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Autore: ross_ana    23/01/2011    11 recensioni
What If...? di Linea 97 - A date with the destiny, di fallsofarc.
Ero seduta alla fermata dell’autobus e ancora ripensavo a quella conversazione senza senso.
La parte razionale di me continuava a ripetermi che quel Peter, se davvero così si chiamava, aveva solo tentato di attaccare bottone per aggiungere il mio nome alla stessa lista di cui facevano parte Sheila e Katrina, ma c’era una vocina dentro la mia testa – o forse in qualche parte indefinita del mio corpo – che mi suggeriva di non credere alle apparenze.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è una What If…? di Linea 97 – A date with the destiny di fallsofarc.
La ringrazio moltissimo per avermi concesso il permesso di poter pubblicare questa oneshot.
Un avvertimento: i personaggi sono un pò OOC rispetto agli originali. Soprattutto Danielle. La storia si colloca prima dell’incidente di Peter, quindi il suo corpo non porta i segni di cicatrice alcuna.
Ovviamente, questa storia la dedico a Chiara :)
Buona lettura :)





DANIELLE POV

Sospirai di sollievo quando vidi arrivare l’autobus.
Quella era stata una delle giornate più pesanti da quando avevo cominciato l’università e non vedevo l’ora di arrivare a casa per potermi buttare sul letto e riposare.
Persino il pensiero di trovare Janice e le sue lamentele non scalfiva minimamente la mia voglia di rientrare, perché le critiche del professore sulla mia esposizione, all’esame, nonostante fossi stata la più preparata di tutti, mi avevano letteralmente abbattuto.
A cosa serviva studiare e stare ore ed ore sui libri se poi, solo perché non avevo indossato una maglietta abbastanza provocante, venivo umiliata davanti a tutta l’aula?
Ero carica di libri, mi facevano male le spalle per il peso che ero costretta a portarmi dietro, e avevo sonno. Volevo solo dimenticare quell’orribile giornata.
Per questo, quando vidi l’autobus in lontananza, mi sentii sollevata.
Non avevo messo in conto, però, che quel dannato giorno non era ancora finito, e difatti quando le porte si aprirono e io salii da quella posteriore, sbuffai indignata vedendo che il posto in cui sedevo di solito era occupato.
Ero tentata di andare da quei due ragazzi e chiedergli di spostarsi, perché quello era il mio posto, ma mi resi subito conto che avrei fatto un ulteriore figuraccia, visto che non c’era scritto da nessuna parte che io dovessi sedermi per forza , così, ancora più nervosa di quanto fossi stata fino ad allora, andai a sedermi avanti a quei due.
Uno di loro aveva una felpa con il cappuccio calata sugli occhi, mentre l’altro, biondino, si era tolto gli occhiali da sole per potermi squadrare meglio.
Scossi la testa inorridita, ci mancava solo un cretino che aveva voglia di fare l’idiota per rendere quella giornata infernale.
Buttai con malagrazia la tracolla ai miei piedi e poggiai i libri che avevo in mano sul sedile accanto al mio, poi sospirai e poggiai la testa indietro.
Non avevo voglia di parlare, non avevo voglia di guardare fuori dal finestrino, e non avevo neppure voglia di ascoltare un po’ di musica, così invece di infilare le cuffie, come facevo sempre, rimasi immobile ad ascoltare il rumore assordante dei passeggeri.
-Carina, la ragazza, eh?!
-E smettila. Pensi sempre a quello.
-Senti chi parla! Non sei tu quello in punizione per colpa di una ragazza?
-Ma quale ragazza!? È colpa tua se i miei mi hanno scoperto.
-Certo, come no! Mica c’ero io a letto con Sheila.
-Non era Sheila, era Katrina. E comunque poco importa. Domani riprendo la macchina, tanto i miei vanno in Australia per una vacanza.
Non mi fu difficile ascoltare quella conversazione visto che i due ragazzi di certo non stavano bisbigliando.
Capii che quello con il cappuccio calato sugli occhi doveva essere persino più odioso del biondino che mi aveva squadrata, prima, e sbuffai un’altra volta. Come se quello che stessero dicendo fosse un insulto a me.
Cercai di razionalizzare tutto, ripetendomi che io ero completamente estranea a quella faccenda e che le loro parole non centravano niente con me o con quella giornata, ma tutti i miei sforzi risultarono vani quando, alla fermata successiva, salirono due vecchietti barcollanti.
Sperai con tutta me stessa che quei due cretini si alzassero per ceder loro il posto, ma ovviamente non lo fecero, per cui presi in mano i libri, la borsa e mi alzai.
-Prego, signori. Accomodatevi.
Mi risultò alquanto difficile sorridere, ma mi sforzai di farlo perché innanzi tutto ero stata educata in un certo modo, e poi loro non avevano colpa per il mio stato d’animo.
Arretrai di qualche passo e mi avvicinai alla porta, in modo da potermi reggere al palo.
Come se tutto quello non fosse sufficiente per i miei nervi tesi all’inverosimile, ci fu una frenata improvvisa che mi fece volare i libri dalle mani.
Mi ritrovai a ringhiare senza rendermene conto e improvvisamente due lacrime di rabbia sfuggirono al mio autocontrollo.
Mi chinai per raccogliere gli appunti che erano sfuggiti alla spilletta che li ancorava alla copertina del libro e cominciai a imprecare tra me e me quando, il ragazzo con il cappuccio calato sugli occhi, si inginocchiò al mio fianco e mi aiutò a mettere in ordine tutti i fogli sparpagliati.
Il cappuccio gli era caduto sulle spalle dandomi la possibilità di vedere il suo viso ed i suoi occhi. Per un paio di secondi rimasi incanta a guardarlo.
Quando il suo sguardo incrociò il mio, mi sentii avvampare d’imbarazzo e di agitazione.
Pensai che quella giornata mi aveva davvero provata al limite del possibile, perché quello che stavo provando non era normale.
Insomma, la sensazione di farfalle svolazzanti nello stomaco non aveva senso.
-Cos’è? La ragazzina si è incantata?
Bastarono le parole del suo amico a farmi tornare con i piedi per terra.
Il biondino odioso si era sporto dal sedile, infatti, e guardava la scena con un sorriso da imbecille sul viso.
Con malagrazia strappai i fogli di mano a quell’altro e mi alzai impettita.
-Grazie.
Più che un ringraziamento il mio sembrò un ringhio, ma poco me ne curai e quando scesi dall’autobus, pochi minuti dopo, dimenticai all’istante quello che era successo.


