Prima di lasciarvi alla lettura
voglio fare una piccola premessa: questa fan fiction è molto diversa dal mio
solito. Come avrete sicuramente notato, questa volta il
genere non è romantico, bensì drammatico. Spero che leggendo riusciate a sentire le emozioni che intendevo comunicarvi
scrivendo… non rivelerò subito chi è che parla, ma non sarà difficile da
indovinare e, alla fine, sarà anche reso esplicito…
Ora non mi resta che augurarvi: Buona
lettura!!!
Ah, Lasciate un commentino please!!! ^_^
Baci
Romen Evans
Solo un burattino
Il
cielo sta piangendo. So che è una delle solite frasi fatte, di quelle che si
dicono quando piove. Ma non posso non pensarlo.
Io
sto piangendo, e il cielo fa lo stesso.
Silente
è stato ucciso. La guerra assume ogni giorno dimensioni
maggiori. Ogni giorno nuove vittime. La morte regna sovrana, si alimenta della
paura che porta. Io non ho paura di lei, Non ho paura
della morte. Ho paura della vita.
Un
ragno si arrampica sul vetro attirando la mia attenzione: quasi meccanicamente
lo uccido. Ecco, ecco quello che faccio. Cerco rifugio
nell'idea della morte, e piango. So che non dovrei. So che una persona nelle
mie condizioni non dovrebbe né piangere né tantomeno
pensare così ossessivamente alla morte. Ma non posso
farci nulla. Sposto l'attenzione sul paesaggio che si presenta al di fuori di
quella finestra. Della finestra del mio salotto. Già: sono a casa. Dopo
l'assassinio di cui si è macchiato Piton, dopo la
scomparsa di Silente, Hogwarts si è svuotata. Sono
andati tutti a casa, alla ricerca di protezione, di calore. Di
amore. Quell'amore che io non ho trovato. Io ho trovato solo odio. Odio
per il mio fallimento. Odio per gli altri. Odio per me stesso. Ho cercato di essere qualcuno, di essere potente, di essere grande. Ma ho capito che non sono nulla. Che
per sedici anni non ho fatto altro che modellare la mia personalità in base
alle idee dei miei genitori, dei loro amici... Ho modellato il mio essere, sono
stato solo un pupazzo. Un burattino mosso da un burattinaio esperto che teneva
i fili della mia vita: giocandoci.
Un
fulmine squarcia la calma della campagna che mi circonda. Improvvisamente si
squarcia anche la mia calma. Ora
basta. Sono stanco di dovermi sempre muovere secondo gli schemi e i capricci
degli altri. Voglio essere me stesso. Per una volta. È come se il fulmine
avesse reciso i fili che mi tenevano legato a quel burattinaio. Mi allontano
dalla finestra. Un'altro fulmine penetra nell'oscurità
della stanza facendo risplendere la maschera argentea che è poggiata sul
comodino. Mi avvicino titubante. Non voglio prenderla. Non voglio più neanche
vederla da lontano. Vorrei solo distruggerla: dimenticando, ricominciando. Ma so che non si può. Che devo continuare
il mio compito. Ormai ho preso una decisione. E
non torno indietro. Mi incanto ad osservare i bagliori
che la fiamma di una candela, unica luce nella stanza, getta su pareti e
oggetti. Rossi, come il sangue che è già stato e che sarà
ancora versato per colpa di questa guerra. Ovunque posi il mio sguardo vedo quel colore, ma in nessun altro oggetto è così nitido
come lo è su quella maledetta maschera. Mi ossessiona, mi
rende incapace di pensare. Io, Dorian
Gray del mondo magico, che ho venduto la mia anima e
che in cambio ho ricevuto solo su pezzo d'argento da mettere sul volto per
coprirmi; che speravo di riuscire ad essere qualcuno seguendo la via facile,
servendo un uomo, anzi un nostro, per un briciolo di potere. Solo ora mi rendo conto che il vero potere è quello di
seguire i propri ideali, di salvare vive innocenti, di amare. Non ho mai odiato
così tanto queste frasi fatte, non le ho mai odiate tanto quante le odio ora che mi accorgo che sono
vere. Riprendo a guardare fuori dalla finestra,
osservo le case apparire e sparire al ritmo dei lampi che accendono e spengono
il paesaggio. Vorrei che il tempo non passasse mai, vorrei poter rimanere così
per sempre. Ma, purtroppo, niente è per sempre e lo so
fin troppo bene ormai. Anche la mia infanzia e la mia
adolescenza non sono durate quanto avrebbero dovuto. Sono diventato un uomo prima del tempo. Contro natura mi sono
fatto tatuare l'avambraccio sinistro... Ripensarci mi fa uno strano effetto.
