Come aveva potuto.
Come aveva osato fare una cosa del genere a lei?
A lei!
A sua moglie!
Si alzò di scatto, facendo preoccupare la serva che, attenta alle sue spalle, aveva da poco iniziato a pettinarle i capelli.
-Vostra Altezza…-
Sakura la ignorò con rabbia, iniziando a passeggiare nervosamente per la stanza.
-Va bene così. Andate.-
Si fermò alla finestra, stringendo con rabbia il bordo fino a sentire gli artigli immersi nel legno.
-Ma, Vostra Altezza, non abbiamo ancora finito… noi… i capelli, gli oli…-
-Andate ho detto!-
Anche loro volevano darle ordini?
Volevano mettere in discussione il suo status?
Le dame si guardarono l’un l’altra, costernate e, dopo un paio di accorati inchini, uscirono silenziose.
Sakura sbuffò di rabbia, alzando gli occhi verso il soffitto e stringendo i denti.
Rabbia.
Un dolore soffocante al cuore.
Una morsa gelata nella mente.
Passò veloce una mano sugli occhi, cercando di cancellare i ricordi.
Trovando lacrime.
Sorda tristezza
con grida mute in
gola
lacrime cieche.
Perché aveva fatto una cosa simile?
Perché a lei?
Che sciocca!
Colpì la parete della stanza, chiudendo gli occhi con violenza.
Che sciocca che era stata!
Quali erano stati i suoi pensieri durante il viaggio?
Avvicinarsi
a lui!
Cercare
di capirlo!
Imprecò sottovoce, sperando che le sue stesse orecchie non la sentissero.
Cosa aveva fatto ancora di sbagliato?
E perché, perché mai doveva sempre essere lei a sbagliare?
Tornò alla finestra, inseguendo le voci smorzate dei soldati.
Socchiuse gli occhi.
Non poteva essere stato lui a sbagliare?
Lui a trattarla in quel modo?
Lui a negarle ogni indizio sul suo passato?
Che fosse stato quello il problema?
Quell’ Inuyasha?
Schioccò le labbra, soppesando il dubbio.
Sinuoso striscia,
mosaico chiaroscuro
tra il bene e il male.
Se era vero, questo non faceva che aumentare la sua
curiosità attorno a quel nome.
Chi mai poteva essere questo Inuyasha?
Chi mai poteva turbare Sesshomaru
a quel modo?
Sbuffò di stizza, voltandosi nell’ombra della stanza.
Oh beh, certo.
Anche lei era brava in questo.
Riusciva a farlo alterare come poche persone al mondo.
E la cosa divertente era che ci riusciva quando voleva
avvicinarlo.
E poi perché aveva questa perversa intenzione di conoscerlo
bene?
Lui lo voleva?
No.
Lui le facilitava l’impresa?
No!
La ridicolizzava, la irritava, la umiliava.
Ecco cosa faceva!
Si lasciò scivolare lentamente lungo la parete, fino a
ritrovarsi seduta per terra con le gambe tremanti.
Suo padre non avrebbe mai permesso che qualcuno la
trattasse così.
Va’ a prepararti per la notte…
Davanti a tutti!
Davanti a quell’odioso Yudachi!
Si massaggiò la base del collo, inspirando profondamente.
Era davvero stupido pensare che potessero diventare
complici?
Aiutarsi?
Ovviamente lui non lo voleva.
Lei era solo l’esito di un contratto vantaggioso.
Chiuse gli occhi, sospirando finalmente dal profondo.
No, non era vero.
La rispettava, la ascoltava, l’aiutava.
Spesso.
Era ingiusto adesso descriverlo così.
Sorrise al pensiero del rimprovero della madre, al ricordo
del suo ammonimento di vedere il bene.
Rise piano al ricordo del padre, della sua faccia nel
sentire quelle parole.
Kamigawa…
Voleva tornare a casa.
Aveva voglia di confidarsi con lui, di giocare con Ami, di
litigare con Toryu, di aiutare Izumy.
Basta Sesshomaru, basta litigate,
basta pensieri.
Ma era impossibile.
Si rialzò lentamente, affacciandosi di nuovo alla finestra
e inspirando l’aria, immaginando di essere nella sua stanza, di vedere le
praterie, le montagne, il mare…
Si scosse leggermente.
Il mare?
Certo!
Sorrise entusiasta all’idea.
Nessuno se ne sarebbe accorto.