Per la settimana successiva mi rifiutai di prendere l’autobus, di andare all’università, di studiare e di fare qualunque altra cosa potesse ricordarmi quell’orribile giornata.
Ok, non era propriamente una scelta visto che, ciliegina sulla torta, mi era venuta l’influenza. Comunque svolsi le faccende di casa, preparai pranzi e cene per Janice, ascoltai musica e lessi tantissimo, riuscendo a finire addirittura due libri.
Fu proprio a causa di questo che mi costrinsi ad uscire di casa.
Non potevo certo passare il resto della mia esistenza stesa sul letto della mia camera, e in ogni caso, seppur non volessi ancora riprendere i contatti con il mondo, avevo bisogno di qualcosa che mi distraesse e mi facesse passare il tempo, e considerando che non avevo nemmeno una rivista nuova da leggere, ero costretta ad andare in libreria.
Così, respirando profondamente, mi vestii e uscii.
Non avevo messo in conto che respirare aria fresca, però, mi avrebbe fatto sentire una sciocca.
Avevo passato quasi una settimana in casa solo per una giornata andata storta. Cosa diavolo mi era passato per la testa?
Sorrisi… quasi risi di me stessa… e mi avviai lesta verso la fermata dell’autobus.
Sarei andata in centro, in libreria, e poi magari avrei preso qualcosa al bar. Avrei passato un pomeriggio tranquillo all’insegna del relax, e l’indomani avrei ricominciato a vivere normalmente.
Seduta al mio posto, guardavo fuori dal finestrino e ascoltavo la mia canzone preferita, ancora sorpresa del tempo che avevo sprecato ad essere arrabbiata con il professore, con quei due ragazzi che probabilmente non avrei più rivisto – visto che il tizio con il cappuccio avrebbe ripreso la macchina già il giorno dopo e non avrebbe più avuto bisogno della Linea 97 per spostarsi per la città – e persino con i due vecchietti che erano saliti alla fermata successiva alla mia.
Quando arrivai in centro, decisi di non pensarci più e mi diressi immediatamente verso la libreria.
Avevo sempre amato quel luogo.
Non perché avesse qualcosa di speciale, diverso da qualunque altra libreria, ma proprio perché era una libreria. L’odore dei libri nuovi, l’immensità degli scaffali ricolmi di tomi di tutte le grandezze, i colori delle copertine, la gente che sfogliava le pagine, le etichette che indicavano le varie sezioni.
Tutto quello, e mille altre piccole cose – l’atmosfera, l’aria che si respirava, i rumori smorzati, il calore – rendevano le librerie il posto più rilassante al mondo, per me.
Entrare lì era quasi come tornare a casa dopo un’estenuante giornata di lavoro, e sorrisi compiaciuta quando il commesso mi sorrise al mio arrivo.
Cominciai ad aggirarmi tra i vari scaffali, indecisa su quale categoria indirizzare la mia attenzione. La copertina di un libro fantasy, però, risolse i miei dubbi.
Cominciai a leggere la trama quando, un profumo sconosciuto e allo stesso tempo familiare, mi travolse.
-Non è un granché, quello. Sembra intrigante all’inizio, ma la fine è una delusione totale.
Alzai lo sguardo e mi trovai davanti il ragazzo dell’autobus. Non il biondino odioso che mi aveva irritata a morte, ma quello che aveva la felpa calata sugli occhi e mi aveva aiutata a raccogliere gli appunti.
Indossava una felpa con la zip senza cappuccio. I suoi occhi, belli e profondi come la prima volta, brillavano di una luce assurda che, come la prima volta, mi lasciarono senza fiato per qualche secondo.
-Se vuoi leggere un bel libro fantasy, ti consiglio questo.
E mi mise tra le mani un libro di almeno mille pagine, visto il volume.
