Beh che dire... solo una piccola shot su un telefilm sul quale, fino ad ora, non avevo mai provato a scrivere. Non è un granchè; sono secoli che non riesco a scrivere una storia come vorrei... ma è comunque meglio del nulla assoluto!
Ovviamente, i personaggi non mi appartengono e la storia non è scritta a fini di lucro.
Fatemi sapere che ne pensate, è importante per me!! J
Un bacio a tutti,
Temperance
Narrami, o Musa...
Scrivere
bene una vita è difficile quanto viverla
-L.Strachey-
La detective Kate Beckett se ne
stava immobile, sprofondata nella sua altalena di vimini appesa alla veranda
sopra al balcone di casa sua, gli occhi in continuo movimento, avanti e
indietro tra le fitte parole di un libro.
Un giallo, pensò lui, pur senza
riuscire, da dove si trovava, a vederne la copertina.
Un giallo o un thriller, ne era
più che certo: soltanto quel genere di racconti era in grado di strappare in
quel modo Beckett dalla realtà.
Strano, considerato che la sua,
di realtà, avrebbe potuto tranquillamente essere sovrapposta in più punti alla
trama di un qualsiasi romanzo poliziesco.
Insomma, il passato travagliato
c’era, la buona motivazione per diventare poliziotta pure, per non parlare,
poi, dell’incredibile mole di casi risolti. I colleghi che l’adoravano erano
più che presenti e il poliziotto-non-poliziotto follemente e segretamente
innamorato di lei... beh, quello era un segreto, appunto, e anche solo pensarci
sarebbe stato oltremodo inappropriato.
“Che ci fai laggiù? Mi spii,
ora?”
La voce lo raggiunse,
inaspettata, facendolo sentire decisamente troppo simile ad un guardone.
Avanti, idiota, dove sono le
tue risposte brillanti, quando servono?
“Beckett! Lo sai che quel libro
è parecchio scadente?”
La donna inarcò un
sopracciglio, evidentemente indecisa se ignorarlo o lasciargli cadere sulla
testa il tomo incriminato.
Per come si sentiva lui in quel
momento, la seconda ipotesi sarebbe stata certamente la migliore.
“Wow...” Esclamò, fingendosi
profondamente impressionata. “Devi avere qualche strano superpotere per
leggere, dalla strada, il titolo che io, diversi metri sopra di te, sto
parzialmente coprendo con le mani.”
Colpito e affondato.
Silenzio.
Trovare una battuta brillante
non era affatto così facile come si sarebbe potuto pensare.
“Beh? Sei venuto per spiarmi o
hai qualcosa da dirmi?”
Come se l’illuminazione divina
l’avesse appena colpito, l’uomo alzò un dito e prese fiato, come per parlare,
ma le parole gli morirono in gola.
Beckett era scomparsa.
Decise che, forse, salire e non
farle perdere ulteriormente sarebbe stata una buona idea.
O, per lo meno, sarebbe stato
utile a mantenere la sua incolumità almeno per i successivi dieci minuti.
Quando varcò la soglia che,
evidentemente, era stata lasciata aperta a suo uso e consumo, la scena che gli
si prospettò davanti agli occhi era a dir poco mozzafiato.
Beckett, ripiegata su se
stessa, si stava allacciando i lacci delle scarpe da ginnastica. E, fin qui,
nulla di particolarmente eccitante, senonché la donna
indossava solamente una microscopica canotta da jogging e dei calzoncini
praticamente invisibili.
Non potè
trattenersi dal compiere una radiografia completa del suo corpo.
“Esistono i porno per questo,
lo sai?”
Un sorriso sornione fu il suo
unico tentativo di scusarsi.
“Tu provochi, però.”
Beckett si bloccò un istante,
lanciando uno sguardo smarrito al proprio corpo.
Non ci trovava proprio nulla di
sexy.
L’uomo sorrise, intenerito: a
volte la sua ingenuità era a dir poco disarmante.
“Dai, Beckett, stavo
scherzando!”
Gli occhi, da persi, tornarono
severi.
“Quanto tempo hai intenzione di
farmi perdere ancora, Castle?” domandò, poggiandosi le mani sui fianchi
sottili.
“Giusto, giusto.” Con aria
fintamente professionale, lo scrittore sedette sul divano, disponendo ordinatamente
sul tavolino i tre plichi di carte che aveva portato con sé.
“Che cosa sono?” Domandò
Beckett, accomodandosi accanto a lui.
“Queste” Rispose, indicando la
prima e la seconda busta. “Sono scartoffie riguardanti due casi che il
dipartimento mi ha gentilmente chiesto di farti avere. Mentre questa...” Lo
sguardo divenne piuttosto eloquente.
Beckett, naturalmente, colse al
volo.
“No.”
“Cosa no?”
“No, questa volta non mi
compri.”
“Ma...”