Smeraldo fuso
fresca coppa liquida
tra verdi sponde.
Ridacchiò divertita per il nulla.
Osservò le luci di prigionia, poco lontano.
Respirò la libertà ad occhi chiusi.
Uscire dal palazzo era stato rischioso.
Lo sapeva.
Ma tanto Sesshomaru sarebbe
rientrato tardi.
Lo sentiva.
Non aveva voglia di vederla almeno quanto lei non voleva
conversare con lui.
E allora cosa c’era di meglio che uscire, distrarsi?
Dimenticare la rabbia e la frustrazione.
Immergersi nei ricordi di Haru.
Lasciando la
casa
non ho lasciato
i miei ricordi.
Si acquattò lentamente sulle sponde del lago, iniziando a
giocare con le onde lente.
Ad Haru, quando aveva qualche
pensiero, andava sempre in riva al mare.
L’ultima volta che lo aveva fatto era per decidere se
rispondere o meno a quella lettera.
Se proporsi o meno come sposa.
Se vendersi.
E il meditabondo silenzio del mare con l’assordante
urla degli spiriti della sua terra le aveva risposto.
Le aveva dato la forza di partire.
Si umettò le labbra.
Nessun sapore salmastro, questa volta.
Sorride, toccando appena la superficie di quello specchio,
regalando sorrisi sinceri alle timide increspature.
Chiuse gli occhi, immergendo di nuovo le dita fino al
palmo.
Mosse appena l’indice, concentrandosi sul velo che
l’avvolgeva.
Carezze.
Rubo nei sogni
tutte le carezze che
mi nega l'alba.
Lasciò che, lentamente, quell’attimo di dolcezza
raggiungesse la sua mente, annebbiasse i suoi sensi.
La stordisse.
Fino a dimenticare.
Basta qui e ora.
Basta lì e allora.
Basta laggiù e quando.
Solo lei.
Il respiro del vento, il battito della luna.
I pensieri dell’acqua.
Come le aveva insegnato la madre.
Un modo per evadere da se stessi.
Ma da bambina
le spiagge erano immense,
e il mare era blu.
Le labbra increspate.
Già, quello non era il mare di Haru.
Quello era il lago della regione più lontana del regno da Haru.
Eppure, così vicina nell’aspetto e nell’animo.
Con un sorriso giocoso si tolse i sandali e, reggendo il
lungo abito da notte con le mani, tuffò i piedi nella sabbia ciottolosa.
Chiuse gli occhi e si lasciò andare a un gemito liberatore.
Tutti gli avvenimenti di quel giorno sembravano così
lontani.
Sembravano così diversi.
Così sciocchi.
Non riusciva ad avvicinarsi a Sesshomaru?
Con pazienza ci sarebbe riuscita.
Non riusciva a capire chi fosse Inuyasha?
Con costanza avrebbe raccolto informazioni.
Non riusciva a capire Sesshomaru?
Abbassò la testa, osservando le caviglie sporgenti dalla
sabbia.
In fondo, non poteva certo risolvere tutti quei problemi
quella sera, no?
Non si era ripromessa “basta Sesshomaru”?
Ridacchiò al pensiero della sgridata che le avrebbe
riservato
I capelli scomposti, i piedi fangosi e le gambe scoperte.
Rise senza paura di farsi sentire, accarezzandosi con una
mano la guancia.
L’ultima volta che era uscita senza permesso l’aveva
colpita.
Ma la cosa che le aveva fatto più male erano state le
minacce.
Adesso invece nessuno poteva minacciarla.
Era
E se Sesshomaru non voleva aiutarla
contro quel capitano, bene.
Avrebbe pensato da sola come metterlo al suo posto.
Da quando le importava avere l’appoggio di Sesshomaru?
Se Ami o Toryu l’avessero sentita
piagnucolare quella sera nella stanza l’avrebbero presa in giro per tutta la
vita!
Che cosa le era preso?
Scosse la testa con violenza, scacciando quella patetica
scenata.
Alzò il volto.
Nivea, perfetta
dalle labbra del cielo
la luna pende
Era tardi adesso.
Doveva rientrare.
Doveva decidere come comportarsi con Sesshomaru.
Doveva escogitare un piano per fargli incontrare
“casualmente” quel generale.
Doveva progettare la vendetta contro Yudachi.
Doveva…
Un rumore?
Guizza la carpa
e le nubi scorrono
a pelo d'acqua.
