Fiore di carta
Ogni
giorno era sempre uguale a quello precedente e quello dopo non sarebbe mutato
di una virgola.
Alle cinque del mattino, l’anziano signor Scott si
sarebbe svegliato gridando che era scoppiata una guerra e che i russi li stavano attaccando, per poi
ritornare a dormire dopo essere stato tranquillizzato dal dottore che il paese
viveva in pace da anni ormai.
Alle sette e mezza, quando tutti gli altri pazienti
si svegliavano per la colazione, in ordine si recavano alla mensa per prendere
il loro pasto e le medicine specifiche per ogni loro esigenza. La mattinata
passava in modo abbastanza tranquillo: la signora Shawn
tentava di concludere quella partita a scacchi che da anni giocava da sola,
muovendo alternativamente i bianchi e i neri senza mai mangiare un pezzo; il
giovane Smitt tentava in tutti i modi di sedurre le
tre infermiere con i metodi più disparati, ovviamente senza successo; il signor
McQueen continuava a ripetere sempre ad alta voce
‘Sta’ zitto!’ immaginando di parlare all’amante della moglie; e così via…
Poi c’era il pranzo, che si svolgeva con le stesse
modalità della colazione e il pomeriggio era identico alla mattina. Poi
arrivava la cena e infine tutti andavano a dormire nelle rispettive camere, chi
volente e chi nolente.
Questa era la tipica giornata alla Wammy’s House, istituto psichiatrico diretto dal dottor Qullish Wammy.
Tuttavia, per l’infermiera Linda vi era un paziente
molto speciale che con il passare dei giorni attirava sempre più la sua
attenzione, insinuandole dei dubbi sulla sua reale schizofrenia: Nate River.
Era entrata in servizio tre anni prima e lui era già
uno dei pazienti dell’istituto. Un ragazzo albino di circa diciotto anni,
sempre vestito con un pigiama bianco, che passava le sue giornate inginocchiato
in terra a comporre un puzzle, l’unico che possedeva. Non parlava mai con
nessuno, tanto che si poteva dire che fosse muto, se non per quelle rare volte
in cui ringraziava quando gli veniva consegnato un pasto o una medicina.
Il ruolo delle infermiere era semplicemente quello
di assicurarsi che i pazienti non commettessero qualche ‘sciocchezza’
(dipendeva dall’instabilità mentale dei soggetti) e dare loro gli psicofarmaci
agli orari stabiliti dal dottore.
Il
soggetto ha seri problemi di integrazione sociale. Assenza di comunicazione con
altre persone. Comportamento ripetitivo e stereotipato. Non sopporta il
contatto fisico con altri soggetti. Affetto da Disturbo pervasivo dello
sviluppo: diagnosticata possibile sindrome di Asperger1 con
probabile disturbo schizoide della personalità.2
Questo è ciò che Linda aveva letto nella sua
cartella clinica. Il dottor Wammy era uno psichiatra
molto famoso nel suo campo e aveva curato diversi pazienti, riuscendo dove
altri prima di lui avevano fallito miseramente, e Linda credeva ciecamente
nelle sue diagnosi.
Tuttavia c’era qualcosa in quel ragazzo che le
faceva pensare che non fosse così… che non fosse malato, ma solo incompreso.
Sapeva che avrebbe trasgredito le regole, ma voleva
capire. Forse lo faceva per noia, forse per pietà o forse… forse quel giovane
così solitario le piaceva davvero e voleva aiutarlo in qualche modo.
Arrivate le sei del pomeriggio, Linda avrebbe dovuto
dare a Nate le pillole prescritte dal dottor Wammy.
Gli si avvicinò con il consueto bicchiere d’acqua e la medicina contenuta nel
blister. Gli porse il primo e Nate lo prese come sempre senza distogliere lo
sguardo dal suo monocromo puzzle, stringendo le dita attorno al bicchiere solo
quando lo sentì concretamente nel proprio palmo. Poi Linda gli diede le due
pilloline, ma poco prima che il ragazzo le portasse alla bocca, lei gli afferrò
la mano (Non sopporta il contatto fisico
con altri soggetti), dicendogli sottovoce: “Non la prendere. Bevi solo il
bicchiere.”
Le mise nel taschino del camice bianco che indossava,
attenta a non farsi vedere da occhi indiscreti.
