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Autore: Joy    20/01/2011    5 recensioni
"Sempre a dare dimostrazioni di forza, non è così, Damon?"
Seconda classificata al contest "Parco giochi" indetto da Namine22 e Ryku24.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Damon Salvatore, Katherine Pierce, Stefan Salvatore
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Nature ricorrenti

 

   Titolo: Nature ricorrenti
  Nickname: Joy
  Rating: Giallo
  Genere: Malinconico
  Fandom: The vampire diaries
  Giostra scelta: Tira-pugni 
 
 
 

-Solo Rocky le dà più forte, ragazzo!-

Un uomo in pettorali di gommapiuma e parrucca biondo platino indicò sul tabellone luminoso il punteggio totalizzato.

Settecentocinquantuno.

Niente male.

Diversi ragazzi spavaldi e chiassosi si congratularono mollando sonore pacche sulla schiena dell’aspirante Rocky, mentre lo sfidante sistemava il pungiball per il colpo successivo.

Trecentosessantacinque.

-Hai la forza giusta per tirare il carretto dei gelati!- commentò questa volta il wrestler imbottito.

La combriccola esplose in uno scroscio di risa e insulti. Mi ricordò l’adolescenza da umano.

All’alba del nuovo millennio, i ragazzi erano come sono sempre stati.

La stessa irruente esuberanza, la spensieratezza ingenua…

Cinque generazioni con medesimi desideri e ideali irraggiungibili.

Tutto si ripete, sempre.

Ero tornato a Mystic Falls, dopo un paio di decenni d’assenza, per assistere ai festeggiamenti del nuovo anno. Per quelli della mia razza, lo scorrere del tempo non ha alcun valore, ma il duemila rappresentava per me un nuovo punto di partenza.

Mi convinsi che avrei potuto ricominciare da zero, cancellare il passato. Un nuovo millennio e una nuova vita.

E volevo iniziarla nella mia città.

-Centosettantanove. Fatti aiutare da tua nonna!- scherzò ancora il custode biondo platino, colpendo bonariamente la spalla del più piccolo del gruppo.

Mi accomodai sulla panchina più vicina e lasciai che l’euforia generale mi contagiasse.

Essere parte della folla sorridente, dopo decenni di solitudine e recriminazioni, rappresentava per me la più importante delle conquiste.

Era la conferma che desideravo.

L’inizio di una nuova era.

-Vi dico che non funziona!- berciava in sottofondo il ragazzino, rosso di vergogna per il suo scarso punteggio.

Sentii la voce del nuovo Rocky biascicare in risposta un blando incoraggiamento, ma a dispetto delle parole, il tono era compiaciuto.

Desiderio di competizione e autogratificazione.

Neanche quelli erano cambiati.

Il display elettronico segnò un nuovo punteggio. Questa volta non mi voltai per vedere quale fosse, ma udii il solito buffone commentare in tono sarcastico:

-Le selezioni per il campionato nazionale sono la prossima settimana…-

Mi tornò in mente mio fratello, con i suoi commenti taglienti e una nuvola si affacciò ad oscurare l’incantevole pomeriggio. Impegnai tutto me stesso a scacciarla, concentrandomi sul gruppetto di bambini che giocavano poco lontano da me.

Uno di loro indossava una maschera da bandito e puntava la sua spada di plastica alla gola di una bambina. Questa lanciò un grido e si nascose dietro le gambe di suo padre, stringendo con impeto il gattino che aveva tra le braccia.

Udii il miagolio della bestiola indignata e la voce di una mamma autoritaria che afferrava il braccio del suo scalmanato figliolo.

Osservai la bimba, per chiudere la mente a qualsiasi altro pensiero che non desideravo affrontare. Dimostrava non più di sette anni, aveva grandi occhi scuri e uno sguardo dolce.

-Tesoro, ricordati che non è un giocattolo.- le disse il padre, accennando al gattino troppo stretto tra le sue braccia.

La piccola allentò la presa, obbediente e lo posò con delicatezza nella portantina di vimini, poi tornò a giocare col suo amico mascherato.

La osservai mentre correva, scrollando i boccoli scuri e quando mi passò vicino le sorrisi con simpatia.

Odorava di zucchero e vaniglia.

