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Autore: vannagio    21/01/2011    11 recensioni
Giovanna Benvenuti era davvero stufa della gente che per rivolgersi a lei usava nomignoli idioti - Ehi, Giò! Giò-giò, come stai? Gioi, che carina che sei! Ciao Giovy. Giovà, quanto tempo! - e mai il suo nome per intero. La maledizione dei nomi troppo lunghi, la chiamava lei. Per porre fine a quella che lei considerava una vera e propria disgrazia, piuttosto che continuare a sopportare la mutilazione del suo nome per bocca altrui, aveva deciso di scegliersela lei l’abbreviazione giusta. Perciò aveva cominciato a presentarsi come Gianna.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aro, Gianna, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
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"Quando vannagio vaneggia!"



Cambio di personale




L’eco dei suoi passi risuonava per tutto il corridoio. Rimbalzava da una parete all’altra come una palla da pingpong, andava a sbattere violentemente contro il soffitto, precipitava sul pavimento, per poi ricominciare daccapo lo strano girotondo sonoro.
Nora procedeva a passo sicuro ma leggermente strascicato, perché il ginocchio sinistro non era più quello di una volta e non le permetteva di muoversi agilmente come un tempo. Tra le braccia, un mucchio di fascicoli sul quale avrebbe lavorato più tardi. Sperava proprio di non crollare addormentata troppo presto quella sera: aveva parecchio lavoro arretrato da recuperare. Tutto il peso dei documenti gravava sul fianco destro e perciò l’anziana donna era costretta a muoversi storta e curva. Sembrava quasi che la sua cervicale stesse strillando come un allarme impazzito, tanto le faceva male. Ma lei sopportava in silenzio. E anche se si fosse lamentata? Chi mai si sarebbe preoccupato per lei?
Camminava con lo sguardo fisso di fronte a sé. Di certo, i marmi pregiati e gli antichissimi affreschi che scorrevano alla sua destra e alla sua sinistra avrebbero meritato un’adeguata attenzione da parte di un qualsiasi visitatore occasionale. Ma quello non era il caso di Nora e comunque la donna dubitava che lì ce ne fossero mai stati, di visitatori occasionali. Non umani, almeno. Conosceva quel luogo come le sue tasche e avrebbe potuto elencare le meraviglie e gli orrori in esso contenuti uno per uno. Per esempio, Nora non aveva bisogno di trastullarsi in futili contemplazioni per sapere che, proprio in quel momento, stava oltrepassando un Da Vinci ufficialmente disperso o un Caravaggio della cui esistenza nessuno era a conoscenza. Ad ogni modo, non le era concesso perdere tempo. Al suo datore di lavoro, Aro, non piaceva aspettare.
Si fermò davanti a un’imponente porta di legno scuro. Con gesti meccanici ma meticolosi, si lisciò la camicia e si portò una mano ai capelli. Al tatto lo chignon sembrava in ordine. Ci teneva a non sfigurare più del necessario. Essere la più giovane del gruppo e al contempo quella che appariva più vecchia - l’unica che avesse il viso e il corpo segnati da vecchiaia e stanchezza - era un boccone molto amaro da digerire. Ci mancava soltanto che si facesse vedere in giro come una specie di accattona e a quel punto… chi avrebbe retto le battutacce di Felix e Jane?
Bussò due volte. Piano e con cautela. Due tocchi leggeri, appena udibili. L’educazione era molto importante per il Signore dei Volturi. Contò fino a tre, come le era stato insegnato diversi decenni prima, ed entrò nello studio senza attendere alcun “Avanti!” o “Entra pure”, che comunque non sarebbe mai arrivato. Aro odiava ripetersi. Anzi, no. Aro odiava essere ridondante.
Se convoco qualcuno nel mio studio, di fatto gli ho già accordato il permesso per entrare. Perché, quindi, costringere quel qualcuno a domandarmelo nuovamente? Questo, mia cara, è quello che chiamo esser ridondante, le aveva spiegato il Signore dei Vampiri con bonaria pazienza, quando Nora era ancora giovane e inesperta. E anche se cambiassi idea riguardo al permesso - aveva aggiunto subito dopo - quel qualcuno lo saprebbe con largo anticipo, te lo assicuro. Oppure troverebbe la porta del mio studio chiusa a chiave. In ogni caso, sperare in un “Avanti” da parte mia, sarebbe ottimistico fino alla stoltezza… per usare le parole di un mio vecchio conoscente.