Nate restò impassibile a guardarla, fissando gli
occhi grigi sul suo viso, quasi volesse studiare la sua espressione per capire
cosa significasse tutto quello. Non disse nulla. Bevve l’acqua e le porse il
bicchiere ormai vuoto.
Lei gli sorrise gentile, prima di alzarsi e andare
via, sentendo lo sguardo del ragazzo sulla nuca, come se volesse penetrarle il
cervello con lo sguardo, alla stregua di un dardo, e leggere così i suoi
pensieri.
Ripensò a ciò che aveva letto nella scheda: strano,
Nate non aveva mostrato fastidio o ribrezzo quando le loro mani si erano
intrecciate per un secondo.
Quella
sera la ragazza non riusciva ad addormentarsi. Il ricordo di ciò che era
successo quel pomeriggio le rubava il sonno. Ripensava alla mano di Nate nella
sua: la pelle candida era liscia, calda. Aveva delle belle mani lui, con dita
affusolate: mani da pianista, quello era il termine più appropriato che Linda
riuscì a pensare.
Passeggiava nel giardino della Wammy’s
House senza meta, lasciando che la brezza notturna di fine estate le
rinfrescasse la pelle, come impalpabili carezze ricevute da mani fatte di aria.
Sospirò, quando una strana sensazione si impadronì
di lei: la sensazione che qualcuno la stesse guardando. Forse era solo quel
maniaco di Smitt che la spiava dalla sua finestra,
pensando alle più turpi fantasie erotiche. Rabbrividì al sol pensiero. Quel
ragazzo era un essere viscido come pochi.
Si voltò per guardare in direzione della sua camera,
ma le tende erano tirate e non pareva esserci nessuno lì dietro ad osservarla
con fare licenzioso. Meglio così, pensò.
Poi, quasi calamitati da una forza superiore a
quella di volontà, i suoi occhi si spostarono sulla finestra della stanza di
Nate.
Si spaventò quando vide la bianca figura del ragazzo
vicino al davanzale che la guardava senza vergogna, simile ad un fantasma. Non
provò a tirarsi indietro quando Linda notò la sua presenza, come se desiderasse
essere visto, o forse non si rendeva conto che quello che stava facendo non era
molto educato.
Quel giovane era un enigma per Linda. Il suo sguardo
le incuteva timore a volte, ma subito dopo pareva addolcirsi, come un gatto che
inizialmente si mostra diffidente per poi accertarsi che l’essere umano che ha
dinanzi non è un pericolo per lui.
Linda rientrò nell’edificio. Non aveva intenzione di
andare da Nate, lo stava facendo perché cominciava a sentire un po’ di freddo.
Ma era davvero così?
Camminò silenziosa lungo il corridoio.
Sfortunatamente per lei, andare verso la sua camera equivaleva a passare
dinanzi la porta di Nate: una tentazione sul suo cammino.
Fissò quella barriera di legno per qualche secondo, incerta
se osare o meno. Scosse la testa e decise di proseguire, ma dopo soli due passi
si arrestò, come se vi fosse una presenza diafana che le sussurrasse di non
andare. Si voltò, compiendo a ritroso quei due passi appena fatti.
Sollevò esitante la mano chiusa a pugno. Bussò una
volta sola, per evitare di fare troppo rumore e svegliare qualcuno. Non ottenne
risposta dall’altra parte.
Bene, poteva andare. Ci aveva provato, ma aveva
fallito: non poteva rimproverarsi nulla. Tuttavia, era proprio quel fallimento
che non accettava. Riprovò, più risoluta. Ancora nessuna risposta.
La cosa più sensata da fare era andare via, ma poi
pensò che era Nate la persona dall’altra parte: forse riteneva superfluo dire
‘Avanti’ quando entrambi sapevano che era sveglio.
Portò la mano alla maniglia, avvolgendola nel palmo
della mano. Uno, due, tre…
L’abbassò con uno scatto secco, spingendo poi
lentamente per aprire uno spiraglio, quel tanto che le bastava per vedere
all’interno della camera.
Nate era lì, seduto in terra, nella sua consueta
posa con un ginocchio piegato verso il petto. Non diede segni di essersi
accorto della presenza della ragazza, ma era chiaro che sapeva chiaramente che
lei era lì.