Sollevò il viso per un istante soltanto, mi sorrise a sua volta e scappò via.

Rimasi senza fiato.

Gli occhi neri, i riccioli morbidi e quel sorriso contagioso…

Non vedevo quel sorriso da oltre un secolo.

Katherine.

Il passato che avevo creduto di seppellire insieme al vecchio millennio, fece irruzione nella mia testa sradicando centotrentacinque anni di porte sigillate.

Katherine.

Per lei avevo perso la mia umanità, mio fratello e la vita stessa.

Poi avevo perso anche lei.

Respirai profondamente.

L’aria era tiepida, nonostante fosse gennaio.

Continuai a osservare la bambina. Saltellava muovendosi a passo di danza e indossava un cappottino rosso dalla foggia antiquata che rendeva ancor più verosimile la somiglianza.

Non riuscii a distogliere lo sguardo da lei, fino a quando il display luminoso del tira-pugni proruppe in una cacofonia di suoni tale da far voltare ogni persona presente in strada.

Mille punti. Il massimo.

-Ehi, non scherzare. I superumani non sono ammessi!- commentò allegro il wrestler platinato.

Riconobbi mio fratello nell’uomo che gli stringeva la mano e mi si gelò il sangue. Aveva un’aria pericolosamente affabile.

-Complimenti!- aggiunse poi il proprietario della giostra, con tono sinceramente ammirato.

Damon scrollò le spalle, come se non gl’importasse e strizzò l’occhio ad alcuni ragazzini che lo fissavano increduli.

M’imposi di non lasciar trasparire l’inquietudine che mi sopraffaceva, ogni volta che mio fratello riemergeva nella mia vita.

-Sempre a dare dimostrazioni di forza, non è così, Damon?- gli dissi quindi, appena fu abbastanza vicino.

Lui mi rivolse un sorriso ghignante, che non prometteva nulla di buono.

-Mi sono trattenuto, ovviamente.- rispose, lasciandosi cadere con aria svagata sulla panchina.

Cercai di studiare la sua espressione, mentre sedeva al mio fianco, ma il suo volto era impenetrabile.

-Le somiglia davvero moltissimo, non trovi fratellino?- esordì d’un tratto, accennando alla piccola dagli occhi neri. –Chissà se avrà anche lo stesso sapore…-

-Damon, non provarci.- ringhiai.

-Cosa c’è? La vuoi tutta per te?- sorrise con cattiveria. –Non sei più disposto a dividere la donna con tuo fratello, come facevamo ai vecchi tempi?-

-È una bambina, Damon.-

-Dettagli.- rispose lui con indifferenza. –Potremmo sempre aspettare che cresca, il tempo non ci manca…-

-Io e te insieme, non faremo proprio un bel niente.- risposi sforzandomi di non perdere il controllo di fronte alle sue provocazioni.

-Andiamo Stefan, non essere così polemico. Divertiamoci, siamo al Luna Park! Non ricordi l’ultima volta che ci siamo stati?-

Rimasi immobile e in silenzio.

-Ricordi i saltimbanchi nel milleottocentosessantaquattro? Ci andammo insieme. Io, te e Katherine.-

Afferrò con forza la mia spalla.

-Lo ricordi, Stefan?- mi sibilò in faccia.

Chiusi gli occhi.

Certo che lo ricordavo.

 

Katherine insistette per uscire al crepuscolo, sosteneva che lo spettacolo circense sarebbe stato più suggestivo di notte, e non volle usare la carrozza.

Era un autunno insolitamente mite.

Percorremmo lentamente i viali in penombra, ogni soffio di vento agitava intorno a noi una danza di foglie cadute. Il tappeto soffice sotto i nostri piedi scricchiolava deliziosamente.

Katherine rise abbandonando il mio braccio e corse avanti, facendo volteggiare la gonna del suo abito scarlatto al centro di quella piaggia lieve e dorata.

Mi ricordò l’istante in cui il sole declina, una melodia di colori dal rosso all’oro…

Era incredibilmente bella.

Ultraterrena.

Damon s’inchinò di fronte a lei e le offrì un ramo d’edera rosso cupo.

-Mia regina…- le sussurrò, porgendoglielo.

