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Autore: Bri96    24/01/2011    0 recensioni
Un piccolo sclero. Prima delle mie storie in cui vedo un possibile racconto. Vorrei avere un vostro parere. Ho un disperato Bisogno di migliorare.
Brì, ragazza viziata, si innamora di un genietto: il Maestro.
L'amore, però, comporta la morte, certe volte!
°Brìsen.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sorseggiando una tisana al gusto di ruggine e mordicchiando cioccolato rosso, fissavo il vuoto.
 
 
"Signorina non si preoccupi, non si saprà." mi disse quell'uomo stempiato, seduto rigidamente sul mio divano nero. 
 
"Mi chiami Brìsen, signore. Comunque, lei mi assicura che nessuno lo verrà a sapere? Se ne occuperà personalmente?" chiesi. La mia voce era calma, pacata. Non ero ne pentita ne preoccupata. 
" Certamente, Signorina. Brìsen, volevo dire. Nessuno verrà a conoscenza di questo ... ehm spiacevole ... incidente!" disse l'ometto, con voce di reverenza e timore verso la mia figura.
Mi alzai. La vestaglia di seta rosso mogano strisciò sul tappeto persiano che occupava l'enorme salotto. Accompagnai il signore alla porta.
I capelli, ricci, erano legati in una disordinata coda di cavallo e, completamente struccata, avevo occhiaia pesanti che marcavano gli occhi e mi rendevano donna, a discapito dei miei diciasette anni d'età.
" Se non sono indiscreto, si faccia un  bel bagno e lavi la sua camera. Verrò domani all'alba!" disse l'uomo, infagottato nel suo lungo capottone nero con in testa un cilindro.
Mi guardai le mani. Sporche, colpevoli, impure.
Sul davanzale, presi la camicia. La camicia che mi ero portata dietro.
Davanti allo specchio di quell'enorme sala da bagno, vidi la mia figura spaventosa. 
Le labbra ancora rosse, per via di tutti quei baci proibiti. Gli occhi irritati a causa delle lacrime versate e le pupille dilatate per la cattiveria che circolava nel mio corpo.
Sul viso pallido c'erano piccoli schizzi del liquido rosso scarlatto e sul mio collo era segnata una mano rossa. Un timbro, un marchio.
L'acqua inizio a scorrere dal rubinetto e, sfregando le mani con molta forza, cercavo di scacciare il ricordo e la colpa. 
Graffiai il viso per far andare via tutto quel rosso. Se c'è una cosa che non toccai, fu quel segno, fatto dalla sua mano. 
Non avevo abbastanza coraggio per far sparire anche quel simbolo di appartenenza.
Presi la camicia. Profumava ancora. La strinsi forte al petto, come per simboleggiare che quell'odore che il mio cuore marcio riconosceva all'istante.
Scalza, mi diressi verso la camera da letto.
Le tende rosse erano tirate davanti alla grande finestra. Le uniche fonti di luce arrivavano da due candele bianche, poste ai lati del baldacchino.
Al centro del letto, teatro di amor furioso, era disteso un corpo inerme. 
I capelli biondi erano diventati rossi. Gli occhi azzurri erano spalancati e vitrei, come uno che ha appena visto la morte in faccia. A petto nudo, uno squarcio si apriva sul cuore e altri vari tagli occupavano l'addome. Le mani, chiuse a pugno lungo i fianchi, erano sporche di sangue. Il suo stesso sangue. Il suo sangue innocente.
Le candide lenzuola, di lino, bianche erano macchiate di rosso. 
Una pozza di sangue copriva la stanza e senza rendermene conto, i miei immacolati piedi ci finirono dentro. Non importava. Raccolsi il pugnale incastonato di pietre preziose, che giaceva a terra, e lo avvolsi nella camicia.
Sarebbero finiti entrambi in fondo a un baule. Per ricordare per l'eternità quel crimine orrendo.
Il suo corpo sarebbe stato nascosto, celato. Solo io avrei saputo il luogo di sepoltura.
Così saremmo stati insieme, per sempre.
 
 *"Brì, fermati. Dai basta!" Implorò lui. "Mi hai morsicato in ogni dove"  
Io ridacchiai. Impazzivo per quel genietto. Persona comune. Nessun titolo o eredità.
Un sempliciotto che si guadagnava da vivere con la sua testa. 
" Oh, mio Maestro non si lamenti tanto. Lo so che infondo le piaccio!" gli sussurrai all'orecchio.
Presi ad accarezzarli i biondi capelli. Così lisci e morbidi. 
Quel ragazzo mi trascinava nella perdizione. In un pozzo buio pieno di peccato e lussuria.
" Brì, non possiamo. E' sbagliato, capisci?" disse il mio bellissimo Maestro.
Lo guardai così intensamente negli occhi. I miei occhi cioccolato che fondevano a contatto con i suoi, ghiaccio puro.
" No, non capisco. Non m'importa se è sbagliato. Io ti voglio. Ti desidero. Voglio essere tua!" dissi con tono fermo.
" Certo che è sorprendente. Perdi le buone maniere in pochi attimi" Disse, ridacchiando. 
Non avette tempo per continuare che appoggiai le mie labbra rosse sulle sue. 
Ad ogni nostro contatto il mondo scompariva.
Dopo un attimo o l'eternità, si staccò.
" Ascoltami Brìsen. Noi non possiamo. Non puoi volermi. Io non posso desiderarti. Non puoi ... non puoi essere mia." disse il Maestro.
" Zitto" ribattei piccata io e iniziai a spogliarlo dei suoi indumenti. 
" Non pensare per una volta, Genio inutile! Lasciati trasportare!" gli sussurrai suadente.
Mi ascoltò. 
Non c'ero più io, aristocratica insensibile e lui, ragazzo prodigio. Eravamo noi. Solo noi.
 