Ormai era fatto, inutile indugiare. Entrò e si
richiuse la porta alle spalle il più silenziosamente possibile.
“Ciao, Nate” lo salutò. Ma cosa stava facendo?
Quel giorno stava continuamente trasgredendo al
regolamento dell’istituto. Se l’avessero scoperta avrebbe perso immediatamente
il posto di lavoro, senza ripensamenti. Ma la curiosità, la sete di conoscenza
erano più forti di qualunque altra cosa: Nate River era davvero malato?
“Immagino che ti starai chiedendo perché sono qui, o
perché oggi non ti ho fatto prendere la medicina, o chissà quante altre cose…”
Si sentiva terribilmente in imbarazzo e Nate non faceva nulla per farla sentire
più a suo agio. Impassibile continuava a comporre il puzzle che portava sempre
con sé (Comportamento ripetitivo e
stereotipato), non degnandola di uno sguardo. Neanche pareva che la stesse
ascoltando.
Restare in piedi, vicino alla porta, non era la prospettiva
migliore per Linda. L’unica seduta possibile era il letto singolo a ridosso del
muro alla sua sinistra.
Sedersi sul letto di Nate poteva sembrare una mossa
azzardata, ma aveva bisogno di stare comoda, almeno fisicamente. Si accomodò
sull’angolo più estremo, precisamente quello dall’altra parte rispetto a dove
si trovava lui. Meglio non accorciare troppo le distante: non sapeva come
avrebbe reagito il ragazzo ad una vicinanza simile… e nemmeno come avrebbe
reagito lei.
“Posso chiederti da quanto tempo sei qui?” gli
domandò.
“Avevo cinque anni.” Praticamente da tutta la sua
vita. Quel ragazzo aveva sempre vissuto là dentro, non conoscendo altro che le
mura di quell’edificio e il suo puzzle, e le uniche persone che avesse mai
incontrato erano dei pazzi.
Linda provò una certa tenerezza per quel giovane dai
capelli bianchi come il latte.
“E in tutto questo tempo il dottor Wammy non è riuscito a guarirti?”
“Forse perché non ho nulla che vada curato” rispose
prontamente lui, come se già si aspettasse quella domanda. Forse non aveva nulla: quella possibilità pareva molto probabile
ora per Linda.
Vivere da sempre in un posto frequentato da persone
psicologicamente instabili: avrebbe fatto impazzire chiunque. Ma non Nate. Lui
era rimasto perfettamente lucido, la sua mente si era mantenuta assolutamente
integra. Probabilmente, isolarsi e non interagire con nessuno era la sua unica
arma per sopravvivere (Assenza di
comunicazione con altre persone) e restare sano.
Stranamente, ogni tessera di quell’intricato puzzle
combaciava perfettamente con i dubbi di Linda, trasformandoli in certezze.
“Perché sei qui allora?”
“Mi hanno portato i miei genitori. Probabilmente non
mi volevano o credevano che ci fosse qualcosa di sbagliato in me. Forse
preferivano avere un bambino più vivace, più colorato, e vedendo me non mi
sentivano figlio loro.” Nate non sembrava arrabbiato mentre confessava le sue
ipotesi sui sentimenti dei genitori. Non pareva neanche provare rancore: dopo
tanto tempo se ne era fatto una ragione.
Lui non voleva essere guarito. Preferiva stare lì,
piuttosto che tornare a casa, dove non avrebbe trovato né amore né
comprensione. “Credo che siano morti. Sono anni che non vengono più qui.”
Era agghiacciante la pacatezza e il distacco con cui
il ragazzo parlava della tragica dipartita della madre e del padre. Ma, in
fondo, lui era lì da quando aveva cinque anni: poteva davvero considerare
quelle due persone suoi genitori? Per quanto gli riguardava, Qullish Wammy era l’unica persona
più vicina al concetto di parente per Nate.
“E’ per questo quindi che preferisci restare qui?
Non hai un posto dove andare. Perché è così, non è vero? Tu sai che se lo
volessi potresti uscire da qui quando vuoi, dimostrando che sei un ragazzo
perfettamente sano.” Uscire? Nate non aveva mai preso neanche in considerazione
l’idea di poter andare via un giorno da quel luogo. Non si stava male
dopotutto.
