Anime & Manga > Inuyasha
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Autore: lete89    21/01/2011    10 recensioni
Un Principe potente.
Una Principessa straniera.
Un matrimonio combinato.
Accettato e subito.
Cosa accadrà?
I pensieri lenti si trasformano in haiku.
L’ haiku rivela uno specchio vuoto: si inscrive nello spazio senza simbolizzare nulla e senza la pretesa di avere un significato. È un'immagine opaca, priva di riflessi.
Commentare un haiku è dunque impossibile. Si può solo dire che, in tutta semplicità, qualcosa avviene e basta.
Unendo i destini di un giovane guerriero e di un fiore di ciliegio.
Nell'iconografia classica del guerriero il ciliegio rappresenta insieme la bellezza e la caducità della vita: esso, durante la fioritura, mostra uno spettacolo incantevole nel quale il samurai vedeva riflessa la grandiosità della propria figura avvolta nell'armatura, ma è sufficiente un improvviso temporale perché tutti i fiori cadano a terra, proprio come il samurai può cadere per un colpo di spada infertogli dal nemico. Il guerriero, abituato a pensare alla morte in battaglia non come un fatto negativo ma come l'unica maniera onorevole di andarsene, rifletté nel fiore di ciliegio questa filosofia.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Sesshoumaru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come aveva potuto

Come aveva potuto.

Come aveva osato fare una cosa del genere a lei?

A lei!

A sua moglie!

Si alzò di scatto, facendo preoccupare la serva che, attenta alle sue spalle, aveva da poco iniziato a pettinarle i capelli.

 

-Vostra Altezza…-

 

Sakura la ignorò con rabbia, iniziando a passeggiare nervosamente per la stanza.

 

-Va bene così. Andate.-

 

Si fermò alla finestra, stringendo con rabbia il bordo fino a sentire gli artigli immersi nel legno.

 

-Ma, Vostra Altezza, non abbiamo ancora finito… noi… i capelli, gli oli…-

-Andate ho detto!-

 

Anche loro volevano darle ordini?

Volevano mettere in discussione il suo status?

Le dame si guardarono l’un l’altra, costernate e, dopo un paio di accorati inchini, uscirono silenziose.

Sakura sbuffò di rabbia, alzando gli occhi verso il soffitto e stringendo i denti.

Rabbia.

Un dolore soffocante al cuore.

Una morsa gelata nella mente.

Passò veloce una mano sugli occhi, cercando di cancellare i ricordi.

Trovando lacrime.

 

Sorda tristezza

con grida mute in gola

lacrime cieche.

 

Perché aveva fatto una cosa simile?

Perché a lei?

Che sciocca!

Colpì la parete della stanza, chiudendo gli occhi con violenza.

Che sciocca che era stata!

Quali erano stati i suoi pensieri durante il viaggio?

Avvicinarsi a lui!

Cercare di capirlo!

Imprecò sottovoce, sperando che le sue stesse orecchie non la sentissero.

Cosa aveva fatto ancora di sbagliato?

E perché, perché mai doveva sempre essere lei a sbagliare?

Tornò alla finestra, inseguendo le voci smorzate dei soldati.

Socchiuse gli occhi.

Non poteva essere stato lui a sbagliare?

Lui a trattarla in quel modo?

Lui a negarle ogni indizio sul suo passato?

Che fosse stato quello il problema?

Quell’ Inuyasha?

Schioccò le labbra, soppesando il dubbio.

 

Sinuoso striscia,

mosaico chiaroscuro

tra il bene e il male.

 

Se era vero, questo non faceva che aumentare la sua curiosità attorno a quel nome.

Chi mai poteva essere questo Inuyasha?

Chi mai poteva turbare Sesshomaru a quel modo?

Sbuffò di stizza, voltandosi nell’ombra della stanza.

Oh beh, certo.

Anche lei era brava in questo.

Riusciva a farlo alterare come poche persone al mondo.

