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Autore: Rowena    18/01/2011    7 recensioni
Ha solo tredici anni, eppure la sua vita sembra finita. Espulso da scuola e abbandonato al suo destino, Rubeus Hagrid vorrebbe sparire dalla faccia della Terra, quando un incontro inaspettato cambia la sua vita per sempre.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio, Rubeus Hagrid
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Angoletto dell'Autrice: Sì, lo so, molti di voi penseranno "Una storia su Hagrid? Ma non ha proprio niente di meglio da scrivere?" Effettivamente anche io sono rimasta sorpresa quando mi è venuta questa idea (ho avuto serissimi problemi a usare il suo nome di battesimo nello stendere la storia, era così strano! XD), ma questo è il risultato di aver aperto Animali fantastici all'una di notte, aver letto le notizie sulla vita di Newt Scamandro e aver scoperto che sua madre aveva un allevamento di Ippogrifi di razza. Da lì in poi è stata una valanga di idee. Mi sono sempre chiesta cosa fosse stato di Hagrid dopo la sua espulsione a tredici anni, solo al mondo, mentre fuori dagli affari dei maghi imperversava la guerra. Spero di aver reso il missing moment in maniera piacevole.
Questa storia partecipa all'iniziativa Mestieri e faccende! di Acciofanfiction.
Buona lettura! Rowi



Non sapeva dove andare. Era ancora così confuso, sotto shock, incredulo.
Espulso, continuava a pensare, espulso. Meno male che il suo povero babbo non aveva assistito, si sarebbe così vergognato di lui.
Rubeus Hagrid continuava a camminare senza avere una meta precisa, mentre nella sua testa riecheggiavano gli avvenimenti degli ultimi giorni.
Le accuse di Riddle, la rapida valanga che l’aveva investito. Un processo sommario consumato nella scuola che aveva decretato la sua espulsione, giocato più sulle sue origini e sul bisogno di insabbiare i tragici avvenimenti che avevano colpito Hogwarts che sul desiderio di scoprire la verità.
L’aveva detto che Aragog non era il responsabile, l’aveva urlato fino a perdere la voce: da quando un’Acromantula pietrificava le sue vittime? Da quando uccideva senza poi toccare la sua preda, senza nutrirsene?
E il suo piccolo Goggy era ancora troppo piccolo perché provasse a cacciare un umano; era già troppo grande per essere scambiato per un comune ragno – salvo forse qualche specie tropicale di cui Hagrid aveva sentito parlare a lezione – ma una persona avrebbe potuto tranquillamente scappare prima che Aragog sparasse anche un decimo della ragnatela necessaria per catturare la preda.
Aveva sbagliato, lo sapeva, e aveva chiesto scusa per aver portato una creatura del genere nella scuola, eppure Aragog non era ancora pericoloso e lo avrebbe portato nella Foresta non appena fosse stato in grado di cacciare da solo.
Ad eccezione del professor Silente, tuttavia, nessuno lo aveva ascoltato. Era un brav’uomo, il professor Silente, anche suo padre lo diceva sempre; era stato lui che aveva spinto perché il giovane Hagrid potesse frequentare Hogwarts e sempre lui gli aveva garantito ospitalità nel castello, qualora avesse deciso di tornare.
Era stato un bel gesto, ma in quel momento Rubeus voleva solo scappare lontano. Dove era indifferente, voleva soltanto un luogo in cui nessuno lo giudicasse, lo guardasse male o disprezzasse semplicemente perché sua madre non era umana. Che colpa ne aveva lui, se suo padre si era innamorato di una Gigantessa? Non aveva mica chiesto di nascere così.
Da Hogwarts lo avevano messo sul treno, con i suoi bagagli fatti di corsa e senza cura, i monconi della bacchetta nascosti in una tasca del suo pastrano, e via. Nessuno si era preoccupato di cosa sarebbe stato di lui dopo essere arrivato a Londra, a parte l’orfanotrofio in cui Silente gli aveva trovato un posto, ma c’erano buone possibilità che il Preside Dippet e i maghi inviati dal Ministero si auguravano che trovasse sua madre – sempre che fosse ancora viva – e sparisse dal mondo magico.