Contorto ma efficace, Nora doveva riconoscerlo.
Fermatasi al centro della stanza, l’anziana donna chinò il capo in segno di rispetto e obbedienza. «In cosa posso esserle utile, Mio Signore?».
In una simile circostanza, chiunque altro avrebbe esordito con un “Voleva vedermi?” oppure un “Ha chiesto di me?”. Ma con Aro le domande futili erano bandite. Se ti ho fatto chiamare, mi pare ovvio che volessi vederti o parlarti. Perché domandare se si conosce già la risposta? - sarebbe stata la probabile replica del vampiro - Anche questo è esser ridondante, mia cara. Non dimenticarlo mai.
Intanto, una mano pallida era comparsa nel campo visivo di Nora, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. Dita eleganti, gelide e familiari sfiorarono la guancia della donna, le intrappolarono il mento in una morsa stretta ma gentile e la invitarono a sollevare lo sguardo. Lei non si fece pregare - anche perché Aro non pregava mai nessuno, ordinava e basta - e si scontrò con due occhi cremisi, che la stavano studiando con educata malizia, chissà da quanto tempo.
Nora non lo aveva sentito avvicinarsi. Semplicemente… prima lo aveva scorto seduto alla scrivania, immerso nella lettura di carte dall’aspetto molto ufficiale, due secondi più tardi se lo era ritrovato lì, in piedi di fronte a lei. Nonostante ciò, Nora non si scompose. Dopo tutti quegli anni di servizio, l’anziana donna era abituata alla totale mancanza di umanità che caratterizzava il suo datore di lavoro. Che stesse progettando una guerra, sorridendo apparentemente innocuo o leggendo assorto un libro, non faceva alcuna differenza. Aro poteva sembrare tutto, fuorché umano.
«Eleonora, tu mi lusinghi!».
Questa volta Nora sussultò. Eccome! Aro stava ancora accarezzando la guancia rugosa della donna, perciò aveva percepito ogni suo pensiero. Tremò istintivamente, temendo le possibili ripercussioni di quei ragionamenti inopportuni. Rivolse un’occhiata terrorizzata al Signore dei Vampiri. La fissava con quel suo tipico sorriso cordiale, che poteva voler dire tutto o niente. Lo sfoggiava ogni volta che desiderava celare le sue intenzioni ai suoi interlocutori… vale a dire, sempre.
Diamine! Se proprio non riusciva a impedire alla sua mente di galoppare a briglia sciolta, tanto valeva gettarsi da un ponte e farla finita subito. Tutto ciò non giovava alla sua incolumità. Doveva rimediare. Subito.
«Mio Signore…».
«Nessun rancore, mia cara», la interruppe Aro, agitando la mano libera come a voler scacciare una mosca fastidiosa, «Hai solo pensato la verità. A rifletterci bene - e che resti tra noi, mi raccomando - non mi è mai piaciuta l’umanità… nemmeno quando ero umano». E scoppiò in una risata squillante e allegra, che le fece venire la pelle d’oca.
Nora stiracchiò le labbra in un sorriso di circostanza, ancora non del tutto convinta di esserla cavata così facilmente. Come a voler dare consistenza alle sue perplessità - probabilmente era proprio questo l’intento del vampiro -, le dita di Aro si mossero leggere come brezza mattutina, scivolando giù, fino al collo. La pressione sulla pelle aumentò e Nora deglutì a vuoto, paralizzandosi come solo un vampiro avrebbe saputo fare. Sentiva la sua giugulare pulsare contro i polpastrelli ghiacciati di Aro, aveva il fiato corto per la paura e la mancanza di aria. Le sue ginocchia traballavano sconnesse.
Aro non uccideva senza un motivo, Aro non uccideva se non lo trovava divertente, Aro non uccideva se la cosa non andava a suo vantaggio. Nora continuava a ripeterselo come un mantra, nella speranza di convincere se stessa. E forse anche Aro.
«Aro non uccide quando il suo tempo può essere impiegato in attività di gran lunga più importanti, Nora», la corresse lui e finalmente dischiuse le dita, permettendole di respirare liberamente. «Voglio che tu faccia una cosa per me», aggiunse, ritornando improvvisamente cortese.
«Certo, Mio Signore. Qualunque cosa», si affrettò a rispondere la donna. Nel ricomporsi non si concesse nemmeno un sospiro di sollievo. Meglio non mostrare ad Aro quanto si fosse contenti e sollevati di essere ancora vivi e vegeti.
