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Autore: Selene Silver    19/01/2011    4 recensioni
Per l'uscita dell'11° volumetto. Ditemi che ne pensate!
Fu per questo che le fece sentire la sua musica. Voleva che le sue note tristi fossero impregnate della forza silenziosa di lei; voleva che le sue melodie parlassero di occhi verdi fin troppo belli, ed inconsapevoli di esserlo. Voleva che parlassero di spalle fragili ma dritte, di gonne a pieghe e camicette, e di libri troppo pesanti scagliati dritti sulla testa con quell'urlo ridicolo e solenne. [Maaaka Chop!]
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Maka Albarn, Soul Eater Evans
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chains

***

Keep your feet on the ground
When your head's in the clouds

***

 

C'era una volta un bambino coi capelli bianchi.
Era troppo fragile per stare su questa terra, ma le pressioni della sua famiglia lo costringevano a tenere i piedi ancorati alla realtà, e non nel cielo, fra le nuvole dello stesso colore dei suoi capelli.
<< Stai attento >> e << Guarda dove metti i piedi >> erano all'ordine del giorno per quel bambino, che aveva occhi del colore del sangue, ma così grandi e sperduti da far perdere del tutto la caratteristica minacciosa intrinseca in quelle iridi fiammanti. Perché era un bambino solo, in definitiva, ed i bambini soli hanno sempre bisogno d'amore. [Anche se hanno qualcosa che non va.]
E c'era un unico momento in cui non aveva bisogno di portare catene di sguardi e lacrime per rimanere ancorato a terra: quando suonava.
Gli era parso così grande, quello splendido pianoforte a coda (nero, ovviamente) quando l'aveva visto per la prima volta! E crescendo, aveva continuato a sembrargli tale. Perché i grandi amici rimangono tali anche quando si cresce.
C'era un unico momento in cui le sue catene non dovevano tenerlo ancorato a terra: quando posava le sue dita - prima piccole e paffute, poi lunghe ed affusolate - su quei tasti di osso bianco, e lasciava che la musica gli pregnasse i pensieri. Si concentrava e vedeva. Ancora più in là di quanto i suoi occhi di sangue non facessero solitamente.
Poi anche quella consolazione gli fu tolta. Non poteva suonare che nel tempo libero. Era un'arma, e doveva esserlo anche quando non c'era nessuno e niente da combattere, se non il vuoto ed il silenzio di vecchi e rigide regole consunte, che dovevano essere rispettate fino a versare sangue. Le catene si appesantirono ed il bambino cambiò.
Infine, crebbe e divenne un ragazzo un po' arrogante ed un po' stupido, ed orgoglioso, ed anche vanitoso.
Il bambino che vedeva il mondo solo quando suonava venne rinchiuso in una cassaforte dalla combinazione cifrata, anche se gli mancava terribilmente. Suo padre aveva scritto la combinazione su un foglietto di carta, e poi l'aveva bruciato "per il suo bene".
Il bambino troppo fragile per rimanere su questa terra, tenuto ancorato alla realtà da catene di sguardi e lacrime, divenne un ragazzo ferito
[dietro costumi e maschere abbaglianti] che poteva scappare solo posando le dita lunghe ed affusolate sui tasti bianchi e neri di un pianoforte.

  Poi il ragazzo venne considerato maturo, e fu allontanato da casa per andare a scuola.
 

Aveva vissuto nel buio. Se ne accorse quando la conobbe, perché la sua luce, anche se lei non se ne accorgeva, era così forte da obbligarlo a socchiudere gli occhi per celarle quanto sporco fosse il colore delle proprie iridi.
Lei era così piccola che sembrava doversi spezzare, ma quando poi gli sorrise, come se sapesse esattamente ciò che lui aveva pensato, capì che non c'era nulla di fragile in quella ragazzina. Che emanava luce, anche se non se ne rendeva conto.
Fu per questo che le fece sentire la sua musica. Voleva che le sue note tristi fossero impregnate della forza silenziosa di lei; voleva che le sue melodie parlassero di occhi verdi fin troppo belli, ed inconsapevoli di esserlo. Voleva che parlassero di spalle fragili ma dritte, di gonne a pieghe e camicette, e di libri troppo pesanti scagliati dritti sulla testa con quell'urlo ridicolo e solenne. [Maaaka Chop!]
Voleva tutto questo per sé, anche se lei non l'avrebbe mai saputo. Per questo accettò di diventare suo partner, e a volte si chiedeva cos'avesse spinto lei a fare lo stesso. [Forse aveva visto la sua oscurità, e se n'era sentita attratta quanto lui lo era stato dalla sua luce pura ed inconsapevole?]
La ragazzina emanava una luce forte, ma non abbagliante. Avrebbe voluto poggiare la testa sulle sue gambe e lasciarsi inondare da quella luce, perché ne riposasse un almeno un po' anche dentro di sé. Avrebbe potuto rimanere a guardarla mentre lei non lo sapeva per ore, assorbendo ciò che vedeva, riversandolo nelle note di un pianoforte.
Non furono più catene di sguardi e lacrime ad incatenarlo a terra, perché lei le dissolse. Gli regalò ali fatte con la sua luce, che lui sentiva sulle spalle ad ogni movimento. Ma non le usava mai, se non quando suonava. Perché?
Aveva trovato un'altra catena: era una mano, piccola e inguantata per celarne la fragilità. E la mano era collegata ad un braccio, e ad un corpo; il corpo di una ragazzina tanto piccola da sembrare fragile, con capelli quasi biondi e occhi di un verde incredibile: il colore delle vetrate delle chiese inondate di luce.
Era diventato dipendente dalla propria catena. Non voleva volare via con le ali di luce che gli aveva dato.
Era quello, il punto. Gli altri lo avevano intrappolato sulla terra ferendolo; lei lo faceva curandolo.




Com'è? Vi piace?? A me abbastanza, devo dire che sono piuttosto soddisfatta. Scrivere dal punto di vista di Soul è abbastanza difficile, ma la sensazione di essere per terra solo quando suono la conosco: la provo anch'io. ^^
E quindi... ditemi cosa ne pensate, vi preeego! *-*
  
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