Aveva un tetto sulla testa. Persone che si
prendevano cura di lui. Tre pasti caldi al giorno. E c’era lei… l’infermiera
Linda.
A Nate piaceva Linda. Non trattava i pazienti con
sdegno o con un’aria di superiorità tipica delle altre infermiere. Li trattava
come esseri umani, elargendo sorrisi e parole carine a tutti. Persino a lui,
che mai aveva ricevuto un po’ di affetto da qualcuno.
Poi, quel pomeriggio, lei non gli aveva dato la
medicina. E Nate aveva compreso: Linda si era accorta che lui era diverso da
tutti gli altri. E se lo aveva notato
significa che lo aveva osservato a lungo, che si era interessata a lui e Nate
si era sentito oggetto di attenzione per qualcuno. Ma non un soggetto da
studiare per mettere in pratica gli studi; si era sentito guardato per quello
che era: un ragazzo incompreso.
Nate si alzò in piedi, prendendo una pagina dal
blocconote che aveva sul piccolo scrittoio accanto a lui.
“Credo che i miei mi vedessero così” disse,
mostrando il pezzo di carta.
Linda aggrottò le sopracciglia a quell’affermazione.
“Scusami Nate, ma non credo di capire.”
“Un foglio di carta bianco… scialbo. È qualcosa che
non vale niente, specie se chi lo possiede non ha una penna per scriverci sopra
qualcosa o la voglia di farlo.”
Linda comprese ciò che gli stava dicendo il giovane.
I suoi lo vedevano come un essere inutile, incapace di ricevere o dare amore.
Una pagina pulita di quaderno, da qualunque prospettiva la si guardi, era
sempre un oggetto privo di attrattiva.
Eppure la ragazza non vedeva nulla di tutto quello.
Dinanzi a lei vi era un giovane puro, immacolato, che non aveva mai ricevuto
niente e per questo non sapeva cosa volesse dire dare qualcosa.
Questi le si avvicinò, sedendosi sul letto poco
distante da lei, facendo infossare un po’ il materasso sotto l’esile peso.
“Tuttavia, anche qualcosa di così insignificante ha
dentro di sé un grande potenziale.” Iniziò a piegarlo con una maestria che
stupì Linda. Le sue dita sottili lo stavano lentamente modellando in qualcosa
che ancora non era definibile, quasi fosse un pezzo d’argilla che lentamente
prendeva forma sotto le abili mani di uno scultore.
Quando Nate finì la sua opera, porse a Linda il
risultato della sua creatività: la corolla di un fiore; più precisamente
sembrava una piccola, graziosa rosa bianca.
Forse Nate sapeva cosa volesse dire dare qualcosa.
La ragazza allungò la mano per afferrare il dono e
le loro dita si sfiorarono ancora una volta quel giorno. “Grazie.” Una rosa
nata da un foglio di carta: che fosse un modo criptico per Nate di dirle che
anche lui, come quella pagina, poteva sbocciare e divenire qualcosa di più di un
paziente della Wammy’s House?
Linda sentiva che quel grazie non era sufficiente.
Voleva dirgli che aveva inteso tutto e ricambiare un po’ quel gesto galante.
Senza pensarci troppo, si sporse per dargli un fugace bacio sulla guancia.
Le sue labbra erano morbide, delicate come petali.
Nate si sentì smarrito per la prima volta nella sua vita. Sentì un piacevole
calore germogliargli dentro: una sensazione inebriante che non aveva mai
provato prima.
“E’ la prima volta che ricevi un bacio?” gli domandò
Linda, notando la sua espressione pensosa e stupita.
“Sì.”
“Ti è piaciuto?”
“Sì.”
“Ne vorresti un altro?” A quella domanda
inaspettatamente audace da parte di Linda, Nate girò il capo per guardarla
negli occhi: il suo sguardo aveva risposto di sì, sostituendo quelle parole che
sarebbero state solo superflue.
La ragazza gli si avvicinò, ma non mirò alla guancia
come si aspettava lui, bensì alle sue labbra, sino a farle congiungere con le
proprie come due tessere di un puzzle. Quando il viso di lei si allontanò,
riecheggiò flebile il suono di uno schiocco, ma che alle orecchie di entrambi
parve forte come una detonazione.
