20 anni si era nascosta dentro quell'uniforme, dietro al senso del dovere. Aveva messo da parte l'impulso alla ribellione per obbedire agli obblighi che la sua posizione imponeva. Aveva imparato a controllarsi e dominarsi, lasciando che tutti la credessero algida, inflessibile, coraggiosa.
Algida? L'apparente freddezza serviva a soffocare il fuoco che le bruciava dentro, a impedirle di parlare e infrangere l'etichetta, o il codice militare.
Inflessibile? Se si fosse piegata, anche solo una volta, i dubbi che l'assalivano, il tormento del peso delle sue scelte l'avrebbero schiacciata.
Coraggiosa? Non aveva fatto altro che scappare, per tutta la sua vita adulta. Era scappata da quello che desiderava e credeva di non poter avere, quella parte di sé che faceva sì che lei soffrisse, amasse e desiderasse.
Oscar rise amaramente.
Si era detta che in Fersen aveva amato e ammirato il coraggio e la nobiltà d'animo che l'avevano portato dall'altra parte del mondo, a combattere una guerra non sua, per allontanarsi da una donna che non poteva avere e a cui non poteva stare accanto, per salvaguardarne il buon nome.
Ma adesso, dopo tutto quello che era successo, la maschera era scivolata via e Oscar non aveva più la voglia, né la forza, di mentire a se stessa.
La nobiltà? Il coraggio? In Fersen aveva amato... creduto di amare, il suo essere irraggiungibile. Il conte svedese sarebbe stato una scusa quando, ferita dall'impossibilità di lui di ricambiare i suoi sentimenti, lei avrebbe potuto allontanarsi ancora di più da quella parte di sé che soffriva, amava e desiderava.
Si era nascosta dietro a quello che provava, che si era convinta di provare, per Fersen e aveva deciso di ignorare i dubbi che sentiva nascere quando era con André.
Con un gemito, Oscar finì di allacciare la giacca e strisciò verso il muro, appoggiandovisi contro per alzarsi. Un altro paio di respiri profondi che le bruciarono i polmoni e fu pronta ad andare.
Si fermò solo un attimo alla porta, la mano sulla maniglia, come se fosse sul punto di girarsi, ma poi spalancò con forza i battenti e lasciò la camera, percorse il lungo corridoio e scese decisa le scale, uscendo dal palazzo senza mai voltarsi indietro. Da giorni attendeva gli ordini arrivati quel pomeriggio e avevo già preso la sua decisione. Sapeva che non avrebbe fatto mai più ritorno in quella casa, ma non aveva bisogno di un'ultima occhiata: aveva così tanti ricordi delle ore passate in quelle stanze, ricordi di tempi felici, non aveva certo bisogno di un ultimo triste sguardo che le ricordasse che quei tempi felici erano ormai perduti.
Aveva detto addio, aveva messo ordine tra le sue cose e restava solo una cosa da fare. La più dolorosa.
Ne avrebbe avuto la forza?
Con ogni passo, con ogni respiro, cercava di ritrovare un po' del controllo che aveva perso poco prima, mentre si preparava a partire. A pochi passi dalla porta delle scuderie si accorse che le tremavano le mani e si fermò per raccogliere le idee.
Aveva deciso. Non c'era altra cosa da fare. Non avrebbe mai ordinato ai suoi uomini di sparare sulla folla. Domani, a quest'ora, sarebbe stata colpevole di tradimento. E non avrebbe permesso ad André di seguirla: sapeva che avrebbe fatto qualcosa di stupido, come inginocchiarsi davanti ad un uomo armato e chiedergli di uccidere anche lui, di ucciderlo per primo, perché non sopportava di perderla.
Non glielo avrebbe permesso.
Perché neanche lei sopportava l'idea di assistere alla morte dell'uomo che amava.
André doveva restare, gli avrebbe ordinato di restare, gli avrebbe raccontato qualunque menzogna, gli avrebbe impartito il più assurdo degli ordini, ma non lo voleva a Parigi a rischiare la vita con lei. Per lei.
Semplice a dirsi.
Impossibile a farsi, quando si trovò sulla porta delle scuderie e si bloccò stupita, vedendo il Generale che diceva qualcosa ad André, tenendogli le mani sulle spalle. Non era stato il gesto inconsueto del Generale, a fermarla, quanto il bel volto di André, illuminato da un sorriso e dalla luce del tramonto che entrava dalle porte aperte.
Stupida, stupida Oscar, che si era illusa di poter andare via lasciandosi alle spalle un pezzo di se stessa.
André, amico d'infanzia, compagno di giochi e d'armi, suo sostegno, suo confidente, suo consigliere, spalla su cui piangere, amico fedele e spensierata canaglia che aveva diviso con lei successi, intrighi, amarezze, bevute e risse di taverna.
André, che si era rifiutato di fuggire da lei e le era restato accanto in silenzio, amandola, desiderandola, sapendo di non poterla avere e continuando a sorriderle, ad esserle amico.
André che aveva sconvolto il suo mondo, mostrandole la sofferenza della povera gente, la voglia di riscatto del popolo francese, la voglia di lottare per qualcosa di giusto. E le aveva sconvolto la vita baciandola come se avesse atteso quel momento per tutta la sua esistenza.
Ma lei cos'aveva fatto?
L'aveva respinto.
L'aveva allontanato.
L'aveva guardato con il terrore negli occhi, come se non riconoscesse più in lui la persona che le era più vicina al mondo.
Gli aveva detto che non aveva bisogno di lui e l'aveva lasciato solo.
Perché il Comandante de Jarjayes, che aveva affrontato la morte senza batter ciglio, aveva paura di vivere. Aveva paura di sentire e di desiderare, non poteva perdere il controllo, perché se l'avesse fatto, anche solo per un attimo, sarebbe stata perduta. Sarebbe stata fragile, debole. Indifesa.
E così aveva combattuto, per mesi, per anni, aveva ignorato i segni, aveva indossato la sua maschera e si era nascosta dentro la sua uniforme, dietro il bel conte svedese.
Erano stati il coraggio, l'amore e la tenacia di un uomo che aveva accettato da lei qualunque colpo, che per lei aveva sacrificato ogni cosa, a distruggere le sue difese, a strapparle l'uniforme di dosso e a farle aprire gli occhi.
Aveva insistito tanto, oggi, perché passassero la giornata insieme, convinta che sarebbe stata l'ultima. Ma, adesso che il momento di separarsi si avvicinava, Oscar si rese conto che non poteva allontanarsi da lui. Non ancora.
Ancora una notte.” pensò Oscar. “Domani. Domani mattina lo manderò di nuovo qui con una scusa. Manderò Alain con lui, per aiutarlo.” Ma stanotte lo voleva ancora vicino. Voleva cavalcare ancora con lui, sulla strada per Parigi, come avevano fatto tante volte. Voleva parlare con lui e ridere e fingere che niente fosse cambiato e tutto fosse ancora come quando erano ragazzi.
Per un istante, Oscar fu grata che André avesse quasi perso completamente la vista: sarebbe stato molto più facile mentirgli se lui non avesse potuto leggerle in faccia il dolore di perderlo adesso che aveva finalmente trovato il coraggio di ammettere a se stessa l'amore che provava per lui. Adesso che era troppo tardi.

   
 
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