E lo era.

Lo era davvero.

Lei sorrise, accettò il dono e lo stesso fece con il braccio che mio fratello le offriva.

Rimasi a guardarli alcuni passi indietro, struggendomi di gelosia, ma lei si voltò subito verso di me.

-Non volete offrirmi anche il vostro braccio, Stefan?- chiese maliziosa.

Corsi al suo fianco, avrei esaudito qualsiasi sua richiesta.

Immaginai che mio fratello fosse contrariato, ma non lo diede a vedere.

In realtà eravamo molto felici, tutti e tre.

I tendoni del circo erano stati allestiti all’interno dei possedimenti del sindaco Lockwood, riconobbi la maggior parte delle persone che incontrammo.

Al centro del parco, un enorme falò scoppiettava allegramente, lanciando in aria manciate di scintille. Katherine volle avvicinarsi e rimase a fissarlo affascinata.

Una luce tenue e dorata  la illuminava con discrezione, quasi avesse riguardo della sua femminilità, e per la seconda volta mi ritrovai a credere che fosse troppo bella per essere umana.

Il desiderio immortale, divenuto donna.

… E celato maliziosamente da metri di seta scarlatta.

Mio fratello ci guidò attraverso viali, dove giocolieri dal volto dipinto maneggiavano disinvolti le loro fiaccole infuocate.

Le note di un organetto coloravano l’atmosfera di musica allegra.

Fu una notte surreale.

Persi me stesso, inebriato dal profumo autunnale della legna bruciata e quando mi voltai frastornato, scoprii di essere solo. Non ricordavo se fossi stato io ad allontanarmi da mio fratello e da Katherine o se fossero stati loro a lasciarmi indietro per visitare una nuova attrazione.

Mi affrettai a cercarli nei tendoni più vicini e infine li trovai davanti alla gabbia degli animali feroci.

Damon, contrariamente a quanto pensavo, non sembrò dispiaciuto di vedermi. Mi fece cenno con la testa, perché mi avvicinassi e notai che stringeva saldamente il braccio di Katherine, quasi avesse timore che lei si avvicinasse troppo al pericolo.

Mi stupì.

Mio fratello non era mai stato così accorto, ma quando scorsi l’espressione di lei, mi sentii invadere da una profonda inquietudine.

Fissava affascinata la tigre dietro le sbarre; nei suoi occhi scuri e misteriosi colsi un’insana brama di forza e uno spirito indomito.

Vidi qualcosa di selvaggio in lei, qualcosa che non conoscevo e che spaventava persino mio fratello.

Sembrava sul punto di protendere la mano e sfiorare la bestia, per questo le afferrai le dita e me le portai alle labbra.

-Katherine…- sussurrai.

Lei si riscosse immediatamente, sorrise dolce e lasciò che la scortassimo all’uscita.

L’aria fresca parve restituire a tutti e tre un po’ di lucidità.

Poco lontano da noi, uno dei saltimbanchi dal volto mascherato piroettava in mezzo alla folla, invitando i passanti ad entrare nel suo tendone.

-L’uomo più forte del mondo, signori!- gridava. –Venite a sfidare l’uomo più forte del mondo!-

Katherine rise e quello se ne accorse.

-Signori- disse, dopo essersi avvicinato a noi. –Non volete vincere un gioiello per la vostra bella dama?-

-E cosa dovrei fare per vincerlo, buon uomo?- chiese mio fratello.

-Sconfiggere nella lotta l’uomo più forte del mondo!- rispose quello esultante.

Io sorrisi scettico, ma Damon rimase in silenzio. Sciolse delicatamente il braccio dalla mano di Katherine e si tolse la giacca con gesti plateali.

-Damon, no.- lo ammonii.

Detestavo queste inutili dimostrazioni di forza, ma lui m’ignorò e afferrando le dita di quella che considerava la sua dama, se le portò alle labbra, come avevo fatto io pochi istanti prima.

-La mia signora avrà il suo gioiello.- le sussurrò dolcemente.

Guardai Katherine, perché mi appoggiasse nel dissuadere mio fratello dal compiere una simile sciocchezza, ma il volto di lei era raggiante.

Amava la forza, come ebbi modo di comprendere, e apprezzava l’uomo capace di combattere per lei.