“Come è stato?” gli chiese subito dopo. Lui era
rimasto impassibile, come se non avesse provato nulla: un timore che cominciava
a farsi spazio nel cuore di Linda, lacerandola intimamente, dolorosamente.
“Bagnato” disse inaspettatamente Nate. “Bello”
aggiunse poi, come se stesse lentamente assaporando il retrogusto di quel
bacio, elencando poi tutte le sfumature che percepiva.
“Vorresti baciarmi ancora?”
Nate rifletté attentamente su quella proposta così
esplicita. Baciarla ancora: che si stesse immaginando tutto? Sarebbe stato
bello sì, anzi sublime, ma era una relazione troppo pericolosa. Per lei forse
era solo un gioco. Magari a scuola lo aveva fatto con altri ragazzi, così, solo
per divertirsi, ma per lui non c’era niente di dilettevole in quello.
Il giorno dopo sarebbe tornato tutto alla normalità
e lui avrebbe visto quel tiepido raggio di sole che gli aveva illuminato il
volto scomparire di nuovo dietro le nubi della sua solitudine.
“E’ meglio se ci fermiamo qui” le disse risoluto.
“Potremmo fare qualcosa di sconveniente.”
“Sconveniente per chi?” domandò Linda, come se il
bacio appena dato fosse stato solo l’antipasto di uno squisito banchetto a cui
non voleva rinunciare. Si stupì della propria audacia, mai ostentata prima con
nessuno.
Aveva avuto solo un fidanzato in vita sua, durante
gli anni del liceo. Una semplice infatuazione che le aveva portato via anni di
struggimento per quello che reputava essere il grande e romantico amore della
sua vita, nonché le aveva preso la verginità illudendosi che lui, Damian, fosse il ragazzo giusto per lei.
Da allora era sempre stata molto recalcitrante ad
avere relazioni con altri ragazzi, sebbene avesse avuto altre occasioni. Sino a
conoscere Nate, un giovane che l’aveva attratta per la sua singolarità, con il
quale, contro ogni aspettativa, non si sentiva poi tanto a disagio.
“Sei un’infermiera: non dovresti avere certi legami
con i tuoi pazienti, non è professionale” le rispose Nate pacato,
attorcigliandosi una ciocca di capelli tra le dita.
Linda non la pensava così. In quel momento, in
quella stanza, non c’erano un’infermiera e un paziente, ma una ragazza e un
ragazzo, che il destino aveva unito in un modo bizzarro e insolito, irrimediabilmente
attratti l’uno dall’altra.
La professione di Linda era un dettaglio del tutto
secondario.
“Non mi importa del mio lavoro, Nate. Il mio turno
finisce alle dieci di sera: in questo momento non sono un’infermiera ma una
ragazza come tante. Potrei essere tua amica o anche…”
“Non ne ho mai avute” la interruppe Nate, senza però
specificare cosa esattamente non aveva mai avuto. Amiche o fidanzate? Linda
dedusse che si riferiva ad entrambe e un sorriso intenerito le si distese sul
volto.
Forse Nate aveva solo paura di legarsi a qualcuno e
soffrire, e preferiva troncare sul nascere ogni possibile rapporto umano prima
di trovarsi coinvolto in qualcosa che non conosceva e che non poteva gestire
con la sua solita freddezza.
La ragazza poggiò in terra il fiore di carta che
aveva ricevuto in dono, per timore di sgualcirlo. Nate era un po’ come quel
fiore: bianco e delicato che se maneggiato scorrettamente poteva sporcarsi o
rovinarsi, perdendo così la sua algida bellezza.
Gli si avvicinò per baciarlo e lui restò immobile ad
osservarla, come se stesse studiando ogni particolare del suo viso. Non si
mosse, lasciando che fosse lei a fare tutto, opponendo una resistenza passiva:
non voleva allontanarla da sé, ma al contempo non voleva lasciarsi andare, così
decise di restare quanto più neutrale possibile, sperando che fosse lei a
separarsi.
Ma, per sua fortuna (o disgrazia?) Linda non pareva
intenzionata ad andare via. Al contrario. Lo cinse per le spalle con le sue
esili braccia, disegnandogli poi il contorno delle labbra con la punta della
lingua, invitandolo ad assecondarla, a lasciarsi un po’ andare.