Sembra quasi... Compassione. Compassione per un povero
bambino ricco che non riesce a provare nient'altro che odio... I miei pensieri
iniziano a correre, a immaginare quanto sarebbe bello
innamorarmi davvero di qualcuno. Poter scaldare il mio cuore
ghiacciato come i miei occhi... Poter costruire una famiglia, avere dei bambini
da proteggere, una moglie da amare e dalla quale essere amato.
Un
forte tuono mi riscuote dalle mie impossibili fantasie
riportandomi alla realtà. Riportandomi a quella maschera dai
bagliori sanguigni che giace intoccabile e inguardabile sul comodino.
Improvvisamente, qualcosa di più forte di un tuono, mi riconduce alla mia idea
di morte. Eccolo, è lui. Sta chiamando. Mi tiro su la manica sinistra del
vestito. Nero. Il mio tatuaggio è ora nero come il giaietto. La battaglia è
cominciata. So cosa devo fare. Il burattino sa come muoversi, evidentemente il
suo burattinaio gli ha insegnato bene. Con un gesto improvviso mi giro facendo
guizzare il mantello. La mia mano si chiude intorno all'argento macchiato di
rosso della mia prigione. Meccanicamente la poggio sul mio volto e mi
smaterializzo.
Mi
ritrovo in un luogo di mia conoscenza. Passo da una casa all'altra... La
battaglia si combatterà ad Hogwarts.
Sono passati un paio di mesi da quando tutti sono andati via dopo
il funerale di Silente. Vedo le schiere dei nemici. Vedo le maledizioni che,
come se una mano invisibile avesse dato il via, vengono
sparate da entrambi gli schieramenti. Se togliessi la maschera sul mio volto comparirebbe un'espressione forte e decisa.
Un'espressione che non ho mai avuto.
È un momento, un lampo di luce verde sgorga da una bacchetta vicino a me. Lo vedo dirigersi
verso la piccola Weasley. Rivedo,
risento i miei pensieri. È un momento. Ho fatto la mia scelta. Mi lancio
verso di lei. Poi il buio.
*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~
La
battaglia era finita, I mangiamorte
si erano ritirati. Nel silenzio di morte si sentì la voce di un ragazzo alzarsi
e domandare: "Ginny, come hai fatto a
sopravvivere alla maledizione che ti avevano mandato?"
e
la ragazza rispondere: "non lo so Harry. Ho
visto soltanto qualcuno lanciarsi su di me... Eccolo.
È lui." terminò la ragazza indicando il corpo
esanime ai suoi piedi. Ginevra Weasley si inginocchiò e, molto delicatamente, sollevò la testa del
suo salvatore. Il nero cappuccio da mangiamorte
scivolò, rivelando dei liscissimi capelli biondi. Da una tasca del mantello la
ragazza vide uscire un foglietto. Rapida, senza farsi vedere dagli altri, lo
raccolse e se lo infilò in tasca. Poco dopo, sola nella sua stanza, Ginny lo prese e lo aprì. Una
calligrafia minuta e disordinata aveva tracciato due piccole
frasi:
"non sono un burattino. Ho fatto
la mia scelta."
la
ragazza richiuse il foglietto e lo gettò tra le fiamme del camino. "addio Draco" sussurrò guardandolo diventare cenere.