Io non lessi neanche il titolo, troppo affascinata dal tono della sua voce, ma mi resi conto che non potevo continuare a stare in silenzio senza fare la figura dell’idiota, così mi riscossi dall’intorpidimento in cui ero caduta e lo guardai torva.
-Sheila e Katrina non sono abbastanza? Vorresti aggiungere anche a me a quei due nomi?
Sgranò gli occhi per la sorpresa, poi probabilmente ricordò la conversazione che aveva avuto sull’autobus con il suo amico e scosse la testa ridendo.
-Non so ancora il tuo nome per poterlo aggiungere da qualsiasi parte tu voglia.
-Idiota.
-Uh. I tuoi genitori devono essere abbastanza strani.
Feci finta di non sentire la sua risposta e andai verso la cassa per pagare il primo libro che avevo preso tra le mani. Non avevo nessuna intenzione di dare ascolto alle parole di quello.
Lo sentii ridacchiare, in fila dietro di me, ma non lo degnai della ben che minima attenzione.
Avrei dovuto immaginare, però, che non sarebbe stato tanto facile sbarazzarmi di lui.
-Ehi, Idiota, aspettami.
Non avevo nemmeno fatto due passi fuori dalla libreria quando la sua voce mi raggiunse, e mi girai di scatto, con lo sguardo fiammeggiante, pronta a mangiarmelo.
La sua espressione sfacciatamente sorridente, però, mi bloccò le parole in gola.
-Pensavo non ti saresti girata, invece ti chiami veramente Idiota?
Mi resi immediatamente conto che la cosa più giusta da fare era ignorarlo e andarmene, ma c’era qualcosa che non mi permetteva di farlo e per di più, invece di gridargli in faccia che l’idiota era lui, gli dissi il mio vero nome.
-Danielle. Mi chiamo Danielle. E ora puoi lasciarmi in pace?
-Quello è il tuo cognome?
Grugnì esasperata e gli diedi le spalle, ma prima che potessi fare un solo passo, lui mi affiancò e mi tese la mano.
-Peter. Io sono Peter. E stavo solo scherzando.
-Stavosoloscherzando è il tuo cognome?
Si mise a ridere, i suoi occhi vennero contagiati da quell’allegria, e io non riuscii a rimanere impassibile di fronte a quello spettacolo.
Perché Peter che rideva era un veramente uno spettacolo meraviglioso.
-Che ci faceva uno come te in libreria?
-Uno come me?
Il suo tono suonò metà divertito, metà indignato, ma non me ne curai.
-Hmm hmm. Uno che viene messo in punizione dai genitori per essere stato scoperto a letto con una ragazza.
-Tecnicamente non eravamo a letto ma in macchina, infatti per quello me l’avevano sequestrata. Ma capisco cosa intendi.
-Bene.
-Male, invece.
Sgranai gli occhi e lo guardai confusa, ma lui si mise di nuovo a ridere e continuò a camminare al mio fianco, come se fossimo vecchi amici.
-E allora?
-E allora cosa?
-Che ci facevi in libreria?
-Quello che ci facevi tu! Ho comprato un libro.
Scoppiai a ridergli in faccia, come se mi avesse raccontato una barzelletta piuttosto che darmi una semplice risposta.
Lui sembrò non prendersela, e con tutta la calma del mondo mi rivolse di nuovo la parola.
-Non so che idea ti sei fatta di me, ma non sono un’analfabeta, sai?
-Non l’ho pensato.
-E allora perché quest’aria così stupita per avermi trovato in libreria?
-Perché solitamente quelli come te non hanno nemmeno la più pallida idea di cosa significhi leggere.
Lui rimase in silenzio per qualche secondo, poi si fermò e io, di riflesso, feci lo stesso.
-Hai un nome particolare per identificare quelli come me, oppure siamo una razza innominabile?
Il suo tono era diventato più freddo e arrogante, perciò, con uno scatto d’ira che sorprese me stessa per prima, assottigliai gli occhi e mi mostrai come un’arpia.
-Stronzi.
Prima che potesse dire qualunque altra cosa me ne andai.