Avrebbe fatto così: una volta arrivato alla stazione era scappato, invece che aspettare la signorina che doveva venirlo a prendere, deciso a non lasciarsi rinchiudere in una specie di piccola prigione per ragazzini senza parenti. Lui amava stare all’aria aperta, non in gabbia!
Per il momento, Hagrid camminava. Si era lasciato Londra alle spalle da diversi giorni e ora proseguiva nelle campagne abbandonate. Era terribile vedere i segni della guerra, le devastazioni dei bombardamenti nella città, il senso di vuoto che lo avvolgeva.
Trovava stupido che i Babbani si uccidessero in quel modo, con i loro strani aggeggi di metallo e quegli enormi proiettili che cadevano dal cielo; improvvisamente gli venne in mente suo padre, quando aveva protetto la loro casa con tutti gli incantesimi che conosceva per assicurarsi che il conflitto dei Babbani non avesse conseguenze su di loro, e il dolore lo soffocò.
Perché era successo tutto questo, si chiedeva, perché a lui?
Era entrato in un boschetto, lasciandosi dietro la strada per paura d’incontrare qualcuno e dover spiegare che ci facesse in giro da solo, quando gli venne da piangere.
Forse fu per quello che non vide la grossa radice proprio davanti al suo piede, se non quando ormai ci si era inciampato.
«Fantastico», borbottò mentre si rialzava da terra molto scocciato. Era completamente inzaccherato di fango, dalla testa ai piedi.
Era davvero troppo, si mise a urlare, disperato, tentando di sfogarsi almeno così, quando improvvisamente un verso sconosciuto, stridulo e per niente amichevole gli rispose.
Al ragazzo si gelò il sangue: dov’era finito? Era da solo e senza bacchetta, non poteva fare magie: anche con la sua forza fisica, che di per sé era notevole, poteva fare ben poco per salvarsi.
Cercò di arretrare e andarsene prima che fosse troppo tardi, ma la vista della creatura che aveva emesso quel verso lo gelò sul posto: era un Ippogrifo, aveva guardato le illustrazioni di Animali fantastici così tante volte che avrebbe saputo riconoscerlo anche ad occhi chiusi.
Era bellissimo, con le piume di un bel marrone scuro, gli occhi così brillanti e il becco nero… Bellissimo, ma anche troppo vicino.
Non sapeva che cosa fare, il povero Rubeus non osava muovere un muscolo per paura. Che fosse giunta la sua fine, dopo aver allevato un piccolo di Acromantula e aver rischiato per mesi la vita a causa di un mostro sconosciuto che si aggirava per la scuola?
Almeno sarebbero stati tutti contenti…
«Fermo, non ti agitare», gli consigliò una voce ferma e autoritaria alle sue spalle. «Piegati come se gli facessi l’inchino, devi essere educato con lui».
Rubeus sudava freddo, sapendo che l’animale, per quanto bellissimo, avrebbe potuto ferirlo gravemente in un istante, o perfino ucciderlo solo per una mossa sbagliata. Non aveva fatto in tempo a studiare gli Ippogrifi, il professor Kettleburn la considerava materia troppo impegnativa da trattare per il terzo anno, dunque non sapeva come comportarsi.
Ascoltare quel consiglio era la cosa più saggia da fare, vista la situazione. Si piegò lentamente sulle ginocchia nel modo meno goffo e imbarazzante che riuscì a pensare, sperando di rimanere in vita abbastanza a lungo da raccontare a qualcuno quell’esperienza.
«Va bene, tirati pure su», continuò la voce sconosciuta con un tono già più morbido. «Sei stato fortunato a incontrare Castagna e non uno dei suoi fratelli, è il più paziente. Altri dei miei Ippogrifi non avrebbero aspettato tanto per il tuo inchino».
Il ragazzo aprì gli occhi e si tirò su: l’Ippogrifo si era piegato a sua volta in un inchino ben più elegante di quello che aveva fatto lui, perciò era chiaro che non lo avrebbe fatto a pezzetti, almeno per un po’.