E la cosa divertente era che ci riusciva quando voleva avvicinarlo.

E poi perché aveva questa perversa intenzione di conoscerlo bene?

Lui lo voleva?

No.

Lui le facilitava l’impresa?

No!

La ridicolizzava, la irritava, la umiliava.

Ecco cosa faceva!

Si lasciò scivolare lentamente lungo la parete, fino a ritrovarsi seduta per terra con le gambe tremanti.

Suo padre non avrebbe mai permesso che qualcuno la trattasse così.

Va’ a prepararti per la notte…

Davanti a tutti!

Davanti a quell’odioso Yudachi!

Si massaggiò la base del collo, inspirando profondamente.

Era davvero stupido pensare che potessero diventare complici?

Aiutarsi?

Ovviamente lui non lo voleva.

Lei era solo l’esito di un contratto vantaggioso.

Chiuse gli occhi, sospirando finalmente dal profondo.

No, non era vero.

La rispettava, la ascoltava, l’aiutava.

Spesso.

Era ingiusto adesso descriverlo così.

Sorrise al pensiero del rimprovero della madre, al ricordo del suo ammonimento di vedere il bene.

Rise piano al ricordo del padre, della sua faccia nel sentire quelle parole.

Kamigawa

Voleva tornare a casa.

Aveva voglia di confidarsi con lui, di giocare con Ami, di litigare con Toryu, di aiutare Izumy.

Basta Sesshomaru, basta litigate, basta pensieri.

Ma era impossibile.

Si rialzò lentamente, affacciandosi di nuovo alla finestra e inspirando l’aria, immaginando di essere nella sua stanza, di vedere le praterie, le montagne, il mare…

Si scosse leggermente.

Il mare?

Certo!

Sorrise entusiasta all’idea.

Nessuno se ne sarebbe accorto.

 

 

 


Smeraldo fuso

fresca coppa liquida

tra verdi sponde.

 

Ridacchiò divertita per il nulla.

Osservò le luci di prigionia, poco lontano.

Respirò la libertà ad occhi chiusi.

Uscire dal palazzo era stato rischioso.

Lo sapeva.

Ma tanto Sesshomaru sarebbe rientrato tardi.

Lo sentiva.

Non aveva voglia di vederla almeno quanto lei non voleva conversare con lui.

E allora cosa c’era di meglio che uscire, distrarsi?

Dimenticare la rabbia e la frustrazione.

Immergersi nei ricordi di Haru.

 

Lasciando la casa

non ho lasciato

i miei ricordi.

 

Si acquattò lentamente sulle sponde del lago, iniziando a giocare con le onde lente.

Ad Haru, quando aveva qualche pensiero, andava sempre in riva al mare.

L’ultima volta che lo aveva fatto era per decidere se rispondere o meno a quella lettera.

Se proporsi o meno come sposa.

Se vendersi.

E il meditabondo silenzio del mare con l’assordante urla degli spiriti della sua terra le aveva risposto.

Le aveva dato la forza di partire.

Si umettò le labbra.

Nessun sapore salmastro, questa volta.

Sorride, toccando appena la superficie di quello specchio, regalando sorrisi sinceri alle timide increspature.

Chiuse gli occhi, immergendo di nuovo le dita fino al palmo.

Mosse appena l’indice, concentrandosi sul velo che l’avvolgeva.

Carezze.

 

Rubo nei sogni

tutte le carezze che

mi nega l'alba.

 

Lasciò che, lentamente, quell’attimo di dolcezza raggiungesse la sua mente, annebbiasse i suoi sensi.

La stordisse.

Fino a dimenticare.

Basta qui e ora.

Basta lì e allora.

Basta laggiù e quando.

Solo lei.

Il respiro del vento, il battito della luna.

I pensieri dell’acqua.

Come le aveva insegnato la madre.

Un modo per evadere da se stessi.

 

Ma da bambina

le spiagge erano immense,

e il mare era blu.

 

Le labbra increspate.

