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Autore: riki_ch    23/01/2011    1 recensioni
Quando qualcuno riesce a colpire una persona fino in fondo...
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LIFE

Prima parte

Dove sarei ora?
Dove sarei, se non fossi così labile?
Starei meglio, o starei peggio?
Starei camminando su una via fulgida, o era destino che piombassi nell’oscurità?

Le mie convinzioni sono sempre state piuttosto passeggere, sovente mi è capitato di cambiare opinione su un argomento. Ciò avveniva per motivi banali, come il pregiudizio o la facilità di farsi condizionare, o l’azione impulsiva e non riflettuta. Con il tempo, però, ho imparato a non dire mai di no alle nuove avventure e alle nuove proposte, nemmeno a quelle che fino a qualche mese prima condannavo. È impossibile giudicare oggettivamente qualcosa senza buttarcisi dentro, accettare l’opinione della maggioranza non è altro che pigrizia, oppure paura. E io sono molto pigro, ma non voglio abbandonarmi alla viscida paura, sono troppo forte e troppo bravo a cavarmela in ogni situazione per lasciarmi comandare da questa schifosa.
C’è stata una decisione, presa dopo aver combattuto con le opzioni che mi ero proposto, che non sapevo avrebbe definito più in là un nuovo me stesso, una decisione che ha cambiato una grande parte della mia esistenza in modo burrascoso. Sì, perché tutto è avvenuto grazie a essa, ma non in modo del tutto graduale.
Ero al primo anno di liceo, avevo scelto un indirizzo che non era adatto a me, e me ne ero accorto già all’inizio dell’anno. Quindi, sono migrato verso ambiti più adatti alle mie capacità. Per farlo ho dovuto sostenere degli esami. Il giorno dello scritto ho incrociato un ragazzo, anche lui era lì per lo stesso esame. Eravamo solo noi due, nessun altro. Nel momento in cui l’ho visto, non so, sono rimasto impressionato, emanava un’energia particolare, non riuscivo a comprenderla, era strano, era lui. Lui. La matrice del mio cambiamento. La guida che mi ha scortato e che tuttora mi accompagna sui sentieri di questa terra, di cui non pensavo avrei mai varcato i confini. Qualche giorno dopo lo ritrovai nella mia stessa classe, ma non mi curai molto di lui e non feci molto per conoscerlo, anche se desideravo diventargli amico. L’ho detto, sono pigro. E questa pigrizia mi ha portato a compiere per l’ennesima volta il grande sbaglio di non farmi un’opinione mia su una persona. Infatti, ero solito passare il tempo con alcune amiche, che lo vedevano come una specie di esibizionista e che lo ritenevano antipatico, o che so io. C’è da dire, tuttavia, che non era per niente un esibizionista, anzi, a me pareva stare piuttosto sulle sue, parlava poco e soprattutto con i ragazzi, senza cercare amicizia tra il sesso debole. Me ne ero accorto, ma mi lasciai trasportare da queste opinioni e ebbi una scarsa considerazione di lui e cominciai a generare una forma di disprezzo nei suoi confronti, anche se in fondo riuscivo ancora a percepire quell’energia che sentii il giorno in cui lo vidi per la prima volta.
Ci fu una serie di avvenimenti che mi portò a avvicinarmi a lui e a conoscerlo un pochino. Tanto per iniziare, in ottobre feci un acquisto, il mio primo smartphone, uno molto famoso e decisamente una moda. Quest’aggeggino permette di giocare a svariati giochi, e si sa, nessuno resiste a un po’ di svago. Il primo passo verso di lui fu appunto quest’acquisto. Infatti, il martedì, avevamo le ore di arti visive, e, come spesso capita durante queste lezioni, si ozia. Lui sapeva che possedevo quest’oggetto, come tutti gli altri, e un giorno mi chiese se poteva giocarci un po’, perché si stava annoiando. Inizialmente ero titubante, il cellulare era nuovo e non volevo condividerlo, ma non ce la feci e glielo concessi. Mentre io lavoravo, lo osservavo, si divertiva, e la cosa mi rendeva felice. Da quel giorno, lui poté usare il mio iPhone liberamente, anche se magari mi lamentavo per le continue richieste, glielo lasciavo sempre.
Nel frattempo, però, non avevo cambiato molto il mio modo di atteggiarmi nei suoi confronti, spesso ero scontroso, ma sapevo che mi avrebbe comunque chiesto di poter giocare e sapevo che l’avrei lasciato divertirsi. Quest’abitudine dilagò, e si estese a tutta la classe, ma a quel punto non potevo dire di no agli altri e sì a lui, non sarebbe stato corretto, quindi quell’aggeggio divenne di uso comunitario, ma lasciai a lui la precedenza sul suo utilizzo. Se in due volevano giocare, e tra questi c’era lui, allora il primo era già deciso.