Sentendo che il pericolo era passato, Hagrid si voltò per vedere chi l’aveva salvato: era una donna che aveva passato la mezza età, sebbene sembrava che non se ne fosse accorta. Era vestita con una tenuta molto strana, ai suoi occhi, una grossa tuta da lavoro con robusti rinforzi sull’addome e sui gomiti, con enormi stivali di pelle di drago e guanti protettivi dello stesso materiale. I capelli già ingrigiti erano raccolti in uno stretto chignon sulla nuca, probabilmente perché non disturbassero la donna nel lavoro, e i lineamenti del suo viso erano abbastanza marcati, in quel momento stretti in un’espressione severa.
«Ora da bravo, vieni qui senza dargli le spalle », lo esortò la sconosciuta prima di rivolgersi direttamente all’Ippogrifo. «Castagna, torna a dare la caccia alle lepri!»
L’Ippogrifo alzò il capo verso di lei e con un fischio acuto ubbidì, trotterellando nella direzione opposta.
«Mi ha salvato!», esclamò Rubeus sgranando gli occhi. Quella signora riusciva a farsi ubbidire da una creature del genere, era incredibile.
«Lo so, stavi per farti uccidere rimanendo impalato come un allocco», rispose senza problemi la donna. «Come ti chiami?»
«Rubeus Hagrid», rispose balbettando.
La donna esaminò una trappola che aveva piazzato vicino a un grosso albero nodoso e imprecò vedendo che aveva preso soltanto uno scoiattolino. «Bene, Rubeus Hagrid, come mai sei in giro in questa stagione? Sei figlio di qualche nostalgico che tiene i figli a studiare a casa lamentandosi di come sia stata svergognata Hogwarts dalla presenza di tanti ragazzi Sanguesporco?»
Accidenti che modi, il giovane era spiazzato. «Io… Come fa a sapere che sono un mago?»
«Un Babbano non sarebbe mai entrato nel bosco, ho posto molti incantesimi per tenerli alla larga. Allora, che ci fai qui? Hogwarts è molto lontana».
Rubeus prese ancora tempo, non volendo rispondere e ammettere la verità che lo tormentava. «Non mi ha detto come si chiama lei, signora».
La strega rise, prima di infilare lo scoiattolo nella sua bisaccia. «Danae Scamandro, allevatrice di Ippogrifi, al tuo servizio. Hai fame? Sembri in viaggio da giorni; tranquillo, a casa ho qualcosa di più succulento di questa bestiolina».
 
*
 
Mezzora dopo, due avevano raggiunto la casa della signora Scamandro, un piccolo cottage ai margini del bosco. Poco distante si vedeva un enorme capannone dipinto di rosso e dall’altra parte della radura una mamma Ippogrifo con il suo piccolo pascolava tranquilla. Il cucciolo tentava di volare, sbatacchiando le ali senza molto successo, e la madre lo osservava in quelle buffe prove con uno sguardo che doveva essere molto orgoglioso, per quelle creature.
Rubeus fissava quello spettacolo mozzafiato tra una cucchiaiata di stufato e l’altra, rapito.
«Allora, sei davvero deciso a non raccontarmi come sei finito qui dalla Scozia?»
«Non li legge i giornali?»
«No, onestamente, vivo benissimo senza sapere cosa succede di brutto nel mondo. E poi mio figlio è sufficiente per tenermi aggiornata, anche se mancherà da casa per un’altra decina di giorni».
«Suo figlio…» Il ragazzo capì perché il nome della donna gli era così familiare: «Lei è la madre di Newton Artemis Fido Scamandro, l’autore di Animali fantastici, dove trovarli!»
A sentire tutti i nomi del figlio, Danae sorrise e continuò a mescolare lo stufato nella pentola, per mantenerlo caldo ed evitare che si addensasse troppo. «Complimenti, ragazzino, sei più in gamba di quanto pensassi. Da come sei rimasto ammaliato da Castagna e da Dolcerostro, laggiù», e indicò la femmina con il piccolo Ippogrifo, «direi che sei un suo ammiratore».
Il ragazzo annuì, facendo ridere la padrona di casa perché aveva tutta la faccia sporca. Cominciava ad avere i primi peli dell’adolescenza in viso, nonostante avesse soltanto tredici anni, e in quel momento erano tutti sporchi di sugo. Accidenti, che fortuna: era capitato in casa del grande Newt Scamandro!