Già, quello non era il mare di Haru.

Quello era il lago della regione più lontana del regno da Haru.

Eppure, così vicina nell’aspetto e nell’animo.

Con un sorriso giocoso si tolse i sandali e, reggendo il lungo abito da notte con le mani, tuffò i piedi nella sabbia ciottolosa.

Chiuse gli occhi e si lasciò andare a un gemito liberatore.

Tutti gli avvenimenti di quel giorno sembravano così lontani.

Sembravano così diversi.

Così sciocchi.

Non riusciva ad avvicinarsi a Sesshomaru?

Con pazienza ci sarebbe riuscita.

Non riusciva a capire chi fosse Inuyasha?

Con costanza avrebbe raccolto informazioni.

Non riusciva a capire Sesshomaru?

Abbassò la testa, osservando le caviglie sporgenti dalla sabbia.

In fondo, non poteva certo risolvere tutti quei problemi quella sera, no?

Non si era ripromessa “basta Sesshomaru”?

Ridacchiò al pensiero della sgridata che le avrebbe riservato la Regina-madre se l’avesse trovata in quello stato.

I capelli scomposti, i piedi fangosi e le gambe scoperte.

Rise senza paura di farsi sentire, accarezzandosi con una mano la guancia.

L’ultima volta che era uscita senza permesso l’aveva colpita.

Ma la cosa che le aveva fatto più male erano state le minacce.

Adesso invece nessuno poteva minacciarla.

Era la Regina!

E se Sesshomaru non voleva aiutarla contro quel capitano, bene.

Avrebbe pensato da sola come metterlo al suo posto.

Da quando le importava avere l’appoggio di Sesshomaru?

Se Ami o Toryu l’avessero sentita piagnucolare quella sera nella stanza l’avrebbero presa in giro per tutta la vita!

Che cosa le era preso?

Scosse la testa con violenza, scacciando quella patetica scenata.

Alzò il volto.

 

Nivea, perfetta

dalle labbra del cielo

la luna pende

 

Era tardi adesso.

Doveva rientrare.

Doveva decidere come comportarsi con Sesshomaru.

Doveva escogitare un piano per fargli incontrare “casualmente” quel generale.

Doveva progettare la vendetta contro Yudachi.

Doveva…

Un rumore?

 

Guizza la carpa

e le nubi scorrono

a pelo d'acqua.

 

Lì, nel centro del lago.

Forse aveva ancora un po’ di tempo.

 

 

 


Scrutò l’oscurità della stanza, tagliente.

A passi sicuri, fieri, raggiunse la finestra.

Solo gli ultimi stanchi richiami dei servi che si coordinavano l’un l’altro per riordinare il giardino.

Era stata lì, riconosceva l’odore.

Ma adesso?

Dove poteva essere andata?

Con chi?

Cosa importava?

Si sedette stancamente nella stanza, sospirando in solitudine.

Osservò le assi vecchie del pavimento, scacciò i ricordi che si affacciavano dolorosi.

Perché anche lui era stato lì.

In quella stanza.

E, nonostante il buio, sentirlo, saperlo, era insopportabile.

 

Cocci taglienti,

infuocati frammenti

d'altra stagione

 

E oltre alla strenua lotta per tacciare i ricordi, doveva sentire anche quel nome!

Ferirsi di nuovo la mente con quell’ingiustizia!

E quella stupida che chiedeva informazioni, spudorata.

A chi non sa nulla.

A chi dice di conoscere tutto.

A chi avvelena una storia già letale.

Alla ricerca di qualcosa che, tanto, non esisteva più.

Qualcosa che, in ogni caso, non la riguardava.

 

Su tagli obliqui

l'estetica del nulla

fissa la mente

appagata dal fischio

dell'aria lacerata.

 

Sesshomaru masticò l’aria.

Aveva visto la sorpresa nel suo sguardo.

Aveva individuato la rabbia nel suo respiro.

Aveva dipinto l’imbarazzo sul suo volto.