«Presto avremo bisogno di una nuova segretaria». Silenziosa come un serpente, la mano del vampiro si avviluppò intorno all’avambraccio dell’anziana donna. «Ti occuperai tu dei colloqui. Ti farò avere una lista di nomi papabili domani stesso».
Nora cercò in tutti i modi di frenare i suoi pensieri - sul serio! - ma non ci riuscì. Perché Nora era l’attuale segretaria di Aro, la sola umana che avesse accesso alla dimora dei Volturi e che ne conoscesse i segreti. E se Aro aveva bisogno di una nuova segretaria, ciò stava a significare che… vide il vampiro annuire, come se stesse seguendo per filo e per segno il suo ragionamento e la volesse incoraggiare a proseguire. Sorrideva, divertito. Stava aspettando una sua reazione?
Nella mente di Nora cominciarono a scorrere scorci di vita passata. Il giorno in cui aveva scoperto l’esistenza dei vampiri, l’ingresso alla corte dei Volturi, la prima volta che aveva incontrato Aro, l’ipotetica promessa di un futuro diverso, immortale, e un presente fatto solo di obbedienza e sudditanza. Stava per finire tutto, quindi? Non c’era alcuna speranza per lei? Nora stava per… ma doveva pur esserci una soluzione, una scappatoia. Nora aprì la bocca per parlare, ma Aro la bloccò, scuotendo il capo.
«Le tue obbiezioni sono del tutto superflue, oltre che vane, mia cara Eleonora. E tu conosci molto bene la mia opinione riguardo alle cose superflue e ridondanti». Lo sguardo di Aro era grave e severo. «Sappiamo entrambi quanto sia diventato difficile per te svolgere questo lavoro. Ma non è colpa tua». Inaspettatamente l’espressione del suo viso si trasformò. Si addolcì, quasi. «Ovvio che non lo è». E Aro sorrise, indulgente. «Nessuna donna umana della tua… età sarebbe capace di reggere simili ritmi lavorativi». Anche la beffa, quindi. Nora si morse la lingua per impedirsi di pensare alcunché. «E sapevi altresì quali sarebbero state le tue possibilità, una volta accettato questo incarico». L’ennesimo sorriso cordiale. «Correggimi se sbaglio, Eleonora». Il suo tono cortese emanava minaccia da ogni singola sillaba. La mano di Aro scorreva su e giù, lungo il suo avambraccio. Il significato di quel gesto apparentemente affettuoso era chiaro: attenta a quel che pensi, sto ascoltando tutto. L’aveva sfidata e si stava divertendo un mondo, lui. Ma Nora non era così stupida da abboccare.
«Non sbaglia affatto, Mio Signore».
La rassegnazione nella voce dell’anziana donna era palpabile. Qual era il vantaggio del protestare, se tutto era stato deciso? Se doveva scegliere tra morire oggi e “a data da destinarsi”, lei preferiva la seconda possibilità. Sì, Nora sapeva a che cosa stava andando incontro quando era entrata a Palazzo dei Priori per la prima volta. E se fosse potuta tornare indietro, probabilmente si sarebbe comportata nella stessa identica maniera.
«Lo vedi, mia cara?», esultò Aro, battendo le mani euforico, «Avevo ragione! Le tue obbiezioni sono del tutto superflue». Si voltò, dandole le spalle e a velocità umana raggiunse la scrivania. Si sedette e ricominciò a studiare quelle carte dall’aspetto molto ufficiale. «Adesso vai», la esortò sbrigativo, senza concederle nemmeno una rapida occhiata, «Sono sicuro che farai un ottimo lavoro. Come sempre, del resto».
Ma Nora non riusciva a muovere un passo. Non era spaventata o terrorizzata. Forse in cuor suo aveva sempre saputo quale sarebbe stato il suo destino. Forse si era così abituata alla morte, da non farci nemmeno più caso quando si imbatteva in essa. Anche se adesso era toccata a lei e non a un gruppo di turisti sconosciuti. In ogni caso, Nora non aveva paura di morire. Aveva soltanto una domanda, anzi due. E, chissà perché, per lei era di vitale importanza porre quelle domande.
«Qualcosa non va, mia cara?», domandò Aro, gentile, come un maestro che si accinge a ripetere la lezione per l’alunno che non ha capito l’argomento in questione.