«Oh sì, io adoro le Creature Magiche, sono la mia passione. Un giorno vorrei diventare proprio come lui», snocciolò tutto d’un fiato, entusiasta.
«E allora perché non sei a scuola? Se non frequenti Hogwarts, sarà un po’ difficile realizzare il tuo sogno», ripeté caparbia Danae. Sentiva che c’era qualcosa che non andava, era molto empatica, e voleva aiutare quel ragazzo. Le sembrava un cucciolo ferito che aveva bisogno di lei, come le capitava con gli animali della foresta.
Rubeus abbassò lo sguardo e fissò il piano del tavolo, grezzo come tutta la mobilia della stanza, e si decise a confessare. «Mi hanno… espulso», mormorò, «credevano che fossi il responsabile di quello che è accaduto nel castello in questi mesi e mi hanno cacciato».
«E sei tu il responsabile?», domandò tranquillamente la donna, sedendosi di fronte a lui. Newt le aveva raccontato cosa stava succedendo di orribile nella scuola, ma non sapeva che avessero trovato il colpevole. Si ricordò di quello che aveva detto, che probabilmente il Ministero avrebbe cercato d’insabbiare tutto alla prima occasione buona.
«Certo che no! Io non farei mai del male neanche a una mosca, figuriamo a un mio…»
Un mio simile. Era una parola che forse non poteva usare, chissà.  Era per metà umano e metà gigante, non aveva dei simili.
«Ti credo, tranquillo». Forse non era stato nemmeno il Ministro, pensò lei: Hogwarts era un’entità a sé stante, che tendeva a sfuggire dalle comuni regole dei mani e dall’autorità. La scuola risolveva da sola i suoi problemi, a meno che non ci fossero altre possibilità. «E come mai hanno incolpato proprio te?»
«Non hanno capito niente!», sbottò ancora il ragazzo, sentendosi le lacrime agli occhi. «Ho trovato un uovo nella Foresta Proibita e l’ho portato a scuola per prendermene cura, non sapevo che fosse di Acromantula. Ma Aragog non ha fatto niente, lo tenevo in una scatola in un posto sicuro, non può essere stato lui. Gli ho spiegato che non doveva fare del male alle persone nella scuola e lui lo sapeva».
E le Acromantule non potevano pietrificare le persone, Danae lo sapeva bene. Quante volte aveva aiutato suo figlio a riordinare gli appunti del suo libro, mentre lo preparava per la pubblicazione!
Che strano ragazzino, pensò: addomesticare un’Acromantula… Neanche Newt aveva mai osato un simile azzardo e sì che le aveva portato in casa qualunque genere di bestiaccia.
«Serviva un colpevole e hanno trovato te. Ma perché la tua famiglia non ha fatto niente, non ha protestato?»
il giovane Hagrid singhiozzò, ancora più sconvolto. «Mio padre è morto l’estate scorsa, non ho nessuno. Sarei dovuto andare in un orfanotrofio, ma sono scappato. Con il disastro della guerra e il caos della stazione, mi è stato facile evitare la persona che doveva venirmi a prendere».
Danae era furente: avevano approfittato dell’incapacità di difendersi per risolvere un problema simile? E con tutta probabilità il mostro che aveva portato tanto scompiglio era ancora ben nascosto dentro le mura di Hogwarts e aspettava solo l’occasione buona per fare altre vittime!
«Hanno detto che forse credevo che si trattasse di un’Acromantula, mentre in realtà ho trovato un mostro ben più tremendo» continuò il ragazzo, con una punta di orgoglio nella voce. Gli dava fastidio sentirsi dare dello stupido, memorizzò Danae.
C’erano poche cose che la strega avrebbe trovato più tremende di un’Acromantula, ma non disse nulla. L’aver portato una creatura del genere dentro la scuola era un’accusa sufficiente per un’espulsione, tuttavia, quindi le cose sarebbero sembrate normali.
«Quindi non hai una casa, né dei parenti da cui recarti, e ora che ti hanno espulso non potrai usare la magia», sintetizzò brevemente per fare il punto della situazione.