Non riuscii a fermarli.

Li seguii, mio malgrado, all’interno del tendone caotico e maleodorante.

Per tutta la durata dell’incontro, Katherine, per niente turbata dalla violenza, guardò mio fratello con occhi lucidi d’orgoglio.

Non vinse, naturalmente. Però si fece valere.

E quando tornò da noi, grondante di sudore e con le labbra sanguinanti, mi resi conto che aveva ottenuto il trofeo più ambito.

La stima di Katherine.

Rimase con lui per il resto della serata.

 

Mio fratello mi guardò con aria soddisfatta, quasi potesse leggermi nella mente. Non amavo ricordare quella notte e lui lo sapeva.

Ciò che non capiva, era il reale motivo del mio disagio.

L’attribuiva alla gelosia, ma non era così…

Osservai il cielo scurirsi, la giornata era quasi conclusa.

Un gatto ancora cucciolo mi si avvicinò e cominciò a strusciarsi fiducioso alla mie gambe, suscitando l’ilarità derisoria di mio fratello. Lo ignorai, come facevo ormai da un centinaio di anni, e afferrai la bestiola.

Portava intorno al collo un enorme fiocco rosso.

Lo riconobbi nel momento stesso in cui sentii la vocetta infantile della sua padrona.

-Mi scusi, signore- chiese timida, dondolandosi sui piedi. –Potrei riavere la mia gattina?-

Mi concessi di fissarla con nostalgia solo per pochi istanti, prima di restituirle la bestiola.

I tratti nei quali riconoscevo Katherine sembravano davvero troppo evidenti per essere veritieri; per un istante pensai che fosse la mia mente a mostrarmi ciò che non esisteva, ma l’espressione assente di mio fratello confermava ciò che i miei occhi vedevano.

La somiglianza era incredibile.

… E altrettanto reale.

-Come si chiama?- le chiesi, accennando alla gattina.

-Kat.- rispose quella con voce dolce e dopo avermi sorriso un’ultima volta, fuggì via.

Kat.

Non trovai la forza di commentare.

Mi adagiai contro lo schienale della panchina e inalai profondamente l’aria fredda.

Era quasi buio.

Il falso wrestler si era già ritrasformato nel sobrio proprietario della giostra. Le sue imbottiture di gommapiuma e la parrucca bionda giacevano sul camioncino poco distante.

Le varie attrazioni stavano cominciando a chiudere.

-Quella sera- esordii con tono stanco. –Quella sera, Katherine mi sembrò pericolosa e irraggiungibile.-

Damon si rifiutò di guardarmi, ma non parve sorpreso come mi aspettavo, annuì debolmente, invece.

-Per la prima volta ebbi timore di lei.- continuai.

Lui rimase immobile, assorto.

-Lo so, Stefan.- mormorò dopo un istante.

Lo disse con un tono sincero che non sentivo da molto tempo. Spalancò la voragine di solitudine che fingevo d’ignorare e mi spinse a desiderare mio fratello dalla mia parte, come un tempo.

Ma quando mi voltai, lui si stava già alzando.

-E così ti stabilirai qui.- commentò allontanandosi.

Non era una domanda, ma scuotei comunque la testa, mormorando un flebile “no”.

Avevo ingenuamente creduto di poter cancellare il passato, di ricominciare una nuova vita.

Una tela bianca, senza macchie.

Sbagliavo.

Me ne andai il giorno dopo.

 

***

 

Lascio che i suoi capelli mi scorrano tra le dita.

Seta lucente a incorniciare il volto candido.

Profuma ancora di zucchero e vaniglia.

Solo i suoi occhi sono cambiati.

Non v’è più traccia dei sogni infantili, ma solo paure, sempre più concrete.

Le sfioro la bocca con le labbra, consapevole che per il suo bene non sarei mai dovuto tornare, ma lei sorride dolcemente, accarezzandomi la guancia e alla sua muta domanda non posso fare a meno di rispondere.

-Sì, è stata quella la prima volta che ti ho incontrata, Elena.-

 

 

FINE.

 

Questa storia è arrivata seconda al “Parco Giochi contest” indetto da Namine22 e Ryku24.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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