Aveva sollevato lo sguardo dai suoi documenti. Gli occhi rossi erano fissi in quelli castani di Nora. Non sembrava stupito di vederla ancora lì, nella stessa posizione in cui l’aveva lasciata qualche secondo prima, ma non appariva nemmeno tanto soddisfatto. E quando Aro non era soddisfatto dell’operato dei suoi sottoposti, c’era da spaventarsi. Perciò Nora si affrettò a spiegare.
«No, Mio Signore… è solo che… mi chiedevo… potrei sapere… quando?».
«Non appena avrai trovato la persona adatta, naturalmente», rispose Aro con semplicità, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Nora chiuse gli occhi, respirò profondamente. Poi li riaprì. «E… chi?».
«Domanda assolutamente legittima, mia cara». Aro sorrise, poggiando il mento sulle dita intrecciate di entrambe le mani. Quello sguardo penetrante teneva Nora incatenata a lui, come un serpente che ipnotizza la sua preda. «Mi hai servito bene in questi quarantacinque anni. Ho sempre riposto la massima fiducia in te».
«Grazie, Mio Signore».
Nora si impegnò talmente, da suonare davvero grata al suo Signore per quel complimento.
Nel frattempo, Aro continuava a scrutarla in silenzio. Sembrava deciso a trapassarla da parte a parte con la sola forza dello sguardo oppure… Aro andava matto per i drammi ricchi di suspense e patos, perciò poteva anche darsi che fosse tutta una messa in scena. Chi poteva dirlo?
«Potrai scegliere tu», decretò infine. «Chiunque tra le mie guardie. Consideralo come un premio di… pensionamento. È così che si dice, vero?». Aro inclinò il capo di lato, inarcando elegantemente un sopracciglio. Continuava a fissarla, come se si fosse imbattuto in un insetto appena appena più interessante degli altri. Poi, un sorriso cordialmente erotico distese le sue labbra. «Sei contenta, E-le-o-no-ra?». Sembrava quasi una proposta indecente.
«Sì, Mio Signore».
No, invece. Nora non era contenta. Ma rispondere diversamente alla domanda di Aro avrebbe solamente affrettato l’inevitabile. Forse, dopo tutto, Nora era pronta ad andarsene. Ma non subito. Non seduta stante.
«E-le-o-no-ra», ripeté lui sovrappensiero. «Mi è sempre piaciuto il tuo nome, lo trovo divertente». E Aro pareva divertito per davvero. «Letteralmente “Cresciuta nella luce”. Tu, che lavori per dei vampiri. Ironico, non trovi?». Di nuovo una risata inquietante saturò l’ambiente. «Va’, Eleonora Cresciuta Nella Luce. Fa’ quello che ti ho chiesto. E non costringermi a ripetermi un’altra volta o la tua luce si estinguerà prima del previsto».


***


«Giovanna Benvenuti…».
Mentre il suo nuovo datore di lavoro sfogliava rapidamente il Curriculum Vitae, la ragazza fece di tutto per trattenersi dal correggerlo. Quell’inquietante e grinzosa vecchietta dagli occhi tristi e rassegnati l’aveva messa in guardia più di una volta, prima di lasciare libera la scrivania. Mai contraddire il Signore dei Vampiri.
«Giovanna… uhm…».
Tuttavia era davvero difficile per lei non intervenire. Sarebbe stato così tremendo far presente al suo nuovo capo che preferiva farsi chiamare Gianna?
Perché Giovanna Benvenuti era davvero stufa della gente che per rivolgersi a lei usava nomignoli idioti - Ehi, Giò! Giò-giò, come stai? Gioi, che carina che sei! Ciao Giovy. Giovà, quanto tempo! - e mai il suo nome per intero. La maledizione dei nomi troppo lunghi, la chiamava lei. Per porre fine a quella che lei considerava una vera e propria disgrazia, piuttosto che continuare a sopportare la mutilazione del suo nome per bocca altrui, aveva deciso di scegliersela lei l’abbreviazione giusta. Perciò aveva cominciato a presentarsi come Gianna.
Tu sei Giovanna Benvenuti, non è vero?
Gianna è più che sufficiente, grazie.
Semplice, diretto e soprattutto… corto!
«Eleonora mi conosceva molto bene». La voce pensierosa del suo capo - o forse era più opportuno chiamarlo “Vostra Altezza”? - la riportò al presente. «Che spreco, che peccato…», scrollò le spalle in modo elegante, sospirando dispiaciuto, mentre gli angoli della bocca si piegavano all’ingiù. «Forse avrei dovuto ponderare meglio la decisione sulla sua dipartita».