Ero seduta alla fermata dell’autobus e ancora ripensavo a quella conversazione senza senso.
La parte razionale di me continuava a ripetermi che quel Peter, se davvero così si chiamava, aveva solo tentato di attaccare bottone per aggiungere il mio nome alla stessa lista di cui facevano parte Sheila e Katrina, ma c’era una vocina dentro la mia testa – o forse in qualche parte indefinita del mio corpo – che mi suggeriva di non credere alle apparenze.
C’era una parte di me che voleva credere che Peter non fosse soltanto un ragazzino viziato che voleva portarmi a letto. Quella parte di me, quella sognatrice, voleva credere che quell’incontro fortuito in libreria era stato un segno del destino.
Scossi la testa sbuffando.
Era passato troppo tempo dall’ultima volta che avevo baciato un ragazzo, forse per questo motivo avevo cominciato a delirare soltanto perché quel ragazzo dagli occhi bellissimi mi aveva dato un po’ di confidenza.


PETER POV

Quella ragazza mi aveva stregato.
Lei non era come Sheila, o come Katrina.
Lei non si era fatta irretire dal mio finto buonismo – sull’autobus – e dal mio spirito – all’uscita della libreria.
Che poi che incontro fortunato!
Dopo averla incontrata quella sera, sul Linea 97, ero restato talmente affascinato da aver ripreso l’autobus anche il giorno dopo, solo per poterla rincontrare. Per cinque giorni avevo aspettato, alla fermata su cui era salita, di poterla rivedere, e solo dopo essermi arreso all’evidenza che non l’avrei più rivista l’avevo incontrata in libreria.
Diamine, c’erano sette librerie, in centro, eppure lei era entrata proprio in quella in cui stavo io.
Segno del destino?
Quando si incamminò a passo di marcia, lasciandomi solo in mezzo a tutta quella gente, capii che non potevo assolutamente lasciarla andare senza chiederle almeno il numero di telefono.
Senza farle accorgere di nulla, la seguii fino alla fermata dell’autobus e rimasi in disparte, nascosto dietro un gruppetto di ragazzi, a guardarla.
Quando arrivò l’autobus, lei salì senza accorgersi di me, e io tornai alla mia auto solo dopo aver guardato il pullman sparire dietro la prima curva.