Hagrid annuì: non era mai stato un mago brillante, nei tre anni di scuola, aveva avuto difficoltà anche con gli incantesimi più semplici. «Divieto categorico, hanno detto. Ho tenuto i pezzi della bacchetta, ma se lo scoprono saranno guai».
Chiaro. «Allora quello che ti serve è un lavoro. Sei giovane, ma è meglio imparare subito come guadagnarti da vivere, a meno che tu non voglia andare a stare tra i Babbani».
Come Danae si era aspettata, il ragazzo sembrò terrorizzato a quell’idea: «No, io non so niente dei Babbani, non ce la farei. E poi mi manderebbero di nuovo in orfanotrofio».
Era terrorizzato a quel pensiero e si vedeva alla prima occhiata. Alla donna si strinse il cuore.
«Ascolta, io sono sempre in cerca di due braccia in più. Inizio a diventare vecchia e sono vedova, come saprai mio figlio è sempre troppo impegnato col suo lavoro per darmi una mano e nell’allevamento c’è sempre molto da fare», gli disse con un sorriso. «Tu mi sembri molto forte e volenteroso, e hai una bella empatia con gli Ippogrifi. Te la sei cavata bene con Castagna, anche se eri mezzo morto dalla paura».
«Mi sta offrendo un lavoro?» domandò sbalordito Rubeus, a bocca aperta. Solo un paio d’ore prima era disperato, era finito in una sorta di paradiso e ora gli veniva anche proposto di restare! Doveva stare sognando, non c’era altra spiegazione.
Danae si alzò e cominciò a sparecchiare la tavola. «Credimi, mi odierai prima che la settimana sia finita: sono un capo esigente e fastidioso, non ti darò tregua. Ti darò vitto e alloggio, ma dovrai sudarti tutto quanto. E se non sarò soddisfatta, finirai a dormire nel granaio».
«Mi sembra giusto: mio padre mi ha insegnato a guadagnarmi le cose», rispose con un po’ di orgoglio il ragazzo.
Era quanto la strega si aspettava di sentire. Non che servisse molto a convincere il suo ospite – per lui probabilmente sembrava di essere arrivato nel paese dei balocchi – ma non voleva che si convincesse subito di doverle qualcosa.
Si segnò mentalmente di mandare un gufo ad Albus Silente per informarlo di aver trovato il suo cucciolo smarrito, e magari avrebbe chiesto quanto poteva essere fastidiosa fare domanda per la tutela ragazzo. Rubeus aveva bisogno di una casa e di qualcuno che gli volesse bene – e magari gli insegnasse che le Acromantule non sono proprio i migliori amici dell’uomo! – più di una condanna e dello status da reietto. Sì, si sarebbe trovato bene con loro.
«Allora andiamo fuori, hai tante cose da imparare e poco tempo prima che uno dei miei piccoli ti uccida».
Hagrid non aspettava invito migliore.
 
*
 
Danae non aveva scherzato, parlando di un lavoro praticamente infinito. E dire che gli Ippogrifi erano animali indipendenti, che badavano a loro stessi…
Hagrid cominciò a svegliarsi alle cinque di mattina – inizialmente con l’aiuto della padrona di casa, che si divertiva a inventare nuovi stratagemmi per dare l’assillo al ragazzo finché non si fosse alzato – e cominciava con il pulire il granaio, che aveva anche funzione di scuderia. La maggior parte degli animali preferiva dormire all’esterno, per sentire il vento notturno e i rumori della foresta, e magari cacciare un gufo come spuntino notturno, ma c’era sempre qualche esemplare con qualche problema di salute, una femmina con i piccoli, un esemplare giovane che preferiva tenersi lontano dagli adulti per evitare zuffe. Quindi, di conseguenza, c’era sempre da pulire.
Poi c’era il giro delle trappole, che servivano ad assicurare una scorta di cibo agli esemplari che non erano in condizioni di cacciare, il controllo dei confini della proprietà e dei posti più battuti dagli Ippogrifi per assicurarsi che non ci fossero problemi. Dopodiché, mentre il sole sorgeva, Danae rientrava in casa a preparava la colazione.
Intanto Rubeus si allenava con i vari fischi che la donna usava per richiamare le sue bestioline. Non era solo il fischio, bisognava prepararsi poi a ricevere l’Ippogrifo come l’educazione richiedeva, accarezzargli le piume per farlo sentire apprezzato e controllare il suo stato di salute.