Lo aveva innervosito.

Da tutto il giorno.

Quegli sguardi contenti, quelle domande continue, quell’indagare fastidioso.

Mentre lui voleva solo concentrarsi nella battaglia contro la sua mente.

Cancellare ogni ricordo di suo padre.

 

Basta un fiore

una sensazione:

è nostalgia.

 

Avrebbe dovuto andare a cercarla.

Avrebbe dovuto lasciar perdere quei pensieri, concentrarsi sul problema del confine, ignorare Sakura.

Scappare?

Un ghigno.

Osservò la luna oltre la finestra.

 

Muti pensieri

di silenzi lunari

di tardi pianti.

 

Sì, avrebbe potuto scappare.

Ma lui non era così.

Lui non era come loro.

Come suo padre prima e come Inuyasha poi.

Aveva dei compiti.

Aveva dei doveri.

Non avrebbe mai tradito.

 

 

 


Sakura ridacchiò mentre una carpa, curiosa, si strusciava alle sue ginocchia.

Tentennò un po’ prima di andare avanti.

Controllò di reggere bene il vestito, si augurò di non scivolare sui sassi del fondo.

Lentamente.

Un altro passo.

Si voltò verso la riva, osservando quanto fosse vicina.

Era davvero bello quel lago, ma troppo scivoloso.

Non poteva rischiare di bagnarsi.

Come si sarebbe potuta giustificare poi?

Cercò con gli occhi raggianti la luna che, ammonitrice, la rincorreva nel lago.

I riflessi argentati e la luce bianca.

Se solo Kamigawa fosse stato lì.

Sarebbe stato tutto perfetto.

Le avrebbe schizzato l’acqua sul vestito, rimproverando poi Toryu che, imbarazzato dalla figura autoritaria del Sovrano, si sarebbe messo a balbettare scuse sommesse mentre Amy lo aggrediva alle spalle facendolo cadere in acqua e Izumy, dalla riva, sgridava severa i loro comportamenti infantili.

Li poteva vedere, li poteva sentire.

Poteva parlare con le loro immagini inesistenti, sentire le loro voci mute.

Emise un verso impaurito, cercando di non cadere per quella dispettosa roccia.

Sospirò una volta ripreso l’equilibrio e iniziò a ondeggiare lenta, lasciando che quelle deboli onde la rinfrescassero.

Era così puro lì.

Così etereo.

Così irreale.

Sospirò profondamente.

Quell’odore…

Si voltò di scatto, spalancando gli occhi sorpresa.

Quella figura, sulla riva.

La veste da camera scura e la pelle chiara.

Rimase immobile, in silenzio, immersa nell’acqua.

A pochi passi da lui.

Senza il coraggio di pensare, senza il coraggio di svegliarsi.

Ammirando il demone che, dalla riva, la fissava.

Con gli occhi ambrati, l’aria strafottente e lo sguardo serio.

La brezza nei capelli, le labbra umide, l’atteggiamento misterioso.

 

Vorrei calarmi delicatamente

sul fiume della tua pelle

e lasciarmi plasmare dall'acqua che scorre.

 

Bene, l’aveva trovata.

Come fosse finita in mezzo a un lago non voleva saperlo.

Perché fosse uscita di nascosto a quell’ora lo immaginava.

Osservò impassibile la sua figura.

Le gambe nude, la veste alzata, la tela sottile.

 

Contemplazione

quell’attimo sospeso

tra ora e sempre.

 

-Sakura.-

 

La demone sobbalzò, singhiozzando un respiro, resuscitando dal torpore.

Imbarazzandosi per quella vista, per quei pensieri, per quel momento.

Paralizzandosi per le vesti alzate, i capelli scomposti, gli occhi lucidi.

Meravigliandosi del suo profumo, del suo incanto, della sua essenza.

 

Invochi il mio nome

come sabbia s'inonda d'acqua

e soffia l'aria silenziosi desideri ardenti

 

Era lì.