Lì, nel centro del lago.
Forse aveva ancora un po’ di tempo.
Scrutò l’oscurità della stanza, tagliente.
A passi sicuri, fieri, raggiunse la finestra.
Solo gli ultimi stanchi richiami dei servi che si
coordinavano l’un l’altro per riordinare il giardino.
Era stata lì, riconosceva l’odore.
Ma adesso?
Dove poteva essere andata?
Con chi?
Cosa importava?
Si sedette stancamente nella stanza, sospirando in
solitudine.
Osservò le assi vecchie del pavimento, scacciò i ricordi
che si affacciavano dolorosi.
Perché anche lui
era stato lì.
In quella stanza.
E, nonostante il buio, sentirlo, saperlo, era
insopportabile.
Cocci taglienti,
infuocati frammenti
d'altra stagione
E oltre alla strenua lotta per tacciare i ricordi, doveva
sentire anche quel nome!
Ferirsi di nuovo la mente con quell’ingiustizia!
E quella stupida che chiedeva informazioni, spudorata.
A chi non sa nulla.
A chi dice di conoscere tutto.
A chi avvelena una storia già letale.
Alla ricerca di qualcosa che, tanto, non esisteva più.
Qualcosa che, in ogni caso, non la riguardava.
Su tagli obliqui
l'estetica del nulla
fissa la mente
appagata dal fischio
dell'aria lacerata.
Sesshomaru masticò l’aria.
Aveva visto la sorpresa nel suo sguardo.
Aveva individuato la rabbia nel suo respiro.
Aveva dipinto l’imbarazzo sul suo volto.
Lo aveva innervosito.
Da tutto il giorno.
Quegli sguardi contenti, quelle domande continue, quell’indagare fastidioso.
Mentre lui voleva solo concentrarsi nella battaglia contro
la sua mente.
Cancellare ogni ricordo di suo padre.
Basta un fiore
una sensazione:
è nostalgia.
Avrebbe dovuto andare a cercarla.
Avrebbe dovuto lasciar perdere quei pensieri, concentrarsi
sul problema del confine, ignorare Sakura.
Scappare?
Un ghigno.
Osservò la luna oltre la finestra.
Muti pensieri
di silenzi lunari
di tardi pianti.
Sì, avrebbe potuto scappare.
Ma lui non era così.
Lui non era come loro.
Come suo padre prima e come Inuyasha poi.
Aveva dei compiti.
Aveva dei doveri.
Non avrebbe mai tradito.
Sakura ridacchiò mentre una carpa, curiosa, si strusciava
alle sue ginocchia.
Tentennò un po’ prima di andare avanti.
Controllò di reggere bene il vestito, si augurò di non
scivolare sui sassi del fondo.
Lentamente.
Un altro passo.
Si voltò verso la riva, osservando quanto fosse vicina.
Era davvero bello quel lago, ma troppo scivoloso.
Non poteva rischiare di bagnarsi.
Come si sarebbe potuta giustificare poi?
Cercò con gli occhi raggianti la luna che, ammonitrice, la
rincorreva nel lago.
I riflessi argentati e la luce bianca.
Se solo Kamigawa fosse stato lì.
Sarebbe stato tutto perfetto.
Le avrebbe schizzato l’acqua sul vestito, rimproverando poi
Toryu che, imbarazzato dalla figura autoritaria del
Sovrano, si sarebbe messo a balbettare scuse sommesse mentre Amy lo aggrediva
alle spalle facendolo cadere in acqua e Izumy, dalla
riva, sgridava severa i loro comportamenti infantili.
Li poteva vedere, li poteva sentire.
Poteva parlare con le loro immagini inesistenti, sentire le
loro voci mute.
Emise un verso impaurito, cercando di non cadere per quella
dispettosa roccia.
Sospirò una volta ripreso l’equilibrio e iniziò a ondeggiare
lenta, lasciando che quelle deboli onde la rinfrescassero.
Era così puro lì.
Così etereo.
Così irreale.
Sospirò profondamente.
Quell’odore…
Si voltò di scatto, spalancando gli occhi sorpresa.
Quella figura, sulla riva.
La veste da camera scura e la pelle chiara.
Rimase immobile, in silenzio, immersa nell’acqua.
A pochi passi da lui.
Senza il coraggio di pensare, senza il coraggio di
svegliarsi.
Ammirando il demone che, dalla riva, la fissava.
Con gli occhi ambrati, l’aria strafottente e lo sguardo
serio.