Erano animali meravigliosi e altrettanto stupendo era vedere il rapporto che Danae aveva instaurato con loro. Si avvertiva nell’aria un profondo rispetto reciproco, tra la donna e le creature, come se sapessero di contare l’una sugli altri. Hagrid era davvero ammirato.
«Mi chiedevo… Perché allevi Ippogrifi?», domandò una mattina il ragazzo mentre lasciavano un grosso ratto in una posizione buona perché il piccolo Verdepiuma lo trovasse da solo, come primo bottino di caccia.
Tra loro i formalismi erano rapidamente caduti, non c’era il tempo con tutto quello che dovevano fare. «Perché non faccio la gran dama a Londra come le altre Purosangue, dici? Non lo so, mi sono sempre trovata meglio con il fango sui pantaloni che con la vita stretta in un corsetto. E quando hai ammirato animali così fieri ed eleganti, come fai a tornare ad annoiarti a quelle feste?»
Rubeus ridacchiò, trovandosi perfettamente d’accordo sebbene per fortuna non gli fosse mai capitato d’indossare un corsetto. «No, intendevo… In genere si alleva una specie per un tornaconto; cosa ne fai, li vendi? E con che scopo?»
Era curioso, il ragazzo. «Ci sono maghi che preferiscono volare in groppa a un animale del genere piuttosto che a un manico di scopa, anche se non è sempre facile spiegare a un Ippogrifo in che direzione deve andare. Sono testardi, te ne sei già accorto, e fanno quello che vogliono. Ci sono anche sport magici minori che se ne servono, le corse sono molto divertenti. E il polo su Ippogrifo è spassoso, i cavalieri ogni volta che affrontano un avversario direttamente devono inchinarsi al destriero, ma bisogna essere rapidi per non farsi rubare la palla…»
Gli raccontò di quando i suoi erano gli animali associati alla nobiltà magica e i Purosangue più influenti facevano a gara per avere un esemplare di razza che popolasse i loro possedimenti, prima che quell’imbecille di Lord Withers creasse i cavalli alati, la versione mansueta e poco pericolosa. «Da allora i ricconi preferiscono avere un cavallino con le ali, nella speranza che sia più semplice montarlo… Illusi!»
Ma principalmente, Danae allevava Ippogrifi perché li trovava stupendi e perché le facevano compagnia. Da quando suo figlio si era trasferito, molti anni prima, si sentiva sola – cosa che era peggiorata dalla morte del marito – e con Newt sempre in viaggio mantenere le comunicazioni era difficile. Un Ippogrifo non era un Kneazle, non le sarebbe mai saltato sulle ginocchia facendo le fusa, per fortuna, ma era un animale capace di affezionarsi davvero, molto leale e rispettoso.
Hagrid in pochi giorni si sentì improvvisamente meglio. Gli sembrava di essere arrivato nel posto giusto per lui, quasi come se Hogwarts fosse stato un incidente di percorso per giungere al vero traguardo. Non si sarebbe mai tolto di dosso la vergogna per l’espulsione e la consapevolezza di essere stato usato come capro espiatorio, ma aveva trovato un’occupazione per cui l’uso della magia non era poi così strettamente necessario.
Anche quando si trattava di intervenire, magari per qualche problema alle zampe, e bisognava assicurarsi che becco e artigli fossero neutralizzati, Danae preferiva usare dei legacci fisici a un incantesimo, sapendo che gli Ippogrifi tolleravano male la magia umana. In quel mondo, la sua mancanza era priva di peso: poteva svolgere i lavori di fatica, imparare dalla strega come curare le ferite delle creature, contrattare con gli acquirenti, e tutto senza una bacchetta magica. L’unica cosa in cui non era d’aiuto era abituare gli esemplari destinati alla vendita agli Incantesimi di Disillusione. Danae aveva incantato tutta la zona per essere più precisa, includendo una sorta di barriera per tenere all’interno i suoi piccoli, e in questo doveva continuare a lavorare da sola, eppure Hagrid non si sentiva di peso.