“Che mi stai offrendo? La prima
di qualche film? Una vacanza? Ingresso gratuito a tutte le biblioteche del
paese? Non mi comprerai, razza di...”
“Abbonamento alla stagione dei
Red Sox.”
Beckett si bloccò.
“I Red Sox hai detto?”
“Sì, baby.” Replicò lui,
assumendo la classica posa da gangster consumato. “È un’offerta che non puoi
rifiutare.”
La donna parve combattuta.
“Tutta la stagione?”
Le si avvicinò
impercettibilmente.
“Ogni singola partita.”
“Che cosa vuoi in cambio?”
La risposta che avrebbe voluto
darle non avrebbe di sicuro potuto essere mandata in onda in fascia protetta.
“Sapere se saresti disposta a
fingerti attratta da un criminale, e fino a che punto, per arrivare a
catturarlo.” Pausa. “Per il romanzo, s’intende.”
Beckett sospirò, scuotendo la
testa.
“Castle, io...”
“Red Sox.” Incredibilmente meschino, da parte sua, ne era
cosciente, ma quell’informazione gli serviva... e ottenerla sarebbe stato
incredibilmente divertente.
“E va bene!” Esclamò la
detective, rassegnata. “Ma sarò breve, totalmente priva di particolari e dopo
non voglio altre domande.
Castle annuì, come un bravo
scolaretto.
E lei iniziò a raccontare.
“È successo una volta sola,
prima che entrassi alla omicidi. Si trattava di un caso di droga, mi pare. Per
riuscire a prendere un certo narcotrafficante mi avevano dato l’incarico di
avvicinarlo il più possibile e io, ansiosa di fare carriera, avevo accettato al
volo, senza rendermi conto del guaio in cui mi stavo cacciando. Mi ero finta da
subito fortemente attratta da lui, anche se in realtà ogni contatto con quel
corpo mi faceva inorridire fino alla soglia della nausea. Quel giorno lui mi
aveva chiamato nel suo appartamento... disse che mi avrebbe fatto un regalo,
che lo aveva preparato bene e che mi sarebbe piaciuto tantissimo. Non ci volevo
andare... sapevo che cosa mi aspettava, ma sapevo anche di essere costantemente
sorvegliata, quindi non avrebbero dovuto esserci problemi. Mi sedetti sul
divano di quella catapecchia accanto a lui, esattamente come sto ora rispetto a
te. Solo che lui, logicamente, non è rimasto lontano per tanto. Lentamente,
come un serpente viscido, il suo braccio è andato a posarsi intorno alle mie
spalle, mentre lui continuava a ripetere che ero bellissima, che non aveva mai
visto una ragazza come me... ma non prendi appunti?”
L’interruzione nel racconto lo
riscosse, proprio mentre stava pensando che il narcotrafficante non aveva torto
ad asserire quelle cose, per quanto il suo fine non fosse certamente dei più
nobili.
“Ehm... no, non... mi basta
ascoltare.” Replicò, non trovando nulla di meglio da dire.
Beckett, comunque, assorbita
dal suo stesso racconto, non parve fare caso all’assenza della sua proverbiale
risposta pronta.
“Insomma, andò avanti a dire
quelle frasi per un po’, spingendosi sempre più vicino, fino a che anche le
nostre gambe entrarono in contatto.”
Quasi sicuramente senza accorgersene,
la detective prese ad eseguire esattamente le stesse azioni che stava
raccontando, mandando in brodo di giuggiole il povero scrittore.
“Io non sapevo che fare, quell’idiota
continuava ad avvicinarsi e a toccarmi sempre più insistentemente e io non
avevo idea di come reagire per non lasciarlo andare troppo oltre senza
smascherarmi e senza espormi a rischi inutili.”
Una mano di lei si posò sulla
sua gamba, provocandogli un numero incredibile di sensazioni troppo forti per
poter essere definite in maniera lucida.
Forse era davvero la sua
occasione, forse gli stava lanciando dei messaggi.
Forse, dopotutto, anche lei lo
voleva...
“Poi, però, il bastardo fece un
passo di troppo: tentò di spingere la mia testa verso il basso per farsi
fare... beh, hai capito, e le parole dolci diventarono appellativi sempre più
insistenti e volgari. Io non ci ho visto più e...”
Avvenne tutto in maniera
decisamente troppo rapida.
Mentre lui ancora era preso a
pianificare un modo per trovare quell’idiota e farlo fuori senza dare troppo
nell’occhio, la donna estrasse qualcosa dal bracciolo del divano dietro di lei
e glielo puntò contro l’inguine.
L’uomo sbiancò.
No, non poteva essere davvero
quello che pensava, non poteva, non...
In un istante, Beckett,
abbandonò la presa su qualsiasi cosa stesse premendo sul suo corpo e si
accasciò sul divano, ridendo a crepapelle.
“Scusami, Castle, sto...
avresti dovuto vedere la tua faccia! Cioè... tu hai davvero pensato che quella
fosse una pistola!”