La brezza nei capelli, le labbra umide, l’atteggiamento
misterioso.
Vorrei calarmi delicatamente
sul fiume della tua
pelle
e lasciarmi
plasmare dall'acqua che scorre.
Bene, l’aveva trovata.
Come fosse finita in mezzo a un lago non voleva saperlo.
Perché fosse uscita di nascosto a quell’ora lo immaginava.
Osservò impassibile la sua figura.
Le gambe nude, la veste alzata, la tela sottile.
Contemplazione
quell’attimo sospeso
tra ora e sempre.
-Sakura.-
La
demone sobbalzò, singhiozzando un respiro, resuscitando dal torpore.
Imbarazzandosi per quella vista, per quei pensieri, per
quel momento.
Paralizzandosi per le vesti alzate, i capelli scomposti,
gli occhi lucidi.
Meravigliandosi del suo profumo, del suo incanto, della sua
essenza.
Invochi il mio nome
come sabbia s'inonda d'acqua
e soffia l'aria silenziosi
desideri ardenti
Era lì.
Lì suo padre gli aveva messo in mano per la prima volta
un’arma.
Lì gli aveva insegnato ad impugnarla.
Lì lo aveva incoraggiato ad imparare.
Lo sapeva.
Vedeva le immagini di quel ragazzino, il volto di
quell’uomo, il rumore delle lame.
Ma spirò un alito di vento.
E l’immagine mutò in lei.
Quel vento spinge il ricordo
l'alito si posa
sugli occhi di rugiada
-Faremo meglio a rientrare.-
Si potevano combattere quei ricordi?
Si potevano sostituire con le immagini presenti?
Forse però si poteva lenire il dolore con il presente.
Sakura accennò un sì impacciato con la testa, inghiottendo
a fatica l’agitazione che aveva sentito crescere lenta in gola.
Perché tanta angoscia?
Non era la prima volta che si vedevano, che lo vedeva, con quegli abiti.
E con quella luce.
Cosa c’era di diverso?
Si umettò le labbra, barcollando verso riva.
Un sasso scivoloso.
La luna sorrise dei loro volti stupiti.
La luna è là
quella luce m'inquieta gli occhi
inumiditi di cristalli di sogno.
Sakura rimase in ginocchio, tremante.
L’acqua schizzata fin sui capelli risaliva lenta il
vestito, pesante e fradicio.
Non poteva credere di essersi messa in una situazione
simile.
A pochi passi di fronte al marito.
Con un vestito bianco.
Completamente bagnata.
Le guance arrossate per l’ulteriore imbarazzo e l’assurdità
della situazione.
Sesshomaru le voltò le spalle, lento.
-Muoviti.-
Sakura trovò il coraggio di alzare la testa, lentamente,
fissando ammaliata i gesti di lui che, lenti, slacciavano la parte alza del
kimono, gettandola poi sulla riva.
Sakura si alzò a fatica, impacciata da quell’abito troppo
lungo e troppo pesante.
Troppo aderente e troppo imbarazzante.
Annaspò fino a riva, incapace di pensare a cosa stava veramente accadendo.
Incapace di capire se ridere per l’assurdità, piangere per
la vergogna.
Tacere per il fascino.
Aveva il respiro concitato giunta alla riva.
Di fianco il kimono.
Davanti le sue spalle nude.
Dietro la luna gioconda.
Il chiaror della luna
il sapor della tua anima
scivolo in una meteora.
Poteva sentire il suo respiro regolare, poteva immaginare i
suoi occhi fissi, cercava di tradurre i suoi pensieri.
Si tolse lenta i capelli dal volto, cercando di placare il
tremore delle mani.
Strizzò lenta la cintura che lasciava chiuso il kimono.
Inghiottì l’imbarazzo e tirò.
La tela pesante cadde in un attimo.
Sesshomaru spostò appena lo sguardo alla sua sinistra.
L’ombra di Sakura, pura.
I capelli gocciolanti, le gambe tremanti.
Le punte dei seni e la vergogna delle braccia.
Sei bella a levarti il vestito
ma sotto la luna risplende solo il
tuo corpo...
ti manca nel cuor quel ch'io voglio.
L’ombra si chinò lenta, scomparendo un momento, per poi
tornare, sinuosa e sfuocata, mentre la stoffa del suo kimono andava ad
accarezzarle la pelle.