Era al settimo cielo. Gli aveva perfino scritto il professor Silente, sgridandolo per essere scappato ma dichiarandosi felice per la sistemazione che aveva fortuitamente trovato. Danae Scamandro era una brava donna e lo avrebbe aiutato, mentre lui stesso si sarebbe preoccupato di calmare le acque intorno al ragazzo.
Per l’affidamento alla strega non c’erano praticamente stati problemi, il Ministro si era detto felice che quel giovane sfortunato avesse finalmente trovato il suo posto. Leggendo questo, Danae aveva commentato ridendo che probabilmente per quei cittadini l’idea che il giovane Rubeus stesse a lavorare nel guano di Ippogrifo doveva suonare molto divertente.
Non avrebbero mai potuto immaginare che il ragazzo fosse così felice.
 
*
 
«Ma’?» Newt Scamandro si affacciò sulla porta del granaio in cerca della madre. Era appena tornato da un viaggio di lavoro che l’aveva portato fino in Australia per identificare delle strane lucertole che non aveva mai visto prima. La solita routine, aveva pensato, prima di trovarsi faccia a faccia con l’Outback.
Da un grosso mucchio di letame di Ippogrifo si udì un gemito e il mago si avvicinò con la mano alla bacchetta, temendo che ci fosse un malintenzionato, quando un ragazzo corpulento e già parecchio alto per la sua età comparve dal nulla. «Oh, signor Scamandro! Bentornato, sua madre mi aveva avvisato che sarebbe arrivato in questi giorni».
A Newt venne da ridere vedendolo sporco dalla testa ai piedi, ma comunque arrossito al solo salutarlo. Si vide tendere una mano sudicia, che glissò di stringere. «Ti ringrazio, ma chi sei?»
«Il nuovo assistente di sua madre», spiegò Rubeus con fierezza, «sono appena stato assunto, ma ho tanta voglia di fare e non la deluderò!»
Era giovanissimo, pensò Newt, che si trattenne comunque dal fare commenti. Parlando con il capo avrebbe risolto tutti i suoi dubbi. «Sai dov’è mia madre?»
«Una femmina sta per partorire, è andata a cercarla. Io sono tornato a prendere gli attrezzi, sa, per evitare che ci ferisca durante il travaglio. Mi segua, la raggiungeremo in pochi minuti seguendo la scia luminosa che mi ha lasciato».
Effettivamente Newt aveva notato dei punti brillanti che attraversavano il cortile davanti a casa e proseguivano nel bosco, ma non vi aveva fatto caso. Si lasciò guidare dal ragazzo dopo aver recuperato un paio di stivaloni dal capanno degli attrezzi, per non inzaccherarsi fino alle ginocchia. «Non è presto per essere già tornato da Hogwarts? Dovrebbe essere ancora periodo di scuola».
«Siete davvero fissati, in famiglia», rispose Hagrid con un mezzo sorriso. «Se lavora al Ministero dovrebbe aver sentito parlare di me, signore, sono il ragazzo espulso».
Ne parlava con maggiore tranquillità, adesso, come se gli pesasse di meno, ma forse era solo perché, come con Silente, si trovava tra persone che potevano capire quello che aveva da dire.
La notizia allarmò un poco Newt: era stato via per un po’, eppure era al corrente di cosa era capitato a Hogwarts e che il Preside Dippet avesse cercato di risolvere la questione internamente, liquidando il ragazzo colpevole con l’espulsione e il divieto di usare la magia a vita. Nessuno del suo Ufficio aveva assistito, erano stati mandati solo degli Auror per vigilare sulla sicurezza degli studenti.
Era come minimo curioso trovarlo a lavorare nell’allevamento della signora Scamandro. «E mia madre ti ha subito preso a lavorare con sé?», domandò per l’appunto Newt un poco preoccupato.
«Sono ancora abbastanza lucida da decidere chi mi sembra in grado di lavorare in questo posto», rispose per lui la voce della madre, che evidentemente era più vicina di quanto pensasse. «È stata furba, la ragazza, ha cercato di arrivare da noi ma le doglie l’hanno colta di sorpresa. Meglio così, a volte mi tocca andare a cercarle in certi postacci, queste testarde».