Lo scrittore sbattè un paio di
volte le palpebre. Non c’era spiegazione: Beckett doveva essere ubriaca.
Poi, lentamente, abbassò gli
occhi sui propri pantaloni, onde poi essere colto da un improvviso attacco d’ilarità.
Dove avrebbe dovuto esserci la
canna di una pistola, lo squadravano gli occhietti neri di un grosso maiale di
cristallo Swarovski.
Ripresosi dallo shock, l’uomo
scattò in piedi e la statuina cadde a terra, finendo in mille pezzi.
Nessuno la degnò di uno
sguardo.
“Ah, è così che l’hai fatto
desistere? Puntandogli addosso un porcello?” Domandò l’uomo, chinandosi su di
lei e prendendo a farle il solletico.
La donna, intanto, non riusciva
a smettere di ridere e si agitava sul divano, imprecando contro Castle in modi
piuttosto fantasiosi e coloriti.
Era bellissima, pensò lo
scrittore, senza riuscire a levarsi dal volto un sorriso vagamente ebete,
bellissima e, in quel momento, estremamente vulnerabile.
Forse avrebbe potuto...
Non aveva ancora finito di
pensarlo, che già il suo corpo aveva agito, portandolo ad inginocchiarsi sul
pavimento davanti a lei e a posare le labbra sulle sue, ancora semiaperte in
una risata che le morì in gola.
Richard
Castle si lasciò sprofondare nella poltrona, chiudendo gli occhi, stremato.
Prima
di partorire quella scena, non credeva che scrivere potesse stancarlo
fisicamente in quel modo.
In
effetti, non sapeva nemmeno di possedere un lato così tremendamente romantico.
Diamine,
era una dichiarazione in piena regola, quella!
Pubblicarla
sarebbe stato un salto nel buio, ne era perfettamente a conoscenza, ma oramai
la frittata era fatta e tirarsi indietro sarebbe stato da codardi.
Beckett
lo avrebbe ucciso.
O
cacciato a calci.
O
baciato.
Era
abbastanza convinto che il bacio fosse una possibilità piuttosto remota, ma
almeno nessuno lo avrebbe più accusato di essere un codardo.
Era
una scena perfetta, una delle sue migliori e , stranamente, gli era venuta bene
al primo colpo, senza doverla correggere e rivedere.
Ora
doveva solo cambiare i nomi di Castle e Beckett con quelli di Nikki Heat e del
suo partner ed inviarla all’editore...e poi sarebbero davvero stati tutti
affari suoi.
In
quel momento, lo squillo del telefono lo richiamò all’ordine e l’uomo si alzò,
abbandonando sulla poltrona il portatile acceso.
Il suo
suicidio letterario avrebbe potuto aspettare per il tempo di una telefonata.
Quando
tornò, dopo avere lungamente discorso con sua madre se fosse meglio un
fondotinta un po’ più chiaro o una cipria un po’più colorata, si rese
immediatamente conto che qualcosa non andava.
Ok lo
schermo nero del computer: la funzione standby non aspettava nessuno.
La
mancanza del rumore della ventola e delle lucine sulla tastiera, però, erano
due particolari profondamente inquietanti.
Con
mano tremante, lo scrittore sfiorò il touch pad del notebook per farlo tornare
alla vita.
Nulla.
Tasto
destro.
Niente.
Tasto
sinistro.
Desolazione
totale.
Batteria
esaurita.
“Oh,
meraviglioso!” Esclamò, lasciandosi cadere a peso morto sul divano.
Ore
per convincersi a scrivere quella dannata scena, altrettanto tempo per
stenderla nero su bianco su quel foglio virtuale... e tutto per vederla
scomparire in una nuvola di pixel.
Lui e
la sua stupida mania di non salvare i lavori fino alla fine...
Evidentemente,
per quella volta, Beckett non lo avrebbe ucciso e lui avrebbe sempre potuto
riscrivere il capitolo in un secondo momento, quando gli fosse passata l’arrabbiatura.
Poi,
però, proprio mentre stava per alzarsi e mettere sotto carica l’aggeggio
traditore, la voce di sua figlia gli risuonò in testa, chiara e vivace,
esattamente come l’aveva sentita quella mattina stessa.
“Niente
accade per caso, papà!” Gli aveva detto Alexis, sostenendo che non era una
coincidenza che proprio Beckett, e non un altro detective lo avesse chiamato
per una consulenza quel giorno, un anno e mezzo prima.
“Niente
accade per caso...” si ripetè un paio di volte, prima di comprendere a pieno il
significato di quella frase.
Poi
sorrise, chiudendo il portatile e posandolo sul tavolino davanti a sé.
Forse,
dopotutto, per Nikki Heat e il suo creatore il momento di amarsi non era ancora
arrivato.
I
libri migliori sono proprio
Quelli
che dicono ciò che già sappiamo
-George
Orwell-