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Autore: Melian    18/01/2011    5 recensioni
"Ballavano attorno al fuoco. Sotto il noce di Benevento danzavano con le braccia elevate al cielo, coi capelli sciolti che garrivano al vento, con le vesti blu che frusciavano come foglie."
Genere: Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL NOCE DI BENEVENTO

«Unguento, unguento, portami al noce di Benevento, sopra l’acqua e sopra il vento e sopra ogni altro maltempo!»
Agnese reggeva la coppa con ambo le mani e la mostrava alla luna che faceva capolino dietro le nuvole scure della notte ancora giovane. La pozione magica era di un tenue color ambra, pareva miele e aveva un delizioso profumo speziato; rifletteva la pallida luce lunare come uno specchio di puro cristallo e, da quella luce, doveva essere benedetta.
Era la vigila di Ogni Santi, in cui la gente di Benevento andava alla messa e nei cimiteri per rendere omaggio a propri morti.
Ma Agnese, così come le sue compagne – le sue sorelle – non era come il resto dei beneventani. Per lei, il 31 Ottobre coincideva con la sacra festa di Samhain, col grande Sabba che festeggiava la fine dell’estate e l’arrivo dell’inverno, la morte del Dio e il peregrinare della Dea, in attesa di poter di nuovo essere fecondata in estate.
La donna guardò fuori dalla finestra della sua casa, riportando la coppa sul tavolo di legno ingombro di spezie, erbe e libri. Accanto, il focolare ardeva allegramente e, dentro un calderone di rame, il resto della pozione sobbolliva pigra.
Agnese si preparò, come voleva la tradizione, dell’antico rito: indossò la lunga veste blu che le cingeva il corpo snello alla perfezione e poi raccolse i capelli neri sotto ad un velo azzurro. Spense la fiamma e lasciò solo le braci coperte dalla cenere, perché l’unico fuoco di quella notte doveva essere quello del falò nel bosco. Poi bevve la pozione dalla coppa, se la strofinò sui palmi e gli avambracci; acciuffò la scopa di saggina e inforcò l’uscita della sua casetta in mattoni bianchi, una cascina isolata in una delle campagne del beneventano.
Quando uscì, fu investita dal silenzio interrotto solo dalla litania nella chiesa lontana e dal ritmico e funereo suono della campana portate fin laggiù dal vento pungente di inizio Novembre. Badò bene ad evitare la processione di donne che si recavano proprio alla chiesetta, prendendo un sentiero solitario che tagliava per i campi, fino al boschetto.
Camminò tenendo stretto stretto il velo, fino a che il noce di Benevento si profilò davanti a lei. Si trattava di un noce grande, frondoso, dalle radici nodose che sbucavano dal terreno coperto di foglie e noci mature e somigliava tanto a un vecchio grinzoso e un po’ curvo che si reggeva su un bastone senza perdere la saggezza, succhiata per anni e anni dalla terra.
E lì sotto, proprio all’ombra della chioma verde scuro dell’albero, ardeva un grande falò attorno a cui c’erano altre donne vestite come Agnese e tutte cantavano con le loro voci pure e femminili, tenendosi per mano ed elevando lodi alla luna, alla Grande Madre. Si muovevano dentro un cerchio di mele e alloro, spazzando davanti ai loro piedi con la scopa di saggine, per scacciare la negatività, diceva, oltre che gli spiriti maligni che, in quella notte magica, risalivano dal regno dei morti, liberi dalle loro catene.
Ballavano attorno al fuoco. Sotto il noce di Benevento danzavano con le braccia elevate al cielo, coi capelli sciolti che garrivano al vento, con le vesti blu che frusciavano come foglie. Bevevano le loro pozioni magiche che induceva quello stato di euforia e di comunione con la natura che solo loro conoscevano così profondamente.
Agnese si unì alla festa, si gettò nel Sabba: si accostò all’altare di pietra, spazzò davanti ai propri piedi per poi abbandonare la scopa, si inchinò davanti all’altare coperto di edere e ne baciò la superficie: «Grande Madre, Spiriti potenti, vi invochiamo! Vegliate su di noi, che stanotte balliamo!» E si unì alle danze.
Il noce di Benevento assisteva a Samhain, ascoltava le preghiere rivolte alla terra e le invocazioni di benedizione sul raccolto. Sotto la mano impalpabile del vento, la rigogliosa chioma si inclinava gentilmente e pazientemente, proprio come un vecchio che sorride indulgente davanti alla sfrontatezza dei giovani. Osservava e vegliava sulla danza delle Sacerdotesse della Grande Dea, donne maestre erboriste che conoscevano così bene i cicli naturali, così sagge e, allo stesso tempo, così vitali che la gente maldicente additava semplicemente come streghe.




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Note dell’autrice:

La storia partecipa all’ “Halloween party” di fanworld.it. Il prompt usato è “pozioni magiche”.
Prende ispirazione dalla leggenda delle cosiddette “Streghe di Benevento”: la cornice scelta è proprio Benevento e il suo noce che, a quanto pare, era il centro nevralgico dei riti delle streghe.
La formula magica all’inizio del racconto pare sia una delle formule riferite dalle donne accusa dei stregoneria durante i processi indetti dall’Inquisizione.
“Samahain” altro non è che il nome antico della festa celtica che cadeva proprio il 31 ottobre e festeggiava l’inizio dell’inverno.
L'ultim battuta di Agnese è ispirata alla canzone: "La Danza delle Streghe" di Gabri Ponte. Non che ami quel genere musicale, ma quella ha un testo meraviglioso.
Nonostante sia stata scritta in brevissimo tempo, spero sia comunque una storia piacevole per chi la leggerà.

Melian
   
 
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