Quando quella magia finì, mi appoggiai al suo petto. Respiravamo affannosamente. Mi comparve un sorrisino soddisfatto. Salii a cavalcioni su di lui e lo ammirai in tutta la sua bellezza. 
" Credo di amarvi, Maestro!" dissi piano. 
Lo guardai negli occhi. Erano vuoti, stranamente vuoti. 
" Brìsen non possiamo. E' sbagliato. Perderò il lavoro. Tu ... tu finirai sulla strada. Tuo zio ti ripudierà. Tu ... tu sei promessa!" disse lui, tremando.
" Promessa a un vecchio bavoso! Accidenti, ti interessa più un lavoro di me?!" urlai io, guardandolo torva, dall'alto.
" Brìsen non intendo questo. Ma siamo sbagliati. Non sarai mai felice con me!"  disse calmo il Maestro. 
Odiavo la sua calma, una calma irritante e fastidiosa. Surreale.
" Invece no. Sarò felice solo con te! Io sono tua e tu ... tu sei solo mio!" gridai io.
" Non sono tuo Brìsen. Io non ti amo, ci arrivi?" pronunciò lui, spazientito.
Parole che mi colpirono come pugnali e mi sfigurarono il cuore.
" Mi hai profanato! Mi hai derubato della mia virtù e ... e non mi ami?" chiesi io, con voce tremante e gli occhi lucidi. Non credevo a quelle parole. Parole senza senso, per me, piccola e ingenua ragazzina.
Cinico ragazzo. Rise " Sei solo una bambina viziata. Anche un po' sgualdrina, cara ragazza. Sono il tuo insegnante, ti ho solo insegnato come procurare piacere ad un uomo. Ora togliti ... me ne devo andare." 
Mi alzai e, mentre lui indossava i pantaloni, io frugai nel cassetto. Avrei fatto una pazzia. Presi il pugnale, quello di mia madre, dal comodino.
Il Maestro continuava a fissarmi e io, di tutta fretta, nascosi il pugnale dietro la schiena.
" Sei proprio bella, mia piccola Dea!" Disse, con quella sua voce melodica. Seduto sul mio letto, continuava a fissare il mio corpo.
Mi voleva sfruttare ancora? Dopo che aveva confessato di non amarmi?
Mi avvicinai e chinandomi quanto bastava, lo baciai. Lo baciai per l'ultima volta. Il suo ultimo bacio, il suo ultimo respiro.
Appena chiuse gli occhi, gli sferrai una pugnalata al cuore.
Lo vidi spalancare gli occhi e portarsi le mani al suo organo vitale, cercando di tamponare il sangue che usciva. 
Posò la sua mano da pianista, sul mio collo e mi lascio un'impronta.
Agonizzante, disse " Brì, dovevo farlo. Io non ... volevo."
Cadde inerme sul letto. 
Io iniziai a singhiozzare e mi accanii ancor di più sul suo cadavere, trafiggendoli lo stomaco con vari colpi.
La chiazza di sangue si estese fino a gocciolare sul pavimento e a formare una pozza.
 
Chiamai la mia fidata serva. Pulì la stanza senza far domande e non sfiorò il cadavere. 
Io mi preparai un bagno caldo. Un bagno caldo per purificarmi dalla colpa.
L'acqua dopo poco si colorò di rosso. 
Le ore passarono velocemente e l'alba arrivò. L'orologio a pendolo segnava le sei in punto.
Clara, la serva, aveva già aperto le finestre e mi aveva aiutato a indossare il mio vestito nero, quello che mi faceva apparire come una grande dama, brava e diligente. Tutto ciò che non ero.
Quando l'orologio segnava le sei e un minuto. La porta suonò.
Mi recai ad aprire il pesante portone di ingresso. 
L'uomo, che avevo contattato la notte stessa, era davanti a me. Sceso dalla sua carrozza, aveva con se un enorme baule. 
Clara lo aiutò a trasportarlo fino alla mia stanza. Lì, ci lascio soli.
" Dove vuole che me ne liberi?" chiese l'ometto, impaurito dal morto che continuava a fissare.
Ci riflettei un attimo e con tutta la compostezza che si conviene ad una dama risposi " Nel Tamigi. Affinché il suo spirito sia libero, come il fiume!" 
L'ometto annui. 
Depositò il fragile corpo del Maestro nel baule e lo chiuse a chiave. Dopo averlo caricato sulla carrozza, mi rassicurò che entro le sette della mattina stessa, il cadavere non avrebbe avuto niente a che fare con la mia persona.
 
Arrivò mio zio. 
Clara aprì la porta e lui, lasciando il suo giaccone e il bastone addosso alla povera Clara, si rivolse immediatamente a me, che mi trovavo comodamente seduta nel mio salotto a godermi un bel libro. 
" Brìsen cara. Dimmi come mai non ti stai esercitando al piano?" disse appoggiandosi alla porta, con la sua inseparabile pipa.
" Non intendo esercitarmi. Il tuo insegnante non si è nemmeno presentato." dissi con ferocia, senza alzare minimamente lo sguardo.
" Pazienza se non vuoi coltivare questo tuo talento. Tanto entro la fine dell'anno sarai maritata."  disse quell'uomo spregevole.
Non obbiettai. 
Oramai ero diventata un mostro. Avrei ucciso pure il mio futuro maritino.
  
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