Sakura affondò il volto in quella stoffa salvifica, celando
un sorriso.
Era imbarazzata, felice, confusa.
Sperava di trovare lucidità nella stoffa delle sue terre.
E invece trovò il turbamento del suo profumo.
Si morse un labbro, indossando velocemente quella veste
che, se possibile, la imbarazzava ancora di più.
Non le arrivava neppure al ginocchio.
E la scollatura era troppo ampia sul petto.
Pregò che nessuno li vedesse rientrare.
Pregò che Sesshomaru decidesse di
anticiparla nel cammino, che non la vedesse.
Rabbrividì nel notare le sue spalle ampliarsi maggiormente,
indietreggiare di un passo, fino quasi a sfiorarla.
-Sommo Sesshomaru, siete voi?-
Sakura sobbalzò a quella voce, appoggiandosi d’istinto alla
schiena del marito, cercando un maggior riparo, nascondendo il volto con i
capelli, respirando concitata fra le sue scapole.
Cercando di non pensare a quanto i loro corpi, ora, fossero
aderenti.
-Sì, Yudachi.-
Sakura non riuscì a trattenere un verso gutturale di
vergogna.
Fra tutti, TUTTI i soldati di quelle terre, perché proprio
lui, proprio quell’odioso…
-Altezza! Per fortuna Vi abbiamo trovato! Yasu si è recata nella Vostra stanza per consegnare alla
Regina una tazza di the, ma è scomparsa. Ho già allertato le guardie, stanno
pattugliando le zone circostanti il castello. Chi può essersi introdotto…-
Sakura chiuse gli occhi con violenza, sentendo implodere
velocemente quel po’ di decoro che le restava.
-Richiama le guardie.-
Sesshomaru aveva la solita voce calma, di comando.
Il tono del guerriero e la decisione dell’uomo.
Un vero Sovrano.
Yudachi sobbalzò sorpreso, alzando la torcia per illuminare di più
il suo sovrano.
-Ma, altezza…-
-
Yudachi corrugò la fronte prima di notare il petto di Sesshomaru, una veste per terra.
Spostò lo sguardo sull’ombra, notando la
demone, tremante.
Sakura morì in quella risata volgare e grassa, di quelle
smorfie non trattenute e di quegli sguardi che, lo sentiva, erano derisori.
-Perdonate! Perdonate Altezza la mia interruzione! Non
immaginavo… Vado a far ritirare le guardie! Fate pure con comodo! Sarebbe un
onore per la nostra terra essere la prima patria dell’erede!-
La risata si allontanò veloce, sostituita da ordini e
schiamazzi.
Sesshomaru si allontanò appena e Sakura riprese a respirare.
-Dovremo aspettare.-
-Già…-
Sakura si passò la manica del kimono sulla fronte,
cancellando una goccia del lago o della paura.
Scosse la testa, incapace di trattenere una risata.
-Che situazione assurda!-
Sesshomaru storse la bocca, contrariato.
-La
prossima volta che vuoi uscire fatti accompagnare da Yasu.-
Sakura alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa,
divertita.
Sorridente per l’imbarazzo, desiderosa di parlare per
scaricare la tensione.
-Ma così è più divertente!-
Cantilenò lenta, con quel tono che faceva sempre arrabbiare
così tanto Toryu.
Sesshomaru bloccò la testa in tempo.
Voleva voltarsi ed ammonirla con lo sguardo, come gesto
spontaneo.
Imbarazzante per lei, in quello stato.
Ma davvero fastidioso per lui.
-Divertente? Hai costretto Yudachi
a cercarti, hai svegliato tutto il palazzo, hai scomodato me e tutto solo per
un tuo capriccio.-
Sakura schioccò civettuola le labbra, muovendo un passo di
lato, desiderosa di rubare il suo profilo.
-Hai ragione. E’ stata proprio una vendetta perfetta. Non
trovi?-
Sesshomaru corrugò la fronte.
La mente liberata dai ricordi era stata leggera fino a quel
momento.
Sospirò chiudendo gli occhi.
Forse, se si fosse lasciato distrarre da lei, dal suo sciocco
chiacchiericcio, dal suo stupido comportamento, non avrebbe avuto tempo per
ricordare.
Forse era lei lo strumento per andare avanti.
-Non farti coinvolgere dalle chiacchiere delle vecchie.-
-Non farti plasmare dal carisma di Yudachi.-
Parole pure
Promesse d’amanti
Complici silenzi.