Lì suo padre gli aveva messo in mano per la prima volta un’arma.

Lì gli aveva insegnato ad impugnarla.

Lì lo aveva incoraggiato ad imparare.

Lo sapeva.

Vedeva le immagini di quel ragazzino, il volto di quell’uomo, il rumore delle lame.

Ma spirò un alito di vento.

E l’immagine mutò in lei.

 

Quel vento spinge il ricordo

l'alito si posa

sugli occhi di rugiada

 

-Faremo meglio a rientrare.-

 

Si potevano combattere quei ricordi?

Si potevano sostituire con le immagini presenti?

Forse però si poteva lenire il dolore con il presente.

Sakura accennò un sì impacciato con la testa, inghiottendo a fatica l’agitazione che aveva sentito crescere lenta in gola.

Perché tanta angoscia?

Non era la prima volta che si vedevano, che lo vedeva, con quegli abiti.

E con quella luce.

Cosa c’era di diverso?

Si umettò le labbra, barcollando verso riva.

Un sasso scivoloso.

La luna sorrise dei loro volti stupiti.

 

La luna è là

quella luce m'inquieta gli occhi

inumiditi di cristalli di sogno.

 

Sakura rimase in ginocchio, tremante.

L’acqua schizzata fin sui capelli risaliva lenta il vestito, pesante e fradicio.

Non poteva credere di essersi messa in una situazione simile.

A pochi passi di fronte al marito.

Con un vestito bianco.

Completamente bagnata.

Le guance arrossate per l’ulteriore imbarazzo e l’assurdità della situazione.

Sesshomaru le voltò le spalle, lento.

 

-Muoviti.-

 

Sakura trovò il coraggio di alzare la testa, lentamente, fissando ammaliata i gesti di lui che, lenti, slacciavano la parte alza del kimono, gettandola poi sulla riva.

Sakura si alzò a fatica, impacciata da quell’abito troppo lungo e troppo pesante.

Troppo aderente e troppo imbarazzante.

Annaspò fino a riva, incapace di pensare a cosa stava veramente accadendo.

Incapace di capire se ridere per l’assurdità, piangere per la vergogna.

Tacere per il fascino.

Aveva il respiro concitato giunta alla riva.

Di fianco il kimono.

Davanti le sue spalle nude.

Dietro la luna gioconda.

 

Il chiaror della luna

il sapor della tua anima

scivolo in una meteora.

 

Poteva sentire il suo respiro regolare, poteva immaginare i suoi occhi fissi, cercava di tradurre i suoi pensieri.

Si tolse lenta i capelli dal volto, cercando di placare il tremore delle mani.

Strizzò lenta la cintura che lasciava chiuso il kimono.

Inghiottì l’imbarazzo e tirò.

La tela pesante cadde in un attimo.

Sesshomaru spostò appena lo sguardo alla sua sinistra.

L’ombra di Sakura, pura.

I capelli gocciolanti, le gambe tremanti.

Le punte dei seni e la vergogna delle braccia.

 

Sei bella a levarti il vestito

ma sotto la luna risplende solo il tuo corpo...

ti manca nel cuor quel ch'io voglio.

 

L’ombra si chinò lenta, scomparendo un momento, per poi tornare, sinuosa e sfuocata, mentre la stoffa del suo kimono andava ad accarezzarle la pelle.

Sakura affondò il volto in quella stoffa salvifica, celando un sorriso.

Era imbarazzata, felice, confusa.

Sperava di trovare lucidità nella stoffa delle sue terre.

E invece trovò il turbamento del suo profumo.

Si morse un labbro, indossando velocemente quella veste che, se possibile, la imbarazzava ancora di più.

Non le arrivava neppure al ginocchio.

E la scollatura era troppo ampia sul petto.

Pregò che nessuno li vedesse rientrare.

Pregò che Sesshomaru decidesse di anticiparla nel cammino, che non la vedesse.