Il respiro di Nate accelerò, anche se
impercettibilmente. Voleva abbracciarla, voleva baciarla… oh sì che lo voleva,
ma non poteva, trattenuto da una forza invisibile che lo teneva legato come una
camicia di forza.
“Vuoi abbracciarmi?” bisbigliò lei sulle sue labbra.
Nate fece un cenno di assenso con la testa. Esaudendo la sua richiesta, Linda gli
prese le mani conducendole poi attorno alla propria vita sottile. “Vuoi
baciarmi?” Un altro cenno affermativo.
Il ragazzo osò dischiudere le labbra, accogliendo
quel bacio a cui, fino a quel momento, si era opposto. Era calda e morbida la
lingua di Linda sulla sua. Si sentì rabbrividire. Cominciò ad accarezzarla
sulla schiena, intrecciando le dita ai lunghi capelli biondi, salendo sino alla
nuca e poi scendere fino al bacino e di nuovo, in un lento movimento ascendente
e discendente.
“Vuoi toccarmi?” Sì, rispose la testa di Nate e le
sue mani furono condotte al seno piccolo e grazioso di lei. Non si sentiva
imbarazzato, perché Linda sapeva farlo sentire a suo agio, ma la sua
inesperienza lo costringeva alla immobilità, nell’attesa che fosse lei a
guidarlo.
“Come ti senti?”
“Diverso.” Era strano come quel ragazzo rispondesse
spesso in modo incomprensibile alle sue domande. Cosa voleva dire diverso? Che
fosse un suo modo personale di dire che non aveva mai provato prima una
sensazione del genere, diversa appunto? O non riusciva nemmeno lui a capire
cosa gli stesse succedendo?
Una cosa era certa: Linda non doveva avere timore di
essere più esplicita o diretta. Con Nate non esistevano le formali regole
femminili come ‘E’ l’uomo che deve fare il primo passo’
e questo le piaceva, perché la faceva sentire libera di comportarsi come più
preferiva, senza avere timore di essere giudicata male.
Si sentiva partecipe di un gioco di seduzione al
contrario.
Nate si lasciava solo guidare: la sua incredibile
forza interiore, che lo aveva preservato dalla follia in tutti quegli anni,
dinanzi quella ragazza vacillava. La sua mente aveva risposto di no a tutte le
domande che gli erano state rivolte, ma, quasi contro la propria volontà, il
suo corpo aveva reagito guidato dall’istinto, muovendo il capo in segno di
assenso.
“Vuoi amarmi?” La risposta, come per i precedenti
quesiti, fu sì.
La
mattina dopo, Nate avrebbe potuto pensare che si fosse trattato tutto di un
sogno: il corpo di Linda, le sue carezze, i suoi baci, il suo calore… ogni
singolo gemito trattenuto per non far rumore, ogni singolo respiro ansante
sulla pelle, ogni singolo sussulto di piacere fisico. Tutto poteva essere un
parto onirico della sua mente, ma quando al risveglio sentì tra le braccia la
ragazza che dormiva placidamente, con la testa poggiata sul suo petto nudo,
cullata dal battito cardiaco regolare, e poi aprì gli occhi vedendo come prima
cosa la chioma liscia e bionda di lei, ogni dubbio sulla realtà di ciò che era
accaduto fu spazzato via.
A giudicare dalla luce del sole, doveva essere poco
dopo l’alba. Non era auspicabile per Linda farsi trovare nella sua stanza,
specialmente in quelle condizioni che ben facevano intendere cosa fosse
successo quella notte.
A malincuore, perché era troppo bella mentre
dormiva, dovette svegliarla.
“Oh Cielo: è l’alba!” esclamò lei, superato il
torpore del sonno per ritornare alla realtà.
I vestiti giacevano scompostamente sul pavimento,
raggrinziti e attorcigliati. Si vestì più celermente che poté, una velocità
decisamente opposta rispetto a quella che aveva adoperato qualche ora prima per
spogliarsi.
Nate assistette a tutta la scena in silenzio, senza
mai distogliere lo sguardo dal suo corpo che veniva coperto da sempre più
indumenti. Forse c’era qualcosa da dire in quei momenti, un copione che
solitamente si interpretava dopo una notte d’amore, ma Nate preferì tacere,
preservandosi quindi dal dire qualcosa di inappropriato.