«Mi scusi?».
Stava chiedendo la sua opinione? Gianna non voleva fare brutta figura il suo primo giorno di lavoro.
Sua eccellenza parve riscuotersi dai pensieri che lo stavano affliggendo e voltandosi nella direzione della ragazza, le rivolse un sorriso radioso. «Nulla che ti riguardi da vicino, mia cara... Gi-o-va-nna». E il sorriso si fece abbagliante.
«Ehm…».
Le prudeva la lingua dalla voglia di correggerlo. Doveva dirglielo. Ma come, senza risultare offensiva o arrogante?
«Il tuo nome mi piace molto», esclamò improvvisamente Sua Grandiosità, cogliendo Gianna alla sprovvista.
«Come? Oh, davvero?».
«Certo! Il tuo nome è…», rifletté per un istante, «…esilarante. Sì. Eleonora ha fatto un ottimo lavoro». Aro pareva soddisfatto della sua ex-segretaria, anche se Gianna non ne comprendeva il motivo. Aggrottò la fronte, confusa e spaesata.
«Mi spiace, credo di non…».
«Giovanna vuol dire “Dono di Dio”. Tu sei il dono che Dio ha fatto a me. Non è esilarante presumere che Dio possa regalare qualcosa a un tipo come me? Eleonora sapeva che avrei apprezzato l’ironia intrinseca del tuo nome. Perciò la sua scelta è ricaduta su di te», spiegò pazientemente Sua Maestosità, il Re dei Vampiri.
«Ehm… quindi… sono stata assunta per via del mio nome?».
«No, certo che no… però ha contribuito». E di nuovo lui sorrise. Ma era un sorriso diverso dal precedente. Malizioso. Birichino? No, non erano gli aggettivi che stava cercando. Gianna non aveva mai incontrato qualcuno capace di sorridere così spesso e in modo ogni volta tanto diverso. «Comunque sia, benvenuta tra noi, Giovanna Benvenuti!», esclamò con enfasi Sua Eccellenza, alzandosi e stringendole la mano.
«Grazie, ehm, Vostra… Maestà?».
Il Signore dei Vampiri non fece una piega nel sentirsi chiamare in quel modo. Anzi, pareva quasi contento… divertito forse. Compiaciuto? Meglio così, si disse Gianna, sorridendo a sua volta sollevata.
«Credo sia tutto per ora... Giovanna».
Di nuovo quel prurito alla lingua. Ma prima che la ragazza potesse formulare un qualsiasi pensiero a riguardo…
«Oh, che sbadato!», si colpì platealmente la fronte, «Preferisci essere chiamata Gianna, non è così?», cinguettò il Signore dei Vampiri, lasciando andare la mano della ragazza.
«Sì, Vostra Maestà», confermò lei entusiasta, «Gianna è più che sufficiente, grazie». Lo aveva ripetuto così spesso, che ormai le veniva automatico rispondere in quel modo.
«Bene, bene. Adesso puoi andare e… Gianna?».
«Vostra Maestà?».
Un sorriso cordialmente erotico - sì, finalmente Gianna aveva trovato le parole esatte - fece capolino sulle sue labbra.
«“Mio Signore” è più che sufficiente, grazie».





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Nota autore:
Come ha già spiegato Nora, Aro odia essere ridondante... ma per un “Vostra Maestà” avrebbe anche potuto fare un’eccezione!
Doveva essere una one-shot su Gianna. È stato ottimistico fino alla stoltezza da parte mia pensare che Aro se ne sarebbe stato buono buono nel suo angolino. Ammetto le mie colpe.
Il significato del nome Eleonora non è stato stabilito con certezza, vi sono diverse ipotesi, Aro ha scelto quella che lo divertiva di più. Giovanna, invece, significa proprio “Dono di Dio”. É stato davvero esaltante sentire Aro pronunciare il mio nome. Ehi, non ci posso far nulla se la segretaria dei Volturi si chiama come me! Anche se io preferisco il mio nome per intero.
Nora ha scelto Alec come “esecutore”. Credo possiate immaginare facilmente il motivo di questa scelta.
Infine... l’amico cui accenna Aro e dal quale prende in prestito la frase “...ottimistico fino alla stoltezza” è Albus Silente. Sì, ho fantasticato parecchio in questi giorni...
A voi la parola... se ne avete voglia.
Baci, vannagio.
   
 
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