Rabbrividì nel notare le sue spalle ampliarsi maggiormente, indietreggiare di un passo, fino quasi a sfiorarla.

 

-Sommo Sesshomaru, siete voi?-

 

Sakura sobbalzò a quella voce, appoggiandosi d’istinto alla schiena del marito, cercando un maggior riparo, nascondendo il volto con i capelli, respirando concitata fra le sue scapole.

Cercando di non pensare a quanto i loro corpi, ora, fossero aderenti.

 

-Sì, Yudachi.-

 

Sakura non riuscì a trattenere un verso gutturale di vergogna.

Fra tutti, TUTTI i soldati di quelle terre, perché proprio lui, proprio quell’odioso…

 

-Altezza! Per fortuna Vi abbiamo trovato! Yasu si è recata nella Vostra stanza per consegnare alla Regina una tazza di the, ma è scomparsa. Ho già allertato le guardie, stanno pattugliando le zone circostanti il castello. Chi può essersi introdotto…-

 

Sakura chiuse gli occhi con violenza, sentendo implodere velocemente quel po’ di decoro che le restava.

 

-Richiama le guardie.-

 

Sesshomaru aveva la solita voce calma, di comando.

Il tono del guerriero e la decisione dell’uomo.

Un vero Sovrano.

Yudachi sobbalzò sorpreso, alzando la torcia per illuminare di più il suo sovrano.

 

-Ma, altezza…-

-La Regina è con me.-

 

Yudachi corrugò la fronte prima di notare il petto di Sesshomaru, una veste per terra.

Spostò lo sguardo sull’ombra, notando la demone, tremante.

Sakura morì in quella risata volgare e grassa, di quelle smorfie non trattenute e di quegli sguardi che, lo sentiva, erano derisori.

 

-Perdonate! Perdonate Altezza la mia interruzione! Non immaginavo… Vado a far ritirare le guardie! Fate pure con comodo! Sarebbe un onore per la nostra terra essere la prima patria dell’erede!-

 

La risata si allontanò veloce, sostituita da ordini e schiamazzi.

Sesshomaru si allontanò appena e Sakura riprese a respirare.

 

-Dovremo aspettare.-

-Già…-

 

Sakura si passò la manica del kimono sulla fronte, cancellando una goccia del lago o della paura.

Scosse la testa, incapace di trattenere una risata.

 

-Che situazione assurda!-

 

Sesshomaru storse la bocca, contrariato.

 

-La prossima volta che vuoi uscire fatti accompagnare da Yasu.-

 

Sakura alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa, divertita.

Sorridente per l’imbarazzo, desiderosa di parlare per scaricare la tensione.

 

-Ma così è più divertente!-

 

Cantilenò lenta, con quel tono che faceva sempre arrabbiare così tanto Toryu.

Sesshomaru bloccò la testa in tempo.

Voleva voltarsi ed ammonirla con lo sguardo, come gesto spontaneo.

Imbarazzante per lei, in quello stato.

Ma davvero fastidioso per lui.

 

-Divertente? Hai costretto Yudachi a cercarti, hai svegliato tutto il palazzo, hai scomodato me e tutto solo per un tuo capriccio.-

 

Sakura schioccò civettuola le labbra, muovendo un passo di lato, desiderosa di rubare il suo profilo.

 

-Hai ragione. E’ stata proprio una vendetta perfetta. Non trovi?-

 

Sesshomaru corrugò la fronte.

La mente liberata dai ricordi era stata leggera fino a quel momento.

Sospirò chiudendo gli occhi.

Forse, se si fosse lasciato distrarre da lei, dal suo sciocco chiacchiericcio, dal suo stupido comportamento, non avrebbe avuto tempo per ricordare.

Forse era lei lo strumento per andare avanti.

 

-Non farti coinvolgere dalle chiacchiere delle vecchie.-

-Non farti plasmare dal carisma di Yudachi.-

 

Parole pure

Promesse d’amanti

Complici silenzi.

 

 

   
 
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