Poi, in inverno, non saprei se prima o dopo le vacanze di Natale, mi svegliai una mattina e la neve ricopriva i tetti e le strade. Optai, perciò, di camminare fino a scuola, ma non per il tragitto che seguivo spesso, bensì per un altro alternativo, fu un caso. Ero immerso nella musica e nella camminata, quando d’un tratto sentii qualcuno che mi chiamava. All’inizio non capii di chi si trattasse, non riuscivo a vedere dove fosse questa persona, ma poi vidi una persona attraversare la strada e affiancarsi a me. Fu la prima volta che io e lui andammo a scuola insieme. Ricordo ancora che continuai ad ascoltare quello che stavo ascoltando e se lui mi diceva qualcosa o mi chiedeva qualcosa, mi limitavo a fare un cenno con la testa o sibilare un monosillabo, però non saprei dire se la sensazione che provavo fosse piuttosto irritazione o piacere, era un misto di entrambi, probabilmente. E poi, per quale motivo irritazione? Non me lo so spiegare. Forse era dovuto al fatto che ancora ero condizionato dall’opinione altrui. Quella mattina, però, fu importante. Dopo quel giorno, più volte feci quella strada per recarmi a scuola, nella speranza che ci incontrassimo di nuovo, ma non accadde mai. Mi ci volle del tempo per rendermi conto che sarebbe stato molto più facile percorrere la via del ritorno insieme. All’inizio era qualcosa di sporadico, una volta ogni tanto tornavamo a casa insieme, magari io tagliavo per un altro percorso e ci separavamo abbastanza presto, poi però, per me, divenne quasi un appuntamento. Quando dovevamo tornare a casa lo aspettavo, oppure gli chiedevo di aspettarmi, perché all’inizio lui partiva da solo. A un certo punto, credo che comprese che quella si stava quasi trasformando in una tradizione e iniziò anche lui ad attendermi, senza che glielo chiedessi. Per quei minuti che trascorrevamo insieme, solo noi due, si alternavano momenti di totale silenzio, anche per tutto il percorso, a momenti in cui parlavamo di svariati argomenti, tra cui la scuola, i nostri gusti, la politica. Grazie a queste chiacchierate imparai a conoscerlo e l’idea che mi ero fatto di lui si capovolse, presi a considerarlo un amico e poi una persona importante e che godeva pienamente della mia stima. In poco tempo era divenuto un individuo tranquillamente  scindibile dalla massa, non come molti altri, che costituiscono l’insieme di persone che conosco. Sono pochi quelli di cui ho un’immagine precisa, quelli per cui posso dire: “Va bene, è lui e nessun altro. Non si può sostituire”.
Ovviamente, la considerazione nei suoi confronti crebbe di giorno in giorno, non solo grazie a quel piccolo pezzo di strada, ma grazie anche al fatto che fosse diventato, e qui non per caso ma perché lo decisi fermamente, il mio compagno di banco a geografia. Come per ogni persona con cui mi piace passare del tempo, gli avevo dato un soprannome snervante e in più varianti: Spugna, che diventa Spongy, che si diminuisce in Spongino, fino a arrivare a Gino. Questo soprannome fu adottato poi anche dagli altri, ma nella mia visione generale ero l’unico che poteva permettersi di chiamarlo in quei modi. Sapevo che gli dava fastidio, ma continuavo. Fino a che non arrivai al limite di sadismo, e gli dissi che visto che lo infastidiva non mi sarei più rivolto a lui in quel modo. Mi ringraziò. Gli altri non smisero, però, anche se a volte io dicevo di smetterla, che a lui non piaceva.
Verso la fine dell’anno ci fu un altro avvenimento che mi fece avvicinare a lui ulteriormente: l’uscita di studio a Padova. A me sarebbe piaciuto poter essere in camera con lui, ma non andò come desideravo. Tuttavia, passai la maggior parte del tempo con lui e fu durante l’unica sera che passammo in quella città che per la prima volta andai contro quello che era stato uno dei miei principi.
Questo ragazzo, come altri nella mia classe e nella mia scuola ha un piccolo vizio. Fuma, ma non solo sigarette. Eravamo su un grande prato, io, lui e pochi altri. Cominciò a girare quest’involucro di carta e altra roba vegetale, ma io non ne feci uso, non sono tipo da queste cose. Poi andammo a un Luna Park vicino e ci passammo un po’ di tempo, prima di fare ritorno in quello stesso luogo. Girò un nuovo Joint, e di nuovo opposi resistenza, fino a che non mandai al diavolo i miei principi e decisi di provare, non fu niente di che, solo due tiri, alla fine. In un certo senso, lo feci per lui. Dopodiché tornammo in albergo. Per quanto non fosse stato niente, era pur sempre un inizio. Quella fu anche la sera in cui venni a sapere di quel suo vizio, prima non avevo avuto modo di scoprirlo, ma non cambiai l’opinione che ormai mi ero fatto di lui, ero indifferente.