Cercai di togliermi Danielle dalla testa, ma più mi sforzavo, più il suo viso mi tormentava.
Cercai di non pensarci uscendo con delle ragazze nuove, ma nessuna distrazione riusciva a farmi dimenticare il taglio dei suoi capelli, o il colore dei suoi occhi, o il modo in cui muoveva le labbra quando parlava.
Ero persino arrivato a pensare di essere impazzito, perché non mi ero mai fissato in quel modo con nessuna, ma più cercavo di ripetermi che quello era soltanto un capriccio, più il desiderio di rivederla ancora mi perseguitava.
Arrivai al punto in cui decisi che se quello era ciò che volevo, quello era ciò che avrei fatto.
-Mamma io esco.
-Le chiavi dell’auto sono sul tavolino in salotto.
-Non ne ho bisogno. Vado in autobus.
-Ah. Va bene.
Sapevo di non avere la certezza di incontrarla, ma l’unica cosa che sapevo di lei era che prendeva il Linea 97 per tornare a casa e che quello sarebbe stato il mio punto di partenza.
Il primo giorno non ebbi successo.
Il secondo giorno provai a cambiare fermata.
Il terzo giorno decisi di provare in un altro orario.
Il quarto giorno stavo per perdere le speranze, e mentre decidevo di tornarmene a casa e di mettere una pietra sopra a quella creatura che mi aveva così dannatamente stravolto, si alzò un vento forte che mi costrinse a voltare la testa dall’altra parte.
Mi calai il cappuccio in testa per difendermi dalle temperature improvvisamente più fredde, preannuncio dell’autunno imminente, e mi strinsi nella felpa maledicendomi per non aver indossato un cappotto.
Perso nelle mie elucubrazioni, notai solo all’ultimo momento una ragazza che aveva attraversato la strada e che si era seduta sulla panchina della fermata dell’autobus.
Mi sentii uno sciocco ragazzino alla sua prima cotta, perché il cuore cominciò a battermi per l’impazienza di parlarle e di sentire la sua voce. Mi sentivo emozionato.
Mi avvicinai lentamente alla panchina sulla quale era seduta, girando da dietro e rimanendo in disparte ad osservarla.
Sapevo che se avrei fatto un’apparizione improvvisa sarebbe scappata a gambe levate – probabilmente immaginando di trovarsi di fronte un maniaco – oppure avrebbe continuato a darmi dello stronzo – anche se, effettivamente, non ne aveva nessun motivo.
Me ne stavo lì a guardarla e a pensare ad un modo per rivolgerle la parola, ma mi venivano in mente solo frasi idiote.
Per favore, mi diresti che ore sono? – Cosi sento la tua voce.*

Risi di me stesso per la poca originalità e rimasi in silenzio a fissare la sua schiena.
Immaginai di poter vedere la sua pelle, al di sotto dei vestiti che indossava.
Immaginai di poterla guardare negli occhi mentre ero io a spogliarla dei vestiti che indossava.
Immaginai di poterla stringere a me per trovare un po’ di calore contro quel vento gelido che vinceva la battaglia contro la mia felpa leggera.
Mi immaginai mentre mi avvicinavo a lei, le sedevo accanto, e le parlavo.
Per favore, mi potresti un po’ abbracciare? – Che qui fa un freddo cane.*
Per favore, che mi presti un po’ i tuoi occhi? – Che io qui ho finito il sole.*
Per favore, ti potresti addormentare? – Che io ti vorrei guardare.
*

Bloccai il flusso dei miei pensieri e scoppiai a ridere – tra me e me – un’altra volta.
Se le avessi detto davvero che volevo guardarla dormire, avrebbe davvero pensato che fossi un pervertito.
Passai pochi secondi in silenzio, e nel momento in cui mi accorsi che avevo veramente desiderato di poterla guardare mentre dormiva, mi si rizzarono i peli sulle braccia.
Ma cosa mi stava succedendo?
Io che avevo sempre visto le ragazze come un modo per divertirmi, io che le avevo sempre usate a mio piacimento senza mai dar loro un briciolo di affetto, stavo davvero facendo quei pensieri? Stavo davvero desiderando di poter passare del tempo con Danielle senza dovermela portare a letto al primo appuntamento?
Mentre me ne stavo lì a riflettere su quelle domande così sconvolgenti, vidi i fari del Linea 97 che si avvicinava.
Rimasi immobile a guardarla mentre prendeva le buste che aveva poggiato a terra e saliva sull’autobus.
Sono qua anche stasera, sono rimasto qua, il tuo è arrivato, hai preso tutto e sei salita.
Ed io cretino, non ti ho neanche salutata.
*