“Nate… questa notte è stato… diverso…” esordì lei
esitante, adoperando la medesima parola che aveva usato il ragazzo, trovandola
estremamente calzante a ciò che voleva dire, sebbene neanche lei sapeva di
preciso cosa.
“Nuovo” rispose Nate, esprimendo il suo parere al
riguardo, anche se in modo molto laconico e poco romantico, pensò Linda; ma lui
era fatto così.
“Verrò da te come ieri sera, intanto ci comporteremo
come sempre” si raccomandò la ragazza, anche se sapeva che con Nate non c’era
pericolo che qualcuno scoprisse quella loro relazione clandestina.
Prese il fiore di carta che era rimasto sul
pavimento per tutta la notte, silente testimone dell’amplesso avvenuto tra i
due giovani e che avrebbe conservato quel licenzioso segreto tra i petali della
sua corolla cartacea.
Linda avrebbe tanto voluto appuntarlo al taschino
del camice da infermiera, alla stregua di come una promessa sposa mostri il diamante
regalatole per il fidanzamento, ma non poteva farlo: avrebbe attirato
sguardi e domande indiscrete.
Ma Nate non era un ragazzo da vantare come un trofeo
davanti alle amiche. No, lui era diverso, unico. Avrebbe custodito la loro
relazione con gelosia, come un prezioso tesoro.
E chissà che un giorno, quando avrebbe avuto
sufficiente autorità in quell’istituto psichiatrico, non lo avrebbe fatto
uscire per sempre da lì, portandolo con sé e donargli così una vita vera,
serena e felice.
1.
1. La
Sindrome di Asperger (abbreviata
in SA, o AS in inglese) è considerata un Disturbo pervasivo dello sviluppo
imparentata con l'autismo
e comunemente considerata una forma dello spettro autistico "ad alto
funzionamento".Gli individui portatori di questa sindrome
(la cui eziologia
è ancora ignota) sono caratterizzati dall'avere una persistente compromissione
delle interazioni sociali, schemi di comportamento ripetitivi e stereotipati,
attività e interessi molto ristretti. Diversamente dall'autismo
classico, non si verificano significativi ritardi nello sviluppo del linguaggio
o dello sviluppo cognitivo.
2.
2. Il
disturbo schizoide di personalità
(così come definito secondo i criteri diagnostici DSM-IV–TR e, similmente, nel ICD-10) è un disturbo di personalità del Gruppo A, il
cui tratto principale è la mancanza del desiderio di relazioni strette con
altri esseri umani, e il “distacco” emotivo
del soggetto rispetto alle persone e alla realtà circostante.La
personalità schizoide manifesta chiusura in sé stessa o senso di lontananza,
elusività o freddezza. La persona tende all’isolamento oppure ha relazioni comunicative
formali o superficiali, non appare interessata a un legame profondo con altre
persone, evita il coinvolgimento in relazioni intime con altri individui, con
l'eccezione eventuale dei parenti di primo grado.
Note dell’autrice
Dopo
l’incredibile, inaspettato e soprattutto graditissimo successo di ‘Remember you’ eccomi di nuovo
alla carica con una nuova shot Near
x Linda! Vorrei dedicarla a Katy93 che ha deciso di adottare questa coppia non
solo come lettrice, ma anche come autrice: vi sto infettando! XD
Oh,
immagino che dovrei dire qualcosa su questa shot ma è
talmente lunga che ho letteralmente esaurito le parole, per cui lascio a voi
lettori il giudizio. Forse alcuni sono rimasti delusi dall’assenza della lemon, altri magari apprezzano questa scelta perché la
considerano più ‘delicata’ (in effetti immaginare Near
in simili circostanze non è facile, specie con una ragazza). Per questa volta
ho voluto fare passo, perché l’ho considerato più appropriato! ^^
Spero
che vi sia stata gradita e se vorrete farmi sapere cosa ne pensate, anche con
poche parole, ne sarò sempre molto felice!
Questa fic partecipa alla challenge indetta da starhunter Vitii et Virtutis, i vizi e le virtù.
Questa
storia partecipa alla challenge: Diamo
visibilità a chi non ne ha.