Danae era china sulla femmina di Ippogrifo, che respirava pesantemente, ormai in pieno travaglio. «Allora, la catena più pesante va intorno al becco, per evitare che giochi a cavarci gli occhi. Perdonaci, Sempronia, ma sai diventare davvero cattiva in questi momenti. Ci siamo già passate, no?»
La strega continuò a parlare all’animale anche mentre il suo apprendista cominciò a legarle le zampe anteriori in un sacco di tela molto pesante, per neutralizzare anche gli artigli, e ad accarezzarle le piume del collo per calmarla. «Fatele rapidamente un inchino, anche se è in queste condizioni», rimbeccò poi in direzione del figlio e del ragazzo, «è sempre una signora che merita il giusto rispetto, anche se in questo stato».
I due ubbidirono prontamente, prima di avvicinarsi ancora per dare una mano.
«Ti serve aiuto?», domandò Newt con gentilezza.
«Perché, è forse il primo Ippogrifo che faccio nascere?», replicò secca la madre. «No, il piccolo è girato nella giusta posizione, si tratta solo di attendere e assicurarci che non ci siano complicazioni. Il parto è una seccatura mortale, lo so, Sempronia, ma la prossima volta di servirà per non farti subito saltare addosso Castagna. È una tale sporcacciona…»
Rubeus osservava stupefatto quello spettacolo spaventoso e sconvolgente. Non ci volle molto, la femmina era ormai abituata a quella routine, e in un’oretta il ragazzo poté avvolgere con un asciugamano pulito uno stupendo piccolo, che a lui sembrava miracoloso. Tentò di pulire il cucciolo alla bell’e meglio, poi lo diede a Danae che lo presentò alla madre.
«Sei stata bravissima, ragazzaccia, ma ora ti tocca occuparti di lui», mormorò mentre controllava che la femmina non avesse lesioni pericolose. «Allora, come lo vogliamo chiamare? A te l’onore, Rubeus».
Il ragazzo si voltò verso la nuova mentore con gli occhi che brillavano, sconvolto di un simile privilegio. «Io? Beh… Che ne pensate di Fierobecco?»
Il piccolo stridette, come se avesse gradito, prima di concentrarsi sulla madre. Presto avrebbe richiesto da mangiare, ed era il momento di lasciare la coppia da sola a godersi i primi momenti.
«Molto carino», commentò Newt prima di fargli segno di precederli a casa per preparare il pranzo. Quando Hagrid fu sparito, si voltò verso la madre: «Che stai combinando?»
«Com’è andata quest’ultima avventura?» domandò invece Danae, che non voleva fornire spiegazioni su quello che faceva nella sua proprietà.
«Per me bene, ma Propertina è stata male quasi tutto il tempo. Credo che non mi seguirà più in questi viaggi», spiegò il figlio un po’ scocciato.
«Meglio, non è una vita adatta a lei». La nuora in effetti era troppo abituata al clima del Dorset per spingersi lontano dalla sua casa. Lei l’aveva detto che non si sarebbe divertita, ma la strega più giovane era così cocciuta…
«Allora mamma, vuoi dirmi che succede?»
«Aiuto un ragazzo che ama le Creature Magiche a non lasciar morire il suo sogno. È un tesoro, vedrai, anche se sembra un piccolo armadio. E mi darà un aiuto eccezionale in questo posto, potrei ricominciare con il programma di accoppiamenti per avere un cucciolo dalla linea di sangue pura».
Convertire il granaio in una vera e propria scuderia, controllare i concepimenti, recuperare le pure discendenze… Era tutto un lavoro a cui aveva dovuto rinunciare, essendo da sola.
Suo figlio, tuttavia, non era al sicuro. «Non credi che sia pericoloso?»
«Ho mai criticato la tua scelta di viaggiare come un disperato nelle regioni più ingrate della Terra? Non mi sembra proprio! E allora fatti gli affari tuoi», sbottò severa Danae. Sapeva di essere dura, ma detestava sentire Newt mettersi in cattedra. Avrebbe capito presto il valore nascosto di Rubeus Hagrid.
«Andiamo a casa, mi mangerei un Ippogrifo dalla fame», commentò ricevendo un versaccio di disapprovazione dalla femmina che coccolava il suo nuovo cucciolo.
 
 
 
   
 
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