Rimasi immobile a fissarla, continuando ad immaginare di poter vedere la sua pelle candida e delicata – come appariva nei miei sogni dal momento in cui l’avevo vista.
Rimasi immobile ad osservarla, e quando l’autobus ripartì, pronunciai ad alta voce parole che non avrebbe potuto sentire, sicuro del fatto che la prossima volta avrei trovato il coraggio di parlarle davvero.
-Per favore, che mi spiegheresti mai la differenza tra la luna e la tua schiena? – Che io non la so vedere.*



DANIELLE POV

Gli occhi di Peter perseguitarono i miei sogni.
Mi dissi che ero stata una sciocca a scappare da lui in quel modo, mi ero comportata da immatura, o forse solo da scema. Insomma, cosa mi aspettavo? Che si sarebbe inginocchiato ai miei piedi per dichiararmi amore eterno?
Non avrei dovuto essere contenta per il semplice fatto che si era ricordato di me nonostante la prima volta che mi avesse visto fosse intento a parlare di Sheila e Katrina?
Ma bastò il ricordo di quei due nomi per riportarmi con i piedi per terra: quel dannato Peter era uno che aveva una lista di cui Sheila e Katrina era solo due dei tantissimi nomi, e io avrei potuto diventare una delle tante se solo non me ne fossi andata via piantandolo in mezzo al corso.
Mi costrinsi i sospirare pesantemente, poi scossi la testa cercando di cancellare dalla mia mente il suo nome e i suoi occhi.
Il tentativo fu inutile, però, quando arrivai alla fermata dell’autobus e trovai tutta la pensilina ricoperta di post-it indirizzati a me.
Sgranai gli occhi e deglutii.
C’erano delle ragazze che avevo visto in facoltà che leggevano e ridacchiavano sognanti. Io mi avvicinai al primo e trattenni il respiro.

Per Danielle.
Per favore, mi daresti il tuo indirizzo?
Ho una lettera d’amore.*
P.

Al secondo i miei occhi diventarono lucidi.
Per Danielle.
Per favore, mica me lo fai un sorriso?
Che ci scrivo una canzone.*
P.

Al terzo non riuscii a trattenere l’emozione e il cuore cominciò a battere più furiosamente di quanto avesse mai fatto.

Danielle, ti aspetto lì dove mi hai mollato l’ultima volta.
Per favore, vieni.
P.

Avrei voluto staccarli tutti per poterli leggere, ma l’autobus era arrivato e io non potevo perdere tempo.
Per tutto il tragitto guardai fuori dal finestrino con l’ansia che mi mozzava il respiro e l’adrenalina che mi impediva di restarmene ferma sul sedile, così, nonostante avessi il mio posto tutto a disposizione, mi alzai e mi avvicinai alla porta.
Non appena il Linea 97 si fermò in centro, mi catapultai fuori e cominciai a correre fino ad arrivare là dove avevo lasciato Peter la settimana prima.
Mi guardai intorno, con il battito impazzito che non accennava a diminuire la sua corsa, e quasi urlai di spavento quando sentii due mani poggiarsi, da dietro, sulle mie spalle.
Mi girai di scatto e guardai Peter negli occhi.
Tutti i dubbi, le paure e le paranoie cui avevo pensato dal giorno in cui lo avevo incontrato sull’autobus mi si pararono davanti agli occhi, ma per la prima volta nella mia vita decisi di seguire gli istinti e lasciarmi alle spalle tutti i problemi.
-Ciao.
-Ciao.
Mi sorrise e i suoi occhi brillarono di una luce che mi tolse completamente il fiato.
Senza parlare ci incamminammo verso uno dei vicoli laterali del centro, e solo quando fummo a metà di esso la voce di Peter ruppe il silenzio.
-Per favore, mi daresti un po’ la mano? – Sai com’è, oramai è sera e qui c’è poca luce.*
E le nostre dita si intrecciarono, dando il via, forse, alla realizzazione di un sogno.




*Le frasi con l’asterisco sono prese dalla canzone Tra la luna e la tua schiena, de I Ratti delle Sabina.


Grazie ancora, Chiara *-*
   
 
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