Grazie a questa gita consolidai la sua figura. Era definitivamente diventato qualcuno cui mi ero affezionato, una persona importante e che volevo assolutamente nel mio entourage. Purtroppo per lui, però, non era un genio a scuola, e, infatti, non riuscì a passare l’anno. Tuttavia, io volevo credere che ce l’avrebbe fatta, e continuavo a ripetergli che sarebbe riuscito a passare, ci credevo veramente, e ci speravo più di quanto non ci sperasse lui. Fui in grado di infondergli quella speranza.
Per la sera del penultimo giorno di scuola avevamo organizzato una cena di classe e io spesi tutta la serata con lui (e due ragazze), parlammo, ridemmo. Fu una serata molto piacevole, che ripeterei volentieri e che si concluse con me che lo accompagnavo fino a casa, ormai era davvero una tradizione tornare a casa insieme, anche se io, per riaccompagnarlo, dovevo allontanarmi parecchio da dove abitavo, ma era cosa di poco conto. Quando arrivammo a destinazione, ci salutammo. Il giorno dopo non ci sarebbe stato a scuola, doveva partire. Gli dissi che ci saremmo visti l’anno seguente, in classe assieme, e lui rispose che anche se non ce l’avesse dovuta fare, ci si sarebbe incontrati lo stesso e ci stringemmo la mano. A quel punto mi incamminai verso casa, con la musica nelle orecchie. Ascoltavo una canzone bellissima, “Passion” il titolo, “Hikky” l’artista. È una canzone che riesce a suscitare in me delle emozioni, e lo stato in cui mi trovavo in quel momento si unì alla canzone. Una lacrima mi rigò il volto, poi un’altra ancora e via. Non ho ancora capito perché iniziai a piangere, è curioso. Andai avanti per tutta la durata del brano, e poi mi calmai. Era stato un momento magico, e non appena arrivai a casa, scrissi su facebook che quella era la canzone più forte che avessi mai sentito.
Il giorno seguente, l’ultimo giorno di scuola, lo trascorsi con i miei compagni di classe in palestra. Come ogni anno, era stato organizzato un torneo di pallavolo e la nostra squadra arrivò seconda. Pranzammo insieme in stazione, e poi tornammo insieme a scuola per attendere il risultato del consiglio di classe e scoprire chi fosse stato graziato e chi no. Per tutto il giorno rimasi in pensiero per lui, bruciavo perché le mie speranze e le mie aspettative si vedessero realizzate. Quando mi dissero che l’esito era stato esposto, mi precipitai a controllare. Fino a un momento prima ero abbastanza felice, e poi crollai nel grigio. Una mia amica si accorse del mio stato e mi disse che le dispiaceva.
Ora toccava a me dargli la brutta notizia. Io gli avevo infuso quelle speranze. Lui non aveva un cellulare e perciò lo avvisai tramite facebook. Scrissi solo il diminutivo del suo nome e tre puntini. Non ne sono del tutto sicuro, ma mi pare che questo bastò a fargli capire quello che volevo dirgli. Non la prese bene, la sua risposta fu una bestemmia, ma lo compatisco. Io, invece, non potendo sopportare di rimanere a scuola tra tutti, me ne andai a casa, distrutto, e di nuovo, dopo nemmeno ventiquattro ore, le lacrimucce. Mi sentivo debole. L’autocontrollo non mi mancava, però, e quando mi chiamarono, mi girai sorridente e presi a chiacchierare con due amiche, che come me se ne stavano andando. Per fortuna non mi vide nessuno.
venti minuti più tardi ero sdraiato sul mio letto, lo sguardo perso nel vuoto. Non capivo che cosa potessi fare, non mi ero mai sentito più abbattuto. Dovevo sfogarmi. Accesi il computer, feci il login per messenger e skype e raccontai alle prime tre persone che vidi on-line come mi sentivo. Erano due amiche e un amico conosciuti su un forum. Non li ho mai incontrati personalmente, ma questo non toglie che non mi possa confidare con loro. Anzi, mi riesce più facile che con i miei comuni amici. Mi fecero stare un po’ meglio, ma le uniche cose riuscivo a capire in quel momento erano che la scuola aveva avuto fine in modo tragico, che il giorno seguente sarei partito per una vacanza in cui mi sarei sentito davvero solo e che non sapevo come fare per tenermi